paper financial reporting, SICOLI, MAZZOTTA, BRONZETTI
Transcript
paper financial reporting, SICOLI, MAZZOTTA, BRONZETTI
INTELLECTUAL CAPITAL REPORT ITALIAN LISTED COMPANIES: QUALITATIVE RESEARCH IN A Abstract The importance of Intellectual capital (now on IC) has generated the need to drive the company to measure it has in the value creation. IC influence performance and, if properly used, create economic benefits for the whole organization. To express such value and to answer the request of external environment, companies use different reporting tools. The work has the scope to examine, in the Italian listed companies (excluding financial one), for year 2008-2009. the IC information supplied using a content analysis, underliyng the quality and tipology of different reports. Abstract: L’importanza del capitale intellettuale (d’ora in poi IC) ha generato la necessità di dirigere le aziende a misurare il ruolo che questo ha nel processo di creazione del valore. L’IC influisce sulla performance dell’azienda e permette, se correttamente utilizzato, di creare benefici economici per l’intera organizzazione. Per esprimere questo valore e per rispondere alle esigenze dell’ambiente esterno, le imprese adottano strumenti di rendicontazione non sempre uniformi. Il lavoro si propone di analizzare, con riferimento alle società quotate italiane (escluse le finanziarie) per il biennio 2008-2009, il contenuto informativo del bilancio dell’IC, attraverso una content analysis, evidenziandone la qualità, la tipologia e gli elementi comuni tra i diversi bilanci. Parole chiave: capitale intellettuale, content analysis, rendicontazione 1 1. PREMESSA Nell’ultimo decennio la turbolenza e il dinamismo dello scenario economico-produttivo hanno spostato la competizione tra imprese dai tradizionali assets tangibili dell’economia industriale (risorse fisiche e finanziarie) ad altri,intangibili, come conoscenza, competenza, capacità innovativa e capitale umano. Nella dottrina, di fatto, l’ argomento non è nuovo; già nel 1920 Marshal considera la conoscenza come l’elemento chiave di ogni processo produttivo e nel 1959 la Penrose vede i modelli mentali dell’impresa come frutto dell’esperienza e della conoscenza. In Italia, le imprese per essere competitive devono imparare a cogliere tutte le opportunità che provengono dal sapere fare, dal sapere interpretare e dal sapere inventare Guatri (1997); devono quindi impossessarsi di vantaggi firm e context specific. La conoscenza, però, non è una risorse come le altre perché si deve accumulare e valorizzare nel tempo (Zambon, 2004). Così concepita la conoscenza contribuisce a generare e garantire nuovi vantaggi concorrenziali per le imprese. Nel tempo l’accumulo di conoscenza, competenze ed informazioni a disposizione dell’impresa ed in grado di generare valore inizia ad essere contestualizzato con il concetto di capitale intellettuale (Edvinsson e Malone, 1997; Marr e Schiuma, 2001; Sveiby, 1997). La consapevolezza dell’importanza del capitale intellettuale (IC) induce le aziende ad una rappresentazione e valutazione di tale risorsa facendola diventare oggetto di comunicazione agli stakeholders. Ciò contribuisce alla diffusione , su base volontaristica, di strumenti di rendicontazione in grado di comunicare il valore del capitale intellettuale e, nel contempo, di soddisfare le esigenze conoscitive dei diversi stakeholders (Liberatore 1996; Stewart, 1997). Nella realtà è difficile individuare un unico e uniforme strumento di rendicontazione, risultato condizionato anche dall’essere questi ultimi documenti volontari. Alla luce di quanto detto, il contributo si propone di analizzare, con riferimento alle società quotate presso la borsa valori di Milano il contenuto e l’ampiezza dei documenti di rendicontazione volontari che riportano informazioni sulle dimensioni del capitale intellettuale con il triplice obiettivo di individuare in quali documenti maggiormente si riportano informazioni sul capitale intellettuale, la qualità delle informazioni stesse e l’esistenza di una correlazione con il settore di attività. Il lavoro, pertanto, nel paragrafo che segue presenta una review della letteratura esistente per poi incentrarsi nel paragrafo tre sugli strumenti di rendicontazione. Nei paragrafi successi si presenta, invece, l’analisi effettuata su 52 documenti di rendicontazione elaborati da 26 2 società quotate italiane (escluse le finanziarie) per il biennio 2008-2009. L’analisi contenutistica e qualitativa è stata condotta con il metodo della content analysys mentre l’eventuale legame con il settore di attività con la tecnica della correlazione statistica. 2. IL CAPITALE INTELLETTUALE: UNA REVIEW DELLA LETTERATURA ESISTENTE Nel corso degli ultimi anni il tema del capitale intellettuale è stato oggetto di numerosi studi. Molti autori incentrano la loro attenzione sul ruolo delle risorse intangibili e dell’IC altri pongono l’accento sulla inadeguatezza di misurazione dei classici metodi contabili (Abeysekera, 2006; Guthrie e Pettie, 2000) altri ancora affrontano il tema della rendicontazione con riguardo ai diversi settori di attività (Davey, Schneider e Davey (2009). Altri autori effettuano ricerche con riferimento a particolari parametri (Abdolmohammadi, 2005) che evidenziano una significativa correlazione tra valore di capitalizzazione di società statunitensi quotate e la disclosure delle risorse intangibili. In Italia autori come Bozzolan et al. (2003) analizzano la disclosure volontaria effettuata da un ristretto numero di società quotate alla borsa valori, focalizzando la loro attenzione sui diversi fattori che possono influire metodi di disclosure volontaria sugli intangibili. Nonostante la numerosità e il diverso approccio al problema i diversi studi partono da una definizione di capitale intellettuale che viene condivisa nel