poteri istruttori del giudice tributario 1. la
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poteri istruttori del giudice tributario 1. la
POTERI ISTRUTTORI DEL GIUDICE TRIBUTARIO 1. LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE Con la sentenza de qua si ripropone l’annosa questione circa i poteri istruttori del Giudice Tributario poiché la normativa, la giurisprudenza e la dottrina offrono diverse soluzioni interpretative fornendo numerosi spunti di discussione. La nutrita giurisprudenza formatasi in materia sottolinea, infatti, il contrasto giurisprudenziale nell’individuazione dei limiti entro i quali i giudici tributari possono esercitare i poteri istruttori. In particolare oggetto di riflessione è l’interpretazione dell’art. 7 del D.lgs. n. 546 del 1992 alla luce del nuovo art. 111 Cost., come modificato dalla L. 23 novembre 1999 n. 2. Con un apodittico richiamo al principio, più volte affermato dalla Suprema Corte, secondo cui il giudice tributario non può, attraverso l’acquisizione di documenti o di prove – disposta ai sensi dell’art. 7 del D.lgs. n. 546 del 1992 – sopperire all’onere probatorio che grava sul soggetto onerato, potendo solo integrare gli elementi forniti dalle parti, il giudice della sentenza di cui si discute giunge alla conclusione che il citato art. 7 deve essere interpretato in maniera “restrittiva” ed applicato alla luce dell’art. 111 della Costituzione così come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999. Secondo tale interpretazione il giudice, nell’esercizio delle sue funzioni, deve porsi come soggetto terzo. Ciò significa che non può sostituirsi, attraverso l’acquisizione di documenti o prove, al soggetto su cui grava l’onere probatorio (in ipotesi negligente) e sopperire alle di lei carenze probatorie, dovendo semplicemente limitarsi ad una mera integrazione dei soli elementi forniti dalle parti in causa, qualora tali elementi non siano sufficientemente prodotti e motivati. Nella sentenza si giunge quindi alla conclusione che l’art. 7 deve essere utilizzato in situazioni di stallo ove sussista un’obiettiva condizione di incertezza in base ad elementi hinc inde proposti, non ove il materiale probatorio in atti imponga già una specifica soluzione. L'articolo 7 del D.lgs 31 dicembre 1992 n. 546 così come modificato dall’art. 3-bis convertito – del D.L. 30 settembre 2005 n. 203, conferisce al giudice tributario il potere di esercitare tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all'ente locale da ciascuna legge d'imposta (primo comma), nonché, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità, il potere di richiedere apposite relazioni ad organi tecnici dell'amministrazione dello Stato o di altri enti pubblici, compresi il Corpo della Guardia di finanza, ovvero disporre consulenza tecnica (secondo comma), e il potere di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia (terzo comma, ora abrogato). 2. IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA Parte della giurisprudenza sembra propendere per l’interpretazione di detto articolo secondo cui tale norma non può essere utilizzata ed invocata quale rimedio per le lacune probatorie delle parti. Le sentt. di Cassazione del 28 ottobre 2003 n. 161611 e del 6 febbraio 2006 n. 24882 sottolineano come la facoltà di ordinare alle parti stesse il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia debba essere esercitata in maniera discrezionale e prudente. Tali poteri istruttori, però, anche alla luce della riforma dell’art. 111 della Costituzione, non hanno la funzione di sopperire alle lacune probatorie delle parti, le quali, fra l’altro, non possono dolersi dell’uso che di essi il giudice abbia fatto, ma piuttosto quella di garantire la parte cui l’onere probatorio sia impossibile o molto difficile da assolvere ovvero si trova nell’impossibilità di esibire documenti risolutivi in possesso dell’altra parte. Diversamente non può essere pronunciata una sentenza ragionevolmente motivata. 