IO CI STO - Isabella Bazzi

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IO CI STO - Isabella Bazzi
‘IO CI STO’ - AGOSTO 2014 - FOGGIA
L’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha stimato che gli
immigrati morti nel Mediterraneo da Gennaio 2014 a Settembre dello stesso
anno sono stati 3072; nel mondo intero nello stesso periodo ne sono morti
4077. Dal 2000 alla fine di settembre 2014 sono morti 22.000 migranti nel
Mediterraneo cercando di raggiungere l’Europa. Un mare che deve essere
ricostruito dai cittadini europei come spazio di convivenza pacifica per una
società multiculturale.
Ci tengo a sottolineare che in Italia la percentuale d’immigrati per motivi
umanitari (quindi rifugiati politici o richiedenti asilo), è ancora molto bassa
rispetto ai nostri vicini Ue (ad esempio Francia e Germania).
Ho partecipato al campo di lavoro di ‘Io ci sto’ a Foggia nell’estate del 2014,
un'esperienza di volontariato, incontro, condivisione e servizio con i profughi
e i migranti. Padre Arcangelo Maira, missionario scalabriniano, ha sviluppato
ciò che i suoi confratelli iniziarono nel '91 a Borgo Mezzanone quando
risposero all'invito della parrocchia ai bisogni di varie decine di marocchini,
giunti per la raccolta dei pomodori e accampati nel porticato della chiesa:
furono organizzate tendopoli, un deposito bagagli e momenti di vita comune,
dal cucinare al pregare, dal giocare all'imparare l'italiano. Tornato dall'Africa,
Padre Arcangelo viene invitato a rinnovarlo proponendolo a giovani più
grandi e con servizi adeguati alla nuova situazione e chiede una mano ad un
amico che gli risponde “io ci sto”, risposta che diventa il nome del campo di
servizio. Con il tempo e l'esperienza ci si è concentrati su un corso d’italiano,
una ciclofficina, l'animazione dei bambini e il sostegno alla Radio Ghetto in
luoghi di maggiore aggregazione come il Grand Ghetto e la Pista di Borgo
Mezzanone. Per altri servizi si fa riferimento alle varie associazioni attive nel
settore a Foggia e grazie a queste relazioni si è formata una rete di amici e
collaboratori. Man mano il numero dei migranti è aumentato, specialmente
nell’arco di tempo dal 2000 al 2005, si sono organizzati autonomamente,
sono divenuti più stanziali insediandosi in agglomerati abitativi isolati. I
migranti provengono soprattutto dall’Africa subsahariana e sono costretti ad
attraversare la Libia passando tra le mani dei trafficanti di uomini. Sono per
lo più persone adulte che hanno abbandonato le loro famiglie (e quindi casa,
sicurezza, religione, usanze…) portando con sé solo una sacca contenente
un Corano o la Bibbia, un rosario e poco altro. Arrivare in una terra nuova
comporta stress (da viaggio, da adattamento…), le donne spesso subiscono
violenze fisiche e psicologiche, nessuno di loro riesce a capire la lingua (e
quindi tutte le burocrazie e le pratiche necessarie per seguire l’iter di
richiesta di asilo politico o stato di rifugiato sono per loro incomprensibili; e
spesso durante la loro prima intervista sono fraintesi dai traduttori).
Rappresentano, almeno in teoria, la sussistenza per la famiglia che resta
nella terra di origine, ma al contempo il loro abbandonare la propria terra ha
sottrae manodopera al loro paese. Alla fine della stagione estiva la
maggioranza di loro lascia l’area di Foggia e si sposta alla ricerca di altri
posti di lavoro (Rosarno, Napoli, Manfredonia, Roma..) senza quindi mai
mettere radici in un luogo.
Il pomodoro non è una produzione tipica di questa regione (serve tanta
acqua per coltivarlo e qui il terreno è carsico), la coltivazione è nata da una
forte e specifica richiesta degli anni ’80. Il datore di lavoro o l’azienda
agricola dovrebbe assumere i lavoratori stagionali, mentre invece questi
sono pagati a cottimo (modalità non permessa dalla legge), e sarebbe tenuto
anche a sostenere i costi abitativi e del trasporto, ma qui non funziona così.
