nuovi profili di responsabilità penale del professionista
Transcript
nuovi profili di responsabilità penale del professionista
NUOVI PROFILI DI RESPONSABILITÀ PENALE DEL PROFESSIONISTA di Alessandro Traversi* Il rischio di concorso nel reato del professionista con i reati commessi dal proprio cliente si configura tanto in reati di carattere societario che in quelli fallimentari senza trascurare quelli di carattere tributario. Proprio nell'ambito di questi ultimi, peraltro, la L. 22.12.2011 n. 214 ha introdotto il nuovo diritto di “esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi o fornitura di dati e notizie non rispondenti al vero”. Il tema della responsabilità penale dei professionisti esercenti attività di consulenza per conto di imprese o società proprie clienti, che in passato è stato oggetto di speculazioni principalmente a livello dottrinario, recentemente è divenuto di grande attualità e rilevanza pratica a seguito, non soltanto di talune pronunce giurisprudenziali, che hanno destato preoccupazione nell'ambito di varie categorie professionali, segnatamente quella dei commercialisti, ma anche, e soprattutto, di recenti provvedimenti legislativi che hanno sensibilmente ampliato l'area di rischio penale di tali soggetti. In particolare, con riferimento a reati di natura fallimentare, societaria e tributaria. Tralasciando di trattare della responsabilità penale del professionista per reati "propri" e, cioè, per illeciti commessi in qualità di sindaco o componente di altri organi di controllo societario, va chiarito che in questa sede verrà affrontato soltanto il problema dei possibili profili di responsabilità penale del professionista medesimo a titolo di concorso con il proprio cliente. IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO A tale riguardo, è opportuno innanzitutto ricordare quale sia la disciplina del concorso di persone nel reato stabilita in linea generale dal Codice penale per qualsiasi tipo di reato. L'art. 110 c.p. prevede che “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”. L'apporto dei singoli concorrenti può essere di carattere materiale oppure morale. Quest'ultimo può manifestarsi nelle diverse forme della determinazione, istigazione o rafforzamento dell'altrui proposito criminoso. In ogni caso, affinché si abbia compartecipazione criminosa, occorre che il soggetto abbia fornito un contributo causale alla verificazione del fatto costitutivo di reato. Sotto il profilo psicologico, l'elemento soggettivo del concorso richiede, da un lato, la coscienza e volontà dello specifico reato e, dall'altro, la volontà di concorrere con altri alla realizzazione del reato comune. Benché la maggior parte dei reati fallimentari, societari e tributari sia di tipo "proprio", è pacificamente ammesso che possa concorrere alla commissione degli stessi anche un soggetto privo della qualità personale richiesta (c.d. "extraneus"). Secondo i principi generali in tema di concorso, la responsabilità del concorrente in reato doloso (quali sono quelli sopra menzionati) presuppone, però, la consapevolezza di concorrere in un reato e, quindi, la conoscenza della qualifica del soggetto destinatario della norma incriminatrice (c.d. " intraneus"). È da tenere, tuttavia, presente che la responsabilità concorsuale può configurarsi anche a titolo di dolo ed. "eventuale", vale a dire nel caso in cui il soggetto si sia rappresentato in concreto la possibile realizzazione del fatto criminoso e che, nonostante tale previsione, abbia agito ugualmente prestando il proprio contributo alla realizzazione dell'evento. IL CONCORSO NEI REATI FALLIMENTARI Con riferimento ai reati fallimentari di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, documentale e preferenziale di cui all'art. 216 co. 1 n. 1 e n. 2 e co. 3 del RD 16.3.942 n. 267 (Legge fallimentare), in giurisprudenza, è da ritenersi del resto pacifico il principio secondo il quale "in tema di concorso in bancarotta fraudolenta, il dolo dell'extraneus consiste nella volontarietà dell'apporto alla condotta dell'intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, senza che sia necessaria la specifica