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Il flusso di migranti polacchi verso Inghilterra e Irlanda è stato così forte e concentrato nel tempo da richiamare alla memoria l’esodo dei calvinisti francesi perseguitati da Richelieu alla fine del 1600. Ma ora le cose stanno cambiando con altrettanta rapidità. La rivalutazione dello zloty su sterlina ed euro rende meno conveniente la permanenza all’estero. Così è partito il flusso di ritorno e le previsioni indicano che… Gli Ugonotti dell’Est tornano a casa di Matteo Tacconi Grazia Neri_Panos TREND 2 on più di 13.000 “nuovi europei”. Nei N mesi precedenti l’allargamento dell’Ue del 2004 l’Home Office stimava che l’apertu- indolore: sfruttare l’opportunità di recarsi a lavorare all’estero senza restrizioni burocratiche. Cogliere l’occasione di vivere in Europa ra delle frontiere del mercato del lavoro ai da cittadino comunitario a pieno titolo. newcomer dell’Est non avrebbe stimolato Guadagnare, fare fortuna, arricchirsi. migrazioni significative. Mai calcolo si è rive- Camerieri, meccanici, muratori, stagionali lato così sbagliato: in Gran Bretagna, negli nelle aziende agricole, garzoni d’albergo, ultimi quattro anni, di cittadini dell’Europa badanti, autisti e pony express sono le procentro-orientale ne sono arrivati oltre fessioni che i polacchi tendono a ricoprire in 600.000. Quasi tutti polacchi. Tutti animati Gran Bretagna. Ma c’è anche chi, specie i da una fede, comprensibilissima dopo decenni giovani qualificati, svolge il suo mestiere di di socialismo reale e un quindicennio di medico e dentista, di programmatore di softlimbo scandito da una transizione non certo ware e ingegnere. I polacchi, da una parte, si 111 Grazia Neri_Panos GLI UGONOTTI DELL’EST TORNANO A CASA sono amalgamati dimostrando la loro fama di grandi lavoratori e l’abnegazione tipica dei popoli con una forte vocazione migrante. L’economia britannica, dall’altra, grazie alla sua straordinaria elasticità ha saputo accogliere i lavoratori dell’Est senza che la discrepanza tra arrivi effettivi e previsioni preallargamento incidesse sulla tenuta socioeconomica del Paese. La migrazione polacca a Londra e nelle alte città britanniche è un qualcosa d’impressionante. Nel 2006 David Coleman, docente di Demografia a Oxford, sostenne in un’intervista al “Sunday Times” che l’arrivo oltre Manica di centinaia di migliaia di polacchi, in un arco di tempo così breve, è un fenomeno che non ha precedenti nella storia contemporanea. Per trovare qualcosa di simile, disse Coleman, bisogna risalire alla fuga degli Ugonotti, i protestanti espulsi dalla Francia dopo che il sovrano Luigi XIV revocò nel 1685 l’editto di Nantes, che garantiva la piena libertà di culto, per tutti. Ma adesso i polacchi, “gli Ugonotti dell’Est”, stanno lasciando Londra, Edimburgo, Manchester, Birmingham e Liverpool. Fanno rotta verso casa. A Varsavia, Danzica, Stettino, Lodz, Cracovia e Lublino. Alla spicciolata, sì. Ma la tendenza è quella di tornare. “Dati ufficiali non ce ne sono, eppure la percezione, chiara, che abbiamo è che ci sono 112 _La migrazione polacca a Londra e nelle altre città britanniche è un fenomeno che non ha precedenti nella storia contemporanea. Per trovare qualcosa di simile bisogna risalire alla fuga degli Ugonotti meno arrivi e più persone che ripartono per la Polonia”, dice a east Jan Mojrzycki, presidente della Zjednoczenie Polskie w Wielkiej Brytanii, la federazione dei polacchi del Regno Unito. Cosa induce i polacchi a “sbaraccare”? Innanzitutto il rapporto tra la divisa di Varsavia (lo zloty) e la sterlina. Nell’ultimo anno il primo, complice la crescita economica registratasi in Polonia (6,8%) e il rallentamento dell’economia britannica, a cui hanno contribuito in modo significativo caro-greggio e onda lunga dei mutui subprime, si è apprezzato sulla seconda. Se nel 2007 il cambio sterlina/zloty era di uno a sette, adesso è di uno a quattro. “Questo significa