È l`uomo che genera l`uomo

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È l`uomo che genera l`uomo
Note di Pastorale Giovanile
n. 5, maggio 2003
È L’UOMO CHE GENERA L’UOMO
Dott. Tuono Mauro
È l’uomo che genera l’uomo 1 .
Questa frase di Aristotele, illustra bene il tema di fondo di questo articolo. Suggerisce infatti
l’idea dell’imprescindibile apporto che gli uomini sono tenuti ad offrire alla nuove generazione di
maschi per favorire la costruzione della loro virilità. Come si può capire non si tratta solo di fornire
un apporto biologico, ma di tramandare ed insegnare quell’insieme di norme, comportamenti,
attenzioni e attitudini che costituiscono l’universo simbolico maschile.
Al tempo stesso ogni uomo adulto ha ricevuto a sua volta in eredità un modello di
mascolinità che ha condizionato la modalità con cui ha cercato di costruire la propria virilità.
In questo passaggio di consegne tra maschi di diverse generazioni il padre rappresenta una
di quelle figure che più di ogni altre ha un ruolo fondamentale poiché la sua vicinanza al bambino
fin da piccolo (anzi fin dalla vita prenatale) e quindi in tutte le tappe del suo sviluppo socio-psicoaffettivo, gli conferiscono il compito importante di fungere da costante modello e da continuo
confronto di virilità per il bambino.
L’essere padre e l’essere uomo costituiscono i poli di uno scambio continuo, entro cui i
maschi di ogni generazione si trovano a vivere e dove devono cercare di far emergere la loro
originalità.
Non è un compito semplice poiché in tutto questo movimento solo il dato biologico sembra
essere certo, le altre due dimensioni esistenziali maschili infatti sono tutt’altro che scontate; sembra
anzi che siano mete ardue da conquistare: basta ricordare quante volte nel corso della sua vita ogni
individuo, fin da ragazzo, si sia sentito rivolgere il perentorio invito “sii uomo”, ribadendogli in
questo modo che il suo essere uomo non è certo, non è un dato inscritto, biologico, ma è uno status
da conquistare e di cui deve dimostrarsi degno giorno dopo giorno.
Per quanto riguarda l’essere padre la situazione oggi è forse ancora più complessa: ogni
maschio si trova infatti a dover “inventare” la propria paternità districandosi tra le analisi e le
critiche che hanno investito la figura paterna a partire dalla seconda metà del XX secolo 2 , e le forti
aspettative sul compito educativo del padre che emergono dalla riflessione sociologica, psicologica
e pedagogico-educativa odierna.
È davvero così complicato per un bambino aspirare a diventare uomo e padre? Gli manca
davvero qualcosa per essere riconosciuto come tale? Come mai invece alle bambine il fatto di
diventare donne e madri sembra essere considerato un fatto naturale, non sottoposto a prove ed
esami per essere riconosciuto tale?
Una risposta a questi interrogativi deriva dal fatto che per le donne un evento biologico
fondamentale come la comparsa del menarca, ha segnato l’entrata nell’età della maturità. Oggi non
si può pensare che una ragazza di dodici, tredici anni possa considerarsi matura ed autonoma a tutti
gli effetti, ma la comparsa delle prime mestruazioni ha mantenuto tutto il suo significato simbolico
e la sua importanza nella costruzione dell’identità personale. Per i ragazzi però non c'è un evento
biologico altrettanto importante che funga così chiaramente da spartiacque per cui si è provveduto
culturalmente a colmare questo vuoto simbolico attraverso i riti di passaggio. A questo proposito
Claudio Risé 3 sottolinea come l’assenza di riti di passaggio culturalmente riconosciuti e accettati,
1
ARISTOTELE, Metafisica, Z, 7, 1032a, 25.
Ricordiamo in particolare i lavori riconducibili alla Scuola di Francoforte.
3
C. RISE’, Maschio Amante Felice, Frassinelli, Como, 1995.
2
tipica della società moderna, sia un elemento di disturbo molto forte per i giovani uomini di oggi.
Inoltre afferma che si sta realizzando concretamente non solo a un livello simbolico quella società
senza padri descritta da Misterlich: negli Stati Uniti dove questo fenomeno è già molto diffuso è
stato coniato il termine di fatherless children 4 , bambini senza padre, riferito a tutti quei ragazzi che
crescono con figure adulte di riferimento esclusivamente femminili. Di questi ragazzi (che
costituiscono ormai la maggioranza della popolazione minorenne) la maggioranza ha disturbi nel
proprio equilibrio affettivo (68%) e una parte consistente ha manifestato comportamenti devianti
(46%). Questo fenomeno comunque si sta diffondendo anche in Europa, partendo dai Paesi del
Nord, ma ha già raggiunto i Paesi mediterranei.
