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Impazza il trend della cosmesi “eco-bio”.
Ecco come scegliere consapevolmente.
La natura
ti fa bella
(e sana)
di Giovanna Lodato
Prendersi cura di sé
senza danneggiare
l’ambiente. Con quante
sostanze entriamo
ogni giorno in contatto
svolgendo la nostra
toeletta quotidiana?
Creme, lozioni, saponi,
make-up, tutti prodotti
fondamentali per la cura
della persona, spesso
con ingredienti possono
avere effetti nocivi sulla
salute. Questo motivo
sta alla base del boom di
mercato dei cosiddetti
cosmetici eco-bio:
vediamo di cosa si tratta
e come li possiamo
riconoscere tra gli scaffali.
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Cosmetici eco-bio Scelta consapevole
L’Aloe vera (famiglia Aloeacee)
è una delle piante oggi più utilizzata come ingrediente naturale di
prodotti cosmetici e nutraceutici.
La cosmetica eco-bio
Vuoto legislativo
Come possiamo essere sicuri di utilizzare
prodotti cosmetici che oltre ad apportare
benefici reali alla nostra pelle, siano anche
amici dell’ambiente? Proviamo a rispondere assieme a questa domanda.
«Parlare di eco-dermocosmesi significa una
cosmesi eco-compatibile e dermo-compatibile, rigorosamente scientifica e avanzata
tecnologicamente», spiega la professoressa
Riccarda Serri, specialista in Dermatologia
dell’Università di Milano, nonché presidente di Skineco, l’Associazione Internazionale di Dermatologia Ecologica. Un
nuovo tipo di approccio nella cura della
persona che inizia a prendere sempre più
piede anche sul mercato, con i cosmetici
cosiddetti “eco-bio”. Soltanto dieci anni
fa l’ICEA, l’Istituto di Certificazione Etica
e Ambientale, certificava in Italia il primo
eco-bio cosmetico. Oggi sono ben 2.560 i
prodotti a pregiarsi di tale riconoscimento.
«Negli ultimi anni si registra, a livello
europeo e mondiale, un aumento di pelli
sensibili; pelli reattive; dermatosi cosmetogene, causate o slatentizzate da cosmetici
(dermatite seborroica, rosacea, acne adulta,
dermatite irritativa da contatto) dermatite
atopica; cute asfittica; “pori dilatati”; comedoni; iperpigmentazioni post-infiammatorie. Sono anche in aumento le pelli che
non migliorano, nonostante l’uso di prodotti cosmetici e la comparsa di secchezza
e desquamazione», continua la Serri per
spiegare questo nuovo trend di mercato.
Affezioni riconducibili a varie cause, tra
le quali si riconosce l’utilizzo di prodotti
contenenti ingredienti cosmetici nocivi
per la pelle. Sempre secondo la presidente
di Skineco molti ingredienti, pur essendo
atossici e ipoallergizzanti, si rivelano sulla
lunga distanza poco “dermo-compatibili”.
Allo stesso tempo tali ingredienti sono
spesso poco ecocompatibili, ma un’alternativa c’è
ed è rappresentata dai
prodotti naturali.
Un’opzione senz’altro allettante quella di
impiegare cosmetici in linea con ciò che
Madre Natura ci ha donato. Eppure, nonostante la disponibilità di alcuni prodotti, non è così semplice per il consumatore
districarsi tra le proposte presenti in commercio. Come conferma Skineco, ad oggi,
manca un disciplinare standard, un regolamento unico europeo.
Insomma la norma non prevede nel merito una definizione vera e propria. E ne dà
notizia, in una nota, anche l’associazione
italiana di consumatori Altroconsumo: «La
normativa in vigore definisce in modo preciso quali sono gli ingredienti consentiti
(naturali e chimici) e le quantità massime
perché i cosmetici siano sicuri e non
abbiano conseguenze sulla salute».
Una mancanza che può
essere subito compresa:
«L’attenzione posta
dal legislatore sugli
ingredienti - tiene
a precisare la Serri
- trova ragione nel
bisogno esistente di
proteggere il consumatore da possibili
effetti negativi dovuti
alla presenza di specifiche sostanze o preparazioni che possano danneggiare
l’uomo in relazione a proprietà
intrinseche di pericolosità».
