l`uso pubblico del mondo antico nella musica italiana

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l`uso pubblico del mondo antico nella musica italiana
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Da Omero
a Caparezza:
l’uso pubblico
del mondo antico
nella musica italiana
Laura Rizzo
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Musica e storia viaggiano su due binari
paralleli che, tuttavia, si intersecano di
frequente. Questo fenomeno permette al
docente di considerare la musica come un
possibile strumento, per attirare i giovani
verso la storia.
1. S. Pivato, La storia
leggera. L’uso pubblico della storia nella
canzone italiana, Il
Mulino,
Bologna
2002.
Storia e canzonetta: un binomio
possibile?
Se prendiamo in esame il panorama musicale italiano, dai primi del Novecento fino ad oggi,
vediamo come i testi delle canzoni abbiano raccontato la storia in vari modi: come testimonianza sociale di un’epoca, specchio della realtà da
cui sono prodotti; come riferimento, archetipo a
cui ispirarsi; colorandola politicamente a seconda delle tendenze di partito e ideologie militanti;
come metafora per raccontare; ed anche come
occhio disincantato e divertissement (ugualmente carico di significato). Ma come? In che
modo? Con quali finalità? Si può parlare di uso
pubblico della storia all’interno della musica, e,
nello specifico, nelle canzoni? Può un genere
“leggero” come la canzonetta assurgere a “fonte”
per raccontare la storia?
Se fossero soltanto canzonette, non staremmo qui a parlarne. E invece, soprattutto nell’ambito della musica italiana, la forma canzone
ha indossato diversi vestiti, è stata modulata su
certi adagi, ha goduto di importanti parolieri
che le hanno conferito notevole dignità. Scrittori e poeti si sono spesi nell’elaborazione di testi
(Roversi, Calvino, Rodari, alcuni esempi); la
stessa grande stagione di cantautori, a partire
dalla fine degli anni Sessanta, ha intrecciato parole e musica con maestria.
Le sezioni finali dei libri di letteratura utilizzati nelle scuole, dedicate al Novecento, riportano oggi come esempi di poesia italiana i testi
delle canzoni di Dalla, De André, Guccini, Fossati, accanto a Ungaretti, Montale e Saba.
Ma la storia? Stefano Pivato1, in un saggio
dedicato all’uso pubblico della storia nella canzone italiana, scrive: «nonostante l’autorevolezza di alcuni giudizi, la musica come “produttrice” di senso comune storico è però curiosamente rimasta ai margini di uno dei dibattiti più
significativi che ha animato la comunità scientifica negli anni recenti: quello dell’uso pubblico della storia». Secondo la visione di Pivato, se
il cinema, la televisione e la carta stampata hanno assunto un ruolo determinante nell’ambito
della comunicazione mediatica della storia, la
musica ancora no. Lo spostamento che pian
piano si sta avendo dai mezzi tradizionali, il libro, a quelli ritenuti meno convenzionali, i media, per la diffusione della storia è un processo
lento ma inevitabile. Non si può ignorare la società che ci circonda, né la realtà stessa dei ragazzi, diretti fruitori della storia e abili gestori
della tecnologia. È dunque necessario parlare
anche di storia attraverso la musica.
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La musica che gira
intorno
A dispetto delle reticenze e delle diffidenze diffuse, le canzoni come strumento
di comunicazione storica hanno moltissimi
canali di espressione.
Pivato, nel suo saggio,
cerca di spiegare il
perché dell’ostracismo subito dalla musica,
dando alcune linee generali riguardanti proprio il mondo dei giovani e la percezione che
oggi si ha della storia stessa, materia ostica e
difficile da digerire. L’analisi lucida di Pivato
prende le mosse da una frase di Eric Hobsbawm, storico del Novecento, il quale afferma:
«la maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico
con il passato storico del tempo in cui vivono»2.
In questo sentiero si muove Pivato, sostenendo
come in un’epoca di «perdita di memoria storica», di completo oscuramento del passato, cantanti e cantautori possano oggi svolgere la funzione di “storici”, data la grande vicinanza dei
giovani alla musica. Altamente condivisibile,
da parte nostra, pensare a questo e a quanto la
canzone abbia detto e fatto, in modo volontario o totalmente inconscio. Il consumo della
musica è aumentato notevolmente. In particolare grazie all’avvento di nuovi mezzi che permettono a chiunque di avere in tasca un piccolissimo aggeggio (l’I-pod) contenente quantità
elevate di canzoni e di possedere in pochi gesti
e attraverso il web, tutta la musica desiderata
“scaricandola” direttamente sul proprio Pc (tra
metodi legali e pirateria). La diffusione musicale, oggi, tocca dati così alti che, passati i tempi
del vinile, si rischia addirittura di cadere nel
processo inverso: nausea e indigestione. In
questo panorama sonoro e mediatico, la canzone si aggira libera di raccontare, sapendo bene di essere ascoltata e recepita dal suo pubblico, anche la storia, cantando del suo tempo
o alludendo a epoche passate e a personaggi
storici, col diverso obiettivo di raccontarli, trasfigurarli, reinterpretarli, oppure utilizzarli come riferimenti, modelli, metafore del tempo attuale.