Un altro elemento che spesso emerge attorno a queste riflessioni è un incompleto processo
di sviluppo personale da parte degli uomini: basandoci sul concetto junghiano 5 di dualità dell’anima
umana (animus/anima) l’uomo non si è fatto carico di sviluppare la propria parte femminile
concentrandosi esclusivamente su quella maschile. Per cercare quindi di recuperare questo terreno
perso è fondamentale per gli uomini oggi “riconciliarsi”6 con la propria femminilità. Questa sfida
nasconde però un grande paradosso difficile da risolvere: da una parte agli uomini è richiesto di
recuperare la propria parte femminile, senza però avere modelli di riferimento in questo nuovo
processo di costruzione della propria virilità, dall’altra, allo stesso tempo, come padri è richiesto
loro di educare in modo diverso i propri figli, in particolare i maschi, proponendo un modello di
maschilità più integrato, tale che li aiuti a crescere avendo un contatto più intimo con la propria
componente femminile.
Da dove partire dunque per rompere questo circolo vizioso? È da ricordare che ogni
momento della vita di un uomo può essere utile per avviare questo cammino di ridefinizione
personale, però non possiamo nasconderci la difficoltà che questa decisione comporta: le pressioni
culturali e le aspettative circa i modelli tradizionali di maschilità sono ancora molto forti, per cui per
noi sembra più utile concentrarsi in quei momenti dell’esistenza di ogni uomo dove lo
coinvolgimento emotivo è particolarmente forte, come ad esempio la nascita di un figlio. L’insieme
delle emozioni, dei sentimenti, delle aspettative, delle fantasie che durante il periodo della
gravidanza il padre vive possono essere l’occasione per lasciare spazio alla parte emozionale che
solitamente viene trascurata. Inoltre prendere contatto con questa parte significa per il padre
“allenarsi” ad un linguaggio basato sull’empatia, sulle emozioni fondamentale per comunicare con i
bambini nei primi anni di vita. Questo aspetto è molto importante poiché l’assenza educativa del
padre nei primi anni di vita del bambino fa sentire comunque il suo peso nella relazione padrefiglio/a tanto da caratterizzare il rapporto per tutta la sua durata. L’influenza negativa di questa
assenza la si può riscontrare in modo drammatico durante l’adolescenza: in un periodo evolutivo in
cui gli adolescenti sentono il bisogno di una figura adulta con cui scontrarsi-confrontarsi alfine di
costruire gradualmente la loro originalità 7 . Il padre è forse la persona più adatta (anche se non in
modo esclusivo) per ricoprire questo ruolo 8 , ma se non è stato presente fin dal principio nella vita
del figlio/a difficilmente potrà recuperare il tempo perso e diventare di colpo, alle soglie
dell’adolescenza, un interlocutore credibile per il/la figlio/a.
Inoltre bisogna tener conto dei problemi legati al mancato o parziale processo di
identificazione e di differenziazione, che provoca conseguenze non indifferenti per l’equilibrio
dell’identità dei figli, in particolare dei figli maschi: “in più occasioni, il bambino fa appello al
padre per rompere il cordone ombelicale. E ogni volta il padre fa il sordo e lo respinge” 9 , quindi “il
profondo bisogno del figlio di essere riconosciuto e confermato dal padre urta contro la legge del
4
M. QUILICI, Fatherless, in «ISP notizie», anno XII, n.3
C. JUNG, L’Io e l’inconscio, in Due testi di psicologia analitica, Opere, Boringhieri, Torino, 1983.
6
E. BANDITER, XY. Identità maschile, Longanesi, Milano, 1993, pp. 215-237.
7
S. DE PIERI, La nuova paternità. Aspetti psicopedagogici, pp. 317-318, in AAVV, Un padre per vivere, Ed. Il
Poligrafo, Padova, 2001.
8
Ibidem, p 320.
9
E. WHITE, Un giovane americano, Bompiani, Milano, 1987, pp. 173-74
5
silenzio. La sua mascolinità che necessita di un costante consolidamento viene lasciata incompiuta
dalla figura paterna” 10 .