che stare all’estero non è più conveniente come prima”, afferma Ireneusz Kaminski, economista dell’università Jagellona di Cracovia, aggiungendo che “le rimesse dei polacchi, pari a circa sei miliardi di sterline l’anno, hanno un peso minore che in passato”. In più, come sottolinea Mojrzycki “le possibilità di trovare un lavoro nel Regno Unito sono un po’ diminuite”. Grazia Neri_Panos TREND 2 _Oggi le possibilità di trovare un lavoro sono nel Regno Unito sono un po’ diminuite. Ma è soprattutto l’attuale cambio sterlina/zloty che non rende più conveniente come prima ai polacchi restare oltre Manica Tra Gran Bretagna e Irlanda ci sono molte analogie. Nel settembre 2006, stando ai dati della rappresentanza diplomatica di Varsavia a Dublino, risiedevano in Irlanda 120.000 polacchi. Lo scorso giugno il “Wall Street Journal” ha dedicato un’ampia e dettagliata analisi al fenomeno dei ritorni, mettendo in luce come circa la metà dei polacchi che vivono in Irlanda abbia mostrato l’intenzione di ristabilirsi in patria. Anche qui, il rapporto tra euro e zloty (uno a quattro nel 2006, uno a 3,3 quest’anno) pesa sulla scelta di chiudere l’esperienza all’estero. L’allargamento comunitario e l’arrivo dei lavoratori dell’Est, impiegati con salari competitivi rispetto alla manodopera locale, tra l’altro riluttante a scegliere mestieri “duri” (il che dimostra che i polacchi non rubano lavoro a nessuno), ha reso in questi anni ancora più dinamica l’economia della tigre celtica. Ora però il quadro complessivo, con i polacchi che hanno iniziato a lasciare le città irlandesi e un rallentamento fisiologico della crescita – 1,2% nel 2007, a fronte di un decennio rampante con un tasso medio superiore al 5% – desta qualche preoccupazione nell’establishment dublinese. Intervistato dal “Wall Street Journal”, il ministro irlandese dell’integrazione, Conor Lenihan, ha addirittura proposto di estendere il diritto di voto ai polacchi residenti. “La questione non è se dobbiamo avere o meno immigrati. La questione è come tenere qui da noi questa gente”, ha detto Lenihan, mettendo l’accento su come la mobilità sociale sia una straordinaria e irrinunciabile risorsa per il Vecchio continente. Dublino, insieme a e Stoccolma, è stata infatti una delle tre capitali dell’Europa occidentale che non ha posto barriere alla libera circolazione di manodopera. Gli altri Paesi hanno spuntato il diritto di stabilire dei vincoli, timorosi che il flusso di lavoratori proveniente da est determinasse fenomeni di dumping sociale. La Francia si è mostrata a tal punto ossessionata dalla possibile invasione degli “idraulici polacchi” da affossare addirittura la Costituzione Ue, al referendum popolare del maggio 2005. Gli alfieri del “no” argomentarono che la carta, il cui impianto venne bollato come liberista, non conteneva clausole finalizzate a salvaguardare il mercato del lavoro dell’Europa occidentale dalla concorrenza al ribasso dei Paesi dell’Est. A guardarlo a posteriori, si evince come questo timore fosse infondato. Le esperienze britannica e irlandese hanno evidenziato che 113 GLI UGONOTTI DELL’EST TORNANO A CASA l’immigrazione dei polacchi, che tra i popoli dell’Est hanno recitato indubbiamente la parte del leone – dopo il 2004 in circa due milioni si sono recati nell’Europa più ricca – è stata fruttuosa e non ha alimentato scossoni. Anzi, ha fatto bene alle economie locali, andando a portare manodopera nei settori laddove serviva e stimolando tra l’altro una positiva contaminazione culturale. Tant’è che il capo di Stato francese Nicolas Sarkozy, pochi giorni prima di assumere la presidenza semestrale dell’Ue, il 1° luglio scorso, ha cancellato le restrizioni imposte da Parigi ai cittadini dell’Europa centro-orientale, seguendo Spagna e Italia, che avevano già optato per questa scelta. In Austria, Germania, Danimarca e Belgio le limitazioni alla libera circolazione di manodopera invece permangono. Ma il “muro”, che è