1 2 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 1 A tal proposito è lo stesso giudice di legittimità che con le più recenti sentenze (Cass. 11 gennaio 2006 n. 3663 e Cass. 20 gennaio 2006 n. 11344) riguardanti i modi di acquisizione della stima UTE insegna che il citato art. 7 del D.Lgs. 546/1992 deve essere interpretato come norma eccezionale che non può essere utilizzata quale rimedio ordinario per sopperire alle lacune probatorie delle parti. Tali sentenze cercano inoltre di individuare i limiti entro cui i poteri dei giudici devono essere esercitati specificando che tali giudici devono svolgere solo una mera funzione integrativa dell’attività probatoria delle parti in causa. Numerose altre sentenze di legittimità seguono questo solco interpretativo. Le più rilevanti ed esaustive appaiono le sentenze della Corte di cassazione del 16 maggio 2005 n. 102675 e del 07 ottobre 2005 n. 196076 che così riportano: “In ordine allo stesso, invero, in carenza di qualsivoglia convincente contraria argomentazione (necessaria per avere il giudice a quo fatto espresso riferimento alla giurisprudenza di questa Corte sul punto), va ribadito il principio, reiteratamente affermato da questa sezione (sentenze 27 febbraio 2004, n. 4040, 28 febbraio 2003, n. 16161, 9 maggio 2003, n. 7129, 28 marzo 2003, n. 4713, 13 gennaio 2003, n. 282, 25 maggio 2002, n. 7678, 3 aprile 2002, n. 4776, ex pluribus), secondo il quale a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove in forza dei poteri istruttori attribuitigli dall’art. 7 del D.lgs. n. 546 del 1992 perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale e vanno esercitati, al fine di dare attuazione al principio costituzionale della parità delle parti nel processo (art. 111, secondo comma Cost., premesso al precedente primo comma dall’art. 1 della L. cost. 23 novembre 1999 n. 2, per cui “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”), soltanto (Cass., sez. trib., 4 maggio 2004 n. 8439 citata) per sopperire all’impossibilità di una parte di esibire documenti in possesso dell’altra parte”. Abbracciare questa tesi significa interpretare la modifica apportata all’art. 111 della Costituzione come principio secondo cui il giudice ha il potere-dovere (e quindi l’obbligo) di esaminare i documenti prodotti solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia esplicita richiesta, altrimenti sarebbe leso il diritto di difesa, poiché non si darebbe alla controparte la possibilità di controdedurre adeguatamente. La conferma di tale portata è offerta dallo stesso giudice di legittimità, che nelle sentenze di Cassazione del 7 febbraio 2001 n. 17017 e del 20 gennaio 2006 n. 11348 riporta: “In tema di contenzioso tributario, a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove, in forza dei poteri istruttori a lui attribuiti dall’art. 7 del D.lgs. n. 546 del 1992, infatti tali poteri sono meramente integrativi dell’onere probatorio principale, in quanto utilizzati solo qualora sia impossibile o sommamente difficile fornire, da parte di chi vi è tenuto, le prove richieste”. In questo modo l’esercizio dei poteri di acquisizione d’ufficio attribuiti dall’art. 7 del D.lgs. 546 del 1992 alla luce della riforma dell’art. 111 Cost. avrebbe la funzione di garantire la parte che si trova nell’impossibilità di esibire documenti risolutivi in possesso dell’altra parte. Una diversa interpretazione porterebbe ad un inammissibile tentativo di demandare al giudice la ricerca degli elementi più utili alla tesi sostenuta venendo, così, lesa la funzione di terzietà del giudice. Il giudice, data la natura dispositiva del processo tributario, deve esercitare i poteri istruttori “solo nei limiti dei fatti dedotti dalle parti”, quindi al solo fine di eliminare ogni incertezza che ancora possa persistere sui fatti introdotti dalle parti nel giudizio 9. Tale principio dispositivo in materia probatoria si ha quando la raccolta delle prove da porre a fondamento della propria tesi è solo ad iniziativa di parte, a differenza del principio inquisitorio, in cui il giudice perviene in modo officioso alla conoscenza dei fatti, prescindendo, quindi, dalla iniziativa di parte. In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 5 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 6 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 7 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 8 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 9 Si veda Cass. 15 settembre 2003 n. 13504 in Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 