Per verificare come in realtà i padri vivono la gravidanza e come si preparano ad accogliere
il figlio o la figlia, abbiamo provato a verificare queste riflessioni sul campo.
Abbiamo osservato come i padri vivono l’esame ecografico (l’ecografia morfologica, cioè la
prima che viene effettuata intorno alla dodicesima settimana) e successivamente abbiamo intervista
i padri entro le ventiquattro ore dalla nascita del figlio/a: vengono perciò osservato/intervistati in
due momenti in cui l’impatto emotivo è molto forte.
Dai dati raccolti emerge una figura di padre più partecipe: una buona percentuale ha
accompagnato la partner all’esame ecografico (76%, 16% ad alcune a causa degli orari di lavoro) e
la quasi totalità ha accompagnato la partner durante il travaglio (92%) e quindi assistito al parto
(%) 11 . È cresciuta la consapevolezza di essere presente e partecipe ai momenti forti che segnano il
decorso della gravidanza. È importante sottolineare questa presa di coscienza poiché si tratta di un
fenomeno recente: fino a circa due decenni fa la presenza del padre era molto più defilata e ad
accompagnare la donna in particolare durante le ecografie e gli altri esami previsti durante la
gestazione, erano perlopiù la madre o altre figure parentali comunque femminili 12 . In questo senso
l’uomo partecipa più attivamente sia alla gravidanza sia alla nascita del figlio: non è più costretto ad
aspettare fuori dalla sala parto come accadeva fino alla fine degli anni settanta, ma può essere
presente e accompagnare la donna in questa esperienza così particolare. Inoltre molti autori
sottolineano l’importanza per il padre di assistere al parto sia per favorire un attaccamento precoce
nei confronti del/la figlio/a, sia per il valore simbolico che questo evento assume nella costruzione
della sua identità di padre (pensiamo in particolare a gesti come quello di tagliare il cordone
ombelicale o di aiutare l’ostetrica a fare il bagnetto al bambino).
A fianco a questi elementi interessanti ne emergono altri meno positivi.
Sia dall’osservazione del padre durante l’ecografia, sia per quanto riguarda le interviste
post-parto emerge un dato che fa riflettere: si ha l’impressione che i padri non siano in grado di
gestire e di rielaborare la grande quantità di emozioni, vissuti e sentimenti che la gravidanza e
quindi il parto suscitano in loro.
Per quanto riguarda le ecografie abbiamo notato che i padri intervengono principalmente
scegliendo il medico come interlocutore privilegiato, tralasciando invece il rapporto con la
compagna (ricordiamo che solo il 16% dei padri aveva un contatto fisico con la compagna durante
lo svolgersi dell’esame, ricreando così un’intimità di coppia in un momento così significativo per i
due futuri genitori). Inoltre è da sottolineare come si sentissero maggiormente a loro agio
(attivandosi immediatamente) nel momento in cui c’erano da svolgere alcune incombenza tecniche,
come ad es. ricevere le ecografie o aiutare la compagna a rivestirsi. A nostro parere è la conferma
che la modalità di reazione che gli uomini prediligono di fronte ad un evento dal forte impatto
emotivo, è ancora quella dell’azione.
Per quanto riguarda invece le interviste post-parto la cosa che balza agli occhi è la
“neutralità” di alcune risposte come ad es. il fatto di aver vissuto positivamente la gravidanza o di
non essersi confrontati con nessun uomo (nemmeno con loro padre) nell’immaginare quale tipo di
padre avrebbero voluto essere. Di fronte a questi dati più che pensare che la gravidanza e il parto
siano state delle esperienze che non li hanno interpellati nel profondo, crediamo invece che ci
racconti di padri che hanno solo cominciato a prendere contatto con le proprie emozioni, ma che
non siano ancora del tutto capaci di rielaborarle e quindi di verbalizzarle.
Ci sembrerebbe quindi molto utile provare a pensare un intervento educativo che aiuti i
padri in questo lavoro personale, sia attraverso uno spazio specifico per loro durante il corso di
10
E. BANDITER, op. cit., p.198.
Questo dato fa riferimento ai parti naturali. Ai parti con parto cesareo i padri non possono assistere per motivi di
ordine sanitario.
12
S. RELLINI, OLIVIERO FERRARIS, Il parto tra biologia e cultura, Psicologia Contemporanea, Giunti
Firenze.1992.
