L`ITALIA PUNTA SUL ROSSO Amarone, Chianti e Primitivo

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L`ITALIA PUNTA SUL ROSSO Amarone, Chianti e Primitivo
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ATTUALITÀ
Giovedì 11 aprile 2013
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Record al Vinitaly: 148mila visitatori
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L’ITALIA PUNTA SUL ROSSO
Amarone, Chianti e Primitivo: si beve meno e meglio
Vanno forte i vini locali, amatissimi anche all’estero
::: CARLO CAMBI
 Beviamo meno, sicuramente beviamo molto locale. È questa
la sentenza del Vinitaly che ha
chiuso ieri i battenti con l’ennesimo record di visitatori: 148 mila di
cui 53 mila esteri. Le cantine italiane confermano la loro leadership mondiale con un aumento
del 6,5 del fatturato estero arrivato
a 4,7 miliardi e con un balzo del
7% del fatturato complessivo che
supera i 14 miliardi e garantisce il
lavoro a un milione e 200 mila
persone.
Ma l’esportazione è la sola strada del successo perché il mercato
interno è in profonda contrazione.
Siamo scesi al di sotto dei 37 litri
pro capite. E se ne sono accorti
anche i supermercati (con il 65%
del mercato sono il primo canale)
che per la prima volta quest’anno
hanno avuto una contrazione del
3,7% nelle vendite. Con due fenomeni registrati dalla ricerca Symphony-Iri: il primo è che si vendono molte bottiglie a marchio delle
catene di distribuzione, il secondo
che mentre si contraggono di
molto i volumi dei vini di poco
prezzo, s’incrementano i vini di
maggior pregio. A guidare la classifica del gradimento sono il Lambrusco e il Chianti, ma emergono
anche nuove preferenze: Pecorino
marchigiano e abruzzese, Primitivo pugliese, Falanghina campana
e Rosso di Montalcino.
Tengono ancora gli spumanti, si
affacciano i rosati. Per capire come si orientano gli italiani tra le
bottiglie serve anche una ricerca
della Coldiretti che conferma un
antico adagio contadino: mogli e
buoi dei paesi tuoi. Quanto alle
mogli, le donne sono diventate il
miglior cliente delle cantine. Sono
loro a bere fuori casa e se il 44%
dei maschi beve ogni giorno ma
tra le mura domestiche, quelle che
spendono di più per il vino sono
proprio le signore che peraltro
hanno conquistato la guida di un
terzo delle cantine italiane e spesso le vignaiole si affidano alle enologhe. Insomma vanno di moda le
cantine in rosa. Quanto ai buoi eccoli. In ogni regione in testa al gradimento ci sono i vini locali e possibilmente biologici. Così la Toscana beve Chianti, Morellino e
Sangiovese che è poi la stesa cosa.
Il Piemonte sceglie Barbera, Dol-
Giro d’affari delle cantine italiane: 14 miliardi [Lapresse]
cetto e Bonarda (che arriva
dall’Oltrepò), il Trentino Teroldego e Marzemino, l’Emilia il Lambrusco, la Sicilia il Nero d’Avola, le
Marche il Verdicchio, la Campania la Falanghina, l’Abruzzo il
Montepulciano, la Puglia il Negroamaro. Tra gli internazionali
emergono soprattutto Merlot e
Syrah.
Discorso a parte per il Prosecco
che resta un fenomeno e sulla sua
scia emergono altri due bianchi
frizzanti come il Pignoletto emiliano e la Passerina marchigiana, e
per l’Amarone che nella fascia alta
del mercato insidia il Barolo piemontese mentre must assoluti rimangono il Brunello di Montalcino e i supertuscans. Tra gli spumanti un vero e proprio boom è
quello della Franciacorta. Completamente diverso il panorama
per quel che riguarda l’esportazione. Gli Stati Uniti, nostro primo
cliente, vogliono il romanzo del vino, cioè comprano le bottiglie che
narrano storie di vignaioli ed evo-
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LA SCHEDA
AUMENTA IL FATTURATO
Vinitaly ha chiuso ieri i battenti
con l’ennesimo record di visitatori: 148 mila di cui 53 mila esteri.
