SENTENZA DELLA CORTE 27 settembre 1988 * Nel

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SENTENZA DELLA CORTE 27 settembre 1988 * Nel
STATO BELGA /HUMBEL
SENTENZA DELLA CORTE
27 settembre 1988 *
Nel procedimento 263/86,
avente ad oggetto la domanda di pronunzia pregiudiziale, proposta alla Corte a
norma dell'art. 177 del trattato CEE dalla justice de paix del cantone di Neufchâteau (Belgio), nella causa dinanzi ad essa pendente tra
Stato belga,
e
René Humbel e Marie-Thérèse, coniuge, nata Edel, in qualità di tutori ed amministratori legali della persona e dei beni del figlio minore Frédéric Humbel, con residenza comune in Lussemburgo, 2, rue Federspiel,
domanda vertente sull'interpretazione, segnatamente, degli artt. 59 e 128 del trattato CEE,
LA CORTE
composta dai signori G. Bosco, presidente di sezione, f. f. di presidente, J. C. Moitinho de Almeida, presidente di sezione, T. Koopmans, U. Everling, K. Bahlmann,
Y. Galmot, C. N. Kakouris, R. Joliét e F. A. Schockweiler, giudici,
avvocato generale: Sir Gordon Slynn
cancelliere: B. Pastor, amministratore
viste le osservazioni presentate:
— per il ricorrente dall'aw. Dardenne,
— per il convenuto dall'aw. L. Misson,
* Lingua processuale: il francese.
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— per il Regno Unito dal sig. H. R. L. Purse, in qualità di agente,
— per la Repubblica italiana dal prof. L. Ferrari Bravo, capo del servizio del contenzioso diplomatico, in qualità di agente,
— per il Granducato del Lussemburgo, dal direttore delle relazioni economiche
internazionali, in qualità di agente,
— per la Commissione delle Comunità europee dal sig. G. Kremlis, in qualità di
agente,
vista la relazione d'udienza ed in seguito alla trattazione orale del 26 novembre
1987,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 15 marzo
1988,
ha pronunziato la seguente
Sentenza
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Con ordinanza 16 maggio 1986, pervenuta in cancelleria il 21 ottobre 1986, la
justice de paix del cantone di Neufchàteau (Belgio) ha sottoposto alla Corte, a
norma dell'art. 177 del trattato CEE, tre questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione, segnatamente, dell'art. 59 e seguenti e 128 di detto trattato, al fine di
dirimere una controversia sul pagamento di tasse (dette « minervai ») per la frequenza di un istituto statale d'istruzione da parte di un cittadino di un altro Stato
membro.
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Le questioni sono state sollevate nell'ambito di un'azione intentata dallo Stato
belga avverso il sig. e la sig. ra Humbel, convenuti nella causa principale, in qualità
di amministratori legali dei beni del figlio Frédéric (in prosieguo: l'« interessato »),
e volta al recupero di 35 000 BFR, importo del « minervai » dovuto per corsi d'istruzione secondaria seguiti dall'interessato durante l'anno scolastico 1984-1985
presso l'Institut d'enseignement général et technique de l'État di Libramont (Belgio)·
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Dal fascicolo risulta che l'interessato ed i suoi genitori sono cittadini francesi. Essi
risiedono in Lussemburgo, dove il padre lavora.
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Stando agli atti di causa, l'istruzione impartita nel suddetto istituto rientra nell'insegnamento secondario amministrato nell'ambito della pubblica istruzione. Il corso
di studi seguito dall'interessato ha una durata complessiva di sei anni ed è strutturato in tre successivi livelli di due anni ciascuno, vale a dire un livello d'osservazione, un livello d'orientamento ed un livello di determinazione; il corso cui l'interessato era iscritto per l'anno 1984-1985 costituisce il secondo anno del livello d'orientamento. Questo programma forma la parte d'insegnamento di base e non vi
rientrano quindi materie specificamente professionali. Per contro, le lezioni seguite
dall'interessato nell'ambito del livello di determinazione sono considerate dalle
leggi nazionali come rientranti nella formazione professionale: non è quindi riscosso nessun « minervai » in questa fase.
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In seguito al rifiuto dell'interessato di versare un « minervai » pari a 35 000 BFR,
« minervai » non dovuto dagli studenti belgi, lo Stato belga ha fatto ricorso al
giudice.
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Il giudice nazionale adito ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte le
seguenti questioni pregiudiziali:
« 1) Se i corsi seguiti da Frédéric Humbel presso l'Institut technique de l'État a
Libramont rientrino nella formazione professionale.
2) Se, qualora tali corsi non rientrino nella formazione professionale, Frédéric
Humbel possa essere considerato come destinatario di sei-vizi ai sensi dell'art.
59 e seguenti del trattato ed a suo carico possa essere percepito un " minerval " come condizione per l'ammissione a corsi di formazione generale.
