paper financial reporting, SICOLI, MAZZOTTA, BRONZETTI

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paper financial reporting, SICOLI, MAZZOTTA, BRONZETTI
INTELLECTUAL CAPITAL REPORT
ITALIAN
LISTED
COMPANIES:
QUALITATIVE RESEARCH
IN
A
Abstract
The importance of Intellectual capital (now on IC) has generated
the need to drive the company to measure it has in the value creation. IC
influence performance and, if properly used, create economic benefits for
the whole organization. To express such value and to answer the request of
external environment, companies use different reporting tools. The work
has the scope to examine, in the Italian listed companies (excluding
financial one), for year 2008-2009. the IC information supplied using a
content analysis, underliyng the quality and tipology of different reports.
Abstract:
L’importanza del capitale intellettuale (d’ora in poi IC) ha generato
la necessità di dirigere le aziende a misurare il ruolo che questo ha nel
processo di creazione del valore. L’IC influisce sulla performance
dell’azienda e permette, se correttamente utilizzato, di creare benefici
economici per l’intera organizzazione. Per esprimere questo valore e per
rispondere alle esigenze dell’ambiente esterno, le imprese adottano
strumenti di rendicontazione non sempre uniformi. Il lavoro si propone di
analizzare, con riferimento alle società quotate italiane (escluse le
finanziarie) per il biennio 2008-2009, il contenuto informativo del bilancio
dell’IC, attraverso una content analysis, evidenziandone la qualità, la
tipologia e gli elementi comuni tra i diversi bilanci.
Parole chiave: capitale intellettuale, content analysis, rendicontazione
1
1. PREMESSA
Nell’ultimo decennio la turbolenza e il dinamismo dello scenario
economico-produttivo hanno spostato la competizione tra imprese dai
tradizionali assets tangibili dell’economia industriale (risorse fisiche e
finanziarie) ad altri,intangibili, come conoscenza, competenza, capacità
innovativa e capitale umano. Nella dottrina, di fatto, l’ argomento non è
nuovo; già nel 1920 Marshal considera la conoscenza come l’elemento
chiave di ogni processo produttivo e nel 1959 la Penrose vede i modelli
mentali dell’impresa come frutto dell’esperienza e della conoscenza. In
Italia, le imprese per essere competitive devono imparare a cogliere tutte le
opportunità che provengono dal sapere fare, dal sapere interpretare e dal
sapere inventare Guatri (1997); devono quindi impossessarsi di vantaggi
firm e context specific. La conoscenza, però, non è una risorse come le altre
perché si deve accumulare e valorizzare nel tempo (Zambon, 2004). Così
concepita la conoscenza contribuisce a generare e garantire nuovi vantaggi
concorrenziali per le imprese. Nel tempo l’accumulo di conoscenza,
competenze ed informazioni a disposizione dell’impresa ed in grado di
generare valore inizia ad essere contestualizzato con il concetto di capitale
intellettuale (Edvinsson e Malone, 1997; Marr e Schiuma, 2001; Sveiby,
1997). La consapevolezza dell’importanza del capitale intellettuale (IC)
induce le aziende ad una rappresentazione e valutazione di tale risorsa
facendola diventare oggetto di comunicazione agli stakeholders. Ciò
contribuisce alla diffusione , su base volontaristica, di strumenti di
rendicontazione in grado di comunicare il valore del capitale intellettuale e,
nel contempo, di soddisfare le esigenze conoscitive dei diversi stakeholders
(Liberatore 1996; Stewart, 1997). Nella realtà è difficile individuare un
unico e uniforme strumento di rendicontazione, risultato condizionato
anche dall’essere questi ultimi documenti volontari. Alla luce di quanto
detto, il contributo si propone di analizzare, con riferimento alle società
quotate presso la borsa valori di Milano il contenuto e l’ampiezza dei
documenti di rendicontazione volontari che riportano informazioni sulle
dimensioni del capitale intellettuale con il triplice obiettivo di individuare
in quali documenti maggiormente si riportano informazioni sul capitale
intellettuale, la qualità delle informazioni stesse e l’esistenza di una
correlazione con il settore di attività.
Il lavoro, pertanto, nel paragrafo che segue presenta una review
della letteratura esistente per poi incentrarsi nel paragrafo tre sugli
strumenti di rendicontazione. Nei paragrafi successi si presenta, invece,
l’analisi effettuata su 52 documenti di rendicontazione elaborati da 26
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società quotate italiane (escluse le finanziarie) per il biennio 2008-2009.
L’analisi contenutistica e qualitativa è stata condotta con il metodo della
content analysys mentre l’eventuale legame con il settore di attività con la
tecnica della correlazione statistica.
2. IL CAPITALE INTELLETTUALE:
UNA REVIEW DELLA
LETTERATURA ESISTENTE
Nel corso degli ultimi anni il tema del capitale intellettuale è stato
oggetto di numerosi studi. Molti autori incentrano la loro attenzione sul
ruolo delle risorse intangibili e dell’IC altri pongono l’accento sulla
inadeguatezza di misurazione dei classici metodi contabili (Abeysekera,
2006; Guthrie e Pettie, 2000) altri ancora affrontano il tema della
rendicontazione con riguardo ai diversi settori di attività (Davey, Schneider
e Davey (2009). Altri autori effettuano ricerche con riferimento a
particolari parametri (Abdolmohammadi, 2005) che evidenziano una
significativa correlazione tra valore di capitalizzazione di società
statunitensi quotate e la disclosure delle risorse intangibili. In Italia autori
come Bozzolan et al. (2003) analizzano la disclosure volontaria effettuata
da un ristretto numero di società quotate alla borsa valori, focalizzando la
loro attenzione sui diversi fattori che possono influire metodi di disclosure
volontaria sugli intangibili.