Resta, tuttavia, irrisolta la necessità di
maggior chiarezza per riuscire a distinguere tra ciò che è realmente naturale e
ciò che si professa tale, magari sulla scia
dell’imperante green economy. Come testimonia Altroconsumo: «Non essendoci una
legge che stabilisca quantità e qualità degli
ingredienti naturali perché un cosmetico
possa definirsi “naturale”, tutto è lasciato
all’onestà e alla trasparenza dei produttori
e quindi c’è chi ne approfitta. Gli slogan
ingannevoli si sprecano, ma basta girare la
confezione per scoprire che nella lista degli
ingredienti resta ben poco della natura vantata in etichetta».
Una questione
di etichetta
Per questo è così importante interpretare
l’INCI, l’International Nomenclature of
Cosmetic Ingredients, la denominazione
internazionale utilizzata per indicare in
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etichetta i diversi ingredienti del prodotto cosmetico. Viene usata in tutti gli stati
membri dell’UE e in molti altri Paesi nel
mondo, tra cui Usa, Russia, Brasile, Canada e Sudafrica.
Ai sensi della Direttiva 96/335/CE, in Europa dal 1997 è obbligatorio che ogni cosmetico immesso sul mercato riporti sulla confezione l’elenco degli ingredienti, trascritti
in ordine decrescente di concentrazione al
momento della loro incorporazione. Perciò
al primo posto si indica l’ingrediente contenuto in percentuale più alta, a seguire gli
altri, fino a quello contenuto in percentuale
più bassa. Al di sotto dell’1% gli ingredienti possono essere indicati in ordine sparso.
La nomenclatura INCI contiene alcuni termini in latino (riferiti ai nomi botanici e a
L’olivo è oggi molto sfruttato per quelli di ingredienti presenti nella farmala preparazione di cosmetici nacopea), mentre la maggioranza è in
turali.
inglese. Nel caso dei coloranti si
utilizzano le numerazioni secondo
il Colour Index, ad esclusione dei
coloranti per capelli, che vanno sempre indicati con il loro
nome chimico inglese.
Finalità dell’INCI è
quella di permettere alle persone con
allergie di identificare nell’immediato
la presenza di sostanze
potenzialmente dannose
all’interno di un prodotto
prima del suo impiego.
Qualità certificata
Le certificazioni di settore danno senz’altro una mano a scegliere prodotti di qualità,
consentendo di distinguere i prodotti “naturali” e operare una scelta
I marchi di qualità certificata
eco-bio per cosmetici rilasciati responsabile.
Da alcuni anni sono diversi i
da ICEA e AIAB
sistemi di certificazione volontari per la cosmesi biologica e naturale. All’estero
si distinguono marchi di
certificazione come Bdih,
Ecocert, Soil Association,
Cosmos e Na True. In Italia
AIAB, l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, ha creato il marchio
Bio Eco Cosmesi, assegnato ai prodotti
realizzati con materie prime da agricoltura
biologica o da raccolta spontanea, privi di
sostanze a rischio (come gli allergizzanti)
e che non contengono materiali potenzialmente nocivi, anche nell’imballaggio.
Una certificazione Eco Bio Cosmesi è rila37
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sciata anche da ICEA. I prodotti riportanti
tale denominazione S sono ottenuti utilizzando materie prime vegetali provenienti
da coltivazioni biologiche o da raccolta
spontanea certificate ai sensi del Regolamento CE 834/07. Tra i requisiti principali
che lo standard vuole garantire, compaiono l’assenza di materie prime non vegetali
considerate “a rischio”, ovvero allergizzanti, irritanti o ritenute dannose per la salute
dell’uomo e dell’ambiente, senza trascurare le performance del prodotto, ma anche
l’ecosostenibilità del packaging.
Dal 2011, inoltre, è entrato in vigore Cosmos - Cosmetics Organic Standard, disciplinare che definisce e regolamenta il
cosmetico biologico e naturale, condiviso
e approvato da tutti i principali certificatori
europei (Icea, la tedesca Bdih, le francesi
Ecocert e Cosmebio, l’inglese Soil Association). I nuovi standard europei prevedono due livelli distinti di certificazione:
una per il prodotto biologico, una per il
prodotto naturale. Per il primo, impone
che sia bio almeno il 95% degli ingredienti
vegetali ottenibili con semplici metodologie fisiche di estrazione, e almeno il 20%
sul totale del prodotto finito, considerando
anche l’acqua. Inoltre il cosmetico naturale non dovrà avere più del 2% di materie
prime di sintesi.
