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Xxxx Xxx Impazza il trend della cosmesi “eco-bio”. Ecco come scegliere consapevolmente. La natura ti fa bella (e sana) di Giovanna Lodato Prendersi cura di sé senza danneggiare l’ambiente. Con quante sostanze entriamo ogni giorno in contatto svolgendo la nostra toeletta quotidiana? Creme, lozioni, saponi, make-up, tutti prodotti fondamentali per la cura della persona, spesso con ingredienti possono avere effetti nocivi sulla salute. Questo motivo sta alla base del boom di mercato dei cosiddetti cosmetici eco-bio: vediamo di cosa si tratta e come li possiamo riconoscere tra gli scaffali. 35 n.28 | Dicembre 2012 Cosmetici eco-bio Scelta consapevole L’Aloe vera (famiglia Aloeacee) è una delle piante oggi più utilizzata come ingrediente naturale di prodotti cosmetici e nutraceutici. La cosmetica eco-bio Vuoto legislativo Come possiamo essere sicuri di utilizzare prodotti cosmetici che oltre ad apportare benefici reali alla nostra pelle, siano anche amici dell’ambiente? Proviamo a rispondere assieme a questa domanda. «Parlare di eco-dermocosmesi significa una cosmesi eco-compatibile e dermo-compatibile, rigorosamente scientifica e avanzata tecnologicamente», spiega la professoressa Riccarda Serri, specialista in Dermatologia dell’Università di Milano, nonché presidente di Skineco, l’Associazione Internazionale di Dermatologia Ecologica. Un nuovo tipo di approccio nella cura della persona che inizia a prendere sempre più piede anche sul mercato, con i cosmetici cosiddetti “eco-bio”. Soltanto dieci anni fa l’ICEA, l’Istituto di Certificazione Etica e Ambientale, certificava in Italia il primo eco-bio cosmetico. Oggi sono ben 2.560 i prodotti a pregiarsi di tale riconoscimento. «Negli ultimi anni si registra, a livello europeo e mondiale, un aumento di pelli sensibili; pelli reattive; dermatosi cosmetogene, causate o slatentizzate da cosmetici (dermatite seborroica, rosacea, acne adulta, dermatite irritativa da contatto) dermatite atopica; cute asfittica; “pori dilatati”; comedoni; iperpigmentazioni post-infiammatorie. Sono anche in aumento le pelli che non migliorano, nonostante l’uso di prodotti cosmetici e la comparsa di secchezza e desquamazione», continua la Serri per spiegare questo nuovo trend di mercato. Affezioni riconducibili a varie cause, tra le quali si riconosce l’utilizzo di prodotti contenenti ingredienti cosmetici nocivi per la pelle. Sempre secondo la presidente di Skineco molti ingredienti, pur essendo atossici e ipoallergizzanti, si rivelano sulla lunga distanza poco “dermo-compatibili”. Allo stesso tempo tali ingredienti sono spesso poco ecocompatibili, ma un’alternativa c’è ed è rappresentata dai prodotti naturali. Un’opzione senz’altro allettante quella di impiegare cosmetici in linea con ciò che Madre Natura ci ha donato. Eppure, nonostante la disponibilità di alcuni prodotti, non è così semplice per il consumatore districarsi tra le proposte presenti in commercio. Come conferma Skineco, ad oggi, manca un disciplinare standard, un regolamento unico europeo. Insomma la norma non prevede nel merito una definizione vera e propria. E ne dà notizia, in una nota, anche l’associazione italiana di consumatori Altroconsumo: «La normativa in vigore definisce in modo preciso quali sono gli ingredienti consentiti (naturali e chimici) e le quantità massime perché i cosmetici siano sicuri e non abbiano conseguenze sulla salute». Una mancanza che può essere subito compresa: «L’attenzione posta dal legislatore sugli ingredienti - tiene a precisare la Serri - trova ragione nel bisogno esistente di proteggere il consumatore da possibili effetti negativi dovuti alla presenza di specifiche sostanze o preparazioni che possano danneggiare l’uomo in relazione a proprietà intrinseche di pericolosità». Resta, tuttavia, irrisolta la necessità di maggior chiarezza per riuscire a distinguere tra ciò che è realmente naturale e ciò che si professa tale, magari sulla scia dell’imperante