Mon Oncle - Cinema Primavera
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Mon Oncle - Cinema Primavera
cane sciolto (come quelli che simbolicamente aprono e chiudono il film inseguiti dal loro consimile con cappottino in cerca di libertà). Non a caso il piccolo Gérard trova in lui quel respiro vitale che, in una casa in cui si mangia un uovo come se si fosse in un freddo ospedale, fa desiderare frittelle consumate in libertà. Tati contrappone i due aspetti dell'urbanizzazione (uno in cui la dimensione umana ha ancora un suo rilievo e l'altro in cui tutto si riduce a formalismo ed automatizzazione) ma non deve essere ascritto d'ufficio a un passatismo fine a se stesso. Basti pensare che lo scenografo Jacques Lagrange immagina la villa degli Arpel seguendo canoni architettonici che sono solo falsamente moderni in quanto risalgono all'International Style che ebbe il suo momento di fulgore tra gli anni Venti e i Trenta. Ciò che Hulot in fondo sottolinea è ben altro. Il mondo di plastica che si prefigura sta plastificando anche gli esseri umani e se il rapporto tra Gérard e il padre rimanda a quello non facile tra lo stesso Tati e il suo genitore, in questo film il regista francese soprattutto avverte e teme l'assedio di una società in cui, come il De Sica di Miracolo a Milano, non ci sia più un luogo in cui "buongiorno voglia dire veramente buongiorno". Ce lo comunica grazie a gag che entreranno nella storia del cinema e i cui tempi comici saranno da modello per innumerevoli film (un esempio per tutti: Hollywood Party di Blake Edwards). Giancarlo Zappoli www.mymovies.it Mercoledì 11 gennaio, ore 16.30 - 19 - 21.00 Giovedì 12 gennaio, ore 19.00 - 21.00 Un film di Jack Zagha Kababie, con Luis Bayardo e Eduardo Manzano Nonostante i limiti dell'età e la disapprovazione dei familiari, tre amici ottantenni decidono di intraprendere un viaggio per mantenere la promessa fatta a un amico morente. Così, Emiliano, Augustin e Benito, uniti dalla passione per il gioco a domino, si mettono in viaggio per portare al museo della cittadina messicana di Guanajuato un vecchio tovagliolo di carta con la prima versione di una celebre canzone scritta dal famoso José Alfredo Jiménez, il miglior compositore messicano di musica ranchera di tutti i tempi. "El Rey" come era noto, l'aveva dedicata proprio a lui: Pedro. Dopo un'ultima sigaretta e un giro di tequila, il gruppo di vecchi amici sigillerà questa promessa. I tre si troveranno così a vivere una serie di avventure pittoresche e surreali che faranno ritrovare loro uno scopo nella vita, anche alla loro veneranda età. Venerdì 13 gennaio, ore 21.00 (versione originale) MERCOLEDí 21 DICEMBRE 2016, ORE 16.30-19.00-21.15 GIOVEDí 22 DICEMBRE 2016, ORE 19.00-21.15 VENERDí 23 DICEMBRE 2016, ORE 21.00 (V.O.) Il cast tecnico. Regia: Jacques Tati. Soggetto e sceneggiatura: Jacques Lagrange, Jean L'Hôte, Jacques Tati. Fotografia: Jean Bourgoin. Montaggio: Suzanne Baron. Scenografia e arredamento: Henri Schmitt. Musica: Frank Barcellini, Alain Romans, Norbert Glanzberg. Origine: Francia, 1958 (restaurato nel 2016). Durata: 2h00. Gli interpreti. Jacques Tati (Monsieur Hulot), Jean-Pierre Zola (Charles Arpel), Adrienne Servantie (Madame Arpel), Alain Bécourt (Gerard Arpel). La trama. Gérard Arpel vive con i genitori in una villa in cui dominano la modernità e la plastica ma preferisce la compagnia dello zio materno Hulot il quale lo porta con sé nel vecchio quartiere della città in cui ha la sua abitazione. Per sottrarre Gérard all'influenza di questo zio così poco conformista, il signor Arpel dà a Hulot un posto nella sua industria mentre la signora Arpel pensa di dargli in moglie una sua vicina. Ma questi tentativi non hanno il successo sperato. Per Charlot furono bastone e bombetta, per Hulot pipa e bicicletta. Se il genio di Charlie Chaplin è legato in modo indissolubile al personaggio di Charlot, Jacques Tati non sarebbe nessuno senza il suo Monsieur Hulot. A 58 anni dalla prima proiezione pubblica torna nelle sale italiane, in versione restaurata, Mon Oncle, capolavoro di Tati che con il suo ritratto di zio firmò nel 1958 una spassosa critica alla società dei consumi e alla modernità. Vincitore dell'Oscar come miglior film straniero e Gran Premio della Giuria al festival di Cannes, il film che arriva nei cinema il 6 giugno, fa parte, del progetto della Ripley's film in collaborazione con Viggo che riporta sul grande schermo, nelle versioni restaurate a cura di Les Films de Mon Oncle, quattro suoi capolavori. Dopo Mio zio arrivano il 14 giugno il monumentale Playtime, il 20 giugno la prima apparizione dell'alter ego del regista Les vacances de Monsieur Hulot, il 27 giugno il film d'esordio Jour de Fête. "Prima di girare film ero un mimo: dovevo riprodurre per la gioia degli spettatori quello che osservavo nella vita. Nel cinema ho portato la stessa tecnica