cienza della prospettiva lineare albertiana giunta
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cienza della prospettiva lineare albertiana giunta
14Recensioni.qxp:Layout 1 5-05-2014 12:16 Pagina 337 337 Recensioni cienza della prospettiva lineare albertiana giunta ormai al culmine delle proprie potenzialità espressive. Se il parapetto al quale la figura femmine è appoggiata evoca la «finestra albertiana» dalla quale guardare per portare dentro il quadro ciò che è visto, se il sonno che impedisce alla donna di vedere effettivamente ciò che le sta di fronte richiama la visione interiore della rappresentazione prospettica, allora il taglio netto disegnato sull’angolo di sinistra – ipotizza l’autrice – potrebbe suggerire uno sfondo ulteriore al di là del parapetto, quasi a indicare l’urgenza, da parte del pittore, di forzare il mondo chiuso e perimetrato della prospettiva del De pictura e prefigurare, o quantomeno annunciare, l’esigenza di nuovi sistemi di rappresentazione dello spazio che andranno nella direzione della geometria proiettiva di Desargues. Da un punto di vista meta-artistico l’ipotesi interpretativa di Faietti è tanto più convincente perché intravede nel disegno di Raffaello un plus ultra della prospettiva lineare quattrocentesca qual è quello di forzare i confini della «scatola albertiana» e aprire lo sguardo dell’artista su uno spazio rappresentativo infinito. Ed è proprio il motivo dell’infinito – di un infinito immaginato, effigiato, finto – a richiamare l’attenzione di meta-fisici divenuti meta-artisti alle soglie dell’Età Nuova. Rompere il perimetro di un mondo chiuso e finito, gettare «il bombo» contro «le adamantine muraglie» dell’ottava sfera, come vuole Bruno nel V dialogo De l’Infinito, saltare per il mezzo delle immagini e dell’immaginazione oltre il Muro del Paradiso, equivale ad aprire un varco verso un ambito del possibile, incommensurabilmente maggiore e gerarchicamente sovraordinato a quello dell’essere, che collega con maggiore continuità di quanto non si creda, gli azzardi degli artisti e dei tecnici del Quattrocento degli artisti, a un’esigenza di multiperspectivi- ty che Gründler attribuisce al maturo Wittgenstein, e che comporta il riuso, anche da parte del filosofo del Tractatus, dell’analogia tra disegno e pensiero (p. 224). Nelle incursioni di Wittgenstein nei domini delle arti, come nelle «geometrie del sentimento» degli astrattisti del ’900 presi in esame da Ilaria Rossi, torna centrale una goethiana «fantasia sensibile esatta», ma soprattutto emerge una crisi della finitezza, delle alterità contrapposte, di una linearità volta a fissare, chiudere e ipostatizzare, che fa da preludio ai temi che saranno affrontati da Linea III. [email protected] Sophie Roux, L’Essai de logique de Mariotte. Archéologie des idées d’un savant ordinaire, Paris, Garnier, 2011, 263 pp. di Diego Donna Se si presta fede all’opinione condivisa da gran parte dell’ambiente accademico e scientifico sei-settecentesco, la fisica e l’epistemologia di Mariotte esemplificano appieno lo spirito della propria epoca, le sue divisioni culturali, ma anche i suoi quadri teorici di riferimento. Anzitutto quello rappresentato dal pensiero cartesiano e dai suoi modelli esplicativi, nella fisica come nelle scienze della vita, nella medicina come nella morale. Il metodo sperimentale di Mariotte non abbandona i lumi della geometria e dell’ordine delle ragioni, ma libera anche spazio ad una filosofia dell’esperienza che interroga il cartesianesimo, in particolare rispetto al problema – tutt’altro che risolto alla fine del Seicento – della legittimità d’una integrazione della fisica in una metafisica dei fondamenti. Leibniz parla di Mariotte a Tschirnhaus come di un eccellente esploratore della natura, Fontanelle ne riconosce la coscienza del meto- 14Recensioni.qxp:Layout 