presente lavoro. Considerandolo sotto l’aspetto qualitativo il capitale intellettuale è l’insieme di componenti intangibili che contribuiscono in vario modo a determinare il valore di un’impresa. Sotto l’aspetto quantitativo, invece, esprime tutte quelle risorse che costituiscono la fonte della differenza tra il valore di mercato e il valore contabile di un’organizzazione. Il capitale intellettuale racchiude in se risorse intellettuali, che trovano spazio nella mente degli individui che operano all’interno dell’organizzazione e che prendono la forma di know-how (capacità, esperienze), e assets intellettuali che identificano la conoscenza specifica sulla quale ogni azienda può esercitare diritti esclusivi di proprietà (Edvinsson e Malone 1997). Partendo dalla considerazione che il valore di ogni organizzazione proviene da due tipologie di capitale: quello finanziario e quello intellettuale, gli Autori hanno posto particolare attenzione nei confronti di 3 quest’ultimo suddividendolo in due categorie: capitale pensante e capitale non pensante. Il capitale pensante è prodotto dalla conoscenza, dalle abilità, dai comportamenti e dalle competenze delle persone “Human Capital”. Il capitale non pensante, invece, è prodotto dall’insieme di rapporti avviati con i clienti, con i fornitori e con ogni altro soggetto che entra in contatto con l’organizzazione aziendale “Structural Capital”. Sulla scorta delle intuizioni di Bontis (1998) la definizione di capitale intellettuale dei suddetti autori è stata ampliata da Cravera (2001), con l’aggiunta del termine relazioni. Perciò, accanto alle due categorie di capitale intellettuale appena menzionate, se ne sviluppa una terza definibile come l’insieme di procedure, istruzioni, modelli organizzativi, strumenti di comunicazione e quant’altro “Relational capital”. Quest’ultima categoria esplicita in maniera dettagliata che il capitale intellettuale possiede una componente esterna rappresentata dell’insieme di relazioni che l’azienda riesce ad instaurare con il mercato e con l’ambiente di riferimento. In particolare definendo le componenti del capitale intellettuale possiamo dire che: - Il capitale umano (CU) rappresenta l’insieme di conoscenze, competenze, esperienze, motivazione, abilità possedute delle persone che lavorano all’interno dell’impresa. Trattasi di una conoscenza che non è di proprietà di nessuno fatta eccezione per la persona che la possiede. Perciò, l’azienda per garantirsi un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo, deve riconoscere tale risorsa e trattenerla all’interno dell’organizzazione. A tal fine, molte sono le iniziative intraprese e dirette a rafforzare l’interesse dei singoli individui a rimanere in azienda. Si pensi ai diversi sistemi di incentivazione del personale: premi, incentivi, bonus e così via, che aumentano la probabilità che il dipendente si identifichi con l’azienda e, quindi, rafforzi il suo legame con essa. - Il capitale organizzativo o strutturale (CS), invece, è costituito dal know how codificato all’interno della struttura aziendale, dalla capacita di innovazione, dall’efficienza dei processi produttivi, dalle reti informatiche, dai brevetti, licenze, invenzioni, data base, procedure aziendali e così via. Rientrano sempre nel capitale organizzativo la struttura organizzativa ed i meccanismi operativi. Tutti gli elementi che compongono il capitale organizzativo costituiscono gli asset sui quali è opportuno investire perché di proprietà dell’impresa.. - II capitale relazionale (CR) , infine, rappresenta il patrimonio di relazioni instaurate dall’azienda con il mercato e, quindi, con i diversi interlocutori sociali attuali e potenziali (clienti, fornitori, finanziatori). Rientra sempre nel CR la reputazione e l’immagine dell’impresa. 4 Anche il CR, così come il CU, non è di proprietà dell’impresa, bensì, è condiviso con gli stakeholders. 3. I NUOVI STRUMENTI DI RENDICONTAZIONE AZIENDALE Negli ultimi anni è aumentato il numero delle aziende che hanno interpretato la valutazione del proprio capitale intellettuale come strumento gestionale per migliorare i processi decisionali e manageriali oltre che come strumento di comunicazione finanziaria. Il capitale intellettuale è oramai riconosciuto come elemento fondamentale da cui partire e dal quale ricavare valore aggiunto. Per questo motivo è importante analizzarlo, misurarlo e tenerlo nella giusta considerazione. Gli strumenti di natura contabile a disposizione delle imprese non si prestano a tale scopo. Si pensi al bilancio d’esercizio, che così come congeniato presenta dei limiti in termini di capacità e qualità dell’informazione che è in grado di offrire. Infatti, è un documento contabile statico eccessivamente orientato al passato e con poca propensione verso il futuro. Esso rappresenta soltanto quelle relazioni tra azienda ed ambiente che passano dalla mediazione del mercato e, perciò, si presta poco a rappresentare le relazioni interpersonali, i valori etici e morali, le conoscenze degli individui. (Guthrie e Petty, 2000; Powell, 2003). La disponibilità di informazioni aggiuntive, utili a valutare l’efficacia e l’efficienza dell’azienda per categorie di performance non considerate nel bilancio d’esercizio, aiuta gli stakeholders a comprendere e valutare le strategie messe in atto dall’azienda e, quindi, le potenzialità che questa stessa presenta in termini creazione di valore. Sono sempre più numerose le imprese che avvertono la necessità di predisporre nuovi strumenti capaci di comunicare gli asset intangibili, misurarli e, soprattutto, portarli a conoscenza degli stakeholders in quanto principali driver della creazione di valore aziendale (Guatri, 1997; Sveiby, 2004). È per questo motivo che molte aziende, su base volontaristica, affiancano al bilancio d’esercizio, nuovi documenti diretti a soddisfare il fabbisogno informativo degli stakeholders. Questa maggiore esigenza di comunicare con il mondo esterno ha indotto le imprese a mutare il proprio sistema di accountability orientandolo alle problematiche di rappresentazione degli intangibili (Gray et al. 1987; Rusconi, 2002; Matacena, 2005). 