di osservazione del prossimo, copiando la vita, mostrando le piccole assurdità e i tratti tipici dei singoli individui". Jacques Tatischeff (1907-1982), figlio di un conte russo generale dell'esercito ("mio padre non era un tipo divertente - raccontava ricordo come fosse oggi la prima volta che mi portò al cinema") e di una francese cresciuta in un atélier (il nonno era amico di Van Gogh e corniciaio per Toulouse Lautrec), debuttò negli anni Trenta nei music hall parigini. Mediocre studente ma appassionato sportivo (tennis, boxe, calcio, equitazione), Tati esordì come autore con Impressions sportives, uno spettacolo costruito sulle sue passioni. Prima di questo Tati era stato attore in vari film di altri tra cui René Clement, ma è nell'osservazione del prossimo che aveva affinato la sue verve. "Le mie prime ricerche comiche risalgono all'epoca delle mie delusioni scolastiche raccontava - ho avuto la fortuna di ritrovarmi spesso nell'angolo e da quella prospettiva i professori apparivano molto diversi: visti di faccia sembravano perfetti, di lato cominciavi a notare i calzini abbassati, le punte dei piedi a grattare i polpacci... qualcosa di molto diverso rispetto a gente impeccabile e corretta". Un'altra grande fonte di ispirazione fu l'esperienza in guerra che lo portò a partecipare nel 1940 alla battaglia della Mosa. È lì che è nato il personaggio di Hulot. "Nel 16º reggimento Dragoni c'era un ragazzo che di mestiere faceva il barbiere e non ne sapeva assolutamente niente di cavalli ma neanche di gradi: per lui luogotenente, capitano o colonnello erano la stessa cosa - spiegava Tati Era capace di andare dal colonnello e chiedere se aveva visto la sua spazzola, chiunque altro sarebbe stato punito. Ma lui no. Ecco per il suo modo di essere Hulot è un personaggio praticamente intoccabile". (…) Amato da Anderson, Wenders, Lynch, Godard e naturalmente Truffaut, Monsieur Jacques Tati ha lasciato un segno importante nel cinema del Novecento. Il modo più giusto per ricordarlo, secondo noi, è attraverso le parole del suo collega Buster Keaton: "Tati ha cominciato là dove noi abbiamo finito". Chiara Ugolini La Repubblica 2 Giugno 2016 (…) Tati contrappone il culto del comfort e la freddezza tecnologica della nascente società consumista (siamo nel 1958) al candore stralunato di quello zio che vive 'all'antica', esasperando in una girandola di gag e di invenzioni surreali il contrasto fra i limiti del nostro povero corpo e l'apparente perfezione delle macchine che ci circondano. Un gioiello assoluto, di cui si sarebbero innamorati registi diversissimi come Godard e Truffaut, Lynch e Wes Anderson, Wenders e Michel Gondry. Ma a cui sarebbero seguiti solo due film, gli ambiziosissimi e catastrofici 'Playtime' e 'Traffic',1967e1971. Fabio Ferzetti Il Messaggero 9 Giugno 2016 (...) Un altro genio assoluto della Settima Arte (si, in questo caso è Arte con la 'a' maiuscola). (...) Tati faceva cinema ben dentro il sonoro, 'Mon oncle' è infatti un capolavoro del 1958 pieno di suoni, di rumori, di cinguettii, qua e là persino di parole: ma il personaggio di Tati, sempre vestito di impermeabile e cappellino e perennemente armato di ombrello, non parlava mai. I suoi film erano un geniale ricalco dei capolavori muti di Chaplin e di Keaton, geni ai quali Tati può essere paragonato senza alcun timore reverenziale. Per inciso, 'Mon oncle' vinse anche l'Oscar come miglior film straniero, a dimostrazione che allora anche l'Oscar era una cosa seria. Alberto Crespi L’Unità 9 Giugno 2016 Con il Premio della Giuria a Cannes e l'Oscar quale miglior film straniero Tati consegue, grazie a questo film, quel riconoscimento internazionale che gli consentirà di avere una totale libertà di azione per il suo futuro lavoro. Va detto che per arrivare all'Oscar mette in atto una strategia accurata con un doppiaggio in inglese e con alcune scene differenti rispetto alla versione europea. Gli americani gli proporranno un contratto con molti zeri per un film con Sophia Loren dal titolo "Mr. Hulot Goes West" ma Tati risponderà che all'Ovest preferisce l'Est, lasciandosi alle spalle qualsiasi possibilità di collaborazione con Hollywood. Dove sta un così forte potere di attrazione del film e del suo personaggio? Sta innanzitutto nel fatto che, dopo il paese di Giorno di festa e la località balneare di Le vacanze di Monsieur Hulot si affronta finalmente in modo frontale la dimensione urbana. Tati/Hulot diventa così il portabandiera di chi non si vuole integrare, di chi non vuole accettare come positiva una modernità assurta ad idolo da parte di quelli che vogliono dare di sé un'immagine costruita ad hoc. Il tormentone della fontana con getto d'acqua nel giardino degli Arpel (che è tenuta inattiva e viene 'accesa' solo se arriva un ospite che si vuole stupire) ne è l'emblema. Hulot però non è un rivoluzionario, è piuttosto un