I modelli di controllo sull`attuazione decentrata del - side
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I modelli di controllo sull`attuazione decentrata del - side
Giulio Napolitano La strategia dei controlli nella governance comunitaria delle comunicazioni elettroniche * Sommario: 1. L’armonizzazione regolatoria e il ruolo della Commissione europea. - 2. Il controllo tramite la separazione funzionale e strutturale. - 3. Il controllo tramite le procedure. - 4. Il controllo tramite l’integrazione organica. - 5. Conclusioni 1. L’armonizzazione regolatoria e il ruolo della Commissione europea A metà degli anni Sessanta, il settore delle telecomunicazioni costituiva un’industria di media grandezza, dominata da un solo servizio, la telefonia vocale fissa. Era caratterizzato da uno sviluppo tecnologico piuttosto lento, da modesti traffici transfrontalieri di servizi e apparecchi terminali e da una limitata regolazione di carattere sovranazionale. Oggi, il settore delle telecomunicazioni è diventato un mercato fortemente integrato a livello internazionale, ad alto sviluppo tecnologico, collocato al centro della vita economica e sociale. Questa trasformazione, secondo un recente studio, è l’effetto di una vera e propria rivoluzione tecnologica ed economica avvenuta su scala globale e di radicali riforme regolamentari attuate negli Stati Uniti e in Europa 1 . In quest’ultima, a partire dall’inizio degli anni Novanta, l’ordinamento comunitario ha perseguito l’obiettivo di costruire il mercato interno delle comunicazioni elettroniche. A tal fine, sono state adottate molteplici direttive con l’obiettivo di armonizzare progressivamente le legislazioni degli Stati membri. Originariamente, la normativa comunitaria ha invece trascurato il ruolo della regolazione. Si è all’inizio * Testo, con alcune variazioni e integrazioni, della relazione presentata al Convegno organizzato dalla Fondazione Cesifin “Alberto Predieri” su La nuova disciplina delle comunicazioni elettroniche, Firenze, 13 giugno 2008. 1 Si v. M. Thatcher, Internationalisation and Economic Institutions, Oxford, Oxford University Press, 2007, p. 123 ss. ritenuto, infatti, che la concorrenza si sarebbe affermata per il solo superamento dei vincoli legali all’apertura del mercato. Anche i primi presidi regolatori introdotti nella seconda metà degli anni Novanta sono stati concepiti come meramente transitori: dunque, non è apparso immediatamente necessario un particolare investimento anche nell’armonizzazione delle regole specifiche, come quelle in materia di accesso, di interconnessione e di prezzi, destinate ad accompagnare la fase di apertura del mercato . L’ordinamento comunitario, tuttavia, si è reso progressivamente conto della necessità di una strumentazione regolatoria sempre più ricca ed articolata, di cui è diventato allora indispensabile assicurare maggiore coerenza in tutti gli Stati membri: sia per garantire l’introduzione della concorrenza e la tutela dei diritti dei consumatori; sia per rafforzare l’integrazione del mercato interno. Anche gli operatori, d’altra parte, hanno ben presto reclamato la corretta e uniforme applicazione delle regole davanti alle istituzioni comunitarie, contro quelle nazionali, dando vita a quello che è stato chiamato il «gioco con le regole» 2 . Si è così innescata una dialettica tra istanze di accentramento e istanze di decentramento della regolazione, che si ritrova ormai in molti campi dell’azione comunitaria volta alla costruzione del mercato interno. Le misure di accentramento fanno leva sui vantaggi derivanti dalle economie di scala e dal superamento di duplicazioni regolatorie, con la conseguente riduzione della segmentazione dei mercati e degli adempimenti burocratici delle imprese; dalla prevenzione di forme di concorrenza al ribasso tra i diversi regolatori nazionali; dall’aumento dell’expertise tecnica di un regolatore unico europeo capace di ampliare notevolmente il numero e la varietà di questioni esaminate; dalla diminuzione del rischio di cattura, che sarebbe invece superiore quando gruppi di pressione influenti interagiscono con regolatori più piccoli, operanti su scala regionale. All’opposto, i sistemi decentrati di regolazione presentano almeno due vantaggi: in primo luogo, la determinazione delle regole a livello locale consente una migliore rispondenza alle preferenze collettive e alle caratteristiche tecnico-economiche dei mercati nazionali; in secondo luogo, la comparazione tra regolazioni nazionali in parte differenti rivela i punti di forza e di 2 La formula si deve a S. Cassese, Dalle regole del gioco al gioco con le regole, in Mercato, concorrenza, regole, 2003. 2 debolezza di ciascuna, aumentando le opportunità di sperimentazione e di innovazione istituzionale 3 . La tendenza a un crescente accentramento della regolazione e non più soltanto della legislazione è ormai evidente in tutti i servizi a rete4 . Ma è l’ordinamento delle comunicazioni elettroniche quello in cui la disciplina dei sistemi nazionali di regolazione è diventata maggiormente stringente, attraverso l’introduzione di procedure e istituzioni di coordinamento e di armonizzazione a livello europeo5 . Il pacchetto di nuove proposte presentato dalla Commissione al Consiglio e al Parlamento il 13 novembre 2007 segna un’ulteriore tappa in questa direzione: anzi, per quanto, per la prima volta, vi sia una significativa sincronia tra l’iniziativa normativa nel settore delle comunicazioni elettroniche e in quello dell’energia, il grado di armonizzazione regolatoria del primo è destinato a rimanere superiore6 . Può sembrare un paradosso che ciò avvenga nel settore in cui maggiore è stata l’apertura alla concorrenza e dunque minore appare l’esigenza della regolazione. Ma, in realtà, sono proprio l’introduzione della concorrenza e lo sviluppo di servizi paneuropei in competizione tra loro a porre con particolare urgenza il problema di regole del gioco omogenee in tutto il mercato interno, al fine di evitarne applicazioni distorsive, incoerenti e discriminatorie. Anche nel settore delle comunicazioni elettroniche, la Commissione europea, in quanto custode del diritto comunitario, è il regista e il garante del processo di armonizzazione regolatoria. Essa, tuttavia, non ne costituisce anche il soggetto esecutore, ad esempio, attraverso l’accentramento della competenza ad adottare misure di conformazione del mercato e dell’attività economica svolta nel settore 7 . Poco 3 Si cfr. P. Nicolaïdes, Regulation of Liberalised Markets: A New Role for the State? (or How to Induce Competition Among Regulators, in Regulation through Agenices in the EU. A New Paradigm of European Governance, a cura di D. Geradin, R. Muñoz e N. Petit, Edward Elgar, Cheltenham, 2005, p. 23 ss., in part. p. 36 ss. 4 Si rinvia in proposito a quanto illustrato in Towards a European Legal Order for Services of General Economic Interest, in European Public Law, 2005, p. 565 ss. 5 Su questa evoluzione, R. Perez, Comunicazioni elettroniche, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G. Greco, II ed., Milano, Giuffrè 2007, Parte speciale, tomo II, p. 783 ss. 6 Si v., per il primo settore, COM (2007) 697, COM (2007) 698 e COM (2007) 699; per il secondo COM (2007) 528, COM (2007) 529, COM (2007) 530, COM (2007) 531 e COM (2007) 532. 