5 I nuovi documenti di rendicontazione aziendale si presentano in forma prettamente descrittivo/narrativo con richiami anche quantitativi, il cui scopo principale consiste nel comunicare agli stakeholders informazioni diverse da quelle contenute nel bilancio d’esercizio. Non esiste uno strumento standard universalmente accettato per la rappresentazione degli intangible d’impresa, ma diversi strumenti di rendicontazione. Si parla, spesso, sia in dottrina che nella prassi, di bilancio dell’intangibile, di bilancio sociale, ambientale, di sostenibilità e di bilancio del capitale intellettuale. Tra le varie tipologie di report molte sono le differenze, soprattutto in termini di modelli e standard adottati, ma tante anche le similitudini riscontrabili soprattutto nella finalità: comunicare informazioni diverse rispetto a quelle contenute nel bilancio d’esercizio. I diversi strumenti di rendicontazione sociale, ambientale e del CI hanno una valenza informativa sia interna, diretta ad orientare le scelte di gestione del management, sia esterna, diretta a soddisfare le esigenze conoscitive degli stakeholders. Le informazioni, a prescindere dal soggetto al quale sono indirizzate, devono essere in grado di illustrare in modo chiaro quali sono gli elementi di qualità dell’impresa nonché essere strumento di dialogo con tutti gli stakehoder che con essa entrano in contatto. Nel contempo, rendono conto, in modo chiaro ed esaustivo, dell’operato dell’impresa in termini di risorse utilizzate ed obiettivi raggiunti. Le informazioni contenute nei documenti in esame sono finalizzate a soddisfare in maniera dettagliata le esigenze conoscitive degli stakeholders. Si pensi, a titolo di esempio, agli indicatori relativi al CU: numero di dipendenti, titolo di studio posseduto e così via. I punti di contatto tra i diversi strumenti di rendicontazione degli intangible sono tanti e gli obiettivi addizionali, rispetto a quelli di natura economico-finanziaria, sono il prodotto di un nuovo modo di intendere l’impresa. Un’impresa, che rispetto, al passato, si comporta in modo più corretto andando oltre il semplice rispetto degli obblighi previsti dalle leggi e dalle norme etiche. Un’impresa maggiormente attenta agli interessi collettivi dei diversi stakeholders che cerca di realizzare le proprie finalità in maniera coerente con il rispetto dell’ambiente e del territorio, fino alla creazione e promozione di un circuito virtuoso che porta alla riqualificazione ed allo sviluppo del sistema in cui la stessa azienda opera (Epstein, 1962). 6 4. LA RICERCA: OBIETTIVO, CAMPIONE E METODOLOGIA Obiettivo Il contributo presenta tre diversi obiettivi poiché da una parte si prefigge si individuare il comportamento delle società quotate in tema di disclosure sul capitale intellettuale (e quindi determinare quante imprese forniscono tali informazioni), in secondo luogo quello di comprendere quale sia la qualità delle informazioni fornite sul IC e, infine, se questa dipenda dal settore di appartenenza dell’impresa. Campione Il campione è rappresentato dai 52 documenti di rendicontazione, redatti nel biennio 2008-2009, dalle società quotate alla borsa valori di Milano, escluse le imprese operanti nel settore finanziario, contenenti informazioni sul capitale intellettuale e resi accessibili on line agli stakeholders. L’analisi è stata condotta sulle società quotate perché esse sono di dimensioni maggiori e la letteratura esistente conferma che sono le imprese di più grandi dimensioni ad essere maggiormente attente ai problemi di rendicontazione. L’analisi dei web site aziendali ha permesso di individuare 26 imprese che rendicontano, seppur in diversi documenti, sul loro capitale intellettuale. Metodologia L’analisi è stata condotta cercando all’interno dei website aziendali delle società quotate italiane, per il biennio 2008-2009, la presenza di un report del capitale intellettuale. In sua assenza, l’analisi è stata condotta per parole chiave (quali per esempio: capitale intellettuale, risorse umane, capitale umano, capitale relazionale, capitale strutturale) al fine di rinvenire eventuali documenti (obbligatori o facoltativi) nei quali le società quotate operanti nel settore dei servizi e industriali forniscono informazioni in tema di IC. Inizialmente, sono state lette tutte le sezioni di relazioni sociali e di sostenibilità presenti sui website. Successivamente, sono stati esaminati, più nel dettaglio, solo i documenti volontari contenenti informazioni sull’IC, ad esempio non è stata esaminata la relazione sulla corporate governance perché essa è una comunicazione obbligatoria per le società quotate e quindi è fuori dai confini di questa ricerca che per l’appunto si sofferma su un tipo di disclosure volontaria. Nello studio fatto non si è tenuto conto della quantità di spazio dedicata al capitale intellettuale da parte di ciascuna società (non essendo questo uno degli obiettivi dello 7 studio). A ciò si aggiunga che tali informazioni sono di tipo volontario e ogni azienda sceglie autonomamente la forma, la lunghezza e la tipologia delle informazioni da comunicare liberamente. Le informazioni raccolte in questa prima fase hanno permesso di circoscrivere il campione preso in considerazione. Infatti, dall’universo di riferimento sono state perciò escluse le 103 imprese che non riportavano all’interno dei loro documenti aziendali alcun richiamo al capitale intellettuale o ad una sua sub area. L’analisi è continuata sulle 85 imprese che presentavano nei loro documenti un richiamo al capitale intellettuale. Sono