3 4 2 La questione involge, a questo punto, il problema della “disponibilità delle prove” e qui la giurisprudenza è assai ampia nell’insegnare che il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza. Tale specifica istanza si lega al principio che il valore del contraddittorio ha assunto con la citata riforma dell’art. 111 Cost., essendo manifesto che il richiamo generico, e non univocamente decifrabile, ad un materiale di prova documentale prodotto in causa non consente alla controparte di controdedurre adeguatamente, venendo così leso il diritto al giusto processo10. Ragionare in questo modo porta alla conclusione che il contenzioso tributario è caratterizzato dal monopolio delle parti di fissare l’oggetto del giudizio, cosicché alle commissioni tributarie è solo riconosciuta una mera finalità istruttoria, venendo così rispettato il predetto art. 7 D.lgs. 546 del 1992, che vuole il potere delle commissioni limitato ai fatti dedotti in giudizio. Accettare questa interpretazione significa allo stesso tempo giustificare il principio dispositivo che si applica al processo tributario in tema di prova per il richiamo che l’art. 1 del D.lgs. n. 546 del 1992 effettua anche all’art. 115 c.p.c. Di diverso avviso un’altra nutrita parte sia della giurisprudenza sia della dottrina, che ravvisa una portata di tale norma in modo meno restrittivo. Tale indirizzo, ritenendo il processo amministrativo caratterizzato da un sistema impositivo con metodo acquisitivo delle prove riconosce al giudice un potere inquisitorio quanto alla ricerca delle prove, rilevabile dalla lettura del III comma dell’art. 7 del D.lgs. 546 del 1992, lì dove è sempre data alla commissione tributaria la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia. Nel processo tributario, a norma dell’art. 7 D.lgs. n. 546 del 1992, le commissioni tributarie, dotate di ampio potere estimativo, anche sostitutivo, avvalendosi dei larghi poteri istruttori ad esse attribuiti, possono acquisire aliunde gli elementi di decisione (nella specie, demandando all’UTE accertamenti ritenuti necessari), prescindendo dall’accertamento dell’Ufficio e dall’eventuale difetto di prova del suo assunto, con la conseguenza che, una volta esercitato siffatto potere, il contribuente non ha più interesse a dolersi del difetto di motivazione sull’eccezione relativa alla carenza di prova della pretesa impositiva11. Nella Cass. 20 gennaio 2006 n. 113512 si legge: “L’art. 7 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 assegna, infatti, alle Commissioni tributarie ampi poteri istruttori, compresa la possibilità di acquisire elementi conoscitivi mediante la richiesta di apposite relazioni affidate ad organi tecnici dell’Amministrazione, con la sola esclusione, fra le prove ammissibili, del giuramento e dell’assunzione di testimoni, o mediante esame di documentazione comunque prodotta in giudizio dalle parti. Tali poteri sono conferiti proprio in funzione della valutazione, ad esse affidata, della legittimità e della congruità delle pretese dell’ufficio; i giudici tributari di merito possono cioè acquisire aliunde, prescindendo dagli accertamenti dell’ufficio, gli elementi di decisione, di cui compiono una valutazione autonoma, rispetto all’assunto di quest’ultimo (Cass. civ. n. 5776 e n. 15209 del 2000)”. Interessante appare la lettura della sentenza di Cassazione del 30 gennaio 2004 n. 176513 nel punto in cui individua che il giudice ha il potere di acquisire aliunde la prova del contendere. 3. L’ ACQUISIZIONE DELLE PROVE In merito alla questione della obbligatorietà del giudice di acquisire d’ufficio le prove la giurisprudenza, anche in questo caso, è contraddittoria. Nella sentenza di Cassazione del 11 gennaio 2006 n. 1234514 si legge: L’art. 7 del D.lgs. 546 del 1992, che attribuisce alle Commissioni tributarie ampi poteri istruttori di ufficio (tra cui – al comma 3 – la facoltà di ordinare il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia), costituisce una norma eccezionale che non può essere utilizzata come rimedio ordinario per sopperire alle lacune probatorie delle parti dal momento che il giudice Da tutte si veda la Cassa. n. 23976 del 2004. Cass. 1 luglio 2003 n. 10374 e Cass. 11 gennaio 2006 n. 330 e n. 339 in Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 12 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 13 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 14 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 10 11 3 tributario non è tenuto ad acquisire di ufficio le prove a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio salvo che sia impossibile o sommamente difficile esercitarlo. Diversamente risulterebbe violato il principio dispositivo (art. 115 c.p.c.) su cui si regge il processo tributario (art. 1 comma 2 D.lgs. 546/92) che il legislatore delegato del 1992 ha rafforzato (art. 30 L. n. 413 del 1991) ed altresì eluso – stante la facoltà della commissione di disporre “sempre” le allegazioni mancanti necessarie alla risoluzione della controversia - il rispetto dei termini di deposito documentale stabiliti dall’art. 32 D.lgs. n. 546 del 1992 ritenuti perentori proprio per la funzione che adempiono a garanzia dei diritti di difesa. Diversamente nella Cass. 30 maggio 2005 n. 1148515 si legge: Il potere di acquisizione di documenti necessari per la decisione, attribuito alle Commissioni tributarie dall’art. 7, comma 3 D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, va usato prudentemente e discrezionalmente; esso non ha la funzione di sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio delle parti. Tuttavia, quando la situazione probatoria è tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata senza l’acquisizione d’ufficio di informazioni e documenti, la Commissione è tenuta a procedere a tale acquisizione. Si potrebbe obiettare che il potere di “ordinare” è ormai superato dall’abrogazione del comma 3 del suddetto articolo di legge. In questo caso, invece, la giurisprudenza ci aiuta, infatti, è lo stesso giudice di legittimità a stabilire che tale modifica non ha intaccato la possibilità di esercizio dei poteri d’indagine, nell’ambito delle questioni dedotte dalle parti, da parte del giudice, al quale è sempre data la possibilità di integrare i dati acquisiti in giudizio, anche discostandosi dalle valutazioni dell’ufficio. A suffragare questa interpretazione la Corte di cassazione, che con una recente pronuncia del 13 settembre 2006 n. 1959316 cita, a proposito di questa modifica legislativa, che tale correzione non ha inciso sulla connotazione propria della giurisdizione tributaria. Questa modifica non altera, ad ogni modo, i poteri istruttori che sono accordati alle Commissioni tributarie dagli altri commi del citato articolo 7, in particolare “ tutte le facoltà di accesso, di richiesta dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all’ente locale da ciascuna legge d’imposta”. Alle Commissioni tributarie, infatti, è attribuito un potere d’indagine che esse possono esercitare qualora dagli atti non risultino o, a loro parere, non siano stati acquisiti, sufficienti elementi di giudizio, il tutto nei limiti dei fatti dedotti dalle parti. Secondo tale logica, in tema di prove, la Commissione tributaria può porre a base di una sua decisione anche quella prova logica e indiretta che è la presunzione. Questa tesi fa propendere per l’interpretazione dell’art. 7 D.lgs. n. 546 del 1992 secondo cui il processo tributario si instaura attraverso il principio dispositivo, ma non ne è dominato, in quanto, potendo il giudice acquisire tutte le prove di cui abbisogna, gli si riconosce anche un potere inquisitorio. A questo punto appare interessante il richiamo giurisprudenziale dato dalla pronuncia del Consiglio di Stato del 23 marzo 2000 n. 155817, che riporta: “Pur essendo impedito al giudice di rilevare fatti non dedotti dalle parti, è consentita, nell’ambito della situazione fattuale allegata dal ricorrente, una valutazione giuridica autonoma e difforme rispetto a quella prospettata”. Anche nella massima della sentenza di Cassazione del 23 marzo 1999 n. 273018, si può leggere: “Il giudice non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, né il divieto di sostituire l’azione proposta con altra diversa quando renda la propria pronuncia in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in base a norme giuridiche diverse da quelle invocate dalle medesime”. Di particolare rilievo il richiamo della Cassazione dell’8 agosto 2003 n. 1198119, che ha affermato che: “Il potere riconosciuto alle Commissioni tributarie di richiedere la produzione di dati, informazioni, chiarimenti e documenti, non rappresenta violazione del diritto di difesa garantito dalla Costituzione o limitazione dei poteri attribuiti agli uffici finanziari, atteso che una volta che tale potere In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 17 In Cons. Stato 2000, I, 646. 