comunque temporaneo, dovrà cadere per forza entro il 2011. Alcuni rimarranno, certo. Ma in generale i progetti all’estero dei polacchi sono “a termine”. Lo scopo è quello di accumulare risparmi per poi tornare, investire il gruzzolo o finire casa, affrontare serenamente la vita. E oggi la congiuntura è favorevole. È che in Polonia il tenore di vita e i salari stanno crescendo, grazie a un rapido boom economico determinato dall’ingresso in Europa, da un corposo flusso di investimenti dall’estero, dai nuovi processi di liberalizzazione dell’economia e non da ultimo, anche dall’emigrazione. Al momento dell’allargamento comunitario, la Polonia aveva infatti un tasso di disoccupazione che s’aggirava intorno al 20 percento. Ora la percentuale di persone senza lavoro è del 7 percento. “È ragionevole che i polacchi tornino, nel nostro Paese ora si guadagna un po’ meno rispetto a quanto si percepisce a Londra o Dublino, ma il costo della vita è inferiore. E poi c’è grande richiesta di manodopera nel settore delle costruzioni, che dopo il 2004 ha registrato una forte crisi nell’occupazione. I salari sono cresciuti moltissimo. I contratti sono sempre più simili a quelli in vigore nell’Europa occidentale”, riferisce Konrad Kiedrzynski, giornalista del “Warsaw Business Journal”. Recentemente il governo polacco, guidato dal liberale Donald Tusk, che alle elezioni dell’ottobre 2007 sbaragliò l’avversario populista Jaroslaw Kaczynski, gemello del capo dello Stato Lech Kaczynski, ha lanciato una campagna per invitare i connazionali a ristabilirsi in Polonia. Sui giornali di Londra e Dublino 114 e sulle numerose pubblicazioni in lingua polacca che sono fiorite negli ultimi anni sulla scia dell’emigrazione fioccano le inserzioni pagate dall’esecutivo, che intende dare risalto all’ambizioso pacchetto di incentivi economici, sgravi fiscali e agevolazioni burocratiche pensato qualche tempo fa per i “reemigranti”. Il governo punta a riportare in Polonia muscoli e cervelli espatrianti. Ma in modo particolare fa pressing sui primi. L’emigrazione ha avuto i suoi molti lati positivi. Le rimesse hanno stimolato l’economia e rafforzato lo zloty, rendendo la Polonia più stabile sul fronte finanziario. Anche l’export è cresciuto. Molte aziende che producono generi alimentari, seguendo il flusso dei migranti, hanno messo radici nei mercati dell’Ovest. Infine, come detto, è crollata la disoccupazione. Ma ci sono anche lati potenzialmente negativi. In primis il “buco nero” nel comparto delle costruzioni. Qui la carenza di manodopera è diventata cronica, proprio nel momento in cui servirebbe forza lavoro per potenziare le infrastrutture e ammodernare gli impianti calcistici in vista dell’Europeo di calcio del 2012, che si terrà in Polonia e Ucraina. Un evento, questo, su cui Varsavia scommette forte, ma che rischia di saltare a causa dei ritardi nei lavori. Altre conseguenze potenzialmente sfavorevoli, menzionate in un recente rapporto dell’esecutivo citato dal settimanale “The Warsaw Voice”, potrebbero essere quelle del decremento del Pil e soprattutto dell’inflazione, in parte dettata dal rapido aumento dei salari. Se quest’ultima, attualmente al 5% (il picco degli ultimi quattro anni), aumentasse ancora, potrebbe azzerare i vantaggi del livellamento economico tra Est e Ovest. Vale a dire il principale motivo che spinge i polacchi a intraprendere la via del ritorno. Insomma, Donald Tusk vuole correre ai ripari per blindare la crescita e schivare future insidie. La sfida è impegnativa, ma anche avvincente. E c’è in ballo qualcosa in più dei semplici calcoli economici. Sostiene Ireneusz Kaminski: “I giovani, che rappresentano la maggioranza tra coloro che si sono spostati all’estero dopo il 2004, tornano arricchiti, con una gran voglia di fare, spirito imprenditoriale e consapevolezza nei propri mezzi. Possiamo davvero compiere il salto di qualità. Per la Polonia è una grande chance, non possiamo mancarla”.