La storia antica
nella canzone
italiana
A
quest’ultima
categoria appartiene
il racconto che la
canzone italiana fa
della storia antica:
sia il mito che la storia greca e romana
hanno illustri esempi
nelle canzonette. È curioso vedere come determinati personaggi abbiano assunto, nel corso
degli anni e, soprattutto, in relazione alla sensibilità dell’artista che li ha cantati e messi in scena, un diverso vestito. Come siano stati utilizzati
i loro atteggiamenti, le loro caratteristiche, i tic,
le manie. Come il messaggio sotteso alla storia
sia suscettibile di modifiche e cambiamenti. Il
risultato, però, è sempre interessante: artista
che vai, personaggio che trovi, l’arte dell’interpretazione è premessa necessaria al racconto
della storia. Da Omero ai giorni nostri.
Ci sono delle ricorrenze nella scelta dei soggetti. Personaggi storici e mitici che tornano ad
animare le canzoni italiane, evocando, alludendo, trasfigurando. Così accade per Orfeo ed Euridice, il mito del cantore e della sua amata ninfa,
morta a causa del morso di un serpente e discesa
negli Inferi. Disperato per la morte della sposa,
Orfeo con il suo canto commuove Persefone
stessa, regina del mondo dei morti, ottenendo da
lei di scendere nell’Ade per riprendersi l’amata.
L’unica condizione è non voltarsi lungo il cammino. Impaziente, però, Orfeo si gira per guardare la sua sposa ed Euridice svanisce nell’ombra. Una versione diversa, capovolta, di questo
mito la offre Roberto Vecchioni, cantautore milanese. Nella sua Euridice, è Orfeo a parlare in
prima persona. Ed è sempre Orfeo a decidere
deliberatamente di voltarsi per lasciare la moglie
negli Inferi. La sua è una veste moderna, nuovo
abito del mitico personaggio che opera una scelta e non è soggetto più al volere degli dèi.
L’uso che si fa, nel testo di Euridice, del futuro semplice, aiuta a comprendere, a interpretare
il pensiero del cantore greco. La sua meditazione: «Morirò di paura / a venire là in fondo, / maledetto padrone / del tempo che fugge, / del
buio e del freddo: / ma lei aveva vent’anni / e faceva l’amore, / e nei campi di maggio, / da quando è partita, / non cresce più un fiore... / [...]».
Nel nuovo panorama
sonoro, la canzone
si aggira libera di
raccontare anche la
storia
2. E.J. Hobsbawm, Il
secolo breve. 19141991: l’era dei grandi cataclismi, Rizzoli,
Milano 1995, pp. 1415.
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Ma il personaggio storico/mitico a cui è semE in seguito la scelta: «Ma non avrò più la
forza / di portarla là fuori, / perché lei adesso pre rivolta grande attenzione è Ulisse. L’Odissea
è morta / e là fuori ci sono luce e colori: / dopo di Omero, molto più dell’Iliade, rappresenta
aver vinto il cielo / e battuto l’inferno, / basterà materia di studio, terreno fertile per rielaborache mi volti / e la lascio nella notte, / la lascio zioni e metafore: grande viaggio, spostamento
da casa, eroe in mezzo al mare che supera ostaall’inverno... / [...]».
Nella veste più classica, invece, è l’Orfeo di coli e pericoli, moglie e figlio a casa che aspetCarmen Consoli. La traccia sembra specchio di tano il ritorno, amore coniugale, tentazioni, riquella di Vecchioni: qui è Euridice (o comun- torno. Quello che importa è il simbolo e il “moque un personaggio femminile) a parlare e a do” attraverso il quale viene veicolato: la storia
chiedere al cantore greco di salvarla, di portar- di Ulisse contiene diverse metafore che, di volta
la via, di riprenderla e portarla alla luce del so- in volta, a seconda delle esigenze, sono utilizzale. È giunto il momento della rinascita e lei si te. E la storia, così, diventa strumento di conoaffida al canto e alle mani calde di Orfeo per scenza. Itaca, canzone scritta da Lucio Dalla
tornare in superficie: «Sei venuto a riprendermi (dello stesso autore ricordiamo anche Ulisse co/ Orfeo malato dai forza e coraggio al tuo canto perto di sale), disegna un ritratto dell’eroe omeeccelso / Portami con te non voltarti / condu- rico attraverso altri occhi: sono gli occhi del macimi alla luce del giorno / portami con te non rinaio che segue fedelmente il suo capitano in
lasciarmi / io sono bendata ma sento già il ca- mezzo al mare (simbolo di grandi avversità e
lore / è il momento di svegliarmi / è tempo di probabili sventure), che divide con lui la giornata, i pericoli, la paura e la voglia di ritornare
rinascere».