stati pertanto esaminati i documenti rilevati e, essendo la nostra analisi è incentrata sulla rappresentazione del capitale intellettuale in documenti non obbligatori, sono stati esclusi i documenti obbligatori. Ciò ha portato ad identificare un campione di 52 documenti di rendicontazione volontaria contenenti informazioni sull’IC redatti da 26 società quotate (allegato 1). La metodologia di indagine è quella della content analysis (Krippendorff, 2004) una metodologia ampiamente adottata negli studi sulla voluntary disclosure (Guthrie et al., 2004; Beattie e Thompson, 2007; Gray et al, 1995) e nello specifico nell’area del capitale intellettuale (Abeysekera, 2006; Guthrie et al, 2004; Bozzolan et al, 2003; Brennan, 2001; Guthrie e Petty, 2000). L’applicazione della content analysis (Milne e Adner, 1999; Krippendorf, 2004) presuppone lo sviluppo di diverse fasi quali: 1) la scelta dello schema per classificare le informazioni; 2) la definizione dell’unità di analisi nella quale valutare la presenza o l’assenza dell’informazione ricercata (la frase, il paragrafo, il grafico, etc.); 3) la definizione della procedura di codifica; 4) la codifica 5) la verifica ex-post dell’affidabilità dei dati ottenuti. Lo schema di riferimento (fase 1) utilizzato per la classificazione delle informazioni è di seguito riportato: 8 Tab.1 – Lo schema per la classificazione delle informazioni 1. Capitale strutturale Proprietà intellettuale 1.a. Brevetti 1.b diritti di autore 1.c marchi commerciali Beni infrastrutturali 1.d cultura aziendale 1.e processi manageriali 1.f. sistemi informativi 1.g. sistemi di networking 1.h progetti di ricerca 2. Capitale Relazionale 2.a marchi aziendali 2.b clienti 2.c fedeltà del cliente 2.d canali di distribuzione 2.e collaborazioni e business 2.f collaborazioni in ricerca 2.g licenze 3. Capitale Umano 3.a personale 3.b formazione 3. c know-how Fonte: Guthrie e Petty (2000) Le unità di ricerca (fase 2) in linea con altri studi sono condotte con riferimento ad una frase (Cerbioni e Parbonetti, 2007; Guthrie e Petty, 2000) e non tenendo conto di elementi grafici, diagrammi o fotografie (Unerman; 2000). Ciascuna frase è codificata attribuendo 0 se non è presente nessuna informazione sul capitale intellettuale, 1 se le informazioni sono presenti. È calcolato, inoltre, un indice complessivo ottenuto sommando le informazioni sul capitale intellettuale delle tre aree. Le informazioni ripetute sono considerate una sola volta. Come ultimo punto, al fine di assicurare un più elevato livello di affidabilità dei dati, le informazioni acquisite sono state verificate controllando con la tecnica del campionamento statistico causale le stesse. Allo stesso tempo si è cercato di individuare il metodo migliore per analizzare la quantità e la qualità informativa, passo complicato per la complessità e multidimensionalità insita nel concetto di capitale intellettuale (Diamond and Verrecchia, 1991; King, 1996). Per misurare la qualità delle informazioni sul capitale intellettuale si è calcolato lo spread tra informazioni fornite e desiderate (un alto numero di informazioni non fornite rispetto a quelle cercate determina un più ampio spread). Lo spread è stato calcolato con l’indice di concentrazione Herfindal Hirschiman (HHI) o contando il numero di informazioni non fornite. L’indice HHI è calcolato come HHI = Σniipi2 dove pi è la disclosure con riferimento all’informazione i-sima cercata (Bettie et al). Maggiore è il valore di HHI più elevata è la qualità della disclosure. L’indice HHI è stato calcolato con riferimento alla macro area (CU, relazionale e strutturale) e per sub-area (brevetti) Altra metodologia per misurare lo spread è quella di contare il numero di situazioni in cui l’impresa non fornisce informazioni, in questo 9 caso maggiore è il numero di informazioni non fornite maggiore sarà lo spread e quindi inferiore la qualità della disclosure. Rispetto al mero conteggio tale analisi permette di valutare la qualità in modo più completo e permette di comprendere la diffusione della comunicazione tra le tre aree di IC e le sub-aree delle stesse e di individuare il numero di sub-aree non vuote, utile proxy della qualità delle informazioni. 5. I RISULTATI DELLA RICERCA 5.1 STATISTICA DESCRITTIVA L’analisi condotta sulle 188 società quotate alla Borsa Italiana escluse quelle operanti nel settore finanziario ha permesso di individuare la presenza di 52 documenti di rendicontazione redatti da 26 imprese con riferimento al biennio 2008-2009. L’articolazione per settore di attività e la tipologia di documento redatto è sintetizzato nella tav. 1 che segue. Tav 1 – Documenti costituenti il campione analizzato e imprese di riferimento DENOMINAZIONE SETTORE DOCUMENTI IN CUI SI RIPORTANO INFORMAZIONI SUL CAPITALE INTELLETTUALE 1 ACEA PU BILANCIO SOSTENIBILITÀ E AMBIENTALE 2 ACEAGAS PU BILANCIO INTEGRATO 3 A2A PU BILANCIO SOSTENIBILITÀ 4 AUTOGRILL SERVIZI AL CONSUMO RAPPORTO DI SOSTENIBILITÀ 5 BUZZI UNICEM INDUSTRIA BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ 6 EDISON PU BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ 7 ENEL PU BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ 8 ENIA PU BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ 9 FALK PU BILANCIO AMBIENTALE 10 FIAT BENI DI CONSUMO BILANCIO SOSTENIBILITÀ 11 FINMECCANICA INDUSTRIA RAPPORTO DI SOSTENIBILITÀ 12 FNM SERVIZI AL CONSUMO RAPPORTO SOSTENIBILITÀ 13 HERA PU BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ 14 IMPREGILO INDUSTRIA RAPPORTO AMBIENTALE 15 INDESIT BENI DI CONSUMO BILANCIO SOSTENIBILITÀ 16 IRIDE PU BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ 17 ITALCEMENTI INDUSTRIA SOCIAL REPORT 18 ITWAY TECNOLOGIA BILANCIO SOCIALE E DI SOSTENIBILITÀ 19 LOTTOMATICA SERVIZI AL CONSUMO BILANCIO SOCIALE 20 MOLMED SALUTE DOCUMENTO DI SOSTENIBILITÀ 10 21 