18 In Giust. civ. 1999, 650. 19 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 15 16 4 sia stato esercitato e che, di conseguenza, siano stati acquisiti al processo documenti prima non prodotti, tutte le parti possono difendersi ed eventualmente contestare la loro rilevanza o validità”. 4. OPPORTUNITA’ DI ESERCIZIO DEI POTERI ISTRUTTORI Costituisce problema interpretativo, a questo punto, la ricerca della portata dei limiti posti dall’ordinamento al giudice tributario in ordine alla opportunità di esercizio dei poteri istruttori così come disciplinati dall’art. 7 D.lgs. n. 546 del 1992. Si può affermare che è la legge stessa ad investire del potere acquisitivo delle prove il giudice, che sarà tenuto ad esercitarlo in modo discrezionale, avendo il solo obbligo morale di tale esercizio qualora la documentazione prodotta sia tale che non possa pronunciarsi una sentenza ragionevolmente motivata senza acquisire d’ufficio alcuna prova. Questa interpretazione non può però prescindere dall’osservanza dell’art. 111 Cost., così come modificato, che impone l’osservanza del “giusto processo”, ovvero il rispetto del contradditorio tra le parti. In termini di prova vige la regola secondo cui il giudice è tenuto, salvi i casi previsti dalla legge, a porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti, come emerge dallo stesso art. 58 del D.Lgs. 546/1992. Tale norma consente al giudice di acquisire d’ufficio le sole prove ritenute “necessarie” ai fini della decisione. Siffatto decreto legislativo ha dato poteri “inquisitori” del tutto eccezionali e suppletivi al giudice nell’assunzione delle prove20. Il principio inquisitorio in senso sostanziale implica l’abolizione del vincolo giudiziale all’allegazione dei fatti (il giudice sarà libero di cercare autonomamente i fatti rilevanti per la decisione, e userà le proprie prerogative a fini esplorativi), mentre in senso processuale indica l’abolizione del potere monopolistico delle parti rispetto alle sole iniziative probatorie, permanendo invece il vincolo del giudice alle allegazioni operate dalle parti21. Così come formulato, il citato articolo 7 - che ha sostituito la disciplina dell'abrogato art. 35 D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 - attribuisce al giudice tributario poteri istruttori, la cui portata é considerata ben più ampia di quella attribuita al giudice civile dall'articolo 115, comma 1, del c.p.c. Infatti parte della dottrina, come visto, ha osservato come il giudizio tributario sia disciplinato dal principio dispositivo in ordine all'allegazione dei fatti, ma governato dal principio inquisitorio in merito alla prova degli stessi22. Per quanto riguarda il principio dell’onere della prova, inoltre, riferito all’art. 2697 c.c., esso non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiché (Cass., sez. II, 17 novembre 2003, n. 17336; Id., sez. III, 24 gennaio 2003, n. 1112; Id., sez. II, 19 aprile 2000, n. 5126) nel vigente ordinamento processuale (anche tributario) vige il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice23. La mancanza di idonee prove non può costituire per il giudice un impedimento assoluto, insuperabile per emettere una pronuncia di merito, atteso che esso può essere rimosso mediante l’uso del potere discrezionale di cui all’art. 7, primo comma, del D.lgs. n. 546 del 1992, finalizzato esclusivamente alla realizzazione concreta di una pronuncia adeguatamente motivata24. Si veda A. Turchi, I poteri delle parti nel processo tributario, Giappichelli, 2003. Si veda L. Salvaneschi, in Commentario delle leggi sul contenzioso tributario, a cura di C. Glendi, Milano, 1990. 22 Per un maggior approfondimento dottrinario in tal senso si veda P. Russo, Manuale di Diritto Tributario, Milano 1999, e G. Falsitta, Manuale di Diritto Tributario, Padova 1999. 