green economy. Come testimonia Altroconsumo: «Non essendoci una legge che stabilisca quantità e qualità degli ingredienti naturali perché un cosmetico possa definirsi “naturale”, tutto è lasciato all’onestà e alla trasparenza dei produttori e quindi c’è chi ne approfitta. Gli slogan ingannevoli si sprecano, ma basta girare la confezione per scoprire che nella lista degli ingredienti resta ben poco della natura vantata in etichetta». Una questione di etichetta Per questo è così importante interpretare l’INCI, l’International Nomenclature of Cosmetic Ingredients, la denominazione internazionale utilizzata per indicare in 36 n.28 | Dicembre 2012 Cosmetici eco-bio Scelta consapevole etichetta i diversi ingredienti del prodotto cosmetico. Viene usata in tutti gli stati membri dell’UE e in molti altri Paesi nel mondo, tra cui Usa, Russia, Brasile, Canada e Sudafrica. Ai sensi della Direttiva 96/335/CE, in Europa dal 1997 è obbligatorio che ogni cosmetico immesso sul mercato riporti sulla confezione l’elenco degli ingredienti, trascritti in ordine decrescente di concentrazione al momento della loro incorporazione. Perciò al primo posto si indica l’ingrediente contenuto in percentuale più alta, a seguire gli altri, fino a quello contenuto in percentuale più bassa. Al di sotto dell’1% gli ingredienti possono essere indicati in ordine sparso. La nomenclatura INCI contiene alcuni termini in latino (riferiti ai nomi botanici e a L’olivo è oggi molto sfruttato per quelli di ingredienti presenti nella farmala preparazione di cosmetici nacopea), mentre la maggioranza è in turali. inglese. Nel caso dei coloranti si utilizzano le numerazioni secondo il Colour Index, ad esclusione dei coloranti per capelli, che vanno sempre indicati con il loro nome chimico inglese. Finalità dell’INCI è quella di permettere alle persone con allergie di identificare nell’immediato la presenza di sostanze potenzialmente dannose all’interno di un prodotto prima del suo impiego. Qualità certificata Le certificazioni di settore danno senz’altro una mano a scegliere prodotti di qualità, consentendo di distinguere i prodotti “naturali” e operare una scelta I marchi di qualità certificata eco-bio per cosmetici rilasciati responsabile. Da alcuni anni sono diversi i da ICEA e AIAB sistemi di certificazione volontari per la cosmesi biologica e naturale. All’estero si distinguono marchi di certificazione come Bdih, Ecocert, Soil Association, Cosmos e Na True. In Italia AIAB, l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, ha creato il marchio Bio Eco Cosmesi, assegnato ai prodotti realizzati con materie prime da agricoltura biologica o da raccolta spontanea, privi di sostanze a rischio (come gli allergizzanti) e che non contengono materiali potenzialmente nocivi, anche nell’imballaggio. Una certificazione Eco Bio Cosmesi è rila37 n.28 | Dicembre 2012 sciata anche da ICEA. I prodotti riportanti tale denominazione S sono ottenuti utilizzando materie prime vegetali provenienti da coltivazioni biologiche o da raccolta spontanea certificate ai sensi del Regolamento CE 834/07. Tra i requisiti principali che lo standard vuole garantire, compaiono l’assenza di materie prime non vegetali considerate “a rischio”, ovvero allergizzanti, irritanti o ritenute dannose per la salute dell’uomo e dell’ambiente, senza trascurare le performance del prodotto, ma anche l’ecosostenibilità del packaging. Dal 2011, inoltre, è entrato in vigore Cosmos - Cosmetics Organic Standard, disciplinare che definisce e regolamenta il cosmetico biologico e naturale, condiviso e approvato da tutti i principali certificatori europei (Icea, la tedesca Bdih, le francesi Ecocert e Cosmebio, l’inglese Soil Association). I nuovi standard europei prevedono due livelli distinti di certificazione: una per il prodotto biologico, una per il prodotto naturale. Per il primo, impone che sia bio almeno il 95% degli ingredienti vegetali ottenibili con semplici metodologie fisiche di estrazione, e almeno il 20% sul