Buoni e cattivi
Cerchiamo ora di capire, in concreto, quali
sono gli ingredienti più o meno compatibili
per pelle e ambiente. Ad oggi una letteratura che interpreti la questione in maniera
univoca non c’è. I maligni sostengono che
si tratti di una scelta voluta, orientata dalle
leggi del mercato: prodotti di marche bla-
sonate, con ingredienti aggressivi e scarsamente biodegradabili, a basso costo e
magari derivati dal petrolio. Un circolo che
- comunque sia - dà linfa vitale a una porzione sostanziosa dell’economia mondiale.
Una consapevolezza ben affermata, tuttavia, esiste: quello che fa bene oggi può
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far male domani. «Non esiste alcuna
indicazione circa la biodegradabilità e
la ecocompatibilità degli ingredienti stessi,
come altresì non esiste la valutazione degli
effetti cutanei a lunga distanza. Un esempio concreto è dato dall’uso continuativo
di prodotti filmanti e occlusivi (siliconi e
petrolati), che favorisce la comparsa di pori
dilatati e cute “asfittica”», dichiara la Serri.
Per questi motivi Skineco parla di un’ecodermocosmesi che vada a braccetto con la
limitazione dei seguenti ingredienti (che
verranno descritti di seguito nell’apposito box):
• petrolatum, paraffinum liquidum,
mineral oil;
• siliconi (ciclometicone, dimeticone, etc);
• polietilenglicoli (PEG), poiché
contengono ossido di etilene che può
formare diossano;
• cessori di formaldeide (diazolydinyl urea, imidazolidinyl urea,
DMDM hydantoin, bronopol, etc);
• ammine (DEA, MEA, TEA,
MIPA);
• EDTA: ittiotossico;
• nonoxynol, poloxamer e nonilfenoli: in quanto disturbatori endocrini;
• triclosan, antibatterico tossico se
presente in concentrazioni eccessive;
• trimonium e dimonium: ittiotossici, non biodegradabili.
Secondo la suddetta associazione,
una percentuale massima dello 0,52% è ottimamente tollerata e migliora
la performance del prodotto. Valori superiori possono creare delle situazioni di reUn sapone liquido a base di olio
attività locale, secchezza, desquamazione,
d’oliva (detto in inglese “castil
oil”), certificato eco-bio, com- possono portare ad un’acutizzazione delle
dermatiti seborroiche e alla formazione di
mercializzato negli Usa.
microcisti.
Un’interpretazione in linea anche con i
principali sistemi di certificazione. Infatti
il disciplinare Icea-Aiab per garantire un
prodotto eco-bio prescrive una lista di sostanze da bandire, tra cui compaiono le seguenti, alcune delle quali saranno descritte
nel box di seguito:
• PEG, PPG derivati (tensioattivi, solubilizzanti, emollienti, solventi ecc.);
• composti etossilati (tensioattivi, emulsionanti, solubilizzanti ecc.);
• tensioattivi notoriamente aggressivi e
poco dermocompatibili;
• sostanze che possono provocare danni
ambientali ed ecologici;
• composti che possono dare origine a
nitrosammine (sostanze cancerogene);
• derivati animali come collagene, sego
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e placenta;
• siliconi e derivati siliconici;
• polimeri acrilici (emulsionanti, modificatori reologici, filmanti, agenti antistatici ecc.);
• conservanti come la formaldeide e i
suoi cessori, tiazolinoni, derivati del
fenilmecurio, carbanilidi, borati, fenoli alogenati, cresoli alogenati;
• coloranti di origine sintetica;
• derivati dell’alluminio e del silicio di
origine sintetica.