Nonostante la numerosità e il diverso approccio al problema i
diversi studi partono da una definizione di capitale intellettuale che viene
condivisa nel presente lavoro.
Considerandolo sotto l’aspetto qualitativo il capitale intellettuale è
l’insieme di componenti intangibili che contribuiscono in vario modo a
determinare il valore di un’impresa. Sotto l’aspetto quantitativo, invece,
esprime tutte quelle risorse che costituiscono la fonte della differenza tra il
valore di mercato e il valore contabile di un’organizzazione.
Il capitale intellettuale racchiude in se risorse intellettuali, che
trovano spazio nella mente degli individui che operano all’interno
dell’organizzazione e che prendono la forma di know-how (capacità,
esperienze), e assets intellettuali che identificano la conoscenza specifica
sulla quale ogni azienda può esercitare diritti esclusivi di proprietà
(Edvinsson e Malone 1997).
Partendo dalla considerazione che il valore di ogni organizzazione
proviene da due tipologie di capitale: quello finanziario e quello
intellettuale, gli Autori hanno posto particolare attenzione nei confronti di
3
quest’ultimo suddividendolo in due categorie: capitale pensante e capitale
non pensante. Il capitale pensante è prodotto dalla conoscenza, dalle abilità,
dai comportamenti e dalle competenze delle persone “Human Capital”. Il
capitale non pensante, invece, è prodotto dall’insieme di rapporti avviati
con i clienti, con i fornitori e con ogni altro soggetto che entra in contatto
con l’organizzazione aziendale “Structural Capital”. Sulla scorta delle
intuizioni di Bontis (1998) la definizione di capitale intellettuale dei
suddetti autori è stata ampliata da Cravera (2001), con l’aggiunta del
termine relazioni. Perciò, accanto alle due categorie di capitale intellettuale
appena menzionate, se ne sviluppa una terza definibile come l’insieme di
procedure, istruzioni, modelli organizzativi, strumenti di comunicazione e
quant’altro “Relational capital”. Quest’ultima categoria esplicita in maniera
dettagliata che il capitale intellettuale possiede una componente esterna
rappresentata dell’insieme di relazioni che l’azienda riesce ad instaurare
con il mercato e con l’ambiente di riferimento.
In particolare definendo le componenti del capitale intellettuale
possiamo dire che:
- Il capitale umano (CU) rappresenta l’insieme di conoscenze,
competenze, esperienze, motivazione, abilità possedute delle persone che
lavorano all’interno dell’impresa. Trattasi di una conoscenza che non è di
proprietà di nessuno fatta eccezione per la persona che la possiede. Perciò,
l’azienda per garantirsi un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo,
deve riconoscere tale risorsa e trattenerla all’interno dell’organizzazione. A
tal fine, molte sono le iniziative intraprese e dirette a rafforzare l’interesse
dei singoli individui a rimanere in azienda. Si pensi ai diversi sistemi di
incentivazione del personale: premi, incentivi, bonus e così via, che
aumentano la probabilità che il dipendente si identifichi con l’azienda e,
quindi, rafforzi il suo legame con essa.
- Il capitale organizzativo o strutturale (CS), invece, è costituito dal
know how codificato all’interno della struttura aziendale, dalla capacita di
innovazione, dall’efficienza dei processi produttivi, dalle reti informatiche,
dai brevetti, licenze, invenzioni, data base, procedure aziendali e così via.
Rientrano sempre nel capitale organizzativo la struttura organizzativa ed i
meccanismi operativi. Tutti gli elementi che compongono il capitale
organizzativo costituiscono gli asset sui quali è opportuno investire perché
di proprietà dell’impresa..
- II capitale relazionale (CR) , infine, rappresenta il patrimonio di
relazioni instaurate dall’azienda con il mercato e, quindi, con i diversi
interlocutori sociali attuali e potenziali (clienti, fornitori, finanziatori).
Rientra sempre nel CR la reputazione e l’immagine dell’impresa.
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Anche il CR, così come il CU, non è di proprietà dell’impresa,
bensì, è condiviso con gli stakeholders.
3. I
NUOVI STRUMENTI DI RENDICONTAZIONE AZIENDALE
Negli ultimi anni è aumentato il numero delle aziende che hanno
interpretato la valutazione del proprio capitale intellettuale come strumento
gestionale per migliorare i processi decisionali e manageriali oltre che
come strumento di comunicazione finanziaria. Il capitale intellettuale è
oramai riconosciuto come elemento fondamentale da cui partire e dal quale
ricavare valore aggiunto. Per questo motivo è importante analizzarlo,
misurarlo e tenerlo nella giusta considerazione.
Gli strumenti di natura contabile a disposizione delle imprese non
si prestano a tale scopo. Si pensi al bilancio d’esercizio, che così come
congeniato presenta dei limiti in termini di capacità e qualità
dell’informazione che è in grado di offrire. Infatti, è un documento
contabile statico eccessivamente orientato al passato e con poca
propensione verso il futuro.
Esso rappresenta soltanto quelle relazioni tra azienda ed ambiente
che passano dalla mediazione del mercato e, perciò, si presta poco a
rappresentare le relazioni interpersonali, i valori etici e morali, le
conoscenze degli individui. (Guthrie e Petty, 2000; Powell, 2003).