PIAGGIO BENI DI CONSUMO BILANCIO SOSTENIBILITÀ 22 SABAF INDUSTRIA BILANCIO SOCIALE 23 SNAM RETE GAS PU BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ 24 TELECOM TELECOMUNICAZIONI BILANCIO SOSTENIBILITÀ 25 TELECOM MEDIA SERVIZI AL CONSUMO REPORT SOSTENIBILITÀ 26 TERNA PU BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ Fonte: nostra rielaborazione Nei due anni esaminati la disclosure sul CI è incrementata del 5%. Gli strumenti di rendicontazione volontaria utilizzati dalle società del nostro campione per fornire informazioni sul capitale intellettuale sono denominati diversamente. Il documento più diffuso è il bilancio di sostenibilità cui seguono report e altri documenti volontari (bilancio ambientale o socio-ambientale, bilancio sociale, bilancio integrato). Nel 71% dei casi, infatti, il mezzo per richiamare il capitale intellettuale è il bilancio di sostenibilità, segue l’utlizzo del bilancio sociale (14% dei casi) e del bilancio ambientale (11%) (Fig. 1). Fig. 1 – denominazione del documento Fonte: nostra rielaborazione Gli strumenti di rendicontazione assumono una diversa valenza a seconda del settore di attività dell’impresa. Lasciando da parte i casi dei documenti redatti dalle imprese esaminate nel settore tecnologico, sanitario e delle telecomunicazioni per la non significatività del dato essendo presente una sola impresa per ciascun settore, le informazioni raccolte permettono di evidenziare una più ampia diffusione di tali documenti nel settore industriale, nel quale si ritrovano in misura paritetica bilanci sociali, ambientali e di sostenibilità. 11 Fig. 2 – Diffusione dei documenti Fonte: nostra rielaborazione Nel settore delle public utility, invece, il documento di rendicontazione che più degli altri contiene informazioni sul capitale intellettuale è il bilancio di sostenibilità. Il bilancio di sostenibilità prevale anche nelle imprese di servizi al consumo. La scelta del bilancio di sostenibilità molto probabilmente si ricollega anche alla tipologia di attività svolta. Le public utility, per esempio, operano in settori delicati che talvolta possono generare delle esternalità negative ad esempio sull’ambiente. Attraverso il bilancio di sostenibilità ogni impresa di public utilità ha modo di evidenziare il modo di comportarsi con riguardo a tali problematiche. 5.2 Contenuto documenti In termini di contenuto sono numerose le informazioni che vengono fornite dalle imprese in maniera differente a seconda della tipologia di documento elaborato. Il documento maggiormente utilizzato è il bilancio di sostenibilità e in esso si ritrova la classica tripartizione del CI1. Dall’analisi condotta si evince che ogni società dedica tradizionalmente alla componente “CU” una maggiore attenzione rispetto alle altre due componenti esaminate (CR e CS). Al CU è, generalmente, dedicata, dalle imprese del campione, una apposita sezione nella quale sono esposte 1 Si tratta Fiat Spa, Indesit, Piaggio, Buzzi Unicem, Finmeccanica, Acea, A2a, Edison, Enel, Enia, Hera, Iride, Snam Rete Gas, Terna, Molmed, Autogrill, Fnm, Telecom Italia Media e Telecom. 12 informazioni dettagliate su ruoli e anzianità di servizio, politiche di remunerazione e di crescita professionale, turnover e suddivisione per sesso e età. Con riferimento al CR generalmente è possibile riscontrare la presenza di alcune informazioni relative all’ascolto e alle politiche di fidelizzazione della propria clientela e sul generale coinvolgimento degli stakeholders. Le informazioni sul CS sono, invece, meno formalizzate e standardizzate rispetto alle altre due categorie di IC, ciò si ricollega anche al fatto che le stesse sono essenzialmente firm specific. L’importanza del CS è percepibile in prevalenza per le public utility, se non altro per la loro storia di imprese (in linea generale ) ex municipalizzate trasformate in spa nelle quali il ruolo prevalente è appunto svolto dal CS (impianti, reti, procedure organizzative). Il contenuto e il livello di dettaglio delle informazioni è influenzato anche dal settore di appartenenza delle imprese. Le public utility ad esempio, più delle altre imprese, anche in considerazione dell’attività di carattere pubblico da loro svolta, dedicano una sezione particolare al capitale intellettuale. Questa maggiore propensione alla disclosure è quindi, in parte, imputabile alla esigenza di fornire un’informativa completa e di maggiore dettaglio agli stakeholders. Per le imprese del campione si può in generale rilevare che, una buona parte dei documenti analizzati, è riservata all’illustrazione delle politiche condotte dall’azienda in tema di CU. Acea gas, per esempio, riporta le azioni volte a favorire il benessere e lo sviluppo professionale dei dipendenti e le politiche di incentivazione collettive. Il Gruppo Enel dedica invece particolare risalto alle attività formative del proprio personale all’ascolto, all’aumento delle conoscenze interne (job rotation, missioni all’estero), alla promozione della meritocrazia alle pari opportunità e alla lotta contro qualsiasi tipo di discriminazione. 5.3 Qualità e quantità delle informazioni Nel 2009 la categoria del CU è quella maggiormente rappresentata e la stessa informativa aumenta rispetto all’anno precedente del 3%. Il CR è il secondo il ordine di importanza e la variazione percentuale rispetto all’anno precedente evidenzia un aumento nell’informativa in misura del 7%. Le minori informazioni si ritrovano con riferimento al CS anche se per lo stesso nel biennio in esame si rileva un aumento nel contenuto informativo dell’8%. Nella categoria del CU nel biennio in esame le informazioni prevalentemente presenti sono sulla presenza e articolazione in ruoli del personale dipendente cui seguono le informazioni sulla formazione mentre meno riportate sono le competenze/conoscenze del personale dipendente. Nell’ambito del CR nel biennio in esame il termine 13 più ricorrente è quello di “clienti”seguito da “collaborazioni commerciali” e “canali di distribuzione”. Analizzando la presenza di informazioni sul capitale intellettuale in funzione del settore di attività dell’impresa dispensatrice della stessa si evidenzia una più alta propensione a fornire queste informazioni da parte delle imprese operanti nel settore delle public utilità. Seguono le imprese operanti nel settore delle industrie, le quali rappresentano il 20% del nostro campione, e con la stessa incidenza le imprese operanti nel settore dei beni di consumo e dei servizi al consumo, con una incidenza del 17%. 