Società e costume

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Società e costume
Società e costume
(Ara Pacis)
La moda nell’antica Roma1
QUAMDIU STABIT COLYSAEUS
STABIT ET ROMA
QUANDO CADET COLYSAEUS
CADET ET ROMA
QUANDO CADET ROMA CADET ET
MUNDUS.
(Fin quando esisterà il Colosseo, esisterà anche Roma
Quando cadrà il Colosseo, cadrà anche Roma
Quando cadrà Roma, cadrà il mondo.)2
Un documento di straordinaria testimonianza storica è costituito dall’Ara Pacis, su cui è
rappresentato il corteo della famiglia di Augusto e delle personalità più in vista della Roma del
tempo, intervenuti alla cerimonia di consacrazione. Tutti i personaggi sono raffigurati
nell’abbigliamento tipicamente romano: lo stesso Princeps è presente nelle vesti di pontefice
massimo.
Prima di passare alla descrizione dei diversi capi di abbigliamento, occorre ancora una volta
chiarire che la moda dipende da molteplici fattori, quali: il periodo storico, il clima, il materiale di
cui si dispone, la tecnologia, le attività economiche, il ruolo sociale e quant’altro mai ancora.
Per quanto concerne il mondo antico romano, bisogna subito distinguere gli indumenti (dal greco
endúmata: ciò in cui si entra) dagli amíctus (in latino da amb iacio ed in greco epiblémata: ciò con
cui ci si avvolge). Gli indumenta venivano indossati di notte e di giorno; gli amictus solo in
particolari momenti della giornata. Tra i primi figurano il subligaculum o licium, comune sia ai
patrizi sia ai plebei: specie di perizoma in lino allacciato alla vita e che spesso appare nelle
raffigurazioni di atleti. I nobili, però, sopra, vi avvolgevano la toga, mentre per i più indigenti
costituiva capo unico. Solo dopo il II sec. a. C. anche i plebei cominciarono ad usare, sopra, la
tunica: specie di camicione in lino o in lana, formato da due pezzi di stoffa cuciti insieme e che
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Vedasi: Jérôme CARCOPINO, La vita quotidiana a Roma, Laterza, Bari, 1967.
Alcuni sostengono che il nome di Colosseo sia derivato all’Anfiteatro Flavio, inaugurato nell’80 d.C., da una statua di
Nerone, posta nelle vicinanze, per emulare il Colosso di Rodi. Altri sostengono che tale nome sia stato usato per la
prima volta dal venerabile Beda con i versi sopra riportati.
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ricadeva in forma ineguale: di dietro arrivava fino all’altezza delle ginocchia e davanti scendeva
parecchio di più. La tunica, stretta da una cinta intorno alla vita, era comune ai diversi ceti sociali e
ai due sessi. Essa, infatti, era più lunga per i cittadini rispetto ai militari, per le donne nei confronti
degli uomini e per i senatori di fronte ai civili in genere. Spesso si indossavano anche due tuniche
contemporaneamente: una intima, chiamata subúcula e l’altra detta tunica exterior. Ciò non bastava
per ripararsi dal freddo, per cui era necessario avvolgersi o coprirsi con un amìctus che costituiva
l’abito romano per eccellenza: la toga (dal latino tègere = coprire, da cui l’italiano tetto, tegola e
tegumento). Di forma ellittica o di semicerchio e di diversa misura, impreziosita con fregi vari,
richiedeva tempo e abilità per avvolgerla intorno al corpo: spesso era necessario farsi aiutare dai
servi o dai familiari. Tra i vari capi di vestiario era sicuramente quello più complicato ma anche più
tipicamente romano. Era candida per chi aspirava ad essere eletto (candidato) e, in prossimità delle
elezioni, si metteva in mostra, sfoggiandone una ben tersa e linda; sordida (= sporca) per i
supplicanti; atrata (= bruna) per il lutto; purpurea per l’imperatore; praetéxta (= tessuta davanti)
per i ragazzi al disotto dei 17 anni3, quando i giovani lasciavano la toga praetéxta per indossare
quella virilis (di adulto). Con questo evento, da celebrare, si diveniva maggiorenni.
Senatori, aristocratici e sacerdoti erano soliti cingere una toga (laticlavius) impreziosita da una o
due strisce di porpora orlata in oro. Gli equites (cavalieri) si drappeggiavano con dei clavi un po’
più stretti.
Abito propriamente femminile (delle matrone) era la stola: veste indossata sopra la tunica, con o
senza maniche, scendeva lunga, con molte pieghe, fino ai piedi. Era chiusa al petto da un fermaglio
o da una spilla e, alla vita, da una cintura. Nella parte inferiore, orlata, spesso conteneva il ricamo in
oro di un gallone. Sulla stola, quando uscivano di casa, le donne indossavano il pallium: mantello di
stoffa leggera, largo e lungo, drappeggiato intorno al corpo.
Comuni ai due sessi erano i calcei, scarpe di cuoio con legacci intrecciati, quasi corti stivaletti di
pelle, calzati con piedi nudi per strada ed in pubblico. In casa si usavano le soleae, specie di
pantofola di suola o di sughero sorretta da stringhe di cuoio. Un tipo particolare di stivale,
completamente chiuso, erano le caligae, a quanto pare predilette dall’imperatore che da esse prese
nome: Caligola.
Essenzialmente dal III sec. a. C., uomini e donne si dedicarono pure all’acconciatura, alla
pettinatura e alla cura corporis. Era una cerimonia importante per i giovani la depositio barbae
presso il tonsor. Gli uomini si radevano e portavano i capelli corti, a meno che non fossero filosofi.
Non usavano copricapo, ma, in caso di necessità, un semplice cappuccio (cucullus).
Le matrone si dedicavano molto all’acconciatura dei capelli, arricciati con il calamistrum (ferro
riscaldato). Usavano pure parrucche, di capelli veri, o toupet, tenuti fermi da pettini, nastri, spilloni
e diademi. Le matrone arricchivano il loro abbigliamento con inaures (orecchini), collane di
smeraldi o d’oro, anelli, bracciali, spille con cammei realizzati con cristalli di rocca, sardonica o
agata4.
Le donne, ancora, ottenevano il fondotinta con biacca (cerussa) unita a miele e a sostanze grasse, o
con feccia di vino, ocra e salnitro. Era molto in voga portare un neo sulle guance. Per eliminare le
rughe, si usava il latte di asina. Si pensi a Poppea, moglie di Nerone, che viaggiava con una mandria
di asine sempre appresso per poter fare il bagno con il loro latte.
La corruzione dei costumi atavici è stata spesso accusata: “O tempora, o mores!” - si lamentava
Catone il censore, ma i vitia (= vizi), come la virtus, sono propri dell’uomo (vir) e della donna
(virgo), lo conferma la radice stessa delle parole.
Michele Ciliberti
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Sulla vita di Lucrezio non si hanno dati precisi e siccome Donato, in una Vita di Virgilio, racconta che Lucrezio morì
il giorno e l’anno in cui Virgilio prese la toga virile, essendo quest’ultimo nato il 15 ottobre del 70 a.C., è facile dedurre
che Lucrezio morì nel 53 a. C.
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Fortunata, moglie di Trimalchione, insieme con il marito, nel Satyricon di Petronio, fa sfoggio di molti pesanti gioielli.