La disponibilità di informazioni aggiuntive, utili a valutare
l’efficacia e l’efficienza dell’azienda per categorie di performance non
considerate nel bilancio d’esercizio, aiuta gli stakeholders a comprendere e
valutare le strategie messe in atto dall’azienda e, quindi, le potenzialità che
questa stessa presenta in termini creazione di valore.
Sono sempre più numerose le imprese che avvertono la necessità di
predisporre nuovi strumenti capaci di comunicare gli asset intangibili,
misurarli e, soprattutto, portarli a conoscenza degli stakeholders in quanto
principali driver della creazione di valore aziendale (Guatri, 1997; Sveiby,
2004).
È per questo motivo che molte aziende, su base volontaristica,
affiancano al bilancio d’esercizio, nuovi documenti diretti a soddisfare il
fabbisogno informativo degli stakeholders. Questa maggiore esigenza di
comunicare con il mondo esterno ha indotto le imprese a mutare il proprio
sistema di accountability orientandolo alle problematiche di
rappresentazione degli intangibili (Gray et al. 1987; Rusconi, 2002;
Matacena, 2005).
5
I nuovi documenti di rendicontazione aziendale si presentano in
forma prettamente descrittivo/narrativo con richiami anche quantitativi, il
cui scopo principale consiste nel comunicare agli stakeholders informazioni
diverse da quelle contenute nel bilancio d’esercizio. Non esiste uno
strumento standard universalmente accettato per la rappresentazione degli
intangible d’impresa, ma diversi strumenti di rendicontazione. Si parla,
spesso, sia in dottrina che nella prassi, di bilancio dell’intangibile, di
bilancio sociale, ambientale, di sostenibilità e di bilancio del capitale
intellettuale. Tra le varie tipologie di report molte sono le differenze,
soprattutto in termini di modelli e standard adottati, ma tante anche le
similitudini riscontrabili soprattutto nella finalità: comunicare informazioni
diverse rispetto a quelle contenute nel bilancio d’esercizio.
I diversi strumenti di rendicontazione sociale, ambientale e del CI
hanno una valenza informativa sia interna, diretta ad orientare le scelte di
gestione del management, sia esterna, diretta a soddisfare le esigenze
conoscitive degli stakeholders. Le informazioni, a prescindere dal soggetto
al quale sono indirizzate, devono essere in grado di illustrare in modo
chiaro quali sono gli elementi di qualità dell’impresa nonché essere
strumento di dialogo con tutti gli stakehoder che con essa entrano in
contatto. Nel contempo, rendono conto, in modo chiaro ed esaustivo,
dell’operato dell’impresa in termini di risorse utilizzate ed obiettivi
raggiunti.
Le informazioni contenute nei documenti in esame sono finalizzate
a soddisfare in maniera dettagliata le esigenze conoscitive degli
stakeholders. Si pensi, a titolo di esempio, agli indicatori relativi al CU:
numero di dipendenti, titolo di studio posseduto e così via.
I punti di contatto tra i diversi strumenti di rendicontazione degli
intangible sono tanti e gli obiettivi addizionali, rispetto a quelli di natura
economico-finanziaria, sono il prodotto di un nuovo modo di intendere
l’impresa. Un’impresa, che rispetto, al passato, si comporta in modo più
corretto andando oltre il semplice rispetto degli obblighi previsti dalle leggi
e dalle norme etiche. Un’impresa maggiormente attenta agli interessi
collettivi dei diversi stakeholders che cerca di realizzare le proprie finalità
in maniera coerente con il rispetto dell’ambiente e del territorio, fino alla
creazione e promozione di un circuito virtuoso che porta alla
riqualificazione ed allo sviluppo del sistema in cui la stessa azienda opera
(Epstein, 1962).
6
4. LA RICERCA:
OBIETTIVO, CAMPIONE E METODOLOGIA
Obiettivo
Il contributo presenta tre diversi obiettivi poiché da una parte si
prefigge si individuare il comportamento delle società quotate in tema di
disclosure sul capitale intellettuale (e quindi determinare quante imprese
forniscono tali informazioni), in secondo luogo quello di comprendere
quale sia la qualità delle informazioni fornite sul IC e, infine, se questa
dipenda dal settore di appartenenza dell’impresa.
Campione
Il campione è rappresentato dai 52 documenti di rendicontazione,
redatti nel biennio 2008-2009, dalle società quotate alla borsa valori di
Milano, escluse le imprese operanti nel settore finanziario, contenenti
informazioni sul capitale intellettuale e resi accessibili on line agli
stakeholders. L’analisi è stata condotta sulle società quotate perché esse
sono di dimensioni maggiori e la letteratura esistente conferma che sono le
imprese di più grandi dimensioni ad essere maggiormente attente ai
problemi di rendicontazione. L’analisi dei web site aziendali ha permesso
di individuare 26 imprese che rendicontano, seppur in diversi documenti,
sul loro capitale intellettuale.
