CITTÀ DELLE DONNE TUNISI,
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CITTÀ DELLE DONNE TUNISI,
Photo © Osmel Fabre TUNISI, CITTÀ DELLE DONNE di Silvia Del Vecchio P agine nate dal desiderio di raccontare una storia facendo vivere le emozioni, uscendo dal prodotto a tema sulla recente rivoluzione araba. In Tunisi, taxi di sola andata (No Reply, pp. 160 ¤ 12) Ilaria Guidantoni, giornalista e scrittrice fiorentina, è riuscita a rappresentare il clima di entusiasmo, attesa e preoccupazione attraverso persone comuni, lasciando sullo sfondo la situazione politica. Giocando con il lettore attraverso interviste, episodi in presa diretta e qualche espediente narrativo intorno alla vicenda della protagonista. Il libro traccia una cartografia dei luoghi del potere e della protesta tunisina, addentrandosi per le vie della città. «È un romanzo verità, nel quale l’aspetto dell’immaginazione visiva è centrale», spiega l’autrice. «L’ultimo capitolo è costruito come una sceneggia- tura cinematografica, un mosaico corale di voci. Non è un caso che la prefazione sia scritta dal mio amico regista Mourad Ben Cheikh, presente nella sezione Un certain régard dello scorso Festival di Cannes con il docufilm sulla rivoluzione tunisina Plus Jamais Peur. Qualche spunto è venuto da lì e da alcune mie fotografie». Ilaria definisce la sua esperienza a Tunisi «un viaggio senza ritorno, che qualsiasi visitatore può fare se smette di essere turista. Come guardarsi allo specchio: leggere l’Europa al contrario, dalla sponda sud del Mediterraneo, o la storia di Roma dalla parte dei conquistati. Ho scoperto un’identità in me di cui non avevo coscienza: l’essere mediterranea, prima che italiana». Ma vivere un luogo fino in fondo significa anche sovvertire l’ordine delle priorità: «a Tunisi la gente mi parlava in arabo perché non sembravo un’estranea. Non mi chiedevano di dove fossi, ma se ero cristiana, musulmana o ebrea. Quanto al vissuto politico, ho squarciato il velo di Maya di chi vive in una democrazia e non sa cosa vogliano dire paura, sospetto, lusso e laicità. Se si è conosciuto in modo amicale qualcuno che è stato torturato per le proprie idee, non si può tornare ad essere turista della dignità». Dai tassisti la Guidantoni ha imparato molto. Sono stati la prima ispirazione e il contatto più frequente con la società locale. Ma anche le prime persone dalle quali è stata messa in guardia, perché in gran parte spie di Ben Ali diventate rivoluzionari e sostenitori di Ennahda durante la Primavera araba. «Sono lo specchio della società tunisina, perché costano poco e sono in contatto quotidiano con tutta la popolazione. A Tunisi i taxi non si aspettano mai, se ne prendono tanti, anche per fare la spesa. Sempre con la radio accesa, lì dentro si ascolta musica, ci si informa, si prega, ci si conosce». Ma è solo l’inizio del rinnovamento, la fase acuta che nasce, quasi magicamente, appena i tempi sono maturi. «Il malessere era sotto traccia da molto, c’erano già stati episodi incendiari, timidi e disorganizzati. In ogni caso quella tunisina, la prima rivoluzione 2.0, come molti l’hanno definita, è stata autenticamente popolare e relativamente spontanea. Una rivoluzione dei giovani e delle donne. Ma quella vera, della mentalità e del processo, è appena agli albori e la costruzione è lunga e incerta. Anche a livello culturale, il messaggio non è ancora stato metabolizzato». Come donna, l’autrice si è sentita coinvolta in prima persona perché, per la dignità e i valori trasmessi, è stata soprattutto una ribellione femminile. Vi hanno partecipato le signore della porta accanto, persone semplici e spesso fortemente tradizionaliste. «Molte giovani arabe mi hanno raccontato la loro battaglia per l’abolizione delle cosiddette riserve – parità nell’eredità, nell’accesso alla vita pubblica e patria potestà condivisa – che il clima di liberazione ha favorito. Delle tunisine mi ha colpito il senso pratico post rivolta, il sostegno dato agli uomini e il richiamo al senso pratico. E l’avversione diffusa, perfino tra le più praticanti, a un partito politico religioso al potere. I risultati, però, hanno dato torto alla presunta laicità del Paese. Ma c’è sicuramente un’intellettualità allineata su posizioni europeiste, spinta da persone di grande valore, forse ancorate a un certo femminismo non utile in tempi difficili e immaturi». MAR2012 51