1 5-05-2014 12:16 338 do oltre che l’abilità di sperimentatore. Condorcet ne traccerà l’Éloge, un secolo dopo la morte, mentre D’Alembert lo menziona fra i padri della fisica sperimentale in Francia, paragonabile per ingegno a Boyle in Inghilterra. Uno dei meriti principali del saggio di Sophie Roux è di sottoporre tali opinioni a verifica grazie a un bilancio critico, accurato e oggettivo, del lavoro condotto dal «savant ordinaire» (p. 24). La definizione, posta significativamente dall’autrice già nel sottotitolo al suo studio, mette in luce un’esigenza precisa: sgomberare il campo di indagini sulla nascita della scienza moderna in Europa dall’ipoteca degli elogi e dei rinnegamenti che per secoli hanno caratterizzato la mitologia del sapere scientifico. Il lavoro di Mariotte ben si presta ad una revisione di questo tipo. Il suo Essai de logique, pubblicato nel 1678, è offerto come esempio d’una ricerca complessa e ambivalente, condotta in un arco temporale di circa quarant’anni, sulla quale pesano influenze e debiti teorici diversi. Anzitutto quello di Roberval, come hanno dimostrato gli studi di Bernard Rochot e di Alain Gabbey, che rimanda più in generale al contesto della scienza cartesiana e delle sue innovazioni teoriche. Alla scelta, ad esempio, di un lessico ipotetico-deduttivo di cui Mariotte raccoglie l’efficacia operativa in una concreta pratica scientifica, saggiandone però anche la validità e i limiti rispetto a una teoria dei fondamenti. Pioniere del metodo sperimentale all’Accademia Reale delle Scienze dal 1668 al 1684, Mariotte sconta una difficoltà comune alle elaborazioni metodiche del suo tempo: far corrispondere una fisica generale, dedotta per causas, con lo studio sperimentale dei fenomeni, conseguito per lo più ex hypothesi. Fondare la scienza, evitare le dispute della tradizione, inscrivere le esperienze nel quadro di un sapere certo: niente di più comune, Pagina 338 Recensioni afferma Sophie Roux, per la filosofia del XVII secolo. La consistenza del pensiero metafisico e astratto va messa alla prova rispetto ai fini e alle esigenze della moderna pratica scientifica. Eppure, tale scelta, non è priva di oscillazioni e ripensamenti, che il caso di Mariotte esemplifica appieno. Ad esempio nella variazione continua dello stile di pensiero, così come della forma espositiva del suo Essai. Dai principi a priori, assunti come ipotesi, si passa alla loro verifica a posteriori sul piano dell’esperienza. Ma l’istanza della causa, di cui l’Essai propone l’articolazione «more geometrico» nella prima parte, non riesce ad esaurire la complessità dei resoconti, degli esempi e delle digressioni polemiche di cui si compone la concreta pratica scientifica. La proposta di Mariotte si indirizza allora da un lato verso un metodo dell’induzione, che l’epistemologo tenta di sottrarre alle chiusure dogmatiche di certa tradizione cartesiana, dall’altro si amplia in un progetto più ampio di scienza, che il filosofo legittima a partire dalla saldatura cartesiana e baconiana di teoria ed esperienza. In particolare, si rivela centrale il confronto con l’innovazione metodica cartesiana per l’elaborazione delle posizioni teoriche e delle strategie retoriche messe in campo. Sophie Roux ne ricostruisce l’itinerario secondo quattro sezioni principali. Anzitutto un chiarimento storico del contesto in cui si sviluppa la proposta teorica di Mariotte – dal dialogo con gli sviluppi del metodo cartesiano nella logica di Port-Royal, alle contemporanee scienze della natura più o meno legate all’aristotelismo. Segue l’analisi delle proposizioni sensibili o intellettuali, singolari o universali che sostengono l’epistemologia, a cui corrisponde il sistema ontologico delle cause, delle qualità e delle diposizioni della materia su cui si danno le condizioni dell’esperienza. Infine, un