totale del prodotto finito, considerando anche l’acqua. Inoltre il cosmetico naturale non dovrà avere più del 2% di materie prime di sintesi. Buoni e cattivi Cerchiamo ora di capire, in concreto, quali sono gli ingredienti più o meno compatibili per pelle e ambiente. Ad oggi una letteratura che interpreti la questione in maniera univoca non c’è. I maligni sostengono che si tratti di una scelta voluta, orientata dalle leggi del mercato: prodotti di marche bla- sonate, con ingredienti aggressivi e scarsamente biodegradabili, a basso costo e magari derivati dal petrolio. Un circolo che - comunque sia - dà linfa vitale a una porzione sostanziosa dell’economia mondiale. Una consapevolezza ben affermata, tuttavia, esiste: quello che fa bene oggi può Cosmetici eco-bio Scelta consapevole far male domani. «Non esiste alcuna indicazione circa la biodegradabilità e la ecocompatibilità degli ingredienti stessi, come altresì non esiste la valutazione degli effetti cutanei a lunga distanza. Un esempio concreto è dato dall’uso continuativo di prodotti filmanti e occlusivi (siliconi e petrolati), che favorisce la comparsa di pori dilatati e cute “asfittica”», dichiara la Serri. Per questi motivi Skineco parla di un’ecodermocosmesi che vada a braccetto con la limitazione dei seguenti ingredienti (che verranno descritti di seguito nell’apposito box): • petrolatum, paraffinum liquidum, mineral oil; • siliconi (ciclometicone, dimeticone, etc); • polietilenglicoli (PEG), poiché contengono ossido di etilene che può formare diossano; • cessori di formaldeide (diazolydinyl urea, imidazolidinyl urea, DMDM hydantoin, bronopol, etc); • ammine (DEA, MEA, TEA, MIPA); • EDTA: ittiotossico; • nonoxynol, poloxamer e nonilfenoli: in quanto disturbatori endocrini; • triclosan, antibatterico tossico se presente in concentrazioni eccessive; • trimonium e dimonium: ittiotossici, non biodegradabili. Secondo la suddetta associazione, una percentuale massima dello 0,52% è ottimamente tollerata e migliora la performance del prodotto. Valori superiori possono creare delle situazioni di reUn sapone liquido a base di olio attività locale, secchezza, desquamazione, d’oliva (detto in inglese “castil oil”), certificato eco-bio, com- possono portare ad un’acutizzazione delle dermatiti seborroiche e alla formazione di mercializzato negli Usa. microcisti. Un’interpretazione in linea anche con i principali sistemi di certificazione. Infatti il disciplinare Icea-Aiab per garantire un prodotto eco-bio prescrive una lista di sostanze da bandire, tra cui compaiono le seguenti, alcune delle quali saranno descritte nel box di seguito: • PEG, PPG derivati (tensioattivi, solubilizzanti, emollienti, solventi ecc.); • composti etossilati (tensioattivi, emulsionanti, solubilizzanti ecc.); • tensioattivi notoriamente aggressivi e poco dermocompatibili; • sostanze che possono provocare danni ambientali ed ecologici; • composti che possono dare origine a nitrosammine (sostanze cancerogene); • derivati animali come collagene, sego 38 n.28 | Dicembre 2012 e placenta; • siliconi e derivati siliconici; • polimeri acrilici (emulsionanti, modificatori reologici, filmanti, agenti antistatici ecc.); • conservanti come la formaldeide e i suoi cessori, tiazolinoni, derivati del fenilmecurio, carbanilidi, borati, fenoli alogenati, cresoli alogenati; • coloranti di origine sintetica; • derivati dell’alluminio e del silicio di origine sintetica. Indicazioni pratiche Per i consumatori poco avvezzi alla chimica - oltre che affidarsi alle certificazioni - non resta che seguire le indicazioni delle associazioni di consumatori, alcune delle quali hanno realizzato dei veri e propri prontuari per leggere la lista degli ingredienti. «Se ai primi posti ci sono tanti componenti in latino, il prodotto è in buona parte naturale. Anche se non sono in latino, sono ingredienti di qualità: tocopherol o tocopheryl acetate (vitamina E), panthenol (vitamina B5), titanium dioxide o zinc oxide, glucoside», indica