conoscenza del dissesto della società"1. *Docente di Diritto penale tributario presso la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza - Avvocato 1 Cass. Sez. V, 13.1.2009 n. 9299 Tutte le sentenze di seguito citate sono disponibili in Banca Dati Eutekne. In particolare, sempre in relazione alla tematica della responsabilità concorsuale del professionista in reati fallimentari, è stato altresì affermato che "integra il concorso dell'extraneus nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione il consulente della società che, consapevole dei propositi distrattivi dell'amministratore della società, concorra all'attività distrattiva posta in essere dal medesimo, progettando e portando ad esecuzione la conclusione di contratti (nella specie affitto di azienda) privi di effettiva contropartita e preordinati ad avvantaggiare i soci a scapito dei creditori"2. Emblematica, in punto di pericolosità dell'attività professionale svolta per conto di imprese decotte è infine una recente pronuncia della Suprema Corte secondo la quale "i consulenti commercialisti o esercenti la professione legale concorrono nei fatti di bancarotta quando, consapevoli dei propositi distrattivi dell'imprenditore o degli amministratori della società, forniscano consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o li assistano nella conclusione dei relativi negozi, ovvero svolgano attività dirette a garantire l'impunità o a favorire o rafforzare, con il proprio ausilio o con le proprie preventive assicurazioni, l'altrui proposito criminoso"3. IL CONCORSO NEI REATI SOCIETARI Anche in materia di reati societari, benché con minor frequenza, è ipotizzabile il concorso del professionista in illeciti penali posti in essere dall'amministratore della società propria cliente. L'oggetto delle prestazioni professionali può, infatti, involgere sia un'attività di consulenza aziendale, sia la tenuta della contabilità con i relativi adempimenti, fra cui la predisposizione dei bilanci. In pratica, il professionista può incorrere in responsabilità penale a titolo di concorso nel reato proprio del cliente - ad esempio, in ordine a taluna delle fattispecie di "false comunicazioni sociali" di cui agli artt. 2621 o 2622 cc. - non solo suggerendo artifici contabili per realizzare lo scopo illecito perseguito dal cliente medesimo, ma anche accettando di supportare con le proprie conoscenze tecniche la condotta illecita di quest'ultimo. Significativa, al riguardo, può risultare un'esemplificazione tratta dalla casistica giurisprudenziale, peraltro risalente, in quanto formatasi sotto il vigore del previgente art. 2621 ce. In linea generale, è stato ad esempio affermato che "al commercialista non è consentito seguire direttive illecite del cliente" e che "di fronte a queste egli può (e deve) declinare l'incarico e, qualora ciò non faccia, sarà comunque penalmente responsabile in concorso con il cliente"4. Più specificamente, in tema di consulenza professionale, è stato ritenuto che "qualora il commercialista indichi in concreto la via per adottare un espediente illecito o, addirittura, lo adotti di persona, quale mezzo fraudolento diretto a celare le reali condizioni economiche del cliente, si pone l'elemento obiettivo di incriminazione per concorso, in quanto il contributo morale cosi configurato è dato dal fatto che la condotta esula dall'ambito professionale5". Inoltre, proprio in ordine al concorso nel reato di false comunicazioni sociali (nella formulazione anteriore alla riforma del diritto societario), muovendo dall'assunto che "spesso la possibilità di realizzare complessi artifici contabili, idonei a un 'efficace dissimulazione della realtà, è condizione indispensabile della successiva condotta di false comunicazioni sociali, perché tende a garantire che la menzogna non verrà smascherata", si è conseguentemente ritenuto che "chi contribuisca a tali artifici contabili, nella prospettiva della futura dissimulazione di una riserva occulta nel bilancio di esercizio di una società, offra un contributo causale determinante alla condotta criminosa punita dall'art. 2621 cod. civ., soprattutto quando le sue capacità