23 Cass. 28 settembre 2005 n. 19077 in Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 24 Cfr. in dottrina F. Tesauro, La prova nel processo tributario, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2000. 20 21 5 Da quanto riportato si dovrebbe desumere che il processo tributario ha natura inquisitoria per quanto riguarda la ricerca delle prove, potendo il giudice, a mente dell’art. 7 D.lgs. n. 546 del 1992, disporre d’ufficio di ogni mezzo istruttorio necessario a consentire l’emissione di una sentenza adeguatamente motivata, e carattere dispositivo con riferimento alla allegazione dei fatti, dovendo spettare solo alle parti in causa delimitare il thema decidendum della controversia25. Questa tesi permette di non stravolgere il carattere dispositivo del processo tributario, poiché devono essere le parti a creare il supporto fattuale per la decisione della controversia. Inoltre tale tesi è ampliamente accettata dalla dottrina, la quale riconosce al processo tributario che il principio dispositivo ha valore in relazione all’allegazione dei fatti ma non per la prova degli stessi, governata, invece, dal principio inquisitorio.26 Evidentemente l’ispirazione della modifica legislativa che ha voluto con l’art. 3-bis del D.L. n. 203 del 2005 l’abolizione del comma 3 dell’art. 7 D.lgs. n. 546 del 1992 è nata dall’esigenza di voler ricondurre i poteri istruttori nei ranghi del carattere dispositivo del processo tributario. Con l’abrogazione del citato comma 3 il legislatore ha così voluto imporre l’onere della dimostrazione dei presupposti di fatto a chi esercita lo ius impositionis e l’onere di giustificare la presenza di fatti impeditivi, modificativi ed estintivi dell’obbligazione tributaria al soggetto passivo, dovendo il giudice limitarsi all’accertamento della pretesa erariale, così come dedotta e motivata nell’atto impositivo, e ad accertare i fatti giustificativi indicati dal ricorrente27. Importante appare la lettura della sentenza di Cassazione del 09 maggio 2003 n. 712928, nella cui massima si legge: Nel processo tributario, l’esercizio dei poteri di acquisizione d’ufficio attribuiti dall’art. 7, commi primo e terzo, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, alle Commissioni tributarie costituisce una facoltà discrezionale del giudice, della quale va fatto un uso prudente. Tali poteri istruttori non hanno la funzione di sopperire a deficienze probatorie delle parti – le quali non possono dolersi dell’uso che di essi il giudice abbia fatto -, ma qualora la situazione probatoria sia tale da impedire la pronuncia di una sentenza ragionevolmente motivata senza acquisire d’ufficio determinate prove, è illegittimo il rifiuto del giudice tributario di utilizzare i detti poteri. Da questa sentenza si dovrebbe dedurre che l’elemento che attiva il potere istruttorio ex officio risiede nella ragionevole motivazione della sentenza29. 5. CONCLUSIONI In conclusione, a mio modesto avviso, sebbene la migliore soluzione auspicabile sia un intervento legislativo che dirima ogni ragionevole dubbio, l’intervento officioso del giudice deve aversi in tutti quei casi in cui non vi siano lacune istruttorie dovute a negligenze delle parti in causa. Per fare questo il giudice deve avere la facoltà di avvalersi di tutti quei poteri istruttori che ritiene più opportuni alla ricerca della verità, in via del tutto discrezionale e, quindi, mai sindacabile, perché tali poteri sono meramente integrativi (e non esonerativi) dell’onere probatorio principale30. Tale discrezionalità dovrà quindi essere garantita dall’assoluta assenza di sollecitazione esterna, quindi tanto della parte privata quanto della parte pubblica31. L’indipendenza del giudice, che si vuole garantita dall’art. 111 Cost., sarà così assicurata. Così argomentando, al giudice rimarrà il delicato compito di delimitare quel confine che separa la mancanza di materiale probatorio per cause negligenti dalla mancanza di materiale probatorio per cause incolpevoli. Appurata tale differenziazione il giudice dovrebbe, in caso di cause non negligenti delle parti, far scattare il potere-dovere (in primis morale) di ricercare, in modo anche officioso, le prove che possano In tal senso C. Glendi, L’istruttoria nel nuovo processo tributario, in Dir.e Prat. Trib., 1996. Di questo avviso M. Scuffi, Le nuove materie di competenze della giurisdizione tributaria. Profili sostanziale e processuali, in Quad. Cons. Pres. Giust. Trib., anno 2003, n. 8, p. 26. 