7 Sulla varietà dei regimi che caratterizza la governance regolatoria europea, C. Scott, Agenices for European Regulatory Governance: A Regimes Approach, in Regulation through Agenices in the EU. A New Paradigm of European Governance, cit., p. 67 ss. Tra questi si segnalano i seguenti: l’esercizio diretto di funzioni di regolazione e di vigilanza da parte della Commissione; lo svolgimento di funzioni di 3 importa in questa sede se ciò sia dovuto semplicemente ai limiti ordinamentali derivanti dai Trattati, che ostano all’imputazione formale di nuovi poteri in capo alla Commissione; al connesso deficit di legittimazione e di accountability che caratterizzerebbe l’istituzione comunitaria rispetto ai pubblici poteri nazionali; oppure, anche a un disegno di efficiente divisione del lavoro, funzionale alla massimizzazione delle aree di ingerenze della Commissione, senza rilevanti costi aggiuntivi diretti, come predica la teoria economica della delega 8 . In quest’ultima prospettiva, può dirsi che l’ordinamento comunitario procede all’armonizzazione regolatoria attraverso l’istituzione di un rapporto funzionale principale-agente tra Commissione e autorità nazionali di regolamentazione, in cui le seconde curano l’interesse della prima all’attuazione omogenea del quadro regolatorio comunitario, operando sul campo e disponendo di maggiori informazioni. Ogni rapporto di agenzia, tuttavia, può generare alcune perdite per il principale, derivanti dal rischio di comportamenti opportunistici dell’agente, che possono dare luogo a ‘deviazioni’ burocratiche o politiche dal mandato assegnato. Tale rischio è aggravato dal fatto che le autorità nazionali di regolamentazione sono agenti al servizio di principali multipli: esse, infatti, dipendono anche dagli Stati nazionali, dal potere legislativo che ha provveduto ad istituirle e talora ne nomina gli organi, e dal potere esecutivo, che in vario modo può condizionarne le modalità di funzionamento 9 . Per ridurre il rischio di tali perdite, l’ordinamento comunitario delle comunicazioni elettroniche ha sperimentato diversi strumenti di controllo, riconducibili metaregolazione, attraverso il controllo di secondo grado sul modo in cui operano le autorità nazionali di regolazione; l’istituzione di agenzie europee, regolatorie, esecutive o autenticamente indipendenti, lacreazione di organizzazioni a rete; il metodo aperto di coodinamento, il mutuo riconoscimento. A ciò si aggiungono gli approcci fondati sulla coregolazione, sull’autoregolazione e sul private enforcement. 8 Su cui, in generale, D. Epstein e S. O’Halloran, Delegating Powers: A Transaction Cost Politics Approach to Policy-making under Separate Powers, Cambridge, Cambridge University Press, 1999; sul delegation game, R. Cooter, The Strategic Constitution, Princeton, 2000, p. 81 ss. Nel caso in esame, il peso dell’argomento ‘economico’ è implicitamente riconosciuto dalla stessa Commissione, quando, nel presentare la proposta di regolamento istitutivo della nuova Autorità europea, essa afferma che non potrebbe disporre delle risorse e delle competenze necessarie all’esercizio diretto di funzioni regolatorie. 9 In una chiave naturalmente diversa, questa duplice dipendenza delle autorità è stata ben evidenziata da chi, nelle scienza giuridica italiana, le ha definite come enti autarchici dell’ordinamento comunitario (F. Merusi, Il diritto amministrativo comune nelle comunicazioni elettroniche, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2004, p. 1269 ss., ma già in Id., Stato e mercato: convergenze e divergenze nei diritti amministrativi in Europa, in Diritto dell’Unione europea, 2000, p. 499 ss.). Per un’organica ricostruzione dei meccanismi di dipendenza funzionale delle amministrazioni nazionali dalle istituzioni comunitarie, con ripetuti riferimenti anche al settore delle comunicazioni elettroniche, si v. ora L. Saltari, Amministrazioni nazionali in funzione comunitaria, Milano, Giuffrè, 2007. 4 a tre modelli fondamentali: a) il modello della separazione strutturale e funzionale; b) il modello dei controlli procedurali; c) il modello dell’integrazione organica. Le strutture e i processi di regolazione disciplinati dalla normativa comunitaria acquistano così nuova luce, quali strumenti di un disegno istituzionale consapevolmente perseguito dalla Commissione allo scopo di garantire la conformazione delle autorità nazionali al mandato legislativo europeo e agli indirizzi applicativi formulati dalla stessa Commissione 10 . Nella produzione delle regole giuridiche dell’ordinamento comunitario, d’altra parte, assume un ruolo fondamentale proprio il comportamento strategico della Commissione, cui competono sia la prima mossa (la formulazione della proposta normativa), sia l’ultima mossa (la vigilanza sulla corretta applicazione della normativa). Il perfezionamento del procedimento legislativo comunitario, tuttavia, richiede forme di alleanza e di coalizione tra la Commissione, i governi, gli altri soggetti istituzionali operanti a livello europeo e nazionale, i diversi attori del mercato. Il rafforzamento del sistema dei controlli proposto dalla Commissione lo scorso novembre potrà realizzarsi soltanto se essa sarà in grado di aggregare a suo sostegno un insieme di interessi sufficiente ampio e coeso. 2. Il controllo tramite la separazione funzionale e strutturale Il primo modello di controllo è fondato sulla separazione strutturale e funzionale dell’organo incaricato dei compiti di autorità nazionali di regolamentazione. Esso si esplica in due diverse direzioni, prima rispetto alle imprese regolate, poi nei confronti degli organi di indirizzo politico. L’idea di fondo è che un’autorità nazionale di regolamentazione non ‘catturata’ dalle imprese regolate e non ‘deviata’ dai principali politici nazionali sia naturalmente indotta ad applicare in modo oggettivo la normativa comunitaria e a seguire gli indirizzi applicativi e gli orientamenti interpretativi formulati dalla Commissione. Inizialmente, l’ordinamento comunitario ha prescritto il requisito della separazione funzionale e (implicitamente strutturale) del regolatore rispetto alle imprese regolate. Il 10 Si riprende qui, mutatis mutandis, l’impostazione di M.D. McCubbins, R.G. Noll, B.R. Weingast, Structure and Process, Politics and Policy: Administrative Arrangements and the Political Control of Agencies, in Virginia Law Review, 75 (1989), p. 431 ss. 5 vincolo, introdotto per la prima volta nel settore delle comunicazioni elettroniche dalla direttiva 97/51/CE, è stato successivamente replicato in tutti gli altri settori: da quello energetico a quello postale, da quello ferroviario a quello aereo. Il vincolo è ora ribadito nel quadro regolamentare delle comunicazioni elettroniche del 2002, secondo cui «gli Stati membri garantiscono l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione e provvedono affinché esse siano giuridicamente distinte e funzionalmente autonome da tutti gli organismi che forniscono reti, apparecchiature o servizi di comunicazione elettronica» 11 . Il problema si presenta in forme particolari in quei paesi in cui vi sono tuttora imprese pubbliche, in passato operanti in regime di monopolio in un contesto istituzionale di continua sovrapposizione tra funzioni di gestione e funzioni di regolamentazione. Per questa ragione, la normativa comunitaria precisa ulteriormente che «gli Stati membri che mantengono la proprietà o il controllo di imprese che forniscono reti e/o servizi di comunicazione elettronica provvedono