tecniche professionali siano tali da rassicurare l'amministratore sull'efficacia del risultato dissimulatorio"6. Recentemente, però, salvo il caso di sindaci chiamati a rispondere di falso in bilancio in concorso con gli amministratori per omesso controllo sugli stessi e, quindi, ai sensi dell'art. 40, co. 2, c.p., per mancato impedimento dell'evento che, stante la posizione di garanzia da essi rivestita, avevano l'obbligo giuridico di impedire, non si rinvengono ulteriori pronunce di legittimità in punto di responsabilità concorsuale del professionista per reati societari. IL CONCORSO NEI REATI TRIBUTARI Un rischio più elevato di incorrere in responsabilità concorsuale, per il professionista consulente d'azienda, è invece configurabile nel campo dei reati tributari. Anche perché il ricorso a professionisti specializzati è divenuto ormai la regola nel complesso settore degli adempimenti tributari. L'oggetto delle prestazioni può essere assai vario: dalla semplice attività di consulenza relativa alla predisposizione delle dichiarazioni fiscali, dalla tenuta della contabilità con tutti i relativi incombenti (annotazioni, registrazioni, versamenti di imposte, etc), fino alla c.d. tax planning, finalizzata a realizzare strategie idonee a far si che l'impresa sia sottoposta ad un minor carico fiscale. Ovvio, quindi, data l'importanza dei compiti che possono essere demandati al professionista, che in questa materia si ponga il problema delle eventuali responsabilità penali in cui lo stesso può incorrere nell'espletamento della propria attività di prestazione d'opera intellettuale. Anche perché non è raro il caso di contribuenti che, nell'intento di sottrarsi alla propria responsabilità, tentino di farla ricadere sul consulente, 2 Cass. Sez. V, 15.2.2008 n. 10742. Cass. Sez. V, 9.10.2012 n. 39988. 4 Cass. Sez. II, 13.1.1995. 5 Cass. Sez. V, 21.10.1998. 6 Cass. Sez. V, 21.1.1998. 3 attribuendogli l'ideazione o la realizzazione del fatto costituente illecito penale. Nell'attuale sistema penale tributario, caratterizzato dalla previsione di reati aventi natura esclusivamente delittuosa, il problema del concorso del professionista si pone in un'ottica semplificata, non essendo configurabile una responsabilità di tipo colposo. Ciò nondimeno non può escludersi che il professionista possa essere chiamato a rispondere di un reato tributario non soltanto a titolo di "dolo diretto" nel caso in cui sia provato che lo stesso abbia dato intenzionalmente un qualsiasi contributo causale materiale o morale alla realizzazione del fatto delittuoso del cliente, agevolandone la condotta o determinandone o rafforzandone la volontà con un proprio comportamento cosciente e volontario, ma anche a titolo di "dolo eventuale" allorché si sia rappresentato in concreto la possibile realizzazione del fatto criminoso e, nonostante tale previsione, abbia agito ugualmente prestando il proprio contributo. Basti pensare, ad esempio, al consulente che, coadiuvando il contribuente nella predisposizione di una dichiarazione infedele o fraudolenta, utilizzi documenti della cui falsità sia a conoscenza ovvero suggerisca al cliente particolari espedienti - quali l'approntamento di artificiose costruzioni societarie - idonei a fargli conseguire un'evasione d'imposta o un indebito rimborso ovvero il riconoscimento di un inesistente credito d'imposta. Ciò detto, possono ipotizzarsi varie fattispecie di concorso del professionista nei delitti tributari. Esempio paradigmatico, può essere quello del consulente-professionista che si sia attivato, per conto del cliente, per reperire nel mercato delle società "cartiere", fatture per operazioni oggettivamente inesistenti da inserire in contabilità per poter poi dedurre i relativi costi fittizi nella dichiarazione annuale. Infatti, secondo un recente orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte, è ipotizzabile non soltanto il concorso del professionista nel reato tributario commesso dal cliente allorché costui abbia assunto il ruolo di istigatore, non ostandovi il disposto dell'art. 9 del DLgs. 10.3.2000 n. 74 (che, in realtà, preclude soltanto il concorso tra