Metodologia
L’analisi è stata condotta cercando all’interno dei website aziendali
delle società quotate italiane, per il biennio 2008-2009, la presenza di un
report del capitale intellettuale. In sua assenza, l’analisi è stata condotta per
parole chiave (quali per esempio: capitale intellettuale, risorse umane,
capitale umano, capitale relazionale, capitale strutturale) al fine di rinvenire
eventuali documenti (obbligatori o facoltativi) nei quali le società quotate
operanti nel settore dei servizi e industriali forniscono informazioni in tema
di IC. Inizialmente, sono state lette tutte le sezioni di relazioni sociali e di
sostenibilità presenti sui website. Successivamente, sono stati esaminati,
più nel dettaglio, solo i documenti volontari contenenti informazioni
sull’IC, ad esempio non è stata esaminata la relazione sulla corporate
governance perché essa è una comunicazione obbligatoria per le società
quotate e quindi è fuori dai confini di questa ricerca che per l’appunto si
sofferma su un tipo di disclosure volontaria. Nello studio fatto non si è
tenuto conto della quantità di spazio dedicata al capitale intellettuale da
parte di ciascuna società (non essendo questo uno degli obiettivi dello
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studio). A ciò si aggiunga che tali informazioni sono di tipo volontario e
ogni azienda sceglie autonomamente la forma, la lunghezza e la tipologia
delle informazioni da comunicare liberamente. Le informazioni raccolte in
questa prima fase hanno permesso di circoscrivere il campione preso in
considerazione. Infatti, dall’universo di riferimento sono state perciò
escluse le 103 imprese che non riportavano all’interno dei loro documenti
aziendali alcun richiamo al capitale intellettuale o ad una sua sub area.
L’analisi è continuata sulle 85 imprese che presentavano nei loro
documenti un richiamo al capitale intellettuale. Sono stati pertanto
esaminati i documenti rilevati e, essendo la nostra analisi è incentrata sulla
rappresentazione del capitale intellettuale in documenti non obbligatori,
sono stati esclusi i documenti obbligatori. Ciò ha portato ad identificare un
campione di 52 documenti di rendicontazione volontaria contenenti
informazioni sull’IC redatti da 26 società quotate (allegato 1).
La metodologia di indagine è quella della content analysis
(Krippendorff, 2004) una metodologia ampiamente adottata negli studi
sulla voluntary disclosure (Guthrie et al., 2004; Beattie e Thompson, 2007;
Gray et al, 1995) e nello specifico nell’area del capitale intellettuale
(Abeysekera, 2006; Guthrie et al, 2004; Bozzolan et al, 2003; Brennan,
2001; Guthrie e Petty, 2000).
L’applicazione della content analysis (Milne e Adner, 1999;
Krippendorf, 2004) presuppone lo sviluppo di diverse fasi quali:
1) la scelta dello schema per classificare le informazioni;
2) la definizione dell’unità di analisi nella quale valutare la
presenza o l’assenza dell’informazione ricercata (la frase, il paragrafo, il
grafico, etc.);
3) la definizione della procedura di codifica;
4) la codifica
5) la verifica ex-post dell’affidabilità dei dati ottenuti.
Lo schema di riferimento (fase 1) utilizzato per la classificazione
delle informazioni è di seguito riportato:
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Tab.1 – Lo schema per la classificazione delle informazioni
1. Capitale strutturale
Proprietà intellettuale
1.a. Brevetti
1.b diritti di autore
1.c marchi commerciali
Beni infrastrutturali
1.d cultura aziendale
1.e processi manageriali
1.f. sistemi informativi
1.g. sistemi di networking
1.h progetti di ricerca
2. Capitale Relazionale
2.a marchi aziendali
2.b clienti
2.c fedeltà del cliente
2.d canali di distribuzione
2.e collaborazioni e business
2.f collaborazioni in ricerca
2.g licenze
3. Capitale Umano
3.a personale
3.b formazione
3. c know-how
Fonte: Guthrie e Petty (2000)
Le unità di ricerca (fase 2) in linea con altri studi sono condotte con
riferimento ad una frase (Cerbioni e Parbonetti, 2007; Guthrie e Petty,
2000) e non tenendo conto di elementi grafici, diagrammi o fotografie
(Unerman; 2000). Ciascuna frase è codificata attribuendo 0 se non è
presente nessuna informazione sul capitale intellettuale, 1 se le
informazioni sono presenti. È calcolato, inoltre, un indice complessivo
ottenuto sommando le informazioni sul capitale intellettuale delle tre aree.
Le informazioni ripetute sono considerate una sola volta.
Come ultimo punto, al fine di assicurare un più elevato livello di
affidabilità dei dati, le informazioni acquisite sono state verificate
controllando con la tecnica del campionamento statistico causale le stesse.
Allo stesso tempo si è cercato di individuare il metodo migliore per
analizzare la quantità e la qualità informativa, passo complicato per la
complessità e multidimensionalità insita nel concetto di capitale
intellettuale (Diamond and Verrecchia, 1991; King, 1996). Per misurare la
qualità delle informazioni sul capitale intellettuale si è calcolato lo spread
tra informazioni fornite e desiderate (un alto numero di informazioni non
fornite rispetto a quelle cercate determina un più ampio spread). Lo spread
è stato calcolato con l’indice di concentrazione Herfindal Hirschiman
(HHI) o contando il numero di informazioni non fornite. L’indice HHI è
calcolato come HHI = Σniipi2 dove pi è la disclosure con riferimento
all’informazione i-sima cercata (Bettie et al). Maggiore è il valore di HHI
più elevata è la qualità della disclosure. L’indice HHI è stato calcolato con
riferimento alla macro area (CU, relazionale e strutturale) e per sub-area
(brevetti)
Altra metodologia per misurare lo spread è quella di contare il
numero di situazioni in cui l’impresa non fornisce informazioni, in questo
9
caso maggiore è il numero di informazioni non fornite maggiore sarà lo
spread e quindi inferiore la qualità della disclosure.
Rispetto al mero conteggio tale analisi permette di valutare la
qualità in modo più completo e permette di comprendere la diffusione della
comunicazione tra le tre aree di IC e le sub-aree delle stesse e di
individuare il numero di sub-aree non vuote, utile proxy della qualità delle
informazioni.