alla piena ed effettiva separazione strutturale delle funzioni di regolamentazione dalle attività inerenti alla proprietà o al controllo» 12 . Per lungo tempo, invece, l’ordinamento comunitario non ha imposto la separazione degli organi di regolazione rispetto agli Stati e ai loro organi di indirizzo politico-amministrativo. L’ordinamento comunitario, infatti, riteneva di non essere legittimato, ora giuridicamente, ora politicamente, a intervenire sull’organizzazione amministrativa degli Stati membri, in quanto competenza tradizionalmente riservata ai legislatori nazionali. Il modello di controllo fondato sulla separazione soltanto dalle imprese regolate, tuttavia, ha rivelato ben presto la sua insufficienza. Spesso, infatti, sono proprio gli organi di indirizzo politico a orientare la regolamentazione in senso discriminatorio, per ragioni di mero consenso elettorale o di visione nazionale della politica economica. Qualche anno dopo, la normativa europea di settore ha imposto agli Stati membri l’ulteriore obbligo di affidare le funzioni di autorità nazionale di regolamentazione ad 11 Si v. art. 3, co. 2, dir. n. 21/2002/CE. 12 Si v. art. 3, co. 2, dir. n. 21/2002/CE, seconda parte. 6 un «organismo competente» 13 . Si sono così creati i presupposti per l’introduzione del modello della separazione strutturale anche rispetto all’organizzazione amministrativa statale. Tale modello di separazione strutturale è rafforzato dall’obbligo, posto a carico degli Stati membri, di notificare alla Commissione europea l’organismo individuato come autorità nazionale di regolamentazione; e di riconoscere a quest’ultima un insieme minimo di poteri ad essa specificamente intestati dalla normativa comunitaria. L’insieme di questi vincoli, in forme più tenui mutuati nei settori dell’energia elettrica e del gas, tuttavia, non è ancora riuscito a impedire agli Stati gli ultimi tentativi di elusione della disciplina comunitaria, ivi compreso quello di indicare come autorità nazionale di regolamentazione lo stesso organo ministeriale e di assegnare a quest’ultimo compiti ad essa spettanti 14 . Fino ad oggi, invece, l’ordinamento comunitario non ha prescritto agli Stati membri di abbandonare qualsiasi potere di influenza nei confronti delle autorità nazionali di regolamentazione, applicando così anche su questo versante il meccanismo della separazione funzionale, attraverso il riconoscimento della loro piena autonomia e indipendenza di giudizio e di valutazione. Alcuni Stati membri, peraltro, già da tempo avevano autonomamente deciso di istituire autorità di regolazione indipendenti dagli organi di indirizzo politico. Intensità e dimensioni dell’indipendenza, tuttavia, variano da Stato a Stato e comunque dipendono dalla mutevole volontà del legislatore, il quale in qualsiasi momento può rivedere tale scelta (o semplicemente minacciare di farlo) 15 . 13 Si v. art. 3, co. 1, dir. n. 2002/21/CE. 14 Anche nell’ordinamento italiano vige una soluzione compromissoria, in virtù della quale le funzioni di autorità nazionale di regolamentazione sono ripartite (e talora condivise) tra Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Ministero delle comunicazioni (anche se la formulazione dell’art. 7, co. 3, d.lgs. n. 259/2003 è, al riguardo, volutamente ambigua). Sui limiti e sulle contraddizioni di tale soluzione, M. Libertini, I rapporti tra Ministero e Autorità garante delle comunicazioni, in Giorn. dir. amm., 2001, p. 1287 ss.; M. Clarich, Regolazione e concorrenza nelle comunicazioni elettroniche, in Il nuovo ordinamento delle comunicazioni elettroniche, a cura di R. Perez, Milano, Giuffrè, 2004, p. 15 ss.; più ampiamente, F.M. Salerno, Soggetti, funzioni e procedure della regolazione, in Il codice delle comunicazioni elettroniche, a cura di M. Clarich e G.F. Cartei, Milano, Giuffrè, 2004, p. 69 ss., in part. p. 82 ss. 15 Nell’ordinamento italiano, che pure è stato tra i primi a ricorrere al modello dell’autorità indipendente con la l. n. 249/1997, si sono manifestate alcune significative oscillazioni nell’ambito delle competenze e del grado di indipendenza riconosciute all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioniAgcom (si v. in proposito la ricostruzione offerta in Regole e mercato nei servizi pubblici, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 97 ss.). Secondo una recente prospettazione, tali oscillazioni sarebbero fortemente legate al variare del contesto politico e all’influenza della storia e della tradizione istituzionale. Se alle origini, l’istituzione di un’autorità indipendente in questo settore sarebbe stata giustificata dal venire meno degli increasing returns tra il precedente monopolista pubblico ormai privatizzato e il ministero in un contesto 7 Proprio muovendo dalla piena consapevolezza delle notevoli asimmetrie e dell’inevitabile instabilità dell’indipendenza riconosciuta nella legislazione dei singoli Stati membri, nel pacchetto presentato lo scorso novembre, la Commissione ha proposto di compiere l’ultimo passo, prescrivendo esplicitamente il requisito della separazione anche funzionale rispetto agli Stati membri. Si afferma, infatti, che le autorità nazionali di regolamentazione devono esercitare i propri poteri «in modo indipendente» e non più soltanto trasparente e imparziale. In particolare, esse non possono cercare o ricevere istruzioni da nessun organo nello svolgimento puntuale dei compiti assegnati dall’ordinamento nazionale in attuazione del diritto comunitario16 . È inoltre preclusa la revoca ad nutum del vertice dell’autorità nazionale: essa, infatti, è consentita soltanto nel caso in cui vengano meno le condizioni previste dalla legge per la nomina o di gravi violazione di legge o di norme deontologiche 17 . La decisione di revoca deve essere motivata e resa pubblica. Infine, gli Stati devono assicurare che le autorità dispongano di adeguate risorse finanziarie ed umane e di un bilancio separato 18 . Si pongono così le basi per la protezione comunitaria dell’indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione rispetto agli organi di indirizzo politico; ciò dovrebbe altresì comportare il definitivo superamento di qualsiasi forma di ripartizione o di cogestione delle funzioni regolatorie con l’amministrazione ministeriale. Rimane da verificare fin dove possa spingersi il modello di controllo fondato sulla separazione strutturale e funzionale e quale livello di dettaglio la disciplina debba raggiungere per risultare efficace. A tale riguardo, una recente indagine ha evidenziato come le autorità nazionali di regolamentazione siano indotte dagli organi di indirizzo segnato dalla crisi del vecchio sistema politico, i successivi arretramenti, dovuti alla compiuta affermazione di uno schema politico tendenzialmente maggioritario e bipolare, rivelerebbero la difficoltà di trapianto di un modello istituzionale, quello dell’autorità indipendente, sostanzialmente estraneo alla nostra tradizione giuridico-istituzionale, secondo quanto predicato dalla teoria della path-dependence (si v. F.M. Salerno, Path Dependance and Institutional Reform: A Case Staudy on The Reform of Italian Telecommunications Institutions 1979-2007, Reasearch Degree, London School of Economics and Political Science, 2007). 