Le cantine italiane confermano la
loro leadership mondiale con un
aumento del 6,5 del fatturato
estero arrivato a 4,7 miliardi e con
un balzo del 7% del fatturato
complessivo che supera i 14 miliardi e garantisce il lavoro a un
milione e 200 mila persone.
CANTINE ROSA
Le mogli seguono i mariti: le donne sono diventate le migliori
cliente delle cantine. Sono loro a
bere fuori casa e se il 44% dei maschi beve ogni giorno ma tra le
mura domestiche, quelle che
spendono di più per il vino sono
proprio le signore che peraltro
hanno conquistato la guida di un
terzo delle cantine italiane e spesso le vignaiole si affidano alle
enologhe. Insomma vanno di
moda le cantine in rosa
cano immagini di territori; in Germania dove il prezzo conta le bollicine vanno forte, in Gran Bretagna il vino deve essere come natura crea.
I mercati emergenti hanno altre
logiche. I cinesi vogliono assolutamente i vini che costano tanto.
Dunque Toscana e Piemonte. I
russi guardano alle firme, trattano
le bottiglie come la moda. E fanno
follie per Masseto di Ornellaia, per
il Sassicaia, per il Solaia di Antinori, per il San Leonardo di Guerrieri
Gonzaga, per il Sagrantino 25 anni
di Caprai o per le bottiglie di Franciacorta come Bellavista o Ca’ del
Bosco. I brasiliani invece vogliono
vini di territorio, freschi e allegri. Si
divertono con il Lambrusco, impazziscono per il Verdicchio, adorano le bollicine dell’Oltrepò. Anche se i dazi gliele le mandano di
traverso. Ma in un’Italia che stenta, dal Vinitaly, emerge per la nostra economia una tendenza ben
più importante: fin che c’è vino c’è
speranza.
di DANIELA MASTROMATTEI
Stile & stiletto
Il fascino immortale
della giacca nera Chanel
negli scatti di Lagerfeld
 All’inizio era una tipica giacca tirolese con
quattro tasche, indossata dallo staff dell’hotel Baron Pantz in Austria. Ora è la mitica Chanel nera di
lana bouclèe che l’attento obiettivo di Karl Lagerfeld (nella foto) ha reso immortale con una mostra
dal titolo “The Little Black Jacket”: ha già toccato
Tokyo, New York, Londra, Parigi e Berlino e ora è a
Milano nelle sale della Rotonda della Besana, allestite in perfetto stile rue Cambon.
Fotografie con la giacca Chanel indossata dalla
più giovane, una bambina di due anni e due cognomi, Scarlett Utzmann Huynh, dalla più anziana, Micheline Chaban-Delmas, vedova dell’ex
premier francese. Su ogni tela la piccola giacca nera assume forme e suggestioni diverse: ora è imprigionata da strette corde indosso al cantante
Ken Hirai, ora si trasforma in una divisa da suora
di clausura con la modella Freja Beha. Diventa
una stola settecentesca con Uma Thurman, un
copricapo regale con Sarah Jessica Parker e l’abito
del cigno nero con Roberto Bolle. In mezzo Jane
Birkin, Tilda Swinton, Laetitia Casta, Lauren Hutton, Edgar Ramirez e Georgia May Jagger. Per
l’esposizione in Italia sono stati aggiunti nuovi ritratti: Kiera Knightley, Carole Bouquet, Diane
Kruger; più una Carla
Bruni con chitarra che di
Chanel non ha soltanto
la giacca ma anche la
gonna, perfetto tailleur
parigino. E se Carlà mostra di essere la giovane
signora chic c’è chi si è
sbizzarrito, molto, e sotto la «mitica» ha messo
short di jeans, gonnelline
a fiori, merletti e reggicalze o ha mostrato il pancione della dolce attesa
come Charlotte Gainsbourg. Kirsten Dunst la indossa col reggiseno leopardato, la modella Freja
Beha col velo da suora, Sofia Coppola con la maglietta da marinaio, Clotilde Hesme con i guanti
da Topolino. E Yoko Ono con il cilindro e gli occhiali neri è protagonista di un video intitolato “La
storia della mia lunga vita”.
