Dall`intersoggettività infantile alla comunicazione
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Dall`intersoggettività infantile alla comunicazione
Dall’intersoggettività infantile alla comunicazione Stein Bråten e Colwyn Trevarthen Da: Bråten, S. (ed.), On Being Moved. From Mirror Neurons to Empathy, Amsterdam/Philedelphia, John Benjamins Publishing Company, 2007 Negli ultimi decenni la storia dell’infanzia umana che era stata raccontata dai filosofi e dalle scienze mediche ha dovuto essere riscritta. Al posto dell’idea che il bambino sia a-sociale ed ego-centrico, c’è una nuova comprensione del fatto che ogni essere umano viene al mondo dotato di un vivace talento per la comunione interpersonale. L’opinione positiva di molti genitori ha ricevuto numerose conferme da attente ricerche e osservazioni. Così, micro-analisi di proto-conversazioni con neonati di due mesi hanno rivelato che essi sono dotati di un sistema cerebrale che permette la percezione diretta di interesse e sentimento in un’altra persona, e una sintonizzazione dialogica che permette un coinvolgimento delicato, regolato emozionalmente. Come i processi di partecipazione alterocentrica che Bråten (1998a, 2002) trova nelle situazioni di apprendimento culturale precoce, che molto probabilmente sono sostenute dal sistema dei neuroni-specchio scoperti da Rizzolatti e la sua equipe (Rizzolatti & Arbib, 1998), queste caratteristiche rompono radicalmente con gli assunti delle tradizioni freudiana e piagetiana, che implicano un lungo periodo evolutivo di decentramento prima che la socialità e l’intersoggettività possano emergere. Modi dell’intersoggettività Oggi, sulla base delle scoperte empiriche degli ultimi tre decenni, siamo in grado di distinguere diversi livelli di sintonizzazione intersoggettiva nello sviluppo umano prima della comparsa del linguaggio. L’intersoggettività innata, definita negli anni 70 (Trevarthen, 1974, 1979; Bateson, 1975, 1979; Stern, 1977; Bullowa, 1979) aiuta a comprendere l’emergere nel neonato del desiderio di parlare il linguaggio materno e della partecipazione intenzionale nell’apprendimento di abitudini e modi culturali per tutto il periodo infantile. Seguire lo sviluppo della comunicazione di scopi e interessi nei primi due anni di vita ha condotto ad un resoconto ricco di sfumature di come il bambino usa la negoziazione con la consapevolezza e l’intenzionalità dell’altro allo scopo di comprenderne i significati. Lo schema seguente sintetizza le 1 tappe principali che preparano la strada e sostengono l’elaborazione di competenze di livello superiore nella comunicazione e nel pensiero, inclusi il linguaggio conversazionale, la creazione di spiegazioni narrative e la condivisione di miti, credenze e idee scientifiche presenti nell’ambiente familiare. I. II. 2 Dialogo intersoggettivo primario, fatto di proto-conversazione e reciproca imitazione simpatetica, visibile nelle prime settimane di vita. Esso conduce a vivaci giochi, ricchi dell’emozione della “consapevolezza dell’altro”. Gli attaccamenti affettivi sono rinforzati in questi giochi, e creano relazioni intorno ad abituali “strutture” e “riti” di canzoncine e giochi attivi, nei quali il bambino impara a prendere parte attiva, come ad esempio l’interazione simile a una danza di un lattante di 11 mesi con la madre sul fasciatoio, registrata da Bråten nel 1990. Uno scambio di imitazioni ed espressioni emozionali può essere sollecitato nelle prime ore dopo la nascita (es. registrato nel 1983 da Kugiumutzakis, che fa vedere come il bambino mostra iniziativa, allo stesso modo in cui copia i movimenti). Ciò rivela che l’imitazione di movimenti eseguiti da altri non è che un elemento della capacità innata di reciproco coinvolgimento, espressione di interesse empatico. Il reciproco rispecchiarsi