16 Ciò significa che sarebbe contrario al diritto comunitario qualsiasi intervento degli organi di indirizzo politico su casi specifici, sia in forma di direttiva governativa; sia in forma, ad esempio,di ordine del giorno parlamentare. Sarebbero invece ammissibili atti di indirizzo generale, ad esempio in ordine ai criteri di individuazione delle fasce di utenza destinatarie, per ragioni sociali, di condizioni agevolate di fornitura, purché ciò non si traduca in una distorsione al funzionamento della concorrenza. 17 La garanzia comunitaria è riferita letteralmente all’head dell’autorità nazionale di regolamentazione; ma deve ritenersi applicabile, nelle autorità a guida collegiale, invece che monocratica, come riferita all’intero board. 18 Così è formulata la proposta emendativa di cui all’art. 3, co. 3, dir. 2002/21/CE. 8 politico a perseguire strategie profondamente diverse, non necessariamente allineate alle preferenze dell’ordinamento comunitario. In tal senso, può risultare sufficiente il modo in cui è esercitato il potere di nomina: a differenti categorie di soggetti nominati, infatti, sembra corrispondere una propensione a favorire interventi di politica industriale maggiormente sensibili alle ragioni dell’ex monopolista, soprattutto se ancora a partecipazione pubblica; o invece a promuovere politiche pro-competitive indifferenti al ruolo dei campioni nazionali 19 . Si potrebbe allora pensare all’introduzione di regole comuni anche in ordine ai criteri e ai requisiti di nomina 20 . È dubbio, tuttavia, che tali regole rientrino nella 19 Se, ad esempio, si guarda ai casi della Francia e del Regno Unito e li si pone a confronto, come ha fatto M. Thatcher, Regulatory Agencies, the state and markets: a Franco.British comparison, in Journal of European Public Policy, 2007, p. 1028 ss., emergono alcune interessanti differenze (i dati, peraltro, riguardano su base aggregata tutte le autorità di regolazione nel campo delle utilities, non soltanto quella operante nel campo delle comunicazioni elettroniche). In entrambi i paesi, il potere di nomina è stato utilizzato raramente per selezionare membri di partito. La politicizzazione, dunque, appare un fenomeno in declino. In Francia, soltanto nel 5,3 per cento dei casi, i commissari erano stati in precedenza membri del parlamento (4 su 76) nel periodo tra il 2002 e il 2006, contro il 9 per cento nel periodo 1990–2001, Nel Regno Unito, questi sono lo 0,8 per cento nel periodo 2002–2006, rispetto al 3 per cento del periodo 1990–2001. Molto più rilevanti le differenze su altri fronti. Nel Regno Unito, la maggior parte dei regolatori ha una lunga esperienza nel settore privato, talora combinata a incarichi manageriali nel settore pubblico. Nessuno aveva prima operato all’interno dell’impresa pubblica ex monopolista. Ciò, evidentemente, rappresenta una forte rottura di continuità rispetto al tipo di intervento tradizionalmente operato dall’apparato burocratico tradizionale. In Francia, al contrario, un numero elevato dei regolatori proviene dell’elite amministrativa: nel periodo tra il 2002 e il 2006, il 50 per cento proviene dalle grandi scuole e il 33 per cento dai grandi corpi. Ancora più sorprendente che, a differenza del Regno Unito, molti commissari abbiano avuto incarichi di vertice nell’amministrazione ministeriale prima competente in materia e abbiano sviluppato stretti rapporti con i settori regolati. Soprattutto, più d’uno ha svolto per lungo tempo incarichi manageriali all’interno dell’ex monopolista pubblico. In questo modo, l’istituzione di autorità indipendenti ha finito per rafforzare ulteriormente il potere delle élites amministrative esistenti e per mantenere i legami tra questi e i grandi campioni nazionali. Queste differenze nella composizione degli organi di regolazione e dunque nel modo di praticare la loro indipendenza si sarebbero riverberate anche nelle differenti strategie di liberalizzazione e di disciplina tariffaria. Nel Regno Unito, le autorità hanno posto la promozione della concorrenza e la regolazione mimetica del mercato al centro della loro azione in un contesto in cui la liberalizzazione ha preceduto quella poi imposta a livello europeo. In Francia, le autorità di regolazione hanno contribuito ad un’apertura dei mercati domestici e affrontato le principali questioni tecniche necessarie all’introduzione della concorrenza. Ma hanno cercato anche di mantenere le condizioni di redditività del mercato, aprendo il mercato gradualmente e consentendo così agli ex monopolisti pubblici di prepararsi all’introduzione della concorrenza. Le autorità, inoltre, hanno contemperato l’obiettivo di apertura della concorrenza con altri obiettivi, come quello dell’innovazione di lungo termine o la redditività degli operatori e a volte hanno utilizzato i loro poteri per impedire l’ingresso sul mercato di operatori extracomunitari. Infine, i governi francesi sono rimasti direttamente coinvolti nelle politiche di prezzo praticate dall’impresa partecipata dallo Stato e nelle strategie di ristrutturazione industriale con l’obiettivo di rafforzare il peso dei campioni nazionali. 20 Ad esempio, si potrebbe inserire un elenco di cause di ‘ineleggibilità’ per coloro che abbiano in precedenza ricoperto cariche pubbliche nelle istituzioni politico-rappresentative o incarichi dirigenziali nelle imprese regolate; esprimere un favore per chi abbia maturato competenze manageriali e gestionali nel settore privato e dunque esprima naturalmente una cultura del mercato; rendere così maggiormente 9 disponibilità del legislatore comunitario; e che esse alla fine risultino davvero efficaci a mutare il senso di un più generale condizionamento politico-istituzionale, che spesso trova le sue origini nelle tradizioni amministrative ed economiche di ciascuno Stato membro. In ogni caso, il modello della separazione strutturale e funzionale è di per sé insufficiente ad assicurare la conformazione dell’agente nazionale alle indicazioni del principale comunitario, trattandosi di una tecnica di controllo meramente negativa, che dovrebbe prevenire soltanto fenomeni di ‘cattura’ e di ‘deviazione’, ma che certo non garantisce in positivo la perfetta conformazione delle autorità nazionali al mandato legislativo europeo e alle preferenze della Commissione. 3. Il controllo tramite le procedure Il secondo modello di controllo è fondato su meccanismi procedimentali. È su questo versante che, già in base alle prescrizioni oggi vigenti, la strategia perseguita dalla Commissione nel settore delle comunicazioni elettroniche si differenzia, per intensità e sofisticazione, da quella sviluppata negli altri settori. La tecnica più diretta ed efficace è costituita dall’introduzione di procedimenti che gli studiosi di diritto amministrativo europeo chiamano «composti» 21 . Essi, infatti, sono scanditi da fasi comunitarie di indirizzo, attraverso l’emanazione di raccomandazioni e di orientamenti della Commissione, fasi nazionali di attuazione, in cui sono definite le misure di esecuzione della disciplina comunitaria, tenendo in massimo conto le verificabili le loro performance dagli stessi operatori, con l’ulteriore effetto di allineare la struttura degli incentivi individuali al mandato istituzionale di promuovere la concorrenza; vietare successivamente l’assunzione di altri incarichi pubblici di designazione politica; fissare un limite massimo al numero dei componenti del collegio, sancendo altresì una preferenza per il modello monocratico (il favore per tale modello, peraltro, emerge anche dalle proposte dello scorso novembre: da un lato, nell’ambigua formulazione prima evidenziata circa il soggetto beneficiario della garanzia contro la revoca ad nutum; dall’altro, nelle modalità unipersonali di partecipazione al Board of Regulators della futura Autorità europea). 