5.4 STRUMENTI DI RENDICONTAZIONE Il totale delle informazioni contenute nei documenti di rendicontazione è di 7.277 nel 2008 e di 7.771 nel 2009. La suddivisione per area e per settore di attività è sintetizzata nella tabella 2. Tab. 2 – Il capitale intellettuale nei documenti di rendicontazione in esame Capitale Strutturale Capitale Umano Capitale Relazionale 2008 1.298 3.673 2.306 7.277 2009 1.418 3.850 2.503 7.771 Valori percentuali 2008 2009 17,8% 18,3% 50,5% 49,5% 31,7% 32,2% 100,0% 100,0% Fonte: nostra rielaborazione Le aziende esaminate riportano informazioni in prevalenza sul CU mentre l’incidenza più bassa si ha per il CS; 17,8% del totale delle informazioni contro il 50,5% del CU per il 2008 dato sostanzialmente in linea con quanto registrato per il 2009, anche se nel 2009 aumenta l’incidenza delle informazioni sul CR a scapito di quelle sul CU. Una motivazione potrebbe essere il rischio di far fuoriuscire informazione che possono poi essere utilizzate da terzi e che quindi avvantaggiano le aziende concorrenti. Allo stesso tempo comunicare poche informazioni sul capitale intellettuale po’ avere effetti negativi sulla reputazione aziendale nel mercato. L’analisi con riferimento al settore di attività evidenzia che sono le imprese operanti nel comparto delle public utility a ritenere il capitale intellettuale una potente leva competitiva seguono le imprese operanti nell’ambito dei servizi al consumo. 14 Tab. 3 – Informazioni sul capitale intellettuale nei documenti di rendicontazione in esame CS CU CR Totale Beni Pubblica Servizi al Telecom Totale consumo industria Utilità Salute consumo Tecnol. unicaz. 2008 162 228 689 11 181 23 4 1298 2009 173 181 839 11 182 30 2 1418 2008 430 549 1647 81 896 47 23 3673 2009 502 572 2100 81 516 50 29 3850 2008 106 198 1720 13 231 35 3 2306 2009 147 138 1908 13 256 39 2 2503 2008 698 975 4056 105 1308 105 30 7.277 2009 822 891 4847 105 954 119 33 7.771 Fonte: nostra rielaborazione Dopo questa primo esame si è ritenuto opportuno circoscrivere l’analisi utilizzando lo specifico framework, in precedenza indicato. Nell’ambito del CS le categorie maggiormente riportate sono, per entrambi gli anni esaminati, “progetti di ricerca” e “ cultura di impresa”. Tab. 4 – Framework di riferimento 2008 1. Capitale strutturale 1298 Proprietà intellettuale 1.a. Brevetti 39 1.b diritti di autore 1 1.c marchi commerciali 154 Beni infrastrutturali 1.d cultura aziendale 325 1.e processi manageriali 0 1.f. sistemi informativi 49 1.g. sistemi di networking 1 1.h progetti di ricerca 729 2. Capitale Relazionale 2306 2.a marchi aziendali 1 2.b clienti 1799 2.c fedeltà del cliente 1 2.d canali di distribuzione 156 2.e collaborazioni e business 271 2.f collaborazioni in ricerca 70 2.g licenze 8 3. Capitale umano 3673 Conoscenze 307 Personale 1219 Formazione 2147 Know-how 0 Totale Capitale umano 7277 2009 1418 47 0 95 346 0 58 1 871 2503 1 2007 0 163 253 73 6 3850 311 1394 2145 7771 Fonte: nostra rielaborazione 15 2008 17,80% 0,00% 0,50% 0,00% 2,10% 0,00% 4,50% 0,00% 0,70% 0,00% 10,00% 31,70% 0,00% 24,70% 0,00% 2,10% 3,70% 1,00% 0,10% 50,50% 4,20% 16,80% 29,50% 0,00% 100,00% 2009 18,10% 0,00% 0,60% 0,00% 1,20% 0,00% 4,50% 0,00% 0,80% 0,00% 11,00% 31,90% 0,00% 25,50% 0,00% 2,10% 3,30% 0,90% 0,10% 50,00% 4,00% 18,10% 27,80% 0,00% 100,00% Si evidenzia la maggiore attenzione verso gli stakeholders e i clienti in particolare in relazione ai quali l’informativa aumenta in modo evidente nel corso del biennio. La qualità delle informazioni, come illustrato nella metodologia, è valutata attraverso l’indice di concentrazione HHI e lo spread tra informazioni fornite e auspicabili. L’indice HHI a conferma dei risultati delle analisi precedenti conferma un aumento del livello di informazioni nelle tre diverse articolazioni del capitale intellettuale. Scendendo nel dettaglio delle singole imprese analizzate l’indice HHI permette di comprendere su quale delle tre componenti le singole imprese puntano maggiormente, così dalla tav. 5 , si evidenzia che la Impregilo privilegia le informazioni sul CU e che la Telecom e la A2a, invece, si focalizzano maggiormente sul CR. L’analisi dello spread tra le informazioni che si ci aspettava di trovare in relazione alle diverse categorie e sub-categorie di capitale intellettuale e quelle fornite dalle singole imprese conferma i risultati. Tav. 5 – La qualità delle informazioni: Indice di concentrazione e spread HHI CS 2008 CR 2009 SPREAD CS CR CU 2008 2009 2008 2009 Impregilo 66 149 37 Italcementi 177 235 198 Fiat 1585 2931 2028 Indesit 327 188 126 Piaggio 1326 1360 1464 Autogrill 1236 1587 186 Lottomatica 749 587 1381 Telecom ita 10 4 9 Telecom 1708 1708 1026 media Itway 191 294 1093 italia 0 A2a 1600 386 4218 Acea 1615 1159 2963 Edison 553 2052 1341 4 Enel 1815 5288 2965 Acegas aps 490 657 0 9 4553 4 Iride 966 814 1040 0 Enia 2229 2147 8267 75 Snam rete 837 641 801 Terna 814 1509 1725 gas Hera 2738 2626 3989 Falck 3625 1125 131 8 Sabaf 202 363 3 5625 Fnm 484 484 1936 Molmed 27 27 125 Buzzi 495 153 1445 Finmeccani 6118 2779 1473 unicem ca Fonte: nostra rielaborazione 49 330 3862 409 2238 389 2823 4 1026 1305 0 1005 3231 8 3562 6 5783 3501 3 1185 2 