5. I
RISULTATI DELLA RICERCA
5.1 STATISTICA DESCRITTIVA
L’analisi condotta sulle 188 società quotate alla Borsa Italiana
escluse quelle operanti nel settore finanziario ha permesso di individuare la
presenza di 52 documenti di rendicontazione redatti da 26 imprese con
riferimento al biennio 2008-2009. L’articolazione per settore di attività e la
tipologia di documento redatto è sintetizzato nella tav. 1 che segue.
Tav 1 – Documenti costituenti il campione analizzato e imprese di riferimento
DENOMINAZIONE
SETTORE
DOCUMENTI IN CUI SI RIPORTANO
INFORMAZIONI SUL CAPITALE
INTELLETTUALE
1
ACEA
PU
BILANCIO SOSTENIBILITÀ E AMBIENTALE
2
ACEAGAS
PU
BILANCIO INTEGRATO
3
A2A
PU
BILANCIO SOSTENIBILITÀ
4
AUTOGRILL
SERVIZI AL CONSUMO
RAPPORTO DI SOSTENIBILITÀ
5
BUZZI UNICEM
INDUSTRIA
BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ
6
EDISON
PU
BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ
7
ENEL
PU
BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ
8
ENIA
PU
BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ
9
FALK
PU
BILANCIO AMBIENTALE
10
FIAT
BENI DI CONSUMO
BILANCIO SOSTENIBILITÀ
11
FINMECCANICA
INDUSTRIA
RAPPORTO DI SOSTENIBILITÀ
12
FNM
SERVIZI AL CONSUMO
RAPPORTO SOSTENIBILITÀ
13
HERA
PU
BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ
14
IMPREGILO
INDUSTRIA
RAPPORTO AMBIENTALE
15
INDESIT
BENI DI CONSUMO
BILANCIO SOSTENIBILITÀ
16
IRIDE
PU
BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ
17
ITALCEMENTI
INDUSTRIA
SOCIAL REPORT
18
ITWAY
TECNOLOGIA
BILANCIO SOCIALE E DI SOSTENIBILITÀ
19
LOTTOMATICA
SERVIZI AL CONSUMO
BILANCIO SOCIALE
20
MOLMED
SALUTE
DOCUMENTO DI SOSTENIBILITÀ
10
21
PIAGGIO
BENI DI CONSUMO
BILANCIO SOSTENIBILITÀ
22
SABAF
INDUSTRIA
BILANCIO SOCIALE
23
SNAM RETE GAS
PU
BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ
24
TELECOM
TELECOMUNICAZIONI
BILANCIO SOSTENIBILITÀ
25
TELECOM MEDIA
SERVIZI AL CONSUMO
REPORT SOSTENIBILITÀ
26
TERNA
PU
BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ
Fonte: nostra rielaborazione
Nei due anni esaminati la disclosure sul CI è incrementata del 5%.
Gli strumenti di rendicontazione volontaria utilizzati dalle società
del nostro campione per fornire informazioni sul capitale intellettuale sono
denominati diversamente. Il documento più diffuso è il bilancio di
sostenibilità cui seguono report e altri documenti volontari (bilancio
ambientale o socio-ambientale, bilancio sociale, bilancio integrato). Nel
71% dei casi, infatti, il mezzo per richiamare il capitale intellettuale è il
bilancio di sostenibilità, segue l’utlizzo del bilancio sociale (14% dei casi) e
del bilancio ambientale (11%) (Fig. 1).
Fig. 1 – denominazione del documento
Fonte: nostra rielaborazione
Gli strumenti di rendicontazione assumono una diversa valenza a
seconda del settore di attività dell’impresa. Lasciando da parte i casi dei
documenti redatti dalle imprese esaminate nel settore tecnologico, sanitario
e delle telecomunicazioni per la non significatività del dato essendo
presente una sola impresa per ciascun settore, le informazioni raccolte
permettono di evidenziare una più ampia diffusione di tali documenti nel
settore industriale, nel quale si ritrovano in misura paritetica bilanci sociali,
ambientali e di sostenibilità.
11
Fig. 2 – Diffusione dei documenti
Fonte: nostra rielaborazione
Nel settore delle public utility, invece, il documento di rendicontazione
che più degli altri contiene informazioni sul capitale intellettuale è il
bilancio di sostenibilità. Il bilancio di sostenibilità prevale anche nelle
imprese di servizi al consumo. La scelta del bilancio di sostenibilità molto
probabilmente si ricollega anche alla tipologia di attività svolta. Le public
utility, per esempio, operano in settori delicati che talvolta possono
generare delle esternalità negative ad esempio sull’ambiente. Attraverso il
bilancio di sostenibilità ogni impresa di public utilità ha modo di
evidenziare il modo di comportarsi con riguardo a tali problematiche.
5.2 Contenuto documenti
In termini di contenuto sono numerose le informazioni che
vengono fornite dalle imprese in maniera differente a seconda della
tipologia di documento elaborato. Il documento maggiormente utilizzato è
il bilancio di sostenibilità e in esso si ritrova la classica tripartizione del CI1.
Dall’analisi condotta si evince che ogni società dedica tradizionalmente alla
componente “CU” una maggiore attenzione rispetto alle altre due
componenti esaminate (CR e CS). Al CU è, generalmente, dedicata, dalle
imprese del campione, una apposita sezione nella quale sono esposte
1
Si tratta Fiat Spa, Indesit, Piaggio, Buzzi Unicem, Finmeccanica, Acea, A2a,
Edison, Enel, Enia, Hera, Iride, Snam Rete Gas, Terna, Molmed, Autogrill, Fnm,
Telecom Italia Media e Telecom.
