la confessione di gianni guido

Transcript

la confessione di gianni guido
Altri misteri
Il massacrodel Circeo
Il massacro
LA DEPOSIZIONE DI GIANNI GUIDO
Sabato 27 settembre 1975 abbiamo conosciuto Rosaria Lopez e Donatella Colasanti.
Avevamo un appuntamento con loro, un appuntamento che aveva preso Gian Pietro
Parboni Arquati.
Non sono sicuro ma mi pare che il giorno precedente Gian Pietro ci parlò di due
ragazze, incontrate mentre facevano l'autostop. Però una delle due non era Rosaria,
era un'altra che non ho conosciuto.
Ci siamo incontrati al bar del ristorante Il Fungo dell'Eur verso le 17,30. Abbiamo
parlato per circa mezz'ora, ma soltanto io e Angelo Izzo perché Gian Pietro si è
assentato due o tre volte, penso per telefonare.
L'iniziativa di prendere un nuovo appuntamento per il lunedì fu di Izzo e mia, non
ricordo se il Parboni fosse presente. Ritornammo verso il centro, eravamo nella
macchina di Gian Pietro. Penso che lo avvertimmo dell'appuntamento preso per il
lunedì successivo, ma lui non fece commenti. Lunedì noi sapevamo che doveva
venire anche un'altra amica, tanto che telefonammo prima a Gianluca Sonnino, poi al
Parboni, per chiedere loro se potevano venire con noi. A casa di Sonnino non rispose
nessuno, a casa di Gian Pietro ci dissero che era uscito.
Arrivammo alle 16,30 al cinema Ambassade,
il luogo dell'appuntamento. Rosaria ci disse
subito che non poteva fare tardi. Noi
proponemmo di andare al cinema oppure in
una villa al mare, al Circeo. Insistemmo per
andare al cinema ma loro preferirono andare
fuori Roma. Le ragazze ci chiesero come mai
non era venuto anche Carlo. Rispondemmo
loro che era a lezione.
Durante il tragitto ci fermammo a telefonare,
perché Izzo aveva le chiavi della casa di
Ghira ma doveva sapere se era tutto
tranquillo, insomma se non c'erano i
familiari. Alle ragazze avevamo detto che la
villa era di un nostro amico, senza
specificare il nome, e che le chiavi venivano
lasciate vicino al cancello perché ci
andavamo spesso.
Durante la strada chiedemmo indicazioni, domandammo in giro dove era Punta Rossa
perché non ci ricordavamo bene.
Arrivammo verso le 17,30, e Angelo fece finta di cercare le chiavi dietro il cancello.
Entrammo impiegando un po’ per trovare l'interruttore.
Dopo circa un'ora le due ragazze ci dissero che volevano tornare a casa perché si
stava facendo tardi. I nostri approcci si erano limitati a qualche bacio perché Rosaria
e Donatella si rifiutavano di spogliarsi. Erano le 18,30. Quando ci chiesero
nuovamente di essere riportate a Roma, Izzo tirò fuori la pistola. Disse che eravamo
della banda dei Marsigliesi e che eravamo ricercati dalla polizia. Le ragazze si
spaventarono e allora dicemmo loro che le avremmo pagate un milione a testa per
avere rapporti con noi e con un altro nostro amico che doveva arrivare di lì a poco.
Siccome dovevo tornare a Roma per la cena, inventammo che avevo da fare e che
quindi mi dovevo allontanare, ma sarei tornato.
La Lopez si calmò un poco solo quando le dicemmo che non le avremmo fatto niente
e le avremmo riportate a casa.
Arrivai a casa, a Roma, verso le ore 21. Chiamai Izzo al Circeo. Lui mi rispose che
andava tutto bene.
Poco dopo mi citofonò Gian Pietro Parboni e mi chiese se volevo andare con lui in
piazzale delle Muse. Siccome doveva venire un mio amico, Maurizio Maggio, a
studiare da me, accompagnai Parboni sotto casa di un altro amico, Andrea Ghira, il
proprietario della villa del Circeo. Lui scese e il Parboni lo invitò ad andare con lui,
ma gli rispose che aveva da fare.
Non ho parlato con Gian Pietro del fatto che avevamo portato le due ragazze al
Circeo. Non ne ho parlato neanche con Andrea perché c'era Gian Pietro davanti.
Quando sono tornato a casa ho trovato sotto il portone Maurizio, con il quale sono
rimasto a studiare fino alle ore 23. Ho detto a Maurizio che il giorno dopo sarei
andato a Latina al mercato americano.
Mentre stavo studiando, citofonarono il Sonnino e il Parboni per invitarmi ad andare
con loro in piazzale delle Muse. Risposi che ci sarei andato appena finito di studiare.
Così feci, appena Maurizio se ne andò a casa. Ci rimasi fino alla mezzanotte, poi
presi la macchina e partii per il Circeo, dove arrivai alla 1.30. Avevo le chiavi del
cancello esterno, la porta d'ingresso invece mi fu aperta da Izzo. Quando entrai nella
villa erano tutti vestiti.