emittente e utilizzatore di fatture false, ma non anche il concorso tra taluno di detti soggetti e chi, in accordo con essi, ha fornito un contributo alla realizzazione del reato), ma addirittura la possibilità che il professionista possa essere chiamato a rispondere del più grave reato di associazione per delinquere di cui all'art. 416 c.p.7. Ma il rischio penale di gran lunga più significativo è ravvisabile nel caso del consulente che assiste il contribuente nell'approntamento e realizzazione di atti simulati fraudolenti per sottrarsi al pagamento delle imposte dovute, cosi integrando il delitto di cui all'art. 11 del citato DLgs. 74/2000. La fattispecie in questione è particolarmente insidiosa, dal momento che comportamenti comunemente ritenuti del tutto leciti, sono in realtà idonei a configurare il delitto di "sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte" se posti in essere da un contribuente nei confronti del quale sia già stata avviata una procedura di recupero a tassazione di imposte evase. Basti pensare che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, anche "la costituzione di un fondo patrimoniale, avente ad oggetto i beni mobili e immobili del contribuente, benché anteriore all'attività di riscossione (nella specie, effettuata in coincidenza con i primi accertamenti o comunque con le prime verifiche da parte della polizia tributaria) è atto idoneo a limitare le ragioni del fisco e può, quindi, integrare gli estremi del delitto di cui all'art. 11 del DLgs. n. 74/2000”8. E' superfluo aggiungere che, a maggior ragione, il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è ipotizzabile ogniqualvolta venga posto in essere dal contribuente un qualche stratagemma artificioso tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le sue garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario. Come, ad esempio, nel caso di "alienazione di beni ad una società di leasing, con l'obbligo di cederli in locazione ad una società di persone di cui sono soci i figli del contribuente medesimo"9. Per non parlare della, anch'essa recente, presa di posizione della Suprema Corte in ordine alla asserita equiparazione tra elu-sione fiscale ed evasione, di cui alla nota sentenza "Dolce & Gabbana" della Seconda Sezione Penale 22.11.2011 n. 7739, che, se dovesse trovare conferma in ulteriori pronunce, contribuirebbe ad ampliare non poco l'ambito di rischio penale del consulente che abbia ideato e realizzato strumenti di interposizione fittizia finalizzati esclusivamente al conseguimento di un risparmio d'imposta. LE ALTRE FATTISPECIE DI POSSIBILE CONCORSO PER IL PROFESSIONISTA Meritano poi di essere segnalate alcune norme incriminatrici penali che contemplano come destinatari specificamente la figura del professionista. Una di queste è il nuovo art. 236-b/s della Legge fallimentare - inserito dall'art. 33 co. 1, lett. I), del DL 22.6.2012 n. 83 - che, nell'introdurre il delitto di falso in attestazioni e relazioni, ha previsto la punibilità con la pena della reclusione da 2 a 5 anni e della multa da 50.000 a 100.000 euro nei confronti del "professionista che nelle relazioni o attestazioni 7 Cass. Sez. III, 9.6.2011 n. 29899. relativa ad una fattispecie di commercialista al quale veniva contestato di avere coordinato la contabilità di varie aziende aiutandole ad evadere le imposte mediante un giro di fatture false. 8 Cass. Sez. III, 10.6.2009 n. 38925. in senso conforme. Cass. Sez. III. 5.5.2011. n. 23986. Cass. Sez. III. 4.4.2012 n. 21013. 9 Cass. Sez. II, 6.3.2008. n.14720. di cui agli arti 67, terzo comma, lett. d), 161, terzo comma, 182 bis, 182 quinquies e 186 bis espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti". La questione appare quantomai delicata, dal momento che, in realtà, il professionista non sempre ha la possibilità di verificare se le informazioni fornitegli dal cliente siano veritiere o se il cliente stesso, volutamente o meno, abbia omesso di riferirne talune rilevanti. L'illecito in questione, trattandosi di fattispecie delittuosa, è tuttavia punibile soltanto a titolo di dolo, per cui eventuali errori od omissioni nelle relazioni o