Altroconsumo, secondo la quale per definizione un “cosmetico naturale” deve essere: • senza parabeni come conservanti (si può tollerare una piccola quantità di etyle methyl paraben anche se non è naturale); • senza antimicrobici: BHT, BHA e triclosan; • senza conservanti che possono rilasciare formaldeide: DMDM hydantoin, midazolidinyl urea, diazolidinyl urea, formaldehyde, sodium hydroxymethylglycinate; • senza petrolio e suoi derivati e senza silicone (tutti gli ingredienti che terminano in -one o che contengono la parola siloxane); • senza PEG e senza coloranti chimici (CI più un numero); • senza profumi chimici (vanno bene gli oli essenziali indicati con parfum, oil e il nome latino dell’essenza). Per aiutare il lettore a orientarsi in questa selva di composti chimici, naturali e non, nel box che conclude questo articolo descriviamo brevemente le caratteristiche di alcuni dei componenti più diffusi nei cosmetici che le donne (ma oggi anche molti uomini) usano quotidianamente. Giovanna Lodato Cosmetici eco-bio Scelta consapevole I PRINCIPALI COMPONENTI DEI PRODOTTI COSMETICI Paraffina Petrolatum, paraffinum liquidum o mineral oil sono i possibili nomi riportati nell’INCI per definire più comunemente la paraffina. Si tratta di una miscela di idrocarburi solidi, in prevalenza alcani, le cui molecole presentano catene con più di 20 atomi di carbonio. È ricavata dal petrolio e si presenta come una massa cerosa, biancastra, insolubile in acqua e negli acidi. I suoi principali impieghi sono nella fabbricazione di candele, lubrificanti, isolanti elettrici, per la patinatura della carta e per produrre cosmetici, oli e creme per bambini, gomme da masticare. Composti a rilascio di formaldeide Formaldeide Vi sono alcuni conservanti adoperati in cosmesi che possono rilasciare formaldeide, come DMDM hydantoin, midazolidinyl urea, diazolidinyl urea, formaldehyde, sodium hydroxymethylglycinate. La formaldeide o aldeide fòrmica (CH2O) in soluzione acquosa al 37% è nota in commercio anche con il nome di formalina. Rappresenta un potente battericida: per questo trova largo impiego in campo domestico come disinfettante e nella produzione di tessuti a livello industriale. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC), sin dal 2004, ha inserito la formaldeide nell’elenco delle sostanze considerate con certezza cancerogene per la specie umana. Inoltre la formaldeide è considerata in grado di interferire con i legami tra Dna e proteine. Anche se l’uso nei prodotti finiti è da tempo caduto in disuso in Europa, è opportuno osservare come invece siano tollerati dei succedanei della formaldeide. Infatti le due molecole imidazolidinil-urea e diazolidinil-urea sono permesse e diffuse come conservanti antimicrobici nei cosmetici ma fungono da “cessori di formaldeide”. «Ciò significa che, durante la vita del prodotto, esse cedono formaldeide inibendo la crescita batterica all’interno del prodotto» spiega il dottor Massimo Perrone, chimico cosmetologo, in una nota diffusa dalla società scientifica ISPLAD, l’International-Italian Society of PlasticAesthetic and Oncologic Dermatology. «Il loro uso, sebbene spesso oggetto di critiche e di valutazioni di esperti, è per ora ancora considerato sicuro. Sebbene le concentrazioni in gioco di formaldeide siano sensibilmente più basse di quelle usate anni fa, secondo alcuni autori un rischio per la salute umana potrebbe teoricamente esistere ancora, soprattutto nell’uso prolungato (si pensi ai prodotti di uso quotidiano) e/o se i prodotti vengono in parte inalati». DMDM hydantoin Etanolammine L’etanolammina è un prodotto chimico ottenuto per reazione dell’ammoniaca acquosa con l’ossido di etilene. Il prodotto si presenta in tre forme: monoetanolamina (MEA), dietanolamina (DEA), trietanolammina (TEA). Le etanolammine sono utilizzate principalmente come sostanze tensioattive, nonché per la purificazione dei gas e per la preparazione di metalli e di prodotti tessili. Presenti in cosmetici, detergenti, shampoo