Su di un campo si lavora per un breve periodo e poi si passa ad un altro e
spesso l’impresa cambia. Il legame che si costituisce è tra il caporale e i
migranti (o i braccianti italiani del sud). I caporali più importanti sono bianchi
(e non stranieri), di anno in anno prendono accordo con i produttori (che non
sempre sono i proprietari dei terreni) e li aiutano a trovare in modo veloce e
con poco preavviso (circa tre giorni) una trentina di persone di forza lavoro. I
pomodori sono deperibili e vanno raccolti in fretta per proseguire il viaggio
rapidamente verso le fabbriche di trasformazione (di pelati, concentrati,
conserve…). Ovviamente i caporali impiegando manodopera senza contratto
aiutano i produttori anche a tenere basso il prezzo del prodotto finale.
Qualche migrante riesce a lavorare senza il caporale o accade che abbia
una buona relazione col proprio caporale. Ciò non toglie che alla base del
rapporto lavorativo sussista una chiara forma di sfruttamento. Il caporalato è
stato riconosciuto reato penale nel settembre del 2012, l’azienda dal suo
canto compie reato amministrativo perché è l’anello del sistema che
guadagna maggiormente, seguita dalla grande distribuzione e dal caporale. I
raccoglitori di pomodori vengono pagati 3,50 euro all’ora, alcuni di loro però
non ricevono compenso se non dopo mesi. Hanno difficoltà nel denunciare i
propri caporali perché comunque questa è la sola forma di lavoro che viene
loro proposta. Svolgono mansioni faticose, solo quando possono
permetterselo usano guanti per proteggere le mani e a fine giornata hanno la
schiena dolorante (un camion è carico di 88 cassoni da circa 300kg). Lavori
per lo più senza prospettive a lungo termine e con scarse possibilità di
diventare professionalità qualificate. Nella provincia di Foggia, la cosiddetta
piana della Capitanata, comunque lo sfruttamento lavorativo non ha luogo
solo in ambito agricolo.
GRAND GHETTO - RIGNANO
E’ un insediamento spontaneo e autogestito di braccianti agricoli nato nei
primi anni ‘90 da masserie abbandonate, divenuto in seguito una baraccopoli
con abitazioni costruite in legno, lamiera, plastica e altri materiali. Le
baracche non sono allacciate alla rete fognaria, non ricevono energia
elettrica e gas, le persone si rivolgono ad una serie di associazioni di Foggia
per l’assistenza. La Regione fornisce acqua potabile (in cisterne), allestisce
un ridotto numero di bagni chimici, raccoglie (ma con insufficiente frequenza)
i rifiuti e uno o due minivan di Emergency garantisce assistenza medica due
giorni la settimana. Nel 2014 si stima la presenza di 1300 persone nel
periodo estivo quando si svolge la raccolta dei pomodori mentre nel periodo
invernale gli stanziali si aggirano sulle 450 persone. La maggioranza degli
abitanti sono uomini, ci sono poche donne che gestiscono ristorantini,
bordelli e negozi alimentari e qualche raro bambino di giovane età. I
braccianti si alzano la mattina verso le 4, in un’ora e mezza circa
raggiungono l’appezzamento dove raccolgono i pomodori (ma non è detto
che trovino lavoro ogni giorno) e rientrano al Ghetto verso le 17.30 e a volte
dopo il tramonto del sole.