21 Si v. in generale, M.P. Chiti, Diritto amministrativo europeo, II ed., Milano, Giuffrè, 2004, p. 403 ss.; G. della Cananea, I procedimenti amministrativi composti, in Il procedimento amministrativo nel diritto europeo, a cura di F. Bignami e S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2004, p. 307 ss.; E. Chiti – G. della Cananea, L’attività amministrativa, in Diritto amministrativo europeo. Principi e istituti, a cura di G. della Cananea, Milano, Giuffrè, 2006, p. 89 ss.; in part. pp. 106-107; con specifico riferimento al settore, L. Saltari, I procedimenti comunitari composti: il caso delle telecomunicazioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 2005, p. 389 ss., spec. p. 400 ss. 10 raccomandazioni e gli orientamenti della Commissione, e fasi comuni di controllo, in cui le misure predisposte dall’autorità nazionale sono preventivamente vagliate sia dalle corrispondenti autorità nazionali degli altri paesi membri dell’Unione, sia dalla Commissione europea 22 . L’ordinamento comunitario così ricorre a incastri procedimentali complessi, al fine di controllare l’azione di autorità istituzionalmente dipendenti da un diverso ordinamento (quello nazionale), ma chiamate sul piano funzionale ad eseguirne le politiche. In questi casi, le autorità nazionali di regolamentazione non possono né avviare il procedimento senza il previo atto di indirizzo comunitario, né concludere il procedimento con una decisione non coerente con l’indirizzo comunitario. Infatti, la Commissione, qualora ritenga che l’autorità nazionale, nell’individuare un mercato rilevante diverso da quelli definiti nella raccomandazione e gli operatori dominanti in ciascuno di essi, stia creando un barriera al funzionamento del mercato interno o violando il diritto comunitario, può opporre il suo veto. La proposta dello scorso novembre mira a rafforzare ulteriormente questo meccanismo di controllo ampliandone significativamente l’oggetto. La Commissione, infatti, vorrebbe estendere il proprio sindacato e il conseguente potere di veto al contenuto delle singole misure regolatorie 23 ; e, in caso di mancata ottemperanza, trasformare l’intervento da inibitorio a prescrittivo, attraverso l’emanazione di un ordine contenente la misura regolatoria da applicare alle imprese notificate. 22 Si v. art. 7, dir. 2002/21/CE. Il funzionamento di tale meccanismo procedurale è stato felicemente definito dalla scienza giuridica italiana un «concerto regolamentare» (S. Cassese, Il concerto regolamentare europeo delle telecomunicazioni, in Giorn. dir. amm., 2002, p. 689 ss.): ma, come avviene per tutti i concerti, il ruolo fondamentale è quello del direttore d’orchestra, cioè della Commissione stessa. 23 Art. 7. co. 4, lett. c, dir. 2002/21/CE. L’estensione dei poteri della Commissione, in ogni caso, richiederebbe un rafforzamento dell’accountability e della trasparenza della Commissione. La visione regolamentare della Commissione, infatti, andrebbe previamente discussa con un consultazione pubblica e delle Autorità nazionali di regolamentazione per essere poi trasfusa in un’apposita raccomandazione sui rimedi regolatori. Questa fungerebbe così da parametro predeterminato per la successiva attività di controllo della Commissione sui singoli rimedi proposti dalle Autorità nazionali di regolamentazione ai fini dell’eventuale esercizio del potere di veto. Tale corrispondenza, in qualche misura, esiste nel vigente quadro regolamentare, dove il potere di veto della Commissione è previsto proprio sulle questioni oggetto di previ atti di indirizzo generale della Commissione, con la raccomandazione sui mercati rilevanti e gli orientamenti comuni sulla notifica degli operatori con notevole potere di mercato. L’esercizio dei poteri di veto da parte della Commissione sulle singole misure regolatorie richiederebbe poi il riconoscimento di diritti di consultazione e di tutela in capo a tutti i soggetti interessati. Il blocco della misura predisposta da un’autorità nazionale di regolamentazione, infatti, incide negativamente sulla posizione di tutte le altre imprese (e le varie categorie di utenti e consumatori) destinate a beneficiare della misura di regolazione asimmetrica, senza che queste possano in alcun modo proteggere il loro interesse. 11 Il meccanismo di controllo procedurale fondato sul potere di veto, peraltro, postula l’intervento diretto e visibile della Commissione, la quale agisce come vero e proprio «metaregolatore». In questo senso, si tratta di un intervento, per quanto efficace, potenzialmente molto dispendioso, politicamente ed economicamente. Da un lato, tale intervento può condurre a continue e ripetute tensioni con le singole autorità nazionali di regolamentazione, destinate ad aggravarsi se in futuro aventi ad oggetto anche il contenuto delle misure regolatorie; dall’altro, rischia di impegnare la Commissione in una complessa attività di valutazione e di riesame delle singole analisi di mercato compiute dalle varie autorità nazionali di regolamentazione. Questo sistema di controllo, dunque, rischia di contraddire la stessa scelta della delega e di ridurre considerevolmente l’efficienza della divisione del lavoro tra Commissione europea e autorità nazionali di regolamentazione. Fino ad oggi, tuttavia, la Commissione, almeno apparentemente, è riuscita ad evitare tale pericolo: anzi, sono pochissimi i casi in cui la Commissione ha effettivamente esercitato il potere di veto (alla fine del 2007, in 7 casi su circa 750 notificazioni). Rimane da capire se tale esito debba considerarsi l’indice del fallimento di un sistema di controllo troppo dispendioso per poter effettivamente funzionare. Se così fosse, chiederne un’ulteriore estensione sarebbe un grave errore strategico per la stessa Commissione. Una tale conclusione, tuttavia, appare infondata. Il reale funzionamento dei meccanismi procedimentali di controllo fondati sul potere di veto, infatti, può comprendersi soltanto alla luce della contemporanea imposizione in capo alle autorità nazionali di regolamentazione dell’obbligo di consultazione in favore di tutti i soggetti interessati, prima dell’adozione di determinate regole e decisioni. Le autorità, quando intendono adottare misure aventi un impatto rilevante sul relativo mercato, devono dare alle parti interessate la possibilità di presentare le proprie osservazioni sul progetto di misure, entro un termine ragionevole. Inoltre, i risultati della procedura di consultazione e i motivi a base della decisione devono essere pubblicati e comunicati alla Commissione europea e alle altre autorità nazionali di regolamentazione 24 . Tale previsione normativa è spesso salutata come un segno della civilizzazione giuridica introdotta dall’ordinamento comunitario, il quale consente di avanzare la 24 Si v. art. 6, dir. 2002/21/CE. 12 frontiera dei diritti individuali innanzi alle autorità nazionali rispetto a quella riconosciuta da un legislatore statale spesso distratto o insensibile. In molti ordinamenti europei, infatti, le discipline nazionali, né quelle generali in materia di azione amministrativa, né quelle istitutive delle autorità, si preoccupano di garantire la partecipazione