e condizionatori, queste sostanze si trovano combinate sia fra loro, sia con altri tensioattivi o emulsionanti e vengono facilmente assorbite dalla pelle. La monoetanolammina è prodotta facendo reagire l’ossido di etilene con ammoniaca (NH3) acquosa, la reazione produce anche dietanolammina e trietanolammina. Il rapporto dei prodotti può essere controllato cambiando la stechiometria dei reagenti. PEG e PPG PEG e PPG, rispettivamente glicole polietilenico e polipropilenico, rientrano nei polietilenglicoli, una classe di composti presenti nella maggior parte dei prodotti cosmetici in commercio. Sono di derivazione sintetica, ottenuti tramite processo di polimerizzazione dell’ossido di etilene. In campo cosmetico e farmaceutico vengono impiegati in qualità di emulsionanti per la preparazione di unguenti e creme, ma anche, shampoo e detergenti per il corpo. Se negli ultimi due preparati i PEG consentono di ottenere emulsioni viscose, nelle creme assicurano emulsioni ad effetto emolliente e umettante. Il polietilen glicol (PEG), un polimero di sintesi ampiamente usato nei prodotti cosmetici. 39 n.28 | Dicembre 2012 Cosmetici eco-bio Scelta consapevole Tensioattivi Tensioattivo o surfattante è quella sostanza che, disciolta in acqua, consente ad un prodotto di rimuovere lo sporco. La sua composizione chimica è complessa ma sono i fosfolipidi a garantire la detersione. I moderni tensioattivi presenti nei cosmetici vengono impiegati in miscele costituite da molecole con caratteristiche chimiche differenti. Ne esistono di diversi tipi: • Tensioattivi anionici. Si chiamano così perché, immessi in soluzione acquosa, generano anioni carichi negativamente. I tensioattivi anionici puliscono molto bene e producono schiuma abbondante: per questo sono tra i tensioattivi più usati nei detergenti. Tuttavia si tratta di sostanze assai sgrassanti, con un pH che in acqua diventa alcalino, mentre quello della nostra pelle è acido, con un valore intorno al 5.5. Per beneficiare delle buone qualità detergenti dei tensioattivi anionici si uniscono a questi dei tensioattivi non ionici; mentre, per neutralizzare il pH, si aggiungono acidi deboli tipo acido lattico o acido citrico. I più noti tensioattivi anionici sono gli alchilsolfati, alcoilsarcoinati, alchilsemisolfuccinati, condensati tra acidi grassi e aminoacidi. Invece, tra i tensioattivi anionici di origine naturale, si segnalano coco glucoside, decyl glucoside e sodium lauroyl glutamate. • Tensioattivi non ionici. Sono definiti in tal modo perché non si ionizzano in soluzione con l’acqua. Il loro pH è neutro (7) e, di solito, vengono adoperati come tensioattivi da addizionare ad altri perché addolciscono l’azione detergente dei tensioattivi anionici. I più noti tensioattivi non ionici sono gli alchiloamidi, esteri del glucosio e del saccarosio, alchilaminossidi, derivati etossilati. • Tensioattivi anfoteri. Hanno la proprietà di modificare, a seconda della soluzione in cui sono immessi, la loro carica elettrica e quindi le loro caratteristiche acide e alcaline. Pertanto in una soluzione alcalina si comportano da tensioattivi anionici con carica negativa o pH alcalino; mentre in soluzione acida si comportano come tensioattivi cationici con carica positiva e pH acido. Questo tipo di tensioattivi trova molte applicazioni perché non irrita gli occhi o la cute, grazie ad un’azione detergente delicata, ed è spesso miscelato con tensioattivi anionici. Tra i principali tensioattivi anfoteri ci sono le imidazoline e le betaine. • Tensioattivi cationici. In soluzione acquosa producono cationi, con carica elettrica positiva e pH acido. Si tratta di un tipo di tensioattivo scarsamente usato, a causa del basso potere detergente. Di vengono mischiati con quelli non ionici e con gli anfoteri. Tra i tensioattivi cationici più noti ci sono i sali quaternari di ammonio, sali di piridinio quaternario, sali di isochinolinio quaternario. Tra i tensioattivi più utilizzati nei detersivi tradizionali, gli etossilati