12
informazioni dettagliate su ruoli e anzianità di servizio, politiche di
remunerazione e di crescita professionale, turnover e suddivisione per sesso
e età. Con riferimento al CR generalmente è possibile riscontrare la
presenza di alcune informazioni relative all’ascolto e alle politiche di
fidelizzazione della propria clientela e sul generale coinvolgimento degli
stakeholders. Le informazioni sul CS sono, invece, meno formalizzate e
standardizzate rispetto alle altre due categorie di IC, ciò si ricollega anche
al fatto che le stesse sono essenzialmente firm specific. L’importanza del
CS è percepibile in prevalenza per le public utility, se non altro per la loro
storia di imprese (in linea generale ) ex municipalizzate trasformate in spa
nelle quali il ruolo prevalente è appunto svolto dal CS (impianti, reti,
procedure organizzative).
Il contenuto e il livello di dettaglio delle informazioni è influenzato
anche dal settore di appartenenza delle imprese. Le public utility ad
esempio, più delle altre imprese, anche in considerazione dell’attività di
carattere pubblico da loro svolta, dedicano una sezione particolare al
capitale intellettuale. Questa maggiore propensione alla disclosure è quindi,
in parte, imputabile alla esigenza di fornire un’informativa completa e di
maggiore dettaglio agli stakeholders. Per le imprese del campione si può in
generale rilevare che, una buona parte dei documenti analizzati, è riservata
all’illustrazione delle politiche condotte dall’azienda in tema di CU. Acea
gas, per esempio, riporta le azioni volte a favorire il benessere e lo sviluppo
professionale dei dipendenti e le politiche di incentivazione collettive. Il
Gruppo Enel dedica invece particolare risalto alle attività formative del
proprio personale all’ascolto, all’aumento delle conoscenze interne (job
rotation, missioni all’estero), alla promozione della meritocrazia alle pari
opportunità e alla lotta contro qualsiasi tipo di discriminazione.
5.3 Qualità e quantità delle informazioni
Nel 2009 la categoria del CU è quella maggiormente rappresentata
e la stessa informativa aumenta rispetto all’anno precedente del 3%. Il CR è
il secondo il ordine di importanza e la variazione percentuale rispetto
all’anno precedente evidenzia un aumento nell’informativa in misura del
7%. Le minori informazioni si ritrovano con riferimento al CS anche se per
lo stesso nel biennio in esame si rileva un aumento nel contenuto
informativo dell’8%. Nella categoria del CU nel biennio in esame le
informazioni prevalentemente presenti sono sulla presenza e articolazione
in ruoli del personale dipendente cui seguono le informazioni sulla
formazione mentre meno riportate sono le competenze/conoscenze del
personale dipendente. Nell’ambito del CR nel biennio in esame il termine
13
più ricorrente è quello di “clienti”seguito da “collaborazioni commerciali” e
“canali di distribuzione”. Analizzando la presenza di informazioni sul
capitale intellettuale in funzione del settore di attività dell’impresa
dispensatrice della stessa si evidenzia una più alta propensione a fornire
queste informazioni da parte delle imprese operanti nel settore delle public
utilità. Seguono le imprese operanti nel settore delle industrie, le quali
rappresentano il 20% del nostro campione, e con la stessa incidenza le
imprese operanti nel settore dei beni di consumo e dei servizi al consumo,
con una incidenza del 17%.
5.4 STRUMENTI DI RENDICONTAZIONE
Il totale delle informazioni contenute nei documenti di
rendicontazione è di 7.277 nel 2008 e di 7.771 nel 2009. La suddivisione
per area e per settore di attività è sintetizzata nella tabella 2.
Tab. 2 – Il capitale intellettuale nei documenti di rendicontazione in esame
Capitale Strutturale
Capitale Umano
Capitale Relazionale
2008
1.298
3.673
2.306
7.277
2009
1.418
3.850
2.503
7.771
Valori percentuali
2008
2009
17,8%
18,3%
50,5%
49,5%
31,7%
32,2%
100,0% 100,0%
Fonte: nostra rielaborazione
Le aziende esaminate riportano informazioni in prevalenza sul CU
mentre l’incidenza più bassa si ha per il CS; 17,8% del totale delle
informazioni contro il 50,5% del CU per il 2008 dato sostanzialmente in
linea con quanto registrato per il 2009, anche se nel 2009 aumenta
l’incidenza delle informazioni sul CR a scapito di quelle sul CU.
Una motivazione potrebbe essere il rischio di far fuoriuscire
informazione che possono poi essere utilizzate da terzi e che quindi
avvantaggiano le aziende concorrenti. Allo stesso tempo comunicare poche
informazioni sul capitale intellettuale po’ avere effetti negativi sulla
reputazione aziendale nel mercato.
L’analisi con riferimento al settore di attività evidenzia che sono le
imprese operanti nel comparto delle public utility a ritenere il capitale
intellettuale una potente leva competitiva seguono le imprese operanti
nell’ambito dei servizi al consumo.
14
Tab. 3 – Informazioni sul capitale intellettuale nei documenti di rendicontazione in esame
CS
CU
CR
Totale
Beni
Pubblica
Servizi al
Telecom Totale
consumo industria Utilità
Salute
consumo Tecnol.
unicaz.
2008
162
228
689
11
181
23
4
1298
2009
173
181
839
11
182
30
2
1418
2008
430
549
1647
81
896
47
23
3673
2009
502
572
2100
81
516
50
29
3850
2008
106
198
1720
13
231
35
3
2306
2009
147
138
1908
13
256
39
2
2503
2008
698
975
4056
105
1308
105
30
7.277
2009
822
891
4847
105
954
119
33
7.771
Fonte: nostra rielaborazione
Dopo questa primo esame si è ritenuto opportuno circoscrivere
l’analisi utilizzando lo specifico framework, in precedenza indicato.