Indicazioni pratiche
Per i consumatori poco avvezzi alla chimica - oltre che affidarsi alle certificazioni - non resta che seguire le indicazioni
delle associazioni di consumatori, alcune
delle quali hanno realizzato dei veri e propri prontuari per leggere la lista degli ingredienti. «Se ai primi posti ci sono tanti
componenti in latino, il prodotto è in buona
parte naturale. Anche se non sono in latino, sono ingredienti di qualità: tocopherol
o tocopheryl acetate (vitamina E), panthenol (vitamina B5), titanium dioxide o zinc
oxide, glucoside», indica Altroconsumo,
secondo la quale per definizione un “cosmetico naturale” deve essere:
• senza parabeni come conservanti (si
può tollerare una piccola quantità di
etyle methyl paraben anche se non è
naturale);
• senza antimicrobici: BHT, BHA e triclosan;
• senza conservanti che possono rilasciare formaldeide: DMDM hydantoin, midazolidinyl urea, diazolidinyl
urea, formaldehyde, sodium hydroxymethylglycinate;
• senza petrolio e suoi derivati e senza
silicone (tutti gli ingredienti che terminano in -one o che contengono la
parola siloxane);
• senza PEG e senza coloranti chimici
(CI più un numero);
• senza profumi chimici (vanno bene gli
oli essenziali indicati con parfum, oil e
il nome latino dell’essenza).
Per aiutare il lettore a orientarsi in questa
selva di composti chimici, naturali e non,
nel box che conclude questo articolo descriviamo brevemente le caratteristiche di
alcuni dei componenti più diffusi nei cosmetici che le donne (ma oggi anche molti
uomini) usano quotidianamente.
Giovanna Lodato
Cosmetici eco-bio Scelta consapevole
I PRINCIPALI COMPONENTI DEI PRODOTTI COSMETICI
Paraffina
Petrolatum, paraffinum liquidum o mineral oil sono i possibili nomi riportati nell’INCI per definire più
comunemente la paraffina. Si tratta di una miscela di idrocarburi solidi, in prevalenza alcani, le cui molecole presentano catene con più di 20 atomi di carbonio.
È ricavata dal petrolio e si presenta come una massa cerosa, biancastra, insolubile in acqua e negli acidi.
I suoi principali impieghi sono nella fabbricazione di candele, lubrificanti, isolanti elettrici, per la patinatura della carta e per produrre cosmetici, oli e creme per bambini, gomme da masticare.
Composti a rilascio di formaldeide
Formaldeide
Vi sono alcuni conservanti adoperati in cosmesi che possono rilasciare formaldeide, come DMDM
hydantoin, midazolidinyl urea, diazolidinyl urea, formaldehyde, sodium hydroxymethylglycinate.
La formaldeide o aldeide fòrmica (CH2O) in soluzione acquosa al 37% è nota in commercio anche con
il nome di formalina. Rappresenta un potente battericida: per questo trova largo impiego in campo
domestico come disinfettante e nella produzione di tessuti a livello industriale.
L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC), sin dal 2004, ha inserito la formaldeide
nell’elenco delle sostanze considerate con certezza cancerogene per la specie umana. Inoltre la formaldeide è considerata in grado di interferire con i legami tra Dna e proteine.
Anche se l’uso nei prodotti finiti è da tempo caduto in disuso in Europa, è opportuno osservare come
invece siano tollerati dei succedanei della formaldeide. Infatti le due molecole imidazolidinil-urea e
diazolidinil-urea sono permesse e diffuse come conservanti antimicrobici nei cosmetici ma fungono
da “cessori di formaldeide”. «Ciò significa che, durante la vita del prodotto, esse cedono formaldeide
inibendo la crescita batterica all’interno del prodotto» spiega il dottor Massimo Perrone, chimico cosmetologo, in una nota diffusa dalla società scientifica ISPLAD, l’International-Italian Society of PlasticAesthetic and Oncologic Dermatology. «Il loro uso, sebbene spesso oggetto di critiche e di valutazioni di
esperti, è per ora ancora considerato sicuro. Sebbene le concentrazioni in gioco di formaldeide siano
sensibilmente più basse di quelle usate anni fa, secondo alcuni autori un rischio per la salute umana
potrebbe teoricamente esistere ancora, soprattutto nell’uso prolungato (si pensi ai prodotti di uso
quotidiano) e/o se i prodotti vengono in parte inalati».
DMDM hydantoin
Etanolammine
L’etanolammina è un prodotto chimico ottenuto per reazione dell’ammoniaca acquosa con l’ossido di
etilene. Il prodotto si presenta in tre forme: monoetanolamina (MEA), dietanolamina (DEA), trietanolammina (TEA).