dei privati ai procedimenti volti all’adozione di atti generali. L’intervento comunitario, in questo modo, contribuisce anche a rafforzare l’accountability delle autorità, secondo quel modello di legittimazione procedurale che è stato spesso invocato dalla scienza giuridica e dalla giurisprudenza più avvertita25 . Tuttavia, come insegna la teoria economica del procedimento amministrativo, inteso come strumento decentrato di controllo del principale sull’agente, fondato sull’attivazione di fire-alarms da parte dei soggetti direttamente interessati, il riconoscimento dei diritti di partecipazione serve anche a richiamare l’attenzione della Commissione sul modo in cui le autorità nazionali stanno svolgendo il mandato regolatorio e a rendere così più efficace la sua supervisione. In questo modo, la Commissione può esercitare i propri poteri di indirizzo e di controllo a monte e a valle del procedimento amministrativo nazionale non al buio, ma sulla base delle informazioni rivelate dalla partecipazione dei privati. Proprio sfruttando la partecipazione procedimentale come tecnica di controllo decentrato, la Commissione può acquisire tutte le informazioni rilevanti per selezionare i casi che rendono necessario il suo intervento e per imporre in via preventiva e informale l’allineamento delle autorità nazionali di regolamentazione alle preferenze comunitarie 26 . Per questa ragione, le statistiche sul ridotto numero di atti di veto adottati dalla Commissione europea rivelano molto poco circa il grado di effettiva 25 Si v. in particolare i contributi raccolti in Il procedimento davanti alle Autorità indipendenti, Torino, Giappichelli, 1999. In giurisprudenza, da ultimo, Cons. St., sez. VI, n. 7972/2006. Sui limiti di tale modello procedurale, anche in termini di complicazione dell’attività decisionale, E. Chiti, Le ambivalenze del «concerto regolamentare europeo» nel settore delle comunicazioni elettroniche, in Il nuovo governo delle comunicazioni elettroniche, a cura di G. della Cananea, Torino, Giappichelli, 2005, p. 19 ss.; sul rischio di “ossificazione”, si rinvia a Regole e mercato nei servizi pubblici, cit., p. 113 ss. 26 Il pacchetto presentato lo scorso novembre mira ad un ulteriore rafforzamento degli strumenti di controllo decentrato della Commissione, anche nella fase della supervisione successiva. Gli Stati membri, infatti, sono obbligati a raccogliere informazioni sui ricorsi presentati contro le decisioni delle autorità nazionali, in ordine all’oggetto, ai motivi di ricorso, alla durata e agli esiti dei giudizi, e a trasmetterle annualmente alla Commissione europea, oltre che all’istituenda Autorità europea (art. 4, co. 4, dir. 2002/21/CE). In questo modo, il principale comunitario è in grado di ricevere un significativo feed-back circa la conformazione dell’agente nazionale alle sue preferenze e più in generale al mandato legislativo ricevuto. 13 conformazione delle decisioni delle autorità nazionali alle preferenze dell’attore comunitario, di fatto realizzato ex ante grazie alla sola minaccia di esercizio di quel potere. Altri strumenti di controllo decentrato si sono rivelati meno efficaci. È il caso, in particolare, del potere di intervento nel procedimento regolatorio conferito alle altre autorità nazionali di regolamentazione, cui la scienza giuridica ha attribuito particolare rilevanza al fine di evidenziare la dimensione anche orizzontale e non esclusivamente verticale dell’integrazione amministrativa nel settore delle comunicazioni elettroniche 27 . Tale potere, tuttavia, doveva servire anche ad accrescere il patrimonio informativo a disposizione della Commissione ai fini del successivo controllo. Ma la mancanza di effettivi incentivi a svolgere questa funzione segnaletica da parte delle autorità nazionali di regolamentazione, diversamente da quanto avviene per le imprese regolate direttamente interessate a tutelare la redditività della propria iniziativa economica, insieme alla naturale tendenza a colludere tra organi omogenei e paralleli, hanno finito per far rimanere sulla carta quella possibilità di intervento 28 . 4. Il controllo tramite l’integrazione organica La terza strategia di controllo perseguita dalla Commissione è fondata su meccanismi di progressiva integrazione delle autorità nazionali in organi comunitari posti sotto la sua sfera di diretta influenza. Si crea così un contesto istituzionale volto ad omogeneizzare le preferenze degli agenti e ad allinearle progressivamente a quelle del principale. La prima mossa di questa strategia (poi replicata nel settore dell’energia) è costituita dall’istituzione dell’Erg-European Regulatory Group 29 . Il Gruppo nasce dalla confluenza di due diversi organismi informali istituiti tra il 1999 e il 2000, molti diversi 27 Da ultimo, L. Saltari, Amministrazioni nazionali in funzione comunitaria, cit., p. 124 ss. 28 Non a caso l’intervento volontario delle Autorità nazionali è destinato ad essere sostituito da un obbligo di relazione a carico della nuova Autorità europea che dovrebbe riunire i vertici delle autorità nazionali di regolamentazione. Nel senso che in questo modo i meccanismi di coordinamento orizzontale tra autorità appaiono destinati a “posizionarsi su di un asse quantomeno “diagonale”, A. Manganelli, Dinamiche istituzionali nei mercati convergenti delle comunicazioni elettroniche (in corso di pubblicazione). 29 Decisione della Commissione europea n. 2002/627/CE, del 29 luglio 2002. 14 e per taluni aspetti opposti tra loro: il primo è l’High level meeting of National Administrations and Regulatory Authorities, istituito su iniziativa della Commissione, soprattutto al fini di omogeneizzare la regolazione a livello nazionale; il secondo è l’Independent Regulators’ Group, organismo associativo delle autorità nazionali di regolamentazione, creato anche con lo scopo di effettuare un’azione più incisiva di pressione e di convincimento sulla Commissione 30 . A partire dal 2002, l’Erg, riunendo in forma stabile i vertici delle autorità nazionali di regolamentazione, definisce indirizzi e orientamenti comuni e assiste la Commissione europea nell’esercizio delle sue funzioni di iniziativa normativa, di indirizzo e di controllo sulla corretta attuazione della disciplina comunitaria. L’Erg, tuttavia, fino ad oggi ha operato prevalentemente come organo di raccordo e di coordinamento tra le autorità nazionali di regolamentazione. Esso ha svolto un’utile missione pedagogica, contribuendo allo sviluppo di una comune cultura regolatoria; e ha sempre più esercitato una preziosa funzione di mediazione nei casi di maggiore tensione tra la Commissione europea e la singola autorità nazionale di regolamentazione. Ma, alla stesso tempo, l’Erg ha mostrato una scarsa capacità decisionale, con l’effetto di contribuire soltanto in misura ridotta all’omogeneizzazione delle regolazioni nazionali. L’Erg, d’altra parte, risulta scarsamente influenzabile dalla Commissione; anche perché i suoi membri, i presidenti delle autorità nazionali di regolamentazione, non hanno particolari incentivi ad allineare le proprie preferenze a quelle della Commissione. La seconda mossa, contenuta nella proposta dello scorso novembre, prevede allora l’istituzione di un’Autorità europea (European Electronic Communications Market Authority-Eecma), destinata a prendere il posto dell’Erg 31 . L’Eecma (analogamente alla parallela Agency for the Cooperation of Energy Regulators-Acer) è chiamata a collaborare con le Autorità nazionali di regolamentazione e con la Commissione europea ai fini della migliore attuazione del sistema di regolazione delle comunicazioni elettroniche. L’Eecma ha poteri prevalentemente consultivi, esercitati attraverso la formulazione di raccomandazioni, pareri ed opinioni. I poteri di decisione, con efficacia 30 Si v. G. della Cananea, I problemi istituzionali del nuovo ordinamento delle comunicazioni elettroniche, in Il nuovo governo delle comunicazioni elettroniche, cit., p. 9 ss.; più ampiamente, I. Chieffi, L’integrazione amministrativa europea nelle comunicazioni elettroniche, Torino, Giappichelli, 2006. 