Appena mi
videro,
le
due ragazze
mi chiesero
di
essere
riportate
a
Roma ma io
risposi che
non potevo
perché
doveva
arrivare il nostro amico e dunque saremmo tornati solo il giorno dopo. Poi Izzo e io
insistemmo per avere rapporti sessuali con loro. Loro si rifiutavano e dicevano che
non volevano essere sverginate. Allora ci siamo spogliati e ci siamo fatti masturbare.
Abbiamo compiuto sia masturbazione che coito orale. Izzo insisteva per congiungersi
carnalmente con loro, e siccome si rifiutavano si arrabbiò e le chiuse nel bagno, nel
bagno adiacente alla stanza da letto. Le chiuse nude.
Poi io me ne andai a dormire, ma prima chiesi a Izzo di svegliarmi in tempo, perché
dovevo spostare la macchina prima dell'arrivo del giardiniere.
Il martedì mattina, saranno state le 5 o le 6, dopo aver spostato la macchina e preso la
pistola che avevo lì dentro, rientrai in casa. Le ragazze erano state fatte uscire dal
bagno. Erano ancora nude.
Non le abbiamo fatte rivestire per paura che scappassero. Già dalla mattina del
martedì la nostra preoccupazione era che potessero attirare l'attenzione della polizia o
di qualcuno durante il viaggio di ritorno. Avevamo capito di aver ecceduto, non
perché avevamo messo loro le mani addosso, ma perché le avevamo chiuse nel
bagno.
Siamo rimasti con loro fino alle 9, io con la pistola in pugno per farle stare zitte. Loro
non hanno fatto più storie perché pensavano che avrei sparato e che ci fosse qualcuno
di fuori.
Me ne andai a dormire un poco. Al mio risveglio Izzo mi disse che aveva telefonato
Andrea Ghira, e che sarebbe arrivato verso le 14. Avrebbe portato del sonnifero così
non ci saremmo dovuti preoccupare del viaggio di ritorno.
Siccome le ragazze ripresero a fare storie, le chiudemmo nuovamente nel bagno,
dove una delle due ruppe il lavandino. Izzo le prese a schiaffi. E così feci io. Anche
se avevo in mano la cinghia dei pantaloni, non la usai. La presi in mano per
minacciarle. Poiché il bagno si stava allagando, insieme alle ragazze cercammo di
ripararlo. Le trasferimmo in un altro bagno. Loro erano spaventate, ma a questo punto
ci conveniva aspettare il nostro amico con il sonnifero e partire con sicurezza dopo
averle addormentate.
Andrea Ghira arrivò verso le 16, a piedi, perché aveva parcheggiato fuori dalla villa.
Le ragazze erano arrabbiate perché volevano tornare a Roma. Lui scese con loro nel
salone e ci parlò per una ventina di minuti. Poi fece uscire dalla stanza Donatella e
rimase solo con Rosaria. Noi restammo con Donatella. Lei era spaventata, non
credeva che volessimo addormentarla con il sonnifero, diceva che volevamo
avvelenarla.
Izzo tentò nuovamente di avere rapporti sessuali con Donatella, lei si rifiutò e
cominciò a strillare. Io le mostrai la pistola per farla stare zitta e per metterle paura.
In quel momento sentimmo gli strilli dall'altra parte. E Izzo si alzò da sopra
Donatella.
Quando sentii gli strilli aprii la porta. Vidi Ghira che stava sopra la Lopez, e lei
strillava, penso di dolore perché la stava sverginando. Io guardai dentro la stanza.
Non so se Izzo abbia fatto lo stesso. Ghira e la Lopez erano tutti e due nudi. Quando
la Lopez uscì dalla stanza era un po' stranita, e ci chiese se poteva andare in bagno
per lavarsi. Poi Ghira si chiuse con la Colasanti. Fu lui a dire di portare la Lopez
all'ultimo Piano. A quel punto si era fatto buio. Noi comunque fin dal giorno
precedente avevamo tenuto le finestre sempre chiuse.
A un certo punto Ghira venne al piano terra con Donatella, aveva in mano una scatola
bianca, un laccio di gomma e una siringa. Non so se avesse portato questo materiale
da Roma o lo avesse trovato nella villa.
Ruppe quattro fiale versando il liquido, di un colore rossiccio, in un portacenere
pulito. Quando fece la prima iniezione a Donatella, lei era nuda, come tutti noi. Poi
Ghira fece la spola da un piano all'altro, fece una seconda iniezione a Donatella e ci
disse che perché avesse effetto bisognava aspettare almeno un quarto d'ora.
Quindi risalì al piano di sopra dove c'era la Lopez. Intanto Izzo prese i vestiti nostri e
delle ragazze. Chiedemmo a Donatella dove voleva essere lasciata una volta a Roma.