la fanno senza dubbio da padrone. Si tratta di composti di origine naturale a cui in modo artificiale è stata aggiunta una parte di origine petrolchimica, per renderne la lavorazione più semplice ed economica. Rientrano in questo gruppo anche i laurilsolfati, in particolare di sodio - tra cui sodium lauryl sulfate (SLS) e sodium laureth sulfate (SLES) - utilizzati comunemente nell’industria cosmetica ma anche nei prodotti per la pulizia industriale. L’SLS rappresenta un prodotto storico nel campo della detergenza. Da alcuni anni gli si è preferito l’SLES, che porta ad ottenere formulazioni sì meno economiche ma anche meno irritanti sulla cute. In barba alle diverse critiche mosse, ad oggi, non esistono in letteratura dati riguardanti una loro eventuale pericolosità. Anche la Commissione della Comunità Europea per la sicurezza dei prodotti cosmetici li ha, di recente, definiti sicuri sotto tutti i profili. Unici inconvenienti a cui si potrebbe andare incontro utilizzando detergenti etossilati sono una maggiore secchezza dei capelli o della cute, irritazioni degli occhi e della pelle e, in rari casi, irritazioni del tratto respiratorio superiore (ma solo se utilizzato in elevate quantità e in soggetti predisposti). Le case produttrici cercano comunque di ovviare a questi inconvenienti aggiungendo alle formulazioni sostanze emollienti e nutritive oppure utilizzando miscele di tensioattivi, in modo ridurne gli effetti indesiderati. Sodio lauril solfato (SLS) In ogni caso «Utilizzare detergenti poveri di tensioattivi, quindi poco schiumogeni, per non alterare il film idrolipidico di superficie e non ridurre il suo effetto-barriera» rientra tra I 10 comandamenti della bellezza suggeriti dagli esperti della già citata ISPLAD per le pelli di ogni età. Siliconi Comparsi sulla scena soltanto agli inizi degli anni Novanta, sono diventati tra i protagonisti indiscussi delle preparazioni cosmetiche. Si tratta di composti prodotti in laboratorio, a base di silicio, capaci di formare numerose molecole, caratterizzate da lunghe catene con proprietà chimico-fisiche anche molto diverse tra loro. Per quanto concerne i siliconi cosmetici ne esistono diversi tipi come ci spiegano gli esperti di Skineco: da quelli ciclici, con struttura ad anello, che sono assai poco untuosi ed evaporano in poco tempo (cyclomethicone, cyclopentasiloxane, cyclohexasiloxane), a quelli mediamente unti e che non evapo- 40 n.28 | Dicembre 2012 Cosmetici eco-bio Scelta consapevole rano (dimethicone e suoi derivati), a quelli molto untuosi e pesanti (come il dimethicone copolyol). Il loro ampio utilizzo deriva del fatto che sono sostanze con ottime caratteristiche per le formulazioni cosmetiche: sono leggeri e non danno la stessa sensazione di untuosità dei grassi vegetali; conferiscono un’impareggiabile tocco setoso sulla pelle; sono resistenti al calore e all’ossidazione, e non rappresentano un buon terreno di coltura per i batteri; abbattono la schiuma, ovvero evitano il formarsi della scia bianca mentre si spalma una crema, anche in percentuali molto basse; non danno allergie, non penetrano all’interno della pelle; sono idrorepellenti; aumentano la performance dei filtri solari sia chimici che fisici. I siliconi, perciò, sono largamente impiegati nelle creme solari resistenti all’acqua, nelle creme viso a “effetto seta”, creme corpo vellutanti, prodotti lucidanti per capelli, fondotinta con ottima resa cosmetica. Buone prestazioni ma solo all’apparenza: «Spesso vengono utilizzati per mascherare formulazioni scadenti, povere di principi attivi - chiarisce Skineco - danno appagamento immediato con la sensazione di pelle setosa, ma il cosmetico altro non fa. Utilizzati sui capelli danno buoni risultati estetici alle prime applicazioni, poi la chioma, appesantita da siliconi che si depositano e non riescono ad essere lavati via, diventa floscia e senza corpo». Secondo l’Associazione non sono un granché neppure le loro prestazioni ambientali. Non sono assolutamente