11
preparazione al parto (che andrebbe quindi ripensato nella sua organizzazione a partire dagli orari),
sia attraverso un intervento che aiuti la coppia a vivere più a fondo e a interiorizzare momenti
importanti come quello del parto o delle ecografie.
Sarebbe a nostro parere una modalità per inserirsi nella stretta connessione che lega gli
uomini e i padri: intervenendo sul processo di acquisizione di paternità si aiuterebbe il maschio a
ripensarsi come uomo; che si proporrebbe come padre con un modello di virilità diversa rispetto a
quella che aveva ricevuto e più vicina (ci auguriamo) all’ideale dell’uomo riconciliato.
È senza dubbio un percorso ancora molto lungo quello che attende gli uomini e i padri di
oggi, sia per la gravità del passaggio esistenziale ed identitario che devono affrontare, sia per i
mutamenti culturali, sociali ed economici che stanno imprimendo forti pressioni e accelerazioni alla
struttura familiare così come la conosciamo ora (padri separati, famiglie multiculturali,
globalizzazione, nuovi modelli di famiglia, ecc.). La vera sfida allora che attende l’uomo e il padre
contemporaneo è quella di smettere di strutturare la propria personalità a partire dall’esterno
(dedicandosi esclusivamente sul lavoro, sul successo professionale, sull’impegno sociale e politico,
ecc.) come ha fatto spesso in passato, concentrandosi con tutte le forze sul lavoro su di sé, sugli
aspetti della propria personalità ancora fragili (spazio per vivere ed esprimere le proprie emozioni in
primis) in modo da affrontare i rapidi sconvolgimenti che caratterizzano la società contemporanea,
senza però perdere se stesso essendo in balia degli eventi.
Come si può capire si tratta di intraprendere una rivoluzione educativa di grande portata:
“Gli uomini sono a un bivio che si traduce spesso in un dilemma insopportabile: mutilazione della
femminilità o mutilazione della virilità; ferita mortale della loro «anima femminile» o soffocamento
nel grembo materno. In verità, non è impossibile uscire da questa alternativa dolorosa: qui il terzo
non è escluso” 13 . Il terzo a cui la Banditer fa riferimento è l’uomo riconciliato14 : un uomo cioè, che
sia in grado di riconciliare la propria componente femminile con la propria componente maschile,
che sappia coniugare sensibilità e solidità. Altri autori hanno dato definizioni diverse di questo
modello di uomo 15 , ma questa ci sembra più convincente poiché il termine “riconciliazione illustra
meglio l’idea di una dualità di elementi che hanno dovuto separarsi, addirittura opporsi, prima di
ritrovarsi. Essa tiene conto della nozione di tempo, di tappe da superare, di conflitti da risolvere” 16 .
Si auspica quindi che maschi dopo aver vissuto la femminilità originaria tipica dell’infanzia,
possano vivere il processo di separazione e di identificazione con il maschile senza per questo
provare il disprezzo e la paura per la femminilità, per poter infine, da adulto, ricongiungersi in
modo pacifico con la sua “anima”.
In questo articolo ci siamo concentrati in particolare sull’importanza del lavoro che i padri
biologici devono affrontare per poter consegnare dei modelli di mascolinità credibili ed essere così
fedeli al loro compito educativo, ma è un appello che dovrebbe essere ampliato e rivolto a tutti gli
educatori che intervengono nel processo di crescita delle nuove generazioni (e quindi insegnanti,
allenatori e non da ultimi animatori e padri spirituali) affinché ognuno di essi collabori per lo
sviluppo integrale di tutta la persona in modo che possa costruire quell’equilibrio razionale ed
affettivo che sembra essere una delle grosse emergenze educative dei nostri tempi. L’esperienza di
Valdocco potrebbe essere un modello importante a cui far riferimento: all’oratorio i ragazzi non
trovavano solo uno spazio dove venivano aiutati a pregare, dove imparare un mestiere, dove giocare
ed esprimersi artisticamente, ma soprattutto il luogo dove incontravano un padre che era disposto e
si impegnava ad amarli solo per quello che erano: "Basta che siate giovani perché io vi ami assai!"
13
E. BANDITER, op. cit., p. 168.
Ibidem, p. 215.
15
J. MISFUD, Men Cooperating for a Change in F. ABBOTT, New Men, New Minds, The Crossing Press/Freedom,
Ca, 1987, p. 140.
16
E. BANDITER, op. cit., p. 215.
14