Le etanolammine sono utilizzate principalmente come sostanze tensioattive, nonché per la purificazione dei gas e per la preparazione di metalli e di prodotti tessili. Presenti in cosmetici, detergenti,
shampoo e condizionatori, queste sostanze si trovano combinate sia fra loro, sia con altri tensioattivi o
emulsionanti e vengono facilmente assorbite dalla pelle.
La monoetanolammina è prodotta facendo reagire l’ossido di
etilene con ammoniaca (NH3) acquosa, la reazione produce anche
dietanolammina e trietanolammina. Il rapporto dei prodotti può
essere controllato cambiando la
stechiometria dei reagenti.
PEG e PPG
PEG e PPG, rispettivamente glicole polietilenico e
polipropilenico, rientrano nei polietilenglicoli, una
classe di composti presenti nella maggior parte dei
prodotti cosmetici in commercio. Sono di derivazione sintetica, ottenuti tramite processo di polimerizzazione dell’ossido di etilene.
In campo cosmetico e farmaceutico vengono impiegati in qualità di emulsionanti per la preparazione di
unguenti e creme, ma anche, shampoo e detergenti
per il corpo. Se negli ultimi due preparati i PEG consentono di ottenere emulsioni viscose, nelle creme
assicurano emulsioni ad effetto emolliente e umettante.
Il polietilen glicol (PEG), un polimero di sintesi ampiamente usato nei prodotti cosmetici.
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Tensioattivi
Tensioattivo o surfattante è quella sostanza che, disciolta in acqua, consente ad un prodotto di rimuovere lo sporco. La sua composizione chimica è complessa ma sono i fosfolipidi a garantire la detersione.
I moderni tensioattivi presenti nei cosmetici vengono impiegati in miscele costituite da molecole con
caratteristiche chimiche differenti. Ne esistono di diversi tipi:
• Tensioattivi anionici. Si chiamano così perché, immessi in soluzione acquosa, generano anioni carichi
negativamente. I tensioattivi anionici puliscono molto bene e producono schiuma abbondante: per
questo sono tra i tensioattivi più usati nei detergenti. Tuttavia si tratta di sostanze assai sgrassanti,
con un pH che in acqua diventa alcalino, mentre quello della nostra pelle è acido, con un valore intorno al 5.5. Per beneficiare delle buone qualità detergenti dei tensioattivi anionici si uniscono a questi
dei tensioattivi non ionici; mentre, per neutralizzare il pH, si aggiungono acidi deboli tipo acido lattico o acido citrico. I più noti tensioattivi anionici sono gli alchilsolfati, alcoilsarcoinati, alchilsemisolfuccinati, condensati tra acidi grassi e aminoacidi. Invece, tra i tensioattivi anionici di origine naturale, si
segnalano coco glucoside, decyl glucoside e sodium lauroyl glutamate.
• Tensioattivi non ionici. Sono definiti in tal modo perché non si ionizzano in soluzione con l’acqua. Il
loro pH è neutro (7) e, di solito, vengono adoperati come tensioattivi da addizionare ad altri perché
addolciscono l’azione detergente dei tensioattivi anionici. I più noti tensioattivi non ionici sono gli
alchiloamidi, esteri del glucosio e del saccarosio, alchilaminossidi, derivati etossilati.
• Tensioattivi anfoteri. Hanno la proprietà di modificare, a seconda della soluzione in cui sono immessi,
la loro carica elettrica e quindi le loro caratteristiche acide e alcaline. Pertanto in una soluzione alcalina si comportano da tensioattivi anionici con carica negativa o pH alcalino; mentre in soluzione acida
si comportano come tensioattivi cationici con carica positiva e pH acido. Questo tipo di tensioattivi
trova molte applicazioni perché non irrita gli occhi o la cute, grazie ad un’azione detergente delicata,
ed è spesso miscelato con tensioattivi anionici. Tra i principali tensioattivi anfoteri ci sono le imidazoline e le betaine.
• Tensioattivi cationici. In soluzione acquosa producono cationi, con carica elettrica positiva e pH acido. Si tratta di un tipo di tensioattivo scarsamente usato, a causa del basso potere detergente. Di
vengono mischiati con quelli non ionici e con gli anfoteri. Tra i tensioattivi cationici più noti ci sono i
sali quaternari di ammonio, sali di piridinio quaternario, sali di isochinolinio quaternario.