8490 58 4861 1950 4481 144 4 5329 1936 125 65 347 1214 4042 23385 3049 6970 196048 14984 225 7641 819 7099 28606 2237 18104 10334 32803 7457 4346 10726 9140 1371 5165 2437 2853 17036 6156 589 7937 55094 1473 6563 3940 19958 411 7641 1028 6449 33030 9957 74953 11153 39525 9211 3141 37019 9857 2229 7897 2437 2853 10427 9622 16 CU 2008 2009 2008 2009 2008 5 4 3 4 4 4 2 6 4 4 3 4 4 4 3 4 5 5 4 4 5 3 7 3 4 3 6 4 3 3 3 4 4 7 4 4 3 4 4 3 3 4 5 5 4 4 5 3 8 3 6 3 6 5 4 4 5 3 4 7 5 6 4 4 5 5 3 4 4 5 4 4 5 7 7 6 6 5 6 4 5 4 5 4 4 7 5 6 4 4 4 5 3 4 4 5 4 4 7 7 7 6 6 5 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 2009 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Dall’analisi emerge che tutte le imprese forniscono informazioni sul CU differenti sono invece le posizioni con riferimento al CR e CS. Nella generalità dei casi le imprese non migliorano il livello informativo connesso al CS e CR in alcuni casi anzi l’informativa peggiora (è il caso di Impregilo, Telecom Italia Media, Fnm e Buzzi Unicem per quanto riguarda il CS e di Fiat, Falck Autogrill per quanto riguarda il CR). L’intensità e la qualità delle informazioni sono, da quanto emerge dall’analisi della correlazione, interrelate al settore di attività. Si evince, in particolare, che le imprese operanti nel settore delle public utility sono quelle che più delle altre forniscono informazioni sul capitale intellettuale nella sua tipica suddivisione. Tav. 6 – Analisi correlazione qualità informazioni e settore attività HHI CS HHI CS Spread CS CS HHI CR Spread CR CR CU HHI CU Spread CU D industria D consumo D servizi D telecomun. D pu Dsalute spre ad CS CS hhi CR spre ad CR CR Tota le CU hhi CU spre ad CU D D indu cons stria umo D serv izi Dtel ec D pu D sal ute 1,00 -0,15 1,00 0,89 -0,35 0,27 -0,17 0,26 1,00 0,00 0,58 -0,21 -0,34 1,00 0,30 -0,28 0,35 0,94 -0,47 1,00 0,42 -0,40 0,51 0,46 -0,53 0,49 0,28 -0,18 0,31 0,21 -0,35 0,19 0,85 1,00 -0,05 0,40 -0,16 -0,07 0,35 -0,13 -0,21 -0,07 1,00 -0,10 -0,05 -0,12 -0,22 0,30 -0,29 -0,16 -0,14 -0,07 1,00 -0,06 -0,24 0,03 -0,16 -0,14 -0,18 0,05 0,01 -0,05 -0,18 1,00 -0,12 0,27 -0,16 -0,20 0,17 -0,22 -0,03 0,14 0,27 -0,25 -0,19 1,00 -0,07 0,34 -0,22 -0,10 0,34 -0,18 -0,24 -0,10 -0,03 -0,10 -0,07 -0,10 1,00 0,26 -0,16 0,36 0,48 -0,45 0,60 0,25 0,04 -0,12 -0,34 -0,32 -0,46 -0,18 -0,07 0,19 -0,21 -0,10 0,34 -0,17 -0,21 -0,10 0,70 -0,10 -0,07 0,14 1,00 1,00 1,00 -0,04 -0,18 1 Fonte: nostra rielaborazione Cio, infatti, con riferimento al capitale strutturale è confermata da una correlazione positiva tra HHI CS (ovvero tra l’indice di herfinadalh con riferimento al capitale strutturale) e dummy pu (utilizzata per isolare le sole imprese operanti nel comparto delle public utility) con una intensità di correlazione di 0,26; lo stesso di conferma con riferimento al capitale relazionale e umano. Per quanto attiene la qualità delle informazioni la stessa tavola permette di evideniziare che sempre nelle public utility la qualità delle informazioni è elevata, ciò è confermato dalla correlazione negativa tra spread e settore (poiché come detto in precedenza tanto maggiore è lo spread tanto inferiore è la qualità delle informazioni). L’area 17 nella quale maggiormente le public utility sono accountable è quella del capitale relazionale l’elevata qualità delle informazioni è fermata dalla correlazione negativa tra lo spread CS e la stessa dummy (spread Cr – Dummy pu r= -0,45) 6. CONCLUSIONI I risultati dell’analisi dimostrano un aumento nel livello quantitativo e qualitativo delle informazioni sul capitale intellettuale. La componente maggiormente rappresentata è il capitale umano, seguito dal relazionale e strutturale. L’analisi è stata fatta su tutti i documenti disponibili on line (codice etico, dei report di sostenibilità, ambientali, del bilancio integrato) al fine di comprendere la presenza al loro interno d’informazioni che facessero un qualche riferimento al capitale intellettuale. Da questa prima analisi emerge un’immediata considerazione: ogni impresa utilizza documenti di comunicazione volontaria che, a prescindere dai contenuti, assumono terminologie differenti. Tra esse chi fornisce informazioni in merito al CI si riferisce ad esso soprattutto in termini di una sua componente:il capitale umano usualmente indicato utilizzando il termine risorse umane. Più precisamente sul campione d’imprese quotate analizzate, 64 parlano, nel codice etico, del proprio patrimonio intellettuale in termini di Risorse Umane. Tuttavia, da una breve ed immediata lettura di alcuni di questi documenti è stato possibile far emergere che non tutte le società oggetto del campione forniscono informazioni in merito al CI. Le società quotate italiane dedicano a tale tematica una diversa importanza. Infatti, da una prima analisi, effettuata sulla quasi totalità del campione, emerge che solo alcune di queste elaborano dei documenti informativi aggiuntivi rispetto al bilancio d’esercizio. All’interno di tali documenti nella maggior parte dei casi, però, non parlano di capitale intellettuale bensì solamente di una sua componente: il capitale umano che usualmente indicano utilizzando il termine risorse umane Ciascuna azienda dedica alla tematica del CI poca importanza e laddove fornisce informazioni in merito considera però il capitale umano uno strumento indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, quindi, una risorsa sulla quale investire per svilupparla mantenerla, valorizzarla e attraverso essa accrescere il valore aziendale. 