E lei ci disse di lasciarla nei pressi del Fungo, all'Eur. Le facemmo rimettere i
pantaloni, e ci rivestimmo anche noi.
A un certo punto Donatella svenne e cadde per terra. Allora noi andammo a mettere a
posto e ad asciugare il bagno.
Izzo era vestito, io avevo addosso soltanto la camicia. Ma a un tratto ci accorgemmo
che Donatella stava telefonando. Mi precipitai verso di lei, la colpii alle spalle e le
strappai il telefono dalle mani, riattaccai e la colpii con un calcio sul viso. Per questo
avete trovato schizzi di sangue sul muro di fronte al telefono. Poi la scaraventai a
terra, oltre gli scalini, all'interno della sala. Donatella si alzò e cercò di lanciarsi verso
la porta che era semi-aperta. La precedetti e presi un bastone che stava all'esterno
della villa. La colpii per due volte sulla testa.
Era il bastone che usava il giardiniere, aveva all'estremità un anello di ferro. La colpii
anche sul corpo, tre o quattro volte. Cadde per terra, e io chiesi a Izzo se fosse morta.
Lui mi disse che non era possibile. Intanto arrivò Ghira, che ci disse di comporre altri
numeri di telefono per evitare che la polizia individuasse l'apparecchio da dove era
partita la telefonata al 113. Così facemmo.
La Lopez intanto era rimasta su. Ghira ci consigliò di stordire a botte la Colasanti che
era ancora sveglia. Mentre io componevo altri numeri di telefono, Izzo prese la cinta
dal tavolino e la mise attorno al collo della Colasanti. Lei strillava. Izzo stringeva la
cinta, che però si ruppe. Allora prese la pistola e cominciò a colpirla con questa, più
volte. Io intanto continuavo a bastonarla. A un certo punto ci accorgemmo che la
ragazza non si muoveva più. Scesi al piano di sotto per prendere dei teli di cellofan e
le chiavi della macchina.
La ragazza non dava segni di vita, allora le demmo degli schiaffi in faccia. Poi la
colpii con un calcio per vedere se era morta o viva. La ragazza si mosse, alzò
leggermente il capo portandosi la mano al viso nel punto dove l'avevo colpita con il
calcio. Poi rimise nuovamente giù la testa. Non so se lo fece apposta, per evitare di
essere colpita ancora. Se si fosse svegliata non avremmo continuato a colpirla, sia
perché l'avevamo menata troppo sia perché il sonnifero avrebbe fatto il suo effetto.
L'avvolgemmo nel cellofan per portarla verso la macchina. Ma quando la
sollevammo ci accorgemmo che il cellofan non reggeva e che ci stava sfuggendo
dalle mani. Allora la rimettemmo per terra, l'avvolgemmo in una coperta e infine la
trasportammo verso il bagagliaio. La mettemmo dentro. Lei tirò su le ginocchia.
Chiudemmo il bagagliaio.
Ero sicuro che l'aria sarebbe passata perché mio padre e io eravamo soliti metterci il
cane quando andavamo a caccia.
Appena rientrammo in casa, Izzo provò a telefonare alle nostre famiglie per avvertire
del ritardo. Non riuscì a prendere la linea. Telefonò a Gianluca Sonnino e riuscì a
parlare con lui. Gli disse di avvertire che saremmo tornati tardi e gli diede un
appuntamento per le 23,30 in viale Pola, a lui e agli altri amici che stavano insieme a
cena.
Subito dopo cominciammo a pulire il piano terra, a togliere il sangue, sia sul
pavimento che sul muro. Mentre facevamo questo Ghira era su con Rosaria, ma io
non sentii rumore di acqua. Poi scendemmo al piano di sotto per aggiustare il
lavandino del bagno. Dal momento della telefonata a Sonnino al momento in cui
abbiamo rivisto Ghira sarà trascorsa circa mezz'ora.
Ghira ci disse che il sonnifero non aveva fatto troppo efretto, e per questo era stato
costretto ad addormentare la ragazza con un flacone di bagnoschiuma e a pugni. Ci
disse che l’aveva già portata in macchina.
Io dovevo aver lasciato le chiavi attaccate al portabagagli, quando lo avevo chiuso
per non far scappare Donatella. La mia macchina l'avevo rimessa nel giardino della
villa fin dalle ore 13, perché non avevo più paura che arrivasse il giardiniere.
Non avevo voluto rispondere al pm di Roma perché pensavo di essere il primo
arrestato. Non ho fatto nomi, perché pensavo che Izzo e Ghira potessero salvarsi. Non
vedo il bisogno, una volta arrestato, di fare arrestare anche gli altri. Non ho parlato
fino ad adesso per consentire a Ghira di tagliare la corda. Il mio silenzio aveva una
ragione fino a quando la foto di Ghira non è apparsa sui giornali.
Fonte: F. Sciarrelli, G. Rinaldi, Tre bravi ragazzi, Milano, Rizzoli, 2006