approfondimento sul rapporto fra ragione 14Recensioni.qxp:Layout 1 5-05-2014 12:16 Recensioni ed empiria nella costruzione del metodo ipotetico-deduttivo, che si accompagna ad una più ampia riflessione metafisica sulla validità dei fondamenti della fisica cartesiana ed al confronto con Malebranche sulla possibilità della conoscenza delle cose materiali. Quanto al privilegio accordato alla forma del saggio piuttosto che del trattato, esso tradisce un atteggiamento tipico del periodo, caratterizzato dall’opposizione allo spirito di sistema, lo stesso che aveva contraddistinto le prime riflessioni cartesiane degli anni ’30 sullo statuto della ricerca scientifica e della sua autonomia epistemologica. Una riflessione, però, che in quel caso si stagliava sullo sfondo di una crisi, scatenata dalla condanna di Galileo, e che aveva portato il filosofo del metodo a pubblicare i suoi risultati di scienza – gli Essais, appunto – elidendo completamente il problema dei fondamenti su cui si sarebbero sostenute le strutture del mondo copernicano. Mariotte ne recupera il gesto filosofico, ma non ne trae fino in fondo le conseguenze. Preleva cioè le verità della natura «grain à grain» (p. 13), facendone oggetto di pubblicazioni separate, e rimane estraneo a qualsiasi sintesi di sistema. Il che gli impedisce di agganciare definitivamente i fatti alle leggi, le esperienze particolari ad una sintesi di metodo che scalzi una volta per tutte la cornice logica e metafisica delle vecchie e nuove filosofie naturali. La stessa scelta del termine «logica», che specifica il titolo dell’Essai, è indice di una certa ambiguità lessicale: rinvia cioè ad un’idea della logica che si rifà criticamente alla tradizione, ma che è anche consapevole dell’innovazione introdotta dal lessico cartesiano. Ne consegue una riflessione di metodo indecisa fra l’architettura filosofica cartesiana – l’esposizione «more geometrico» (p. 14) dei principi espressa dalla prima parte dell’Essai – ed una «naturalisation de la méthode» (p. 67) messa in Pagina 339 339 atto nelle scienze. Rimane il problema di fornire un’intelaiatura teorica coerente ai risultati di scienza, alternativa ad un modello di universalità ricavato dalla pura convergenza fra i dati particolari. L’indagine empirica e la teoria della conoscenza non sembrano poter eludere la questione della loro dipendenza dai principi. Non va dimenticato, d’altronde, come la traslazione del cartesianesimo nella filosofia e nella scienza europee di fine Seicento veicoli altrettante declinazioni interpretative del metodo stesso, esitanti fra risoluzioni contemplative ed applicazioni pratiche del modello cartesiano. Si pensi alle vicende che l’evidenza attribuita da Descartes alle matematiche subisce nel dibattito successivo sulle forme della dimostrazione scientifica. Le ricerche empiriche la assumono a modello di una nuova legittimazione razionale della scienza, catalizzatrice di una visione della natura alternativa all’aristotelismo. Ma in forme affatto diverse. In Inghilterra, la scienza virtuosa di Robert Boyle, Joseph Glanvill, Henry Power, ne erediterà l’ideale di certezza, collegandolo alla possibilità di una visione dettagliata degli ingranaggi e delle «qualità» che compongono i fenomeni. Eppure, i limiti della conoscenza umana impongono al modello meccanicista una forte cautela rispetto ad eventuali prese di posizione su ipotesi e leggi generali, le stesse che avevano contraddistinto nei Principia le condizioni di conoscibilità assolutamente certe ed evidenti dell’ordine della natura. In Francia, la Logique d’Arnauld, il Traité de physisque di Rohault, la Recherche de la vérité di Malebranche, costituiscono alcuni dei riferimenti principali su cui Mariotte elabora la propria legittimazione epistemologica e filosofica. Il fisico francese si appropria delle nuove