Ho dormito presso una famiglia che gestisce un ristorantino e quindi
conosciuto man mano gli ospiti che venivano per cenare o guardare la
televisione, tutti africani di regioni diversi che hanno raggiunto l’Italia ognuno
spinto da motivazioni differenti ma accumunati dalla necessità di sfuggire
alle condizioni di vita del paese di origine. Ho passato la serata insieme ad
alcuni di loro parlando delle loro aspettative precedenti la fuga dai loro paesi,
delle famiglie che hanno lasciato alle loro spalle, delle difficili condizioni di
vita e di molto altro. La gentile signora che mi ha ospitata (P.) è in Italia da
diversi anni, mi ha permesso di dormire per terra accanto al suo letto (che
condivide con il figlio) in una stanza creata da lamiere ricoperte di pezzi di
cartone e di usare il loro bagno: una stanza con pavimento in terra battuta,
niente acqua, niente gabinetto, nessun foro nel pavimento. Mi ha preparato
una cena deliziosa e insieme a ragazzi del Mali, del Burkina Faso, del
Camerun e della Costa d’Avorio abbiamo guardato un dvd che avevo portato
con me che raccontava tra l’altro la vita dei lavoratori italiani quando a loro
volta tanti anni fa erano raccoglitori di pomodori sotto caporali italiani.
LA PISTA – BORGO MEZZANONE
La ‘Pista’ sorge accanto al CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti
Asilo) di Borgo Mezzanone, nel territorio del comune di Manfredonia, area di
vocazione agricola. Il CARA copre una superficie molto vasta che un tempo
costituiva un aeroporto americano della seconda guerra mondiale divenuto
base dell’aeronautica militare italiana. Nato nel 1999 come roulottopoli
all’epoca dell’emergenza dei profughi provenienti dall’Albania e poi dal
Kosovo, venne interessato da diversi lavori di ristrutturazione tra il 2002 e il
2004, quando da struttura d’emergenza divenne un centro di accoglienza
permanente, aprendo infine i battenti con la sua attuale denominazione nel
2005. Il progetto iniziale era di trasformarlo in un centro polifunzionale diviso
tra una parte in muratura dedicata ad ospitare immigrati irregolari in via di
espulsione (gli allora CPT – centri di permanenza temporanea e odierni CIE
– centri di identificazione e espulsione) e un’altra parte, sita a circa 600 metri
di distanza, composta dai moduli prefabbricati che avevano nel frattempo
sostituito la roulottopoli sistemata sulla vecchia pista di atterraggio (lunga 3
km). Il centro chiuso per immigrati irregolari in via di espulsione non è mai
entrato in funzione e anche le strutture in muratura sono state dedicate
all’accoglienza dei richiedenti asilo secondo la convenzione di Ginevra del
1951 (ratificata dall’Italia nel 1954). In seguito, nel 2010, è stata costruita
una nuova zona abitativa composta da moduli prefabbricati nello spazio che
separava le due aree originarie del centro, mentre i vecchi moduli siti sulla
pista dell’aeroporto militare sono stati abbandonati ed espunti dalla nuova
recinzione che attualmente circonda il perimetro del centro. Nel CARA si
soggiorna con libertà di movimento, nel rispetto degli orari del centro e si
resta in attesa di essere identificati e poi ascoltati dalla Commissione
Territoriale competente. Nel tempo i vecchi moduli prefabbricati sono stati
eliminati soltanto in parte mentre gli altri, ormai in stato di abbandono, sono
stati occupati abusivamente da altri migranti. La Pista non è altro che questo
campo abusivo che ospita alcune centinaia di stranieri, cui la Prefettura
garantisce luce e acqua corrente (di rado calda). Il numero effettivo aumenta
notevolmente durante le stagioni di raccolta nelle campagne circostanti
raggiungendo le 400 persone circa. Le nazionalità sono varie: pochi dei
paesi dell’est, la maggior parte proviene da Somalia, Bangladesh,
Afghanistan, Nigeria, Senegal, Pakistan, Ghana…Alcuni di loro vivono lì da
oltre dieci anni e il numero è in continua e rapida crescita.