3) Se, qualora i cittadini lussemburghesi abbiano il diritto di far iscrivere i propri
figli in istituti d'istruzione belgi senza pagare alcun " minervai ", un lavoratore francese stabilito nel Granducato del Lussemburgo non possa rivendicare
lo stesso trattamento in proprio favore ».
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Per una più ampia illustrazione dello sfondo normativo e degli antefatti della causa
principale nonché delle osservazioni presentate alla Corte si fa rinvio alla relazione
d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte.
Sulla prima questione
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La prima questione è volta a stabilire se un corso, analogo a quello considerato nel
caso di specie, possa essere considerato come rientrante nell'istruzione professionale ai sensi del trattato CEE.
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A tale proposito, i convenuti sostengono che, benché l'anno d'istruzione considerato, preso in sé, non sembri corrispondere ai requisiti propri della formazione
professionale che la Corte ha enucleato nella sentenza 13 febbraio 1985 (causa
293/83, Gravier, Race. pag. 593), esso va tuttavia inquadrato nell'ambito di detta
formazione in quanto consente di affrontare il livello di determinazione e quindi
l'istruzione propriamente tecnica. Lo Stato belga ha affermato per contro, durante
la trattazione orale, che il corso frequentato dall'interessato rientra nell'istruzione
secondaria generale, che non impartisce una formazione professionale ai sensi
della sentenza citata. Il Regno Unito ritiene che il corso in oggetto sia un corso
d'istruzione secondaria generale la quale, pertanto, non costituisce « insegnamento
professionale » ai sensi del trattato CEE. La Commissione infine sostiene che gli
elementi del fascicolo non consentono di appurare la natura del corso seguito dall'interessato.
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Occorre ricordare innanzitutto che la Corte, nella precitata sentenza 13 febbraio
1985, si è pronunziata nel senso che qualsiasi forma d'insegnamento che prepari ad
una qualificazione per una determinata professione, un determinato mestiere o una
determinata attività, ovvero conferisca la particolare idoneità ad esercitare tale
professione, mestiere o attività, fa parte dell'insegnamento professionale, qualunque siano l'età ed il livello di preparazione degli alunni o degli studenti, ed anche
se il programma d'insegnamento comprende una parte d'istruzione generale.
1 1 Nel caso di specie sorge la questione, nella causa principale, se si debba ritenere
che un anno di studi, che non soddisfa di per sé questo criterio, rientri nell'istruzione professionale qualora faccia parte integrante di un corso di studi così qualificato.
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A tal proposito, è opportuno sottolineare che i diversi anni di un corso di studi non
possono essere qualificati isolatamente, bensì devono essere inquadrati nel suo
complesso ed in particolare avuto riguardo alle finalità perseguite, a patto però che
il corso si risolva in un tutto unico e non sia possibile distinguervi una parte d'insegnamento che non rientra nella formazione professionale da una parte che invece
vi rientra (cfr. sentenza 2 febbraio 1988, causa 24/86, Blaizot, Race. 1988, pag.
379). Spetta al giudice nazionale valutare i fatti di causa alla luce di questi criteri.
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Si deve quindi risolvere la prima questione nel senso che rientra nell'istruzione
professionale ai sensi del trattato CEE un anno di studi facente parte di un corso
che costituisce un tutto unico che prepari ad una qualificazione per una determinata professione, un determinato mestiere od una determinata attività ovvero conferisca la particolare idoneità all'esercizio di tale professione, mestiere o attività.
Sulla seconda questione
1 4 Con la seconda questione si chiede se l'art. 59 del trattato CEE vada interpretato
nel senso che l'insegnamento, impartito in un istituto tecnico e rientrante nell'istruzione secondaria nell'ambito della pubblica istruzione nazionale, vada considerato
prestazione di servizi ai sensi di tale norma. In caso di soluzione affermativa, il
giudice nazionale chiede se detto articolo osti alla riscossione di un « minervai », il
cui pagamento non è imposto agli alunni cittadini dello Stato belga.
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Occorre qui ricordare che, a norma dell'art. 60, primo comma, del trattato CEE,
sono comprese nel Capo relativo ai servizi unicamente « le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione ».
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La nozione di retribuzione non è definita in modo esplicito dall'art. 59 e seguenti
del trattato CEE, tuttavia la sua portata giuridica può evincersi dall'art. 60, secondo comma, del trattato, a norma del quale i servizi comprendono in particolare
attività di carattere industriale e commerciale ed attività artigiane e libere professioni.
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La caratteristica essenziale della retribuzione va quindi rintracciata nella circostanza che essa costituisce il corrispettivo economico della prestazione considerata,
corrispettivo che è generalmente pattuito fra il prestatore ed il destinatario del
servizio.