biodegradabili, finiscono negli scarichi fognari tal quali e poi si accumulano nell’ambiente. Inoltre per quanto concerne la loro nocività, fino a una concentrazione del 2% circa i siliconi sono tollerabili e migliorano le perfomance delle formulazioni cosmetiche, in percentuali troppo elevate (quando si trovano tra i primi posti dell’INCI) non sono dermo-compatibili e producono una situazione di ingannevole soddisfazione cosmetica. Parabeni Metilparabene Sono una classe di composti organici aromatici, esteri dell’acido 4-idrossibenzoico, utilizzati da oltre 50 anni come conservanti nell’industria cosmetica, farmaceutica e alimentare per le loro proprietà battericide e fungicide. La loro efficacia combinata ad costo contenuto senz’altro spiega il perché siano tanto utilizzati. I parabeni più comuni sono metilparabene (methylparaben, E218), etilparabene (ethylparaben, E214), propilparabene (propylparaben, E216) e butilparabene (butylparaben). Meno diffusi sono isobutilparabene (isobutylparaben), isopropilparabene (isopropylparaben), benzilparabene (benzylparaben) e loro rispettivi sali. L’allarme sulla presunta pericolosità dei parabeni è nato dopo uno studio di Philippa Darbre, oncologa dell’università di Reading del Regno Unito, pubblicato nel gennaio del 2004 sul Journal of Applied Toxicology. Nello studio eseguito su 20 campioni prelevati da donne affette da neoplasia al seno, si evidenzia come nella maggior parte dei campioni (18) vi sia un’elevata presenza di parabeni, in particolar modo di metilparabene. Un’indagine tuttavia limitata in termini di numerosità del campione - che non ha avuto seguito vista la mancanza di fondi - che, perciò, non dimostra inequivocabilmente il nesso tra insorgenza di tumore e impiego di parabeni. Se la Danimarca ha deciso di vietare i parabeni nei prodotti destinati a soggetti di età inferiore ai 36 mesi, il Comitato Scientifico per la Sicurezza del Consumatore (Scientific Committee on Consumer Safety - SCCS) dell’Unione Europea ha comunque preso in esame la questione nel dicembre 2010. Si è stabilito che l’utilizzo di butilparabene e propilparabene è da considerarsi sicuro fino a una concentrazione pari allo 0,19%, anche se le attuali direttive cosmetiche permettono un utilizzo di tali tipi di parabeni a concentrazioni più elevate (0,40% per gli esteri e 0,80% per le miscele di esteri). Relativamente ad altri parabeni, nella fattispecie il metilparabene e l’etilparabene, il Comitato ha affermato che essi sono da considerarsi sicuri alle massime concentrazioni attualmente consentite. Il Comitato, infine, non ha espresso pareri su altri composti quali l’isopropilparabene, l’isobutilparabene e il fenilparabene in quanto i dati a disposizione sono ritenuti insufficienti. Il nickel: un caso a parte L’allergia ai metalli pesanti, nickel in primis, è un fenomeno sempre più frequente nella società di oggi (si veda anche Green n. 25, pagg. 10-17). Il nichel è presente in natura ed è contenuto anche nel nostro organismo come microelemento. È l’esposizione cronica in persone particolarmente sensibilizzate a provocare allergia, che si manifesta con eczemi ed eritemi sulla pelle esposta. Non rientra tra gli ingredienti dei prodotti cosmetici ma può essere presente come impurezza derivante dalla lavorazione e lo si può trovare anche nei gioielli, nei detersivi e negli alimenti. Secondo le indicazioni di Skineco è responsabile del 25% delle allergie da contatto scatenate dai cosmetici perché la pelle è un organo di deposito nel quale il nickel si accumula ma difficilmente si elimina. Nei soggetti sani la pelle tollera valori di 100 ppm, parti per milione, mentre in quelli già sensibilizzati la soglia per riaccendere una reazione è di 1 ppm. Nei prodotti di aziende che controllano la sua presenza si osservano livelli di nichel inferiori 1 ppm. In caso di pelle sensibile, è consigliabile scegliere cosmetici testati che garantiscano un contenuto del metallo inferiore allo 0,00001%. 41 n.28 | Dicembre 2012