Nell’ambito del CS le categorie maggiormente riportate sono, per entrambi
gli anni esaminati, “progetti di ricerca” e “ cultura di impresa”.
Tab. 4 – Framework di riferimento
2008
1. Capitale strutturale
1298
Proprietà intellettuale
1.a. Brevetti
39
1.b diritti di autore
1
1.c marchi commerciali
154
Beni infrastrutturali
1.d cultura aziendale
325
1.e processi manageriali
0
1.f. sistemi informativi
49
1.g. sistemi di networking
1
1.h progetti di ricerca
729
2. Capitale Relazionale
2306
2.a marchi aziendali
1
2.b clienti
1799
2.c fedeltà del cliente
1
2.d canali di distribuzione
156
2.e collaborazioni e business
271
2.f collaborazioni in ricerca
70
2.g licenze
8
3. Capitale umano
3673
Conoscenze
307
Personale
1219
Formazione
2147
Know-how
0
Totale Capitale umano
7277
2009
1418
47
0
95
346
0
58
1
871
2503
1
2007
0
163
253
73
6
3850
311
1394
2145
7771
Fonte: nostra rielaborazione
15
2008
17,80%
0,00%
0,50%
0,00%
2,10%
0,00%
4,50%
0,00%
0,70%
0,00%
10,00%
31,70%
0,00%
24,70%
0,00%
2,10%
3,70%
1,00%
0,10%
50,50%
4,20%
16,80%
29,50%
0,00%
100,00%
2009
18,10%
0,00%
0,60%
0,00%
1,20%
0,00%
4,50%
0,00%
0,80%
0,00%
11,00%
31,90%
0,00%
25,50%
0,00%
2,10%
3,30%
0,90%
0,10%
50,00%
4,00%
18,10%
27,80%
0,00%
100,00%
Si evidenzia la maggiore attenzione verso gli stakeholders e i
clienti in particolare in relazione ai quali l’informativa aumenta in modo
evidente nel corso del biennio.
La qualità delle informazioni, come illustrato nella metodologia, è
valutata attraverso l’indice di concentrazione HHI e lo spread tra
informazioni fornite e auspicabili. L’indice HHI a conferma dei risultati
delle analisi precedenti conferma un aumento del livello di informazioni
nelle tre diverse articolazioni del capitale intellettuale. Scendendo nel
dettaglio delle singole imprese analizzate l’indice HHI permette di
comprendere su quale delle tre componenti le singole imprese puntano
maggiormente, così dalla tav. 5 , si evidenzia che la Impregilo privilegia le
informazioni sul CU e che la Telecom e la A2a, invece, si focalizzano
maggiormente sul CR. L’analisi dello spread tra le informazioni che si ci
aspettava di trovare in relazione alle diverse categorie e sub-categorie di
capitale intellettuale e quelle fornite dalle singole imprese conferma i
risultati.
Tav. 5 – La qualità delle informazioni: Indice di concentrazione e spread
HHI
CS
2008
CR
2009
SPREAD
CS
CR
CU
2008
2009
2008
2009
Impregilo
66
149
37
Italcementi
177
235
198
Fiat
1585 2931 2028
Indesit
327
188
126
Piaggio
1326 1360 1464
Autogrill
1236 1587
186
Lottomatica
749
587 1381
Telecom ita
10
4
9
Telecom
1708 1708 1026
media
Itway
191
294 1093
italia
0
A2a
1600
386 4218
Acea
1615 1159 2963
Edison
553 2052 1341
4
Enel
1815 5288 2965
Acegas aps
490
657
0
9 4553
4
Iride
966
814 1040
0
Enia
2229 2147 8267
75
Snam rete
837
641
801
Terna
814 1509 1725
gas
Hera
2738 2626 3989
Falck
3625 1125
131
8
Sabaf
202
363
3 5625
Fnm
484
484 1936
Molmed
27
27
125
Buzzi
495
153 1445
Finmeccani
6118 2779 1473
unicem
ca
Fonte: nostra rielaborazione
49
330
3862
409
2238
389
2823
4
1026
1305
0
1005
3231
8
3562
6
5783
3501
3
1185
2
8490
58
4861
1950
4481
144
4
5329
1936
125
65
347
1214
4042
23385
3049
6970
196048
14984
225
7641
819
7099
28606
2237
18104
10334
32803
7457
4346
10726
9140
1371
5165
2437
2853
17036
6156
589
7937
55094
1473
6563
3940
19958
411
7641
1028
6449
33030
9957
74953
11153
39525
9211
3141
37019
9857
2229
7897
2437
2853
10427
9622
16
CU
2008 2009 2008 2009 2008
5
4
3
4
4
4
2
6
4
4
3
4
4
4
3
4
5
5
4
4
5
3
7
3
4
3
6
4
3
3
3
4
4
7
4
4
3
4
4
3
3
4
5
5
4
4
5
3
8
3
6
3
6
5
4
4
5
3
4
7
5
6
4
4
5
5
3
4
4
5
4
4
5
7
7
6
6
5
6
4
5
4
5
4
4
7
5
6
4
4
4
5
3
4
4
5
4
4
7
7
7
6
6
5
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
2009
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
Dall’analisi emerge che tutte le imprese forniscono informazioni
sul CU differenti sono invece le posizioni con riferimento al CR e CS.