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Ebbene, detta caratteristica non si riscontra nell'insegnamento impartito nell'ambito della pubblica istruzione nazionale. Lo Stato, istituendo e mantenendo quest'ultima, non intende svolgere attività retribuite bensì adempie i propri compiti in
campo sociale, culturale ed educativo nei confronti dei propri cittadini. D'altro
canto, il sistema è di regola finanziato dal bilancio pubblico e non dagli alunni o
dai loro genitori.
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Sulla natura di questa attività non incide il fatto che talora gli alunni od i loro
genitori siano tenuti a pagare un canone o tasse scolastiche al fine di contribuire in
una certa misura ai costi di gestione del sistema. A maggior ragione, non può avere
analogo effetto la circostanza che venga imposto il versamento di un minervai ai
soli alunni stranieri.
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Si deve quindi risolvere la prima parte della seconda questione dichiarando che
l'art. 59 del trattato va interpretato nel senso che l'insegnamento, impartito in un
istituto tecnico e rientrante nell'istruzione secondaria nell'ambito della pubblica
istruzione nazionale, non può essere considerato prestazione di servizi ai sensi di
detta norma.
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Alla luce di tale soluzione, non occorre esaminare la seconda parte della questione.
Sulla terza questione
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Con la terza questione il giudice nazionale chiede se il diritto comunitario osti a
che uno Stato membro imponga ai figli dei lavoratori migranti, che risiedono in un
altro Stato membro, un « minervai » come condizione per l'accesso all'istruzione
scolastica impartita sul suo territorio, mentre lo stesso onere non viene posto a
carico dei cittadini di quest'altro Stato membro.
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In via preliminare, occorre rilevare che la questione sorge solo nei casi che non
rientrano nella formazione professionale ai sensi dell'art. 128 del trattato CEE.
Risulta in effetti dalla precitata sentenza 13 febbraio 1985 che, in materia di formazione professionale, vige in ogni caso il divieto di discriminazione a causa della
cittadinanza sancito dall'art. 7 del trattato CEE.
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Per risolvere la questione sollevata, è opportuno constatare che l'unica norma di
diritto comunitario che può esser presa in considerazione è l'art. 12 del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei
lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), a norma del quale i figli
del cittadino di uno Stato membro, che sia o sia stato occupato sul territorio di un
altro Stato membro, sono ammessi a frequentare i corsi d'insegnamento generale,
di apprendistato e di formazione professionale alle stesse condizioni previste per i
cittadini di tale Stato, se i figli stessi vi risiedono. La Corte ha interpretato questa
norma nel senso che essa contempla non solo le disposizioni relative all'ammissione
ma, in generale, tutti i provvedimenti miranti a facilitare la frequenza dell'insegnamento (sentenza 3 luglio 1974, causa 9/74, Casagrande, Racc. pag. 773). Tuttavia,
la lettera dell'art. 12 del regolamento suddetto impone un obbligo solo allo Stato
membro in cui risiede il lavoratore migrante.
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Di conseguenza, si deve risolvere la terza questione nel senso che l'art. 12 del
regolamento n. 1612/68 va interpretato nel senso che non osta a che uno Stato
membro imponga un « minervai », come condizione per l'accesso all'insegnamento
scolastico generale impartito sul proprio territorio, ai figli del lavoratore migrante
che risiedono in un altro Stato membro, mentre lo stesso onere non viene posto a
carico dei cittadini di questo altro Stato membro.
Sulle spese
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Le spese sostenute dal Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, dalla
Repubblica italiana e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti
delle parti nella causa principale, il presente procedimento ha il carattere di un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle
spese.
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Per questi motivi,
LA CORTE,
pronunziandosi sulle questioni sottopostele dalla justice de paix del cantone di
Neufchâteau, con ordinanza 16 maggio 1986, dichiara:
1) Rientra nell'istruzione professionale, ai sensi del trattato CEE, un anno di studi
facente parte di un corso che costituisce un tutto unico che prepari ad una qualificazione per una determinata professione, un determinato mestiere od una determinata attività ovvero conferisca la particolare idoneità ad esercitare tale professione, mestiere o attività.
2) L'art. 59 del trattato CEE va interpretato nel senso che l'insegnamento, impartito in un istituto tecnico e rientrante nell'istruzione secondaria nell'ambito della
pubblica istruzione nazionale, non può essere considerato prestazione di servizi
ai sensi di detta norma.
3) L'art. 12 del regolamento del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla
libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità, va interpretato nel
senso che non osta a che uno Stato membro imponga un « minervai », come
condizione per l'accesso all'insegnamento scolastico generale impartito sul proprio territorio, ai figli del lavoratore migrante che risiedono in un altro Stato
membro, mentre lo stesso onere non viene posto a carico dei cittadini di questo
altro Stato membro.
Bosco
Bahlmann
Moitinho de Almeida
Galmot
Kakouris
Koopmans
Joliét
Everling
Schockweiler
Così deciso e pronunziato a Lussemburgo il 27 settembre 1988.
Il cancelliere
J.-G. Giraud
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Il presidente
A. J. Mackenzie Stuart