finalità operative dei due poli – deduttivo ed induttivo – che la scienza moderna aveva ripreso dalla tradizione, ma stenta a soddisfare quell’esigenza di 14Recensioni.qxp:Layout 1 5-05-2014 12:16 Pagina 340 340 un’unificazione del sapere su cui la tradizione cartesiana aveva tentato di risolvere il fragile equilibrio fra conoscenza certa e conoscenza probabile, concatenazione delle cause ed esperienze empiriche, ipotetiche e congetturali. La forma ultima dell’Essai rimanda semmai ad una «épistemologié régionale de la physique» (p. 20) – secondo l’espressione che Sophie Roux mutua dal lessico scientifico novecentesco bachelardiano –, adattata ai diversi modelli di oggettività dell’analisi. Fra questi occupa un posto tutt’altro che secondario il campo pratico della morale, trattato anch’esso secondo il duplice riferimento all’enumerazione cartesiana delle passioni e ad un «devoir naturel», o «devoir de convenance», estraneo a qualunque trattamento rigorosamente matematico-deduttivo. Il dovere rimanda ad una logica del calcolo, tesa sempre verso scelte particolari, fra bene individuale e collettivo. Di qui, nelle parole di Sophie Roux, il carattere «protoutilitariste» (p. 234) dell’etica di Mariotte: l’etica è scienza delle cose pratiche, irriducibile alle cause certe della scienza matematica, così come alle sue modalità di disposizione e di ordine. Nello specchio dell’epistemologia di Mariotte si riflette insomma lo statuto e il ruolo della filosofia del metodo in una cultura scientifica in transizione. La sua logica entra in contatto con una pluralità di ambiti applicativi e specificità concettuali, fra ordine delle ragioni e sviluppo delle scienze, esposizione a priori dei principi e il ricorso a forme più morbide del metodo stesso. Non solo nella proposta di una nuova intelligibilità dell’universo fisico, ma anche nell’elaborazione di modelli locali di conoscenza duttili ai vari campi del sapere – dalla scienza fisica alla teoria della conoscenza, alla morale. Più precisamente, l’«archéologie des idées d’un savant ordinaire» (p. 224) suggerisce due tesi di fondo: l’esistenza di almeno due facce, fra innovazione e Recensioni tradizione, che costituiscono il prisma della ragione moderna. Secondo, la necessità di leggere le diverse pratiche scientifiche e i loro effetti nel segno d’una scienza delle specificità e delle discontinuità, che corre parallela alla storia delle idee e dei concetti. Una vera e propria «archéologie des savoirs» (p. 230), consapevole dell’inesistenza di una ragione moderna esclusiva e monolitica, così come di un metodo che possa servire, all’altezza del XVII secolo, da strumento unificante per la ricerca empirica. [email protected] Luca Basso, Agire in comune. Antropologia e politica nell’ultimo Marx, Verona, Ombrecorte, 2012, 247 pp. di Emanuela Conversano «Dice il relatore [del decreto del 14 giugno 1791, con il quale in Francia si proibirono le coalizioni operaie] Le Chapelier: “[…] gli operai non devono […] accordarsi sui loro interessi, non devono agire in comune [gemeinsam handeln] moderando cosi quella loro “assoluta dipendenza che è quasi schiavitù”, perché con ciò essi ledono appunto “la libertà dei loro c i - d e v a n t m a î t r e s, degli attuali imprenditori” (la libertà di mantenere gli operai in schiavitù!)» [MEGA II/8, p. 694; trad. it. K. Marx, Il capitale. Libro primo, a cura di D. Cantimori, 3 voli, Roma, Editori Riuniti, p. 805]. Luca Basso sceglie di trarre da questo passo marxiano il titolo del suo ultimo lavoro, con il quale prosegue – attraverso l’analisi della produzione marxiana dagli anni Sessanta fino all’anno della morte – la sua ricerca sulla relazione tra dimensione individuale e dimensione comunitaria in Marx, cominciata nel saggio Socialità e isolamento: la singolarità in Marx, [Carocci, Roma, 2008], nel quale