Nella coloratissima e multiforme arte di Vi- a casa. Ma la posizione è totalmente differente:
nicio Capossela, formidabile artista e narratore entrambi sopportano la stessa condizione (il
di storie, c’è spazio anche per il mondo antico. viaggio, la solitudine, la paura di morire, la lontananza da casa): «capitano
Medusa cha-cha-cha è un
che hai negli occhi il tuo
ricamo
divertentissimo
Sei venuto a
nobile destino / pensi mai
della donna coi capelli di
serpente e lo sguardo pieriprendermi / Orfeo al marinaio / a cui mancan
pane e vino / capitano che
trificante. La storia è giomalato dai forza e
hai trovato / principesse in
cata sul ritmo allegro e
coraggio al tuo canto ogni porto / pensi mai al
ondeggiante del cha-charematore / che sua moglie
cha (e niente è scelto a
eccelso
crede morto»; ma gli esiti
caso) e le parole simulano
sono differenti: «capitano
le avances della donna
che, per vendetta nei confronti di chi le ha in- le tue colpe / pago anch’io coi giorni miei /
flitto questa pena, invita gli uomini, poveri mentre il mio più gran peccato / fa sorridere gli
sventurati, a guardarla negli occhi, fino a restare dèi, e se muori è un re che muore / la tua casa
“di sasso”: «mi piacciono i ragazzi, un tipo un avrà un erede / quando io non torno a casa / enpo’ geloso / mi ha appiccicato al volto questo tran dentro fame e sete».
Odysseus, di Francesco Guccini, racconta un
sguardo odioso / affascinante, ma difettoso /
chi lo guarda non lo sa, non lo sa, / non lo sa, Ulisse insolito. Il cantautore di Pavana raccoglie
ma diventa un baccalà; / [...] fatti tentare / da per strada tutti i riferimenti letterari più colti, da
questo cha cha tentacolare / i serpenti sono una Omero («concave navi dalle vele nere»), a Dante
scusa / se non lo balli sarò scontrosa, riformosa («dei remi facemmo ali al folle volo»), passando
/ ma generosa, decisamente fusa / il cha cha attraverso Foscolo («la petrosa isola»), per elacon la medusa / chi l’ha provato più non riposa borare la sua idea di Ulisse: «Bisogna che lo af/ [...] Non guardarmi, non guardarmi negli occhi fermi fortemente / che, certo, non appartenevo
per favore / ma solo ba, solo ba, solo baciami al mare / anche se dèi d’Olimpo e umana gente
tesoro / eccoci un altro che ci è caduto / per un / mi spinsero un giorno a navigare». E in questi
poco non m’ha ba-cha-cha-to / è restato tutto primi versi c’è tutto: l’ambiguità del personagagghiacciato / o mamma mamma come devo gio, la condizione umana che soggiace al volere
degli dèi e, soprattutto, la voglia di avventura di
far / un altro sasso dovrò abbracciar [...]».
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Nave da guerra
ateniese nel
particolare di un
vaso attico, V sec.
a.C.
un uomo che si spinge nel mare, pur appartenendo, per nascita, a luoghi di montagna. La
stessa voglia di avventura che lo porta lontano,
senza restare intrappolato nei versi di Omero:
«solo leggende perse nella notte / perenne di
chi un giorno mi ha cantato / donandomi però
un’eterna vita / racchiusa in versi, in ritmi, in
una rima / dandomi ancora la gioia infinita / di
entrare in porti sconosciuti prima».
E se l’Ulisse cantato dalla PFM conserva ancora i tratti originari («nessuno può capire un
porto / se non sa il mare che cos’è / e a casa
non ritornerei / con le nuvole sogno di andare
via / dai palazzi di vergogna / dalle strade di
ipocrisia / amore un’isola prima o poi ti darò /
per ogni lacrima che per me verserai / sulla tela
dei sogni tuoi [...]»), l’Ulisse di Caparezza si trasforma in un eroe post-moderno, stregato da
Ilaria, una ragazza per niente alla moda e non
al passo con i tempi, tanto da non riuscire a resisterle. Lei non possiede un blog, non ha un
myspace, «non civetta nella webcam», «scrive sui
post-it», non le interessa il gossip, «l’idea di far
carriera non la sfiora» e «se mette pancetta non
frigna», mentre lui grida forte nel ritornello: «ed
io non sono Ulisse, io non so resisterle, slegatemi e gettatemi giù».
Fuori dal tunnel?
Dagli anni Sessanta e Settanta ad oggi, dunque, la canzone italiana continua ad attingere a
modelli storici e mitici, col duplice intento di
narrare e confrontarsi col passato.
Di esempi se ne potrebbero fare molti altri,
ma se queste tracce musicali prese in esame sono bastate a comprendere il modo in cui musica e storia possano viaggiare insieme, congiungendo e scambiando quei binari citati in apertura, lasciando aperti varchi, gallerie e passaggi
a livello, permettendo a personaggi mitici di infilarsi nelle orecchie di milioni di ragazzi, lasciando (si spera) un segno, allora potremmo
sperare di essere «fuori dal tunnel», come direbbe Caparezza. n
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