attestazioni di cui trattasi determinate da mera negligenza non dovrebbero essere penalmente rilevanti. Infine, last but not least, non può non destare seria preoccupazione la recente introduzione, tra le pieghe del corposo decreto "salva Italia" mimetizzata sotto la accattivante rubrica "emersione di base imponibile", di una norma destinata ad offrire all'Amministrazione finanziaria un'ulteriore incisiva arma di contrasto all'evasione fiscale. Si tratta, in particolare, dell'art. 11 co. 1, del DL 6.12.2011 n. 201, conv. L 22.12.2011 n. 214, che ha introdotto il nuovo delitto di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi o fornitura di dati e notizie non rispondenti al vero. L'illecito in questione è di tipo prodromico, poiché la ratio della norma è evidentemente quella di reprimere comportamenti che, pur non essendo di per sé evasivi delle imposte sui redditi e dell'IVA, sono dal legislatore ritenuti idonei ad ostacolare l'accertamento di dette imposte. Presupposto di questa nuova fattispecie criminosa è che l'Amministrazione finanziaria, nell'ambito dei poteri di accesso, ispezione e verifica, abbia formulato direttamente al contribuente assoggettato al controllo, all'amministratore di società o anche ad altri soggetti (ad esempio, familiari dell'amministratore, soci e dipendenti della società, clienti e fornitori, etc.) richiesta di esibire o trasmettere atti o documenti ovvero fornire dati o notizie, anche in risposta a questionari ad essi inviati. Il reato in questione si configura se "a seguito delle richieste", taluno "esibisce o trasmette atti o documenti falsi in tutto o in parte" o "fornisce dati e notizie non rispondenti al vero". Duplice, quindi, è la condotta incriminata. La prima ipotesi, di esibizione o trasmissione di atti o documenti falsi, stante la genericità del termine "falsi, appare riferibile a qualsiasi tipo di falsità sia materiale che ideologica. Ragion per cui il reato di cui trattasi potrà realizzarsi non soltanto nel caso di esibizione o trasmissione di documenti contraffatti o alterati (ad esempio, certificazioni di sostituto d'imposta o documenti relativi ad oneri deducibili), ma anche di atti ideologicamente falsi (quali fatture per operazioni inesistenti o schede carburante contenenti dati non veritieri). La seconda ipotesi di condotta, consistente nel "fornire dati o notizie non rispondenti al vero" è invece configurabile soltanto in relazione a fattispecie di falsità ideologica. Esempio paradigmatico può essere quello di una falsa risposta ad un questionario inviato da funzionari dell'Agenzia delle Entrate o da militari della Guardia di Finanza ai clienti di un imprenditore o di un lavoratore autonomo per assumere informazioni sull'ammontare delle somme ad esso corrisposte. Per la sussistenza di questa ipotesi delittuosa di comunicazione di dati non veritieri è tuttavia richiesto un ulteriore requisito e, cioè, che sia configurabile taluna delle fattispecie criminose di cui al DLgs. 74/2000. CONCLUSIONI Orbene, siccome il più delle volte è il professionista delegato dal cliente ad esibire o trasmettere atti o documenti ai verificatori, appare senz'altro fondata la preoccupazione che, emersa ex post la falsità dell'atto o del documento, il reato di cui trattasi possa essere contestato non soltanto al cliente, ma anche allo stesso professionista. Al momento, non vi sono pronunce sul punto, neppure di merito. E' tuttavia auspicabile che i verificatori facciano buon governo della norma in questione, anche perché - come detto sopra - una responsabilità concorsuale con il cliente sarebbe ipotizzabile soltanto nel caso in cui fosse acquisita prova certa della consapevolezza da parte del consulente fiscale circa la falsità degli atti o documenti trasmessi o esibiti. In ogni caso, per prevenire il rischio di incorrere in responsabilità penale concorsuale con il cliente, sarà bene che il professionista cui sia stato affidato l'incarico di esibire o trasmettere atti o documenti ai verificatori usi la cautela di premunirsi di una dichiarazione sottoscritta dal proprio cliente attestante la veridicità e completezza dei dati e documenti forniti.