La “petite veste noir” nasce nel 1954, quando
Coco Chanel aveva già 71 anni. Il ritorno sulla passerella di una donna non certo giovane, determinata e scontrosa, amata e odiata, era atteso da una
doppia fila di fuochi incrociati. Ma Mademoiselle
riuscì proporre un modello semplice e bordato di
passamaneria, senza revers e con quattro tasche
frontali, due in corrispondenza del petto e due sui
fianchi. Una livrea anonima, facile da confezione
per rendere le donne libere ma femminili, cameriere e insieme principesse. Tagliò con un solo
colpo di forbice le distinzioni sociali. La sua controtendenza, all’epoca lo stile era un trionfo di tessuto, balze, ruches come imponeva Christian
Dior, la portò al successo. Quella giacca nera da
cameriera di Coco, che faceva sparire con un colpo di spugna tutto il superfluo risultò subito simpatica alla stampa e alla Casa Bianca. E subito indossata dalla prima first lady della storia, Jaqueline Kennedy. La giacca Chanel entrò nei salotti che
contano. E non ne è più uscita.
Se ne va Franco, l’ultimo patriarca
La stirpe che ha incoronato il Brunello Montalcino
Franco Biondi Santi [Milestone]
 Se n’è andato a 91 anni
Franco Biondi Santi, l’ultimo patriarca del Brunello di Montalcino. Era figlio di Tancredi, l’enologo che con la vendemmia del ’55,
l’ultima da lui fatta e che segnò il
passaggio di testimone a Franco,
aveva prodotto - a parere di Wine
Spectator, la Bibbia del vino - la
bottiglia del secolo. Franco si
specchiava nel suo vino tanto che
non si poteva dire se il Brunello
somigliasse al suo produttore o se
invece non fosse quel vino a segnare il carattere dell’uomo: rigo-
roso, elegante, profondo, colto.
Aveva un suo sancta sanctorum
nelle profondità de Il Greppo, la
bellissima tenuta che domina
quella val d’Orcia che l’Unesco
ha
dichiarato
patrimonio
dell’umanità: è la cella della cantina storica. Lì sono custodite le
bottiglie annata per annata a partire dal 1880, la prima vendemmia di Brunello. E ogni volta che
Franco doveva operare la ricolmatura delle bottiglie da collezione che gli arrivavano dai quattro
angoli del mondo pareva un sa-
cerdote di Bacco: con gesto solenne stappava, misurava le poche gocce di vino con cui riempire quelle bottiglie-reliquia, e poi
ritappava sigillando con ceralacca e uno specialissimo rogito. E
come un patriarca ortodosso si è
battuto per una vita perché il Brunello restasse eguale a se stesso.
Del resto nelle sue vene scorreva
il sangue di Giorgio Santi che, collega di Lavoisier, aveva fatto studi
di botanica che produssero la prima selezione del Sangiovese
grosso di Toscana, l’uva del Bru-
nello. I Biondi Santi sono stati i
primi produttori di quel vino e
sono tra le poche famiglie proprietarie esclusive di cloni di uva.
Di questo patrimonio Franco
Biondi Santi è stato custode e
continuatore facendo il vino con
passione e intelletto. Ora tocca al
figlio Jacopo, pure lui enologo,
produttore di un proprio vino al
Castello di Montepò, perpetuare
quest’opera. Sicuro che per Franco quella terra che ha servito con
tanto rigoroso affetto, sarà lieve.
C.CAM.
Brunello di Montalcino [LaPr]