18 Bibliografia Adolmohammadi, M. J.. (2005). Intellectual capital disclosure and market capitalization; Journal of Intellectual Capital, Vol. 6 No. 3, pp. 397416. Abeysekera, I. (2006). The project of intellectual capital disclosure: researching the research, Journal of Intellectual Capital, Vol. 7 No. 1, pp. 61-77. Beattie, V. and Thomson, S. (2007). Lifting the lid on the use of content analysis to investigate intellectual capital disclosures, Accounting Forum, Vol. 31 No. 2, pp. 129-163. Beretta, S. and Bozzolan, S. (2008). Quality versus Quantity: the case of forward-looking disclosure, Journal of Accounting, Auditing and Finance, Vol. 23 No. 3, pp. 333-375. Bozzolan S., Favotto F., Ricceri F. (2003). Italian annual intellectual capital disclosure: an empirical analysis, Journal of Intellectual Capital, Vol. 4 No. 4, pp. 543-558. Diamond, D.W. and Verrecchia, R.E. (1991). Disclosure, Liquidity, and the Cost of Capital, Journal of Finance, 66 (September), 1325-1355. Bozzolan, S., Favotto, F.,&Ricceri, F. (2003). Italian annual intellectual capital disclosure, Journal of Intellectual Capital, 4(4), 543–558. Bozzolan, S., O’Regan, P., & Ricceri, F. (2004, July 1–2). Intellectual capital disclosure (ICD) across Europe: A comparison between Italy, Ireland and the UK. A paper presented at the 8th annual financial reporting and business communication conference, Cardiff. Bontis, Nick. (1998). Intellectual Capital: An exploratory study that develops measures and models, Management Decision, 36, 2, 63-76. Brennan, N. (2001). Reporting intellectual capital in annual reports: evidence from Ireland, Accounting, Auditing and Accountability Journal, Vol. 14 No. 4, pp. 423-436. Cerbioni, F., Parbonetti, A. (2007). Exploring the Effects of Corporate Governance on Intellectual Capital Disclosure: An Analysis of European Biotechnology Companies, European Accounting Review, Vol. 16 No. 4, pp. 791-826. Cerbioni F. e Parbonetti A. (2005). Are corporate governance and intellectual capital disclosure complementary or substutive mechanisms of accountability?” “Third International Conference on Corporate Governance”, Birmingham. 19 Cravera A., Maglione M., Ruggeri R. (2001). La valutazione del capitale intellettuale. Creare valore attraverso la misurazione e la gestione degli asset intangibili, Il sole 24 ore, Milano. Edvinsson L., Malon M. (1997). Realizing your company’s true value by finding its hidden brainpower, Harper Collin, New York Edvinsson, L. Malone S. (1997). Developing intellectual capital at Skandia, Long Range Planning, Vol 30, No 30, pp. 266-373 . Epstein. E.M., (1962). The corporate social policy process: beyond business ethics, corporate social responsibility and corporate social responsiveness, California Management Review, n. 3. Gray, R. H., Kouchy, R.; Lavers, S. (1995). Constructing a research database of social and environmental reporting by UK companies: a methodological note, Accounting, Auditing and Accountability Journal, Vol. 8 No. 2, pp. 78-101. Gray R., Owen D. e Maunders A. (1987). Corporate Social Reporting: Accounting and accountability. London: Prentice-Hall. Guatri L., (1997). Valore e Intangibles nella misura della performance aziendale. Un percorso storico EGEA Guthrie, J.; Petty R. (2000). Intellectual capital: Australian annual reporting practices, Journal of Intellectual Capital, Vol. 1 No. 3, pp. 241 - 251. Guthrie, J., Petty, R., Yongvanich K.; Ricceri, F. (2004). Using content analysis as a research method to inquire into intellectual capital reporting, Journal of Intellectual Capital, Vol. 5 No. 2, pp. 282-293. King, R. (1996). Reputation Formation for Reliable Reporting: An Experimental Investigation, The Accounting Review, 71(3): 375-396. Krippendorff, K. (2004). Content Analysis: An Introduction to Its Methodology, 2nd edition, Sage Publications, Thousand Oaks. Liberatore G. (1996). Le risorse immateriali nella comunicazione integrata, Cedam: Padova. Marr, B., Schiuma, G., Neely, A. (2004). The dynamics of value creation: mapping your intellectual performance drivers. Journal of Intellectual Capital, 5(2), 312–325. Marshall, A., (1920). Principles of Economics (Revised Edition ed.). London, Macmillan, reprinted by Prometheus Books. Matacena A. (2005). L’accoutability nelle imprese lucrative e sociali. Verso una possibile convergenza?, Economia Aziendale 2000 web, 4, pp.171-206. 20 Milne, M., Adler R. W., (1999). Exploring the reliability of social and environmental disclosure sù content analysis, Accounting, Auditing and Accountability Journal, Vol. 12 No. 2, pp.237-256. Nahapiet, J. and S. Ghoshal. Social Capital, Intellectual Capital, and the Organizational Advantage. Academy of Management Review 23(2), 1998.; Neuendorf, K. A. (2002). The content analysis guidebook. Thousand Oaks, CA: Sage Publications. Penrose, E. T. (1959). The Theory of the Growth of the Firm. New York: John Wiley. Powell S. (2003). Accounting for intangible assets: current requirements, key players and future directions, European Accounting Review, 12, n.4, pp. 797-811. Rusconi G. (2002). Bilancio d’esercizio e bilancio sociale: due livelli di accountability dell’impresa. In Hinna L., Il bilancio sociale, Il sole24ore, Milano. Davey J., Schneider L., Davey H. ,Intellectual capital disclosure and the fashion industry; Journal of Intellectual Capital Volume: 10 Issue: 3 2009 Stewart, T.A. (1997). Intellectual capital: the new wealth of organisations, London, Nicholas Brealey. Sveiby, K.E. (1987). The New Organisational Wealth: Managing and Measuring Knowledge Based Assets,Berrett-Koehler Publisher, San Francisco. Sveiby, K-E. (2004). Methods for measuring intangible assets, http://www.sveiby.com/articles/IntangibleMethods.htm Unerman, J. (2000). Methodological issues reflections on quantification in corporate social reporting content analysis, Accounting, Auditing and Accountability Journal, 13(5) Zambon S., (2004), Lo studio della commissione europea sulla misurazione degli intangibili: alcune indicazioni per la ricerca in campo contabile ed economico aziendale, in Knowledge management e successo aziendale. Atti del 26° convegno AIDEA, Edizioni Arti grafiche Friulane, Udine, 2004. 21