31 Oltre che dell’European Network and Information Security Agency-Enisa, istituita nel 2004. 15 vincolante per le singole parti private, invece, riguardano casi individuali, come l’assegnazione dei diritti d’uso dei numero telefonici all’interno del sistema di numerazione europeo. La funzione più importante assegnata all’Eecma (ben più di quanto non accada, nel settore dell’energia, per l’Acer), tuttavia, è quella di accompagnare e in qualche misura di ‘coprire’ l’estensione dei poteri di intervento diretto della Commissione. Essa, innanzi tutto, è chiamata a rilasciare un’opinione sulle misure predisposte dalle Autorità nazionali di regolazione a seguito delle analisi di mercato 32 . L’esercizio del potere di veto della Commissione, che dovrebbe in futuro riguardare anche il contenuto delle misure di regolazione, infatti, deve tenere in massimo conto l’opinione rilasciata dall’Eecma. L’ampliamento del potere di veto, che può tradursi anche nella fissazione in positivo degli obblighi regolamentari, dunque, dovrebbe essere compensato dalla limitazione della sua discrezionalità, attraverso il particolare peso assegnato all’opinione dell’Eecma. Ancora più rilevante è l’intervento dell’Eecma quando la Commissione decide di avocare la competenza dell’Autorità nazionale di regolamentazione che non completi nei tempi previsti dalla normativa vigente l’analisi di mercato. Essa, infatti, a seguito della consultazione diretta delle parti interessate, deve formulare una proposta alla Commissione sulle misure regolamentari da adottare. Infine, l’Eecma assiste la Commissione nella definizione e nella regolamentazione dei mercati paneuropei. Si tratta allora di verificare se l’Eecma possa effettivamente costituire un adeguato bilanciamento istituzionale o se essa non rappresenti piuttosto un luogo e uno strumento di controllo organico sulle autorità nazionali, che si aggiunge ai meccanismi di controllo procedurale. Nel primo senso depone il fatto che il contenuto delle opinioni e dei pareri emessi dall’Eecma è determinato dall’organo composto dai presidenti delle singole Autorità nazionali di regolamentazione, il Board of Regulators, il quale si pronuncia a maggioranza dei tre quarti dei suoi membri 33 . Apparentemente, dunque, l’Eecma dovrebbe costituire semplicemente una nuova forma di aggregazione a livello europeo delle autorità nazionali di regolamentazione, secondo uno schema di naturale evoluzione del precedente European Regulatory Group. La funzione consultiva 32 Art. 5 Reg. Eecma; art. 7, co. 5, dir. 2002/21/CE. 33 Si v. art. 28 e art. 30, co. 3, Reg. Eecma. 16 assegnata all’Eecma, dunque, potrebbe effettivamente servire a bilanciare i nuovi poteri di controllo e talora di intervento diretto della Commissione. Il più complessivo disegno istituzionale dell’Eecma, tuttavia, appare tracciato in modo tale da assicurare il progressivo dominio su di essa da parte della Commissione, così vanificando in larga misura il senso della sua interposizione procedimentale. Il Board of Regulators, infatti, oltre ad essere integrato da un rappresentante della Commissione, sebbene privo di voto, è affiancato da altri due organi, l’Administrative Board e il Director, che vengono a costituire i veri e propri organi di governo dell’Autorità. Il primo, composto da ben dodici membri, di cui sei indicati dal Consiglio europeo e sei dalla Commissione, ha il compito di approvare il programma di attività dell’Autorità. Il secondo, nominato dall’Administrative Board, nell’ambito di un lista di candidati predisposta dalla stessa Commissione, oltre ad assumere la presidenza del Board of Regulators e ad adottare formalmente tutti gli atti dell’Autorità, predispone il programma di attività dell’Eecma e ne cura l’attuazione. La Commissione, pertanto, dispone di un notevole margine di influenza sull’Eecma. Concorre in modo decisivo alla nomina e al rinnovo del mandato dei suoi organi di governo e alla determinazione delle sue risorse finanziarie, dirette e indirette. Né esiste una sfera di autonomia e di indipendenza dell’Autorità protetta nei riguardi della Commissione. Il Board of Regulators, infatti, non deve ricevere indirizzi e istruzioni da alcun governo di alcuno Stato membro; né subire l’influenza di interessi pubblici o privati; ma tale salvaguardia non è riconosciuta nei confronti della Commissione 34 . Il Director deve agire con indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni e non può accettare indirizzi e istruzioni da nessun governo o da altro organo, ma sono esplicitamente fatte salve le prerogative della Commissione 35 . Con il processo di istituzionalizzazione dell’Erg in Eecma, dunque, si compie un fondamentale salto di qualità. L’Eecma, infatti, diventa un ente con autonoma personalità giuridica, distinta da quelle delle singole autorità nazionali, con una propria organizzazione e proprio personale. Ma la sopravvivenza e la qualità della vita dell’istituzione e dei suoi organi dipendono in larga misura dalla benevolenza della 34 Si v. art. 27, co. 6, Reg. Eecma. 35 Si v. art. 29, co. 1, Reg. Eecma. 17 Commissione: l’incentivo a conformarsi alle sue preferenze diventa molto maggiore rispetto a quello esistente in seno all’Erg e potrebbe alla lunga prevalere sull’incentivo a colludere tra autorità equiordinate fino ad oggi dominante. L’Eecma, allora, si configura come un organo ausiliario della Commissione piuttosto che delle autorità nazionali di regolamentazione, funzionale al controllo organico della prima sulle seconde. Diverse sarebbero le conclusioni ove si istituisse un’autorità indipendente di regolazione del settore a livello europeo. Per evitare tale soluzione, già accantonata nella Review del 1999, con l’argomento dei costi che avrebbe generato l’istituzione di un nuovo corpo amministrativo, la Commissione si appella alla cd. Meroni doctrine. Questa dottrina, basata su uno statement della Corte di giustizia di cui proprio quest’anno si festeggia il cinquantesimo anniversario, in nome del principio dell’equilibrio istituzionale, impedirebbe all’autorità delegante di conferire ad altro organo poteri diversi da quelli posseduti dal delegante in base al Trattato; inoltre, vieterebbe di delegare poteri che riguardano l’esercizio di un’ampia sfera di discrezionalità tra diversi compiti e obiettivi, così trasferendo responsabilità ed evitando controlli 36 . Sull’attualità di tale dottrina e sulla sua pertinenza al caso in esame vi sono molti dubbi e obiezioni. Innanzi tutto, non è affatto scontato che l’esercizio di funzioni regolatorie a livello europeo possa ricostruirsi, in termini giuridico-istituzionali, come una delega di poteri chiaramente intestati alla Commissione. I poteri di armonizzazione e di