Nel container dove ho dormito c’erano 12 posti letto a castello occupati da
migranti africani estremamente cortesi e ospitali. Si sono coricati verso le 11
di sera dovendosi poi alzare alle 4 la mattina seguente. Lo spazio ha due
finestre (che non garantivano la circolazione dell’aria veramente calda tanto
che alcuni di loro hanno dormito per terra all’aperto), un’infinità di zanzare e
non pochi scarafaggi, una televisione (sintonizzata su Euro news in lingua
francese), un dvd, casse audio, una precaria serpentina usata per cuocere e
riscaldare il cibo (colazione condivisa tra tutti seduti a terra, a base di
salsicce, non di maiale, e pane in sacchetti di plastica), il solo cibo che ho
visto erano del Nescafé e del tè. I pochi beni personali raccolti sotto il proprio
letto, qualche coperta e pochi indumenti. Per recarsi al lavoro usano
biciclette, oppure vanno a piedi o prendono macchine organizzate dai
caporali. Il trasporto pubblico parte da Borgo Mezzanone che da qui dista a
piedi una ventina di minuti. Al pomeriggio di rientro dalla giornata lavorativa
c’è giusto il tempo per un breve risposo, per lavarsi (in lavandini otturati e
con rubinetti per lo più rotti) e poi per chi è interessato, seguivano le attività
di ‘Io ci sto’.
CORSO DI ITALIANO - Grand Ghetto e Pista
Ogni giorno nel tardo pomeriggio estivo si organizza una scuola informale,
strumento importante non solo per l’apprendimento della lingua italiana (si
leggono articoli di attualità, si studia la grammatica, si scrive, si insegnano le
prime frasi necessarie per destreggiarsi nella burocrazia etc), ma anche per
creare relazioni con i migranti. Sovente i pochi bambini che sono presenti
giocano con i volontari.
CICLOFFICINA – Grand Ghetto e Pista
La bicicletta è un'alternativa al caporalato: il migrante si rende autonomo
rispetto al trasporto e alla ricerca di un lavoro, un mezzo proprio significa
almeno risparmiare cinque euro, cifra solitamente chiesta per raggiungere i
campi. La ciclofficina si svolge ogni giorno nel periodo estivo e dura circa 4
ore. La mattina presso la sede di ‘Io ci sto’ si prepara il materiale, quando
manca lo si ordina e si mette da parte con il nome della persona a cui serve,
nel pomeriggio viene caricato sui pulmini. Servono cambio freni, ruote,
camere d’aria, riparazioni a gomme bucate; si lavora e collabora insieme ai
migranti, si forniscono attrezzi di cui necessitano, viene loro insegnato a
diventare autonomi.
RADIO GHETTO – Grand Ghetto
Da tre anni dei volontari in estate hanno implementato ‘Radio Ghetto’, uno
strumento che permette agli abitanti della comunità di raccontare sé stessi
(di frequente nella loro lingua nativa), di ascoltare la musica che amano
mixando svariati pezzi e di far conoscere la realtà del Ghetto all’Italia che è
fuori da questo luogo.
COSA RESTA
I luoghi dove ho prestato aiuto sono stati il Grand Ghetto e la Pista, ho
creato relazioni tutt’ora in essere con alcuni migranti e ho passato una
nottata insieme a loro in entrambe gli agglomerati per cercare di capire
maggiormente le loro condizioni di vita. Grazie alle persone che mi hanno
accompagnata in questa esperienza e a quelle incontrate sto imparando:
• ad ascoltare, svuotandomi di quel che sono e superare la mia
individualità
• a recuperare l’essenziale
• a lasciarmi toccare dall’altro e fare spazio in me stessa per le persone
che mi stanno accanto
• il valore della solidarietà
• l’attenzione verso l’altro e verso i suoi bisogni concreti
• lo spirito del servizio, del volontariato e della solidarietà, l’essere a
disposizione dell’altro
• a far cadere qualsiasi sorta di pregiudizio, spesso creato dai mass
media, così da conoscere l’altro per quello che è
• ad accettare le modalità espressive dell’altro e capire quali
atteggiamenti miei lo possono infastidire
• che l’altro non fa più paura se lo si conosce, si convive con lui, si
condivide e si costruisce assieme
• che l’incontro con diversità culturali genera un cambiamento,
arricchente peraltro, se si lascia spazio al dialogo
• il senso di accoglienza e rispetto della diversità scaturito dall’empatia
• che siamo tutti nomadi, un popolo che emigra: dobbiamo valorizzare e
allo stesso tempo relativizzare la cultura, la diversità e la religione
Per maggiori dettagli e informazioni: www.iocisto.org