I brasiliani non hanno inventato il calcio, ma il calcio ha

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I brasiliani non hanno inventato il calcio, ma il calcio ha
I. O PAIS DO FUTEBOL
“I brasiliani non hanno inventato il calcio,
ma il calcio ha reinventato il Brasile”
Ci sono ruoli e mestieri
La parola “libero” nel calcio italiano ha fatto tendenza fino
alla fine degli anni ’80. Era una specie di orgoglio nazionale. Un ruolo che un tecnico di queste parti si vantava di
avere inventato, con relativa fioritura di grandi specialisti:
Armando Picchi, Pierluigi Cera, Gaetano Scirea, Franco
Baresi. Un’ultima sicurezza davanti al portiere, con la licenza – nei casi più raffinati – di diventare centrocampista
aggiunto per andare a costruire la manovra. In Brasile lo
stesso termine è sempre stato considerato una specie di
bestemmia. Quando Sebastião Lazaroni diramò le convocazioni per Italia ’90, scrisse sull’elenco la parola “libero”
di fianco a Mauro Galvão e attirò su di sé più insulti di
tutti i suoi predecessori messi insieme. Libero e difesa a
cinque per la Seleção era come dire ketchup sulla pizza a
Posillipo. Orrore. I giornalisti brasiliani bollarono subito
quella spedizione verdeoro, che in effetti poi si schiantò
contro i pali del Delle Alpi e venne castigata da uno scatto
di Caniggia.
I ruoli non sono mai stati gli stessi in tutto il mondo, ma in
Brasile vengono chiamati e vissuti in una maniera totalmente differente e autoctona. Il portiere si chiama goleiro
ed evidentemente non può avere compiti differenti rispetto
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a un goalkeeper inglese o a un gardien de but francese, ma
è la vocazione che cambia. In Brasile, almeno fino all’avvento di Claudio Taffarel, nessuno voleva andare in porta.
Ai Mondiali del 1970 c’era Felix, ma sono in molti a pensare che poteva esserci anche un pupazzo di peluche, tanto la palla ce l’avevano sempre Pelè, Rivelino, Jairzinho,
Gerson e Tostão, nella peggiore delle ipotesi Clodoaldo o
Carlos Alberto. In porta andava sempre il più scarso della
compagnia o il fratello piccolo di uno della partita. Molte squadre professionistiche sceglievano il loro goleiro tra
le promesse del volley. Chissà perché, si pensava che un
buon pallavolista potesse essere anche un buon portiere, a
patto di liberarsi dalla sindrome del bagher.
I difensori centrali si chiamano zagueiros. Sono di solito gli
unici della squadra ad avere compiti esclusivamente difensivi. La coppia centrale si chiama zaga ed è quasi sempre
formata da giocatori alti intorno al metro e novanta. Anche
in questo caso però ci sono delle eccezioni, ci sono zagueiros
che sono nati centrocampisti e che hanno la vocazione alla
ripartenza, escono palla al piede e vanno a inserirsi nella
manovra offensiva. Qualche allenatore negli ultimi anni
ha provato a formare una zaga di tre giocatori, ma uno che
ha queste idee non potrà mai godere di buona stampa. I
terzini, o esterni bassi come vengono denominati attualmente in Italia, si chiamato laterais, ovvero lateral direito
quello di destra e lateral esquerdo quello di sinistra. Hanno compiti difensivi molto limitati rispetto alla concezione
europea. Sono i primi a far partire la manovra d’attacco,
vanno avanti e indietro sulla fascia con continuità, sanno
dribblare e crossare. Il manuale non scritto del calcio dice
che il lateral deve essere solto, cioè libero, non costretto
alla marcatura dell’avversario. Dovrebbe in teoria stare
attento a non trovarsi con a bola nas costas, il pallone alle
spalle, ma questo dogma non trova applicazione nelle par10
tite che si vedono in Brasile.
Chi gioca in regia si chiama volante. Di solito predilige la
maglia numero 5 ed è il cervello della squadra. Nel 4-2-4
che è lo schema più classico del calcio verdeoro, si gioca con
il doppio volante. Curiosamente questa è una delle poche
definizioni calcistiche che Brasile e Argentina condividono,
almeno nella grafia, perché la pronuncia argentina è volante all’italiana mentre in Brasile si dice volànci. Il volante argentino deve essere soprattutto duro nei contrasti e
deciso in ogni momento della partita, il volante brasiliano
deve essere elegante e avere visione di gioco, possibilmente con lancio di quaranta metri annesso. C’è poi una categoria di giocatori nella quale rientrano varie tipologie. Se
vicino a un nome vedete scritta la parola meia, può significare quasi tutto. Meia (letteralmente mezza) può essere
un centrocampista offensivo, un trequartista o un attaccante esterno. Tutto quello che non è un centravanti o una
seconda punta. Meia è scritto vicino al nome di Kakà ma
anche vicino a quello di Oscar così come era scritto accanto
a quello di Zico. Categoria molto amata e apprezzata in
Brasile, dove costituisce la base stessa del futebòl, l’essenza dell’amore che la gente continua a riversare su questo
gioco. Delizia della torcida e croce degli allenatori.
La punta centrale si chiama centroavante (si legge sentroavànci) e qui non ci sono dubbi sulla collocazione tattica.
È lì per finalizzare e per diventare l’artilheiro (cannoniere) della squadra. Deve fare gol. Una volta in Brasile c’era
l’imbarazzo della scelta, adesso è diventato tutto più difficile, ci sono molti meias e pochi centroavantes. In un passato recente esistevano altre denominazioni per le posizioni
in campo. Si parlava di ponta direita e ponta esquerda per
le ali vecchio stampo, tipo l’interista Jair negli anni ’80
oppure Eder ai Mondiali del 1982. Ma adesso anche quel
tipo di giocatore rientra nella categoria dei meias. Esisteva
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anche la ponta de lança, che era il trequartista, ma anche
questo è un termine desueto, scomparso dopo il ritiro di
Zico dal calcio giocato. L’importante è che la camisa dez, la
maglia numero dieci, non finisca sulle spalle di uno scarsone picchiatore. In quel caso si configura un’ipotesi di reato.
Sembra complicato, ma non lo è. In Brasile non si parla di
terzini fluidificanti, di centromediani metodisti o di intermedi di centrocampo, di prime o di seconde punte. Ma nella storia di questo calcio meraviglioso, in cui il pallone ha
sempre corso più dei giocatori “perché tanto non suda”, c’è
stato anche chi ha lasciato un segno indelebile nell’interpretazione dei compiti da svolgere in campo. Dadà Maravilha (all’anagrafe Dario Josè dos Santos), 926 gol segnati
in carriera con la maglia di 16 diversi club sul territorio
brasiliano negli anni ’60 e ’70, diceva sempre che nel futebòl esistono nove ruoli e due professioni. I nove ruoli
erano quelli che ai suoi tempi venivano contraddistinti dai
numeri 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 10 e 11. Il numero 1 e il numero
9 facevano storia a parte e svolgevano un mestiere differente, uno deve mettere la faccia dove gli altri mettono i
piedi, l’altro deve pensare esclusivamente a fare gol, non
importa come e non importa perché. Quei due, il goleiro e
il centroavante, non fanno un ruolo ma un mestiere. Senza
offesa per chicchessia.
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