Nella generalità dei casi le imprese non migliorano il livello informativo
connesso al CS e CR in alcuni casi anzi l’informativa peggiora (è il caso di
Impregilo, Telecom Italia Media, Fnm e Buzzi Unicem per quanto riguarda
il CS e di Fiat, Falck Autogrill per quanto riguarda il CR).
L’intensità e la qualità delle informazioni sono, da quanto emerge
dall’analisi della correlazione, interrelate al settore di attività. Si evince, in
particolare, che le imprese operanti nel settore delle public utility sono
quelle che più delle altre forniscono informazioni sul capitale intellettuale
nella sua tipica suddivisione.
Tav. 6 – Analisi correlazione qualità informazioni e settore attività
HHI
CS
HHI CS
Spread CS
CS
HHI CR
Spread CR
CR
CU
HHI CU
Spread CU
D industria
D consumo
D servizi
D telecomun.
D pu
Dsalute
spre
ad
CS
CS
hhi
CR
spre
ad
CR
CR
Tota
le
CU
hhi
CU
spre
ad
CU
D
D
indu cons
stria umo
D
serv
izi
Dtel
ec
D
pu
D
sal
ute
1,00
-0,15
1,00
0,89
-0,35
0,27
-0,17
0,26
1,00
0,00
0,58
-0,21
-0,34
1,00
0,30
-0,28
0,35
0,94
-0,47
1,00
0,42
-0,40
0,51
0,46
-0,53
0,49
0,28
-0,18
0,31
0,21
-0,35
0,19
0,85
1,00
-0,05
0,40
-0,16
-0,07
0,35
-0,13
-0,21
-0,07
1,00
-0,10
-0,05
-0,12
-0,22
0,30
-0,29
-0,16
-0,14
-0,07
1,00
-0,06
-0,24
0,03
-0,16
-0,14
-0,18
0,05
0,01
-0,05
-0,18
1,00
-0,12
0,27
-0,16
-0,20
0,17
-0,22
-0,03
0,14
0,27
-0,25
-0,19
1,00
-0,07
0,34
-0,22
-0,10
0,34
-0,18
-0,24
-0,10
-0,03
-0,10
-0,07
-0,10
1,00
0,26
-0,16
0,36
0,48
-0,45
0,60
0,25
0,04
-0,12
-0,34
-0,32
-0,46
-0,18
-0,07
0,19
-0,21
-0,10
0,34
-0,17
-0,21
-0,10
0,70
-0,10
-0,07
0,14
1,00
1,00
1,00
-0,04 -0,18
1
Fonte: nostra rielaborazione
Cio, infatti, con riferimento al capitale strutturale è confermata da una
correlazione positiva tra HHI CS (ovvero tra l’indice di herfinadalh con
riferimento al capitale strutturale) e dummy pu (utilizzata per isolare le sole
imprese operanti nel comparto delle public utility) con una intensità di
correlazione di 0,26; lo stesso di conferma con riferimento al capitale
relazionale e umano. Per quanto attiene la qualità delle informazioni la
stessa tavola permette di evideniziare che sempre nelle public utility la
qualità delle informazioni è elevata, ciò è confermato dalla correlazione
negativa tra spread e settore (poiché come detto in precedenza tanto
maggiore è lo spread tanto inferiore è la qualità delle informazioni). L’area
17
nella quale maggiormente le public utility sono accountable è quella del
capitale relazionale l’elevata qualità delle informazioni è fermata dalla
correlazione negativa tra lo spread CS e la stessa dummy (spread Cr –
Dummy pu r= -0,45)
6. CONCLUSIONI
I risultati dell’analisi dimostrano un aumento nel livello quantitativo e
qualitativo delle informazioni sul capitale intellettuale. La componente
maggiormente rappresentata è il capitale umano, seguito dal relazionale e
strutturale.
L’analisi è stata fatta su tutti i documenti disponibili on line (codice etico,
dei report di sostenibilità, ambientali, del bilancio integrato) al fine di
comprendere la presenza al loro interno d’informazioni che facessero un
qualche riferimento al capitale intellettuale.
Da questa prima analisi emerge un’immediata considerazione: ogni impresa
utilizza documenti di comunicazione volontaria che, a prescindere dai
contenuti, assumono terminologie differenti.
Tra esse chi fornisce informazioni in merito al CI si riferisce ad esso
soprattutto in termini di una sua componente:il capitale umano usualmente
indicato utilizzando il termine risorse umane.
Più precisamente sul campione d’imprese quotate analizzate, 64 parlano,
nel codice etico, del proprio patrimonio intellettuale in termini di Risorse
Umane. Tuttavia, da una breve ed immediata lettura di alcuni di questi
documenti è stato possibile far emergere che non tutte le società oggetto del
campione forniscono informazioni in merito al CI.
Le società quotate italiane dedicano a tale tematica una diversa importanza.
Infatti, da una prima analisi, effettuata sulla quasi totalità del campione,
emerge che solo alcune di queste elaborano dei documenti informativi
aggiuntivi rispetto al bilancio d’esercizio. All’interno di tali documenti
nella maggior parte dei casi, però, non parlano di capitale intellettuale bensì
solamente di una sua componente: il capitale umano che usualmente
indicano utilizzando il termine risorse umane
Ciascuna azienda dedica alla tematica del CI poca importanza e laddove
fornisce informazioni in merito considera però il capitale umano uno
strumento indispensabile per il raggiungimento degli obiettivi aziendali,
quindi, una risorsa sulla quale investire per svilupparla mantenerla,
valorizzarla e attraverso essa accrescere il valore aziendale.
18
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