coordinamento dell’Eecma appaiono piuttosto oggetto di una forma di cooperazione tra istituzioni nazionali e comunitarie attraverso la formula organizzativa della rappresentatività, in conformità al principio di leale collaborazione. D’altra parte, l’Eecma è chiamata all’esercizio congiunto di poteri propri delle autorità nazionali 36 Si v. Meroni c. Alta autorità, causa 9/56; e Meroni c. Alta autorità, causa 10/56. La riflessione sull’attualità della cd. Meroni doctrine, naturalmente, va ben al di là del problema specifico della regolazione delle comunicazioni elettroniche. Una volta fallito il disegno di un’integrazione del mercato interno fondata esclusivamente sull’applicazione delle regole antitrust da parte della Commissione, diventa necessario individuare soluzioni istituzionali adeguate, attraverso una modificazione dei Trattati, che consenta esplicitamente l’istituzione di autorità indipendenti di regolazione e di vigilanza, come avvenuto per la Banca centrale europea; oppure attraverso la costruzione in via normativa e interpretativa di nuovi equilibri e contrappesi: si v., in proposito, P. Craig, EU Administrative Law, Oxford, Oxford Univeristy Press, 2006, nonché i contributi raccolti in in Regulation through Agenices in the EU. A New Paradigm of European Governance, a cura di D. Geradin, R. Muñoz e N. Petit; cit., e in European Regulatory Agencies, a cura di G. della Cananea, Paris, Isupe Press, 2004; nella letteratura italiana, E. Chiti, Le agenzie europee, Padova, Cedam, 2002; Id., Agenzie europee, in Dizionario di diritto pubblico, diretto da S. Cassese, Milano, Giuffrè, 2006, I, p. 164 ss.. 18 piuttosto che all’esercizio delegato di poteri spettanti alla Commissione 37 . Infine, l’Eecma, nell’esercizio della sua funzione istituzionale, dovrebbe svolgere soltanto una missione fondamentale: promuovere la concorrenza e la tutela dei consumatori nel mercato interno delle comunicazioni elettroniche. La situazione è completamente diversa da quella affrontata nel caso Meroni, ove l’autorità delegata era chiamata ad apprezzare ben «otto differenti scopi». L’Eecma, invece, dovrebbe assumere decisioni che richiedono valutazioni tecniche complesse, ma che non necessariamente implicano l’esercizio di discrezionalità amministrativa, intesa come scelta tra diversi interessi pubblici e privati in conflitto tra loro. La ricerca di adeguati modelli istituzionali di governo comunitario delle comunicazioni elettroniche, dunque, appare incompiuta. Respinta la soluzione di un’autorità europea indipendente anche dalla Commissione e dotata di poteri vincolanti, un migliore equilibrio istituzionale, in grado di ‘coprire’ l’estensione del potere di veto, può forse essere assicurato da un rafforzamento dell’organizzazione comune dei regolatori (eventualmente formalizzata in un nuovo Board europeo), che ne aumenti le capacità decisionali, senza consegnarla nelle mani della politica comunitaria. Ciò richiederebbe, ad esempio, di introdurre il voto a maggioranza (anche ponderata), di imporre l’obbligo di formulare pareri e opinioni, su richiesta della Commissione o di un’autorità nazionale di regolamentazione, di prevedere adeguate dotazioni di personale (anche distaccato dalle autorità nazionali con meccanismi di rotazione). Contemporaneamente, il nuovo organo europeo dovrebbe essere indipendente anche dalla Commissione e sostanzialmente autogovernato dalle autorità nazionali di regolamentazione. A queste ultime spetterebbe designare il Direttore, mentre dovrebbe scomparire l’Administrative Board. Il funzionamento dell’organo europeo, quindi, potrebbe essere affidato a meccanismi di finanziamento automatico, sganciati dal political process comunitario. 5. Conclusioni 37 In tal senso, E. Chiti, I sistemi comuni europei di pubblici poteri indipendenti, in Lezioni di diritto amministrativo europeo, a cura di G. Vesperini e S. Battini, Milano, Giuffrè, 2006, p. 1 ss. 19 Le reazioni finora suscitate dalla proposta della Commissione indicano come la consapevolezza dei profondi effetti economici ed istituzionali che potrebbero derivare da un’ulteriore armonizzazione a livello europeo della regolazione sia sempre più diffusa. In primo luogo, essa è destinata a produrre una diversificazione dei vincenti e dei perdenti tra gli operatori di mercato, anche rispetto ai risultati inizialmente determinati dall’apertura dei processi di liberalizzazione38 : le imprese più grandi, come gli ex monopolisti, e quelle facenti parte di gruppo integrati a livello internazionale potrebbero pesare maggiormente, nel processo regolatorio a livello europeo, rispetto ad operatori alternativi agenti a livello soltanto nazionale, che pure sono quelli che originariamente hanno maggiormente beneficiato della regolazione asimmetrica introdotta dall’ordinamento comunitario. Potrebbero, invece, perdere ulteriormente capacità di pressione gli operatori maggiormente legati al potere pubblico nazionale, come gli exmonopolisti ancora partecipati dallo Stato, e gli operatori minori, che, al riparo del potere politico, hanno potuto coltivare in sede regolamentare posizioni di rendita locale. In secondo luogo, sul piano istituzionale, gli Stati, e in particolare i governi nazionali, rischiano di perdere poteri di influenza diretta nei confronti dell’attività di regolazione: sia quella svolta a livello nazionale; sia quella ‘arbitrata’ a livello europeo. Tutto ciò difficilmente può essere compensato dal loro coinvolgimento del Consiglio europeo (in cui sono rappresentati gli Stati) nella nomina dell’Administrative Board dell’Autorità europea. Gli Stati nazionali, dunque, possono essere fortemente tentati di impedire l’approvazione o di attenuare l’impatto del nuovo pacchetto, nel tentativo di preservare alcuni margini di influenza (e dunque di rendita politica) sul settore. In terzo luogo, il futuro delle Autorità nazionali di regolamentazione diventa più incerto. Da un lato, si estende lo scudo comunitario contro le ingerenze dei poteri politici nazionali. Dall’altro, le Autorità nazionali rischiano di rimanere schiacciate sotto il peso di tale scudo, se le loro prerogative regolatorie saranno di fatto sempre più condizionate dalla Commissione europea. Diverse sarebbero le conclusioni se il nuovo Board europeo fosse davvero la proiezione europea delle autorità nazionali, costituendo così il luogo di una nuova comunione regolamentare. 38 Su cui si v. M. Thatcher, Winners and losers in Europeanization: reforming the national regulation of telecommunications, in West European Politics, 2004, 2, p. 102 ss. 20 L’impressione di fondo, dunque, è che la Commissione non sia ancora riuscita a mobilitare una coalizione di interessi sufficientemente forte ed articolata a sostegno della sua proposta, né sul piano istituzionale, né su quello del mercato: con il conseguente rischio di far fallire anche la sua strategia dei controlli. D’altra parte, fino a quando nell’arena pubblica non emergeranno anche i consumatori paneuropei (o questi continueranno ad essere tutelati in modo diverso, ad esempio, a livello direttamente normativo, come avvenuto con il regolamento sul roaming internazionale 39 ), la domanda di una maggiore integrazione e armonizzazione regolatoria potrebbe non risultare sufficientemente forte e diffusa. 39 In senso critico, si v. R. Perez, La determinazione dei prezzi del roaming comunitario, in Giorn. dir. amm., 2007, p. 1141 ss. 21