Tra i tensioattivi più utilizzati nei detersivi tradizionali, gli etossilati la fanno senza dubbio da padrone.
Si tratta di composti di origine naturale a cui in modo artificiale è stata aggiunta una parte di origine
petrolchimica, per renderne la lavorazione più semplice ed economica.
Rientrano in questo gruppo anche i laurilsolfati, in particolare di sodio - tra cui sodium lauryl sulfate
(SLS) e sodium laureth sulfate (SLES) - utilizzati comunemente nell’industria cosmetica ma anche nei
prodotti per la pulizia industriale.
L’SLS rappresenta un prodotto storico nel campo della detergenza. Da alcuni anni gli si è preferito
l’SLES, che porta ad ottenere formulazioni sì meno economiche ma anche meno irritanti sulla cute. In
barba alle diverse critiche mosse, ad oggi, non esistono in letteratura dati riguardanti una loro eventuale pericolosità. Anche la Commissione della Comunità Europea per la sicurezza dei prodotti cosmetici li ha,
di recente, definiti sicuri sotto tutti i profili.
Unici inconvenienti a cui si potrebbe andare incontro
utilizzando detergenti etossilati sono una maggiore secchezza dei capelli o della cute, irritazioni degli occhi e
della pelle e, in rari casi, irritazioni del tratto respiratorio
superiore (ma solo se utilizzato in elevate quantità e in soggetti predisposti). Le case produttrici cercano comunque di ovviare a questi inconvenienti aggiungendo alle formulazioni sostanze emollienti e
nutritive oppure utilizzando miscele di tensioattivi, in modo ridurne gli effetti indesiderati.
Sodio lauril solfato (SLS)
In ogni caso «Utilizzare detergenti poveri di tensioattivi, quindi poco schiumogeni, per non alterare il
film idrolipidico di superficie e non ridurre il suo effetto-barriera» rientra tra I 10 comandamenti della
bellezza suggeriti dagli esperti della già citata ISPLAD per le pelli di ogni età.
Siliconi
Comparsi sulla scena soltanto agli inizi degli anni Novanta, sono diventati tra i protagonisti indiscussi
delle preparazioni cosmetiche. Si tratta di composti prodotti in laboratorio, a base di silicio, capaci di
formare numerose molecole, caratterizzate da lunghe catene con proprietà chimico-fisiche anche molto diverse tra loro.
Per quanto concerne i siliconi cosmetici ne esistono diversi tipi come ci spiegano gli esperti di Skineco: da quelli ciclici, con struttura ad anello, che sono assai poco untuosi ed evaporano in poco tempo
(cyclomethicone, cyclopentasiloxane, cyclohexasiloxane), a quelli mediamente unti e che non evapo-
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rano (dimethicone e suoi derivati), a quelli molto untuosi e pesanti (come il dimethicone copolyol). Il
loro ampio utilizzo deriva del fatto che sono sostanze con ottime caratteristiche per le formulazioni
cosmetiche: sono leggeri e non danno la stessa sensazione di untuosità dei grassi vegetali; conferiscono un’impareggiabile tocco setoso sulla pelle; sono resistenti al calore e all’ossidazione, e non rappresentano un buon terreno di coltura per i batteri; abbattono la schiuma, ovvero evitano il formarsi
della scia bianca mentre si spalma una crema, anche in percentuali molto basse; non danno allergie,
non penetrano all’interno della pelle; sono idrorepellenti; aumentano la performance dei filtri solari sia
chimici che fisici.
I siliconi, perciò, sono largamente impiegati nelle creme solari resistenti all’acqua, nelle creme viso a “effetto seta”, creme corpo vellutanti, prodotti lucidanti per capelli, fondotinta con ottima resa cosmetica.
Buone prestazioni ma solo all’apparenza: «Spesso vengono utilizzati per mascherare formulazioni scadenti, povere di principi attivi - chiarisce Skineco - danno appagamento immediato con la sensazione di
pelle setosa, ma il cosmetico altro non fa. Utilizzati sui capelli danno buoni risultati estetici alle prime
applicazioni, poi la chioma, appesantita da siliconi che si depositano e non riescono ad essere lavati via,
diventa floscia e senza corpo».