27 Cass. n. 366 del 2006, in Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 28 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 29 Lapalissiano appare qui il richiamo alla Cass. 30 maggio 2005 n. 11485, cit. 30 Cfr. Cass. 16 maggio 2005 n. 10267, in Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it.. 31 Per un maggior approfondimento vedasi P. Russo, Processo Tributario, in Enc. dir. 25 26 6 portarlo all’emissione di una sentenza adeguatamente motivata, ma purché tali prove siano un’integrazione dei fatti dedotti in giudizio, altrimenti si ricadrebbe nel caso di inerzia delle parti. Il vero problema appare quindi proprio la definizione di terzietà del giudice, ovvero del vincolo del giudice di garantire l’equilibrio tra le parti in causa, e per tale intendo la sua terzietà nel giudicare se la mancanza di prove dedotte in giudizio sia legata a mera negligenza delle parti o dovuta ad altri motivi che lo obbligherebbero a ricercare anche aliunde ogni elemento di prova valido per il suo convincimento nel giudizio. Senza l’appurazione di tale distinzione ogni soluzione interpretativa prospettata apparirebbe corretta in base alle diverse chiavi di lettura che alla norma si volessero dare. Purtroppo il giudice della sentenza di cui si discute ha inasprito ulteriormente questo dubbio, anziché aiutare a superarlo, riconoscendo egli stesso che “date le incertezze anche nella giurisprudenza circa la portata del principio di terzietà del giudice, si ritiene opportuno procedere a compensazione delle spese”. Il giudice tributario, ad ogni modo, non deve correre il rischio di trasformarsi in organo attivo dell’Amministrazione finanziaria, ma nemmeno limitarsi a ricercare la verità solo attraverso la documentazione hinc inde proposta se tale documentazione lo allontana dal pronunciarsi in modo ragionevolmente motivato. In entrambi i casi il giudice rischia di perdere irrimediabilmente la sua terzietà nel giudicato, in lesione del diritto costituzionalmente garantito dall’art. 111, che vuole il giusto processo nonché la garanzia di libertà dei giudici nel ricercare la verità in ogni modo possibile assicurando così, quel principio cardine della nostra costituzione, che troppe volte sfugge ai più, per il quale “la legge è uguale per tutti”. Vero è che abbracciare la tesi di un’interpretazione estensiva dei poteri istruttori dei giudici tributari porta al rischio, già prospettato in dottrina, che i giudici, anziché limitarsi ad una funzione integratrice dell’attività istruttoria delle parti, ne travalichino i limiti delineati dai fatti dedotti in giudizio, degradando la natura dispositiva del processo tributario. Ecco perché occorre mettere un paletto a detto potere, ma senza che ciò sia di intralcio all’operato del giudice nel ricercare la verità dei fatti dedotti in giudizio. E’ qui che è auspicabile un intervento legislativo, essendo allo stato attuale non garantita l’opportunità che il giudice proceda in modo officioso al reperimento delle prove per i fatti dedotti in giudizio, vista la divergenza di giudizi che tale vuoto legislativo ha creato a livello tanto dottrinario che giurisprudenziale. Il giudizio che può aiutare a delimitare questo confine e che meglio ha colto questa sottile differenza, sottolineando cosa debba intendersi per terzietà nel giudicato al fine di garantire il giusto processo, è forse, a mio avviso, la Cass. 24 novembre 2000 n. 1521432, che, pur riconoscendo ai giudici tributari il potere di acquisire aliunde gli elementi di decisione, pone comunque un limite a tale potere: In tema di contenzioso tributario, ai sensi dell’art. 7 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che assegna alle Commissioni tributarie ampi poteri istruttori, i giudici tributari di merito possono acquisire “aliunde” gli elementi di decisione. Tuttavia, l’onere dell’ufficio di provare i fatti costitutivi della pretesa fiscale può solo essere integrato, ma non integralmente sostituito, mediante l’utilizzo di tali poteri, da detti giudici. Antonio Pazienza 32 In Serv. Doc. Econ. Trib., http://dt.finanze.it. 7