Secondo l’Associazione non sono un granché neppure le loro prestazioni ambientali. Non sono assolutamente biodegradabili, finiscono negli scarichi fognari tal quali e poi si accumulano nell’ambiente.
Inoltre per quanto concerne la loro nocività, fino a una concentrazione del 2% circa i siliconi sono tollerabili e migliorano le perfomance delle formulazioni cosmetiche, in percentuali troppo elevate (quando
si trovano tra i primi posti dell’INCI) non sono dermo-compatibili e producono una situazione di ingannevole soddisfazione cosmetica.
Parabeni
Metilparabene
Sono una classe di composti organici aromatici, esteri dell’acido 4-idrossibenzoico, utilizzati da oltre
50 anni come conservanti nell’industria cosmetica, farmaceutica e alimentare per le loro proprietà battericide e fungicide. La loro efficacia combinata ad costo contenuto senz’altro spiega il perché siano
tanto utilizzati.
I parabeni più comuni sono metilparabene (methylparaben, E218), etilparabene (ethylparaben, E214),
propilparabene (propylparaben, E216) e butilparabene (butylparaben). Meno diffusi sono isobutilparabene (isobutylparaben), isopropilparabene (isopropylparaben), benzilparabene (benzylparaben) e
loro rispettivi sali.
L’allarme sulla presunta pericolosità dei parabeni è nato dopo uno studio di Philippa Darbre, oncologa dell’università di Reading del Regno Unito, pubblicato nel gennaio del 2004 sul Journal of Applied
Toxicology. Nello studio eseguito su 20 campioni prelevati da donne affette da neoplasia al seno, si evidenzia come nella maggior parte dei campioni (18) vi sia un’elevata presenza di parabeni, in particolar
modo di metilparabene. Un’indagine tuttavia limitata in termini di numerosità del campione - che non
ha avuto seguito vista la mancanza di fondi - che, perciò, non dimostra inequivocabilmente il nesso tra
insorgenza di tumore e impiego di parabeni.
Se la Danimarca ha deciso di vietare i parabeni nei prodotti destinati a soggetti di età inferiore ai 36
mesi, il Comitato Scientifico per la Sicurezza del Consumatore (Scientific Committee on Consumer Safety
- SCCS) dell’Unione Europea ha comunque preso in esame la questione nel dicembre 2010. Si è stabilito
che l’utilizzo di butilparabene e propilparabene è da considerarsi sicuro fino a una concentrazione pari
allo 0,19%, anche se le attuali direttive cosmetiche permettono un utilizzo di tali tipi di parabeni a concentrazioni più elevate (0,40% per gli esteri e 0,80% per le miscele di esteri).
Relativamente ad altri parabeni, nella fattispecie il metilparabene e l’etilparabene, il Comitato ha affermato che essi sono da considerarsi sicuri alle massime concentrazioni attualmente consentite. Il
Comitato, infine, non ha espresso pareri su altri composti quali l’isopropilparabene, l’isobutilparabene
e il fenilparabene in quanto i dati a disposizione sono ritenuti insufficienti.
Il nickel: un caso a parte
L’allergia ai metalli pesanti, nickel in primis, è un fenomeno sempre più frequente nella società di oggi
(si veda anche Green n. 25, pagg. 10-17). Il nichel è presente in natura ed è contenuto anche nel nostro
organismo come microelemento. È l’esposizione cronica in persone particolarmente sensibilizzate a
provocare allergia, che si manifesta con eczemi ed eritemi sulla pelle esposta. Non rientra tra gli ingredienti dei prodotti cosmetici ma può essere presente come impurezza derivante dalla lavorazione e lo
si può trovare anche nei gioielli, nei detersivi e negli alimenti.
Secondo le indicazioni di Skineco è responsabile del 25% delle allergie da contatto scatenate dai cosmetici perché la pelle è un organo di deposito nel quale il nickel si accumula ma difficilmente si elimina.
Nei soggetti sani la pelle tollera valori di 100 ppm, parti per milione, mentre in quelli già sensibilizzati la
soglia per riaccendere una reazione è di 1 ppm. Nei prodotti di aziende che controllano la sua presenza
si osservano livelli di nichel inferiori 1 ppm. In caso di pelle sensibile, è consigliabile scegliere cosmetici
testati che garantiscano un contenuto del metallo inferiore allo 0,00001%.
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