e fare a turno che ritroviamo nella matura conversazione verbale, è chiaramente prefigurato in questi primi incontri di gioco mimetico-empatico, e la “musicalità comunicativa” implicita nella proto-conversazione diadica, si presta ad essere descritta in termini di parametri musicali, come “ritmo” e “qualità”. Dopo pochi mesi, il bambino può mostrare una socialità più ampia, essendo capace di impegnarsi contemporaneamente con più di un’altra persona. Sintonizzazione intersoggettiva secondaria, visibile in una trangolazione soggetto-soggetto-oggetto (Trevarthen & Hubley, 1978), nella quale oggetti di attenzione congiunta e di riferimento emozionale sono messi in gioco come eventi di attenzione reciproca all’interno di relazioni di fiducia. Il mostrare conoscenze e abilità imparate attraverso la condivisione di intenzioni e interessi è animato da emozioni di “orgoglio” e “vergogna”. Le azioni dell’altro orientate sull’oggetto sollecitano una percezione partecipante o una azione simile, come ad esempio il bambino che impara a riprodurre l’azione di porgere il cibo col cucchiaio prima del compimento di un anno di età (registrato da Bråten nel 1996), e talvolta co-movimenti di aiuto, che intuiscono l’intenzione (mancata) dell’altro, come III. nell’esempio registrato da Trevarthen e Hubley di Tracy (11 mesi) che “aiuta” la mamma a spostare un oggetto. Nei mesi finali del primo anno, le parole che gli altri usano per indicare persone, azioni od oggetti attraggono l’attenzione e invitano all’imitazione. In seguito, dopo il 14° mese circa, i gesti e le vocalizzazioni del “protolinguaggio” lasciano il posto alla chiarezza linguistica, dando voce a contenuti e significati condivisi, che mostrano una consapevolezza reciproca. Comprensione intersoggettiva terziaria (Bråten & Trevarthen, 1994/2000), nel linguaggio conversazionale e narrativo, che implica asserzioni e un senso di sé e dell’altro verbale e narrativo, in modalità di comunicazione simbolica di primo livello, e, (dai 3 ai 6 anni) apre alla capacità di articolare i punti di vista e all’assorbimento emozionale, nel dialogo sé-altro nel gioco o nella narrazione immaginativa, nella simulazione della mente del compagno di conversazione, e nella capacità dell’ascoltatore di completare le frasi incompiute in virtù della partecipazione alterocentrica (Bråten, 2002). Vogliamo sottolineare l’importanza delle radici e del nutrimento socioemozionale nello sviluppo delle competenze dialogiche. Le emozioni sostenute nei coinvolgimenti affettivi tra adulti e bambini, e in seguito con i pari e altri soggetti di varie età, sono essenziali per la regolazione di un normale sviluppo del cervello, che porta alla crescita della coscienza dialogica e creativa, quindi al senso della comune consapevolezza culturale. Le emozioni non sono semplicemente responsabili del naturale controllo delle spinte istintive e delle avversioni, che serve all’immediata sopravvivenza del corpo e fornisce regolarità ai cicli dell’alimentazione e del sonno-veglia del bambino. Le emozioni che generano espressione nei cervelli separati della madre e del bambino possono essere unite in una confluenza affettiva che sviluppa una propria organizzazione, un’organizzazione che si riflette nella più generale relazione sé-altro della mente in evoluzione. Il passaggio tra la competenza dialogica e la coscienza si manifesta nella sintonizzazione intersoggettiva a vari livelli – dalla confluenza degli affetti al livello primario all’avanzata simulazione sé-altro, fino ad un livello più avanzato che implica circuiti interni dialogici e auto-poietici di prospettive complementari sé-altro. Di conseguenza, un punto importante è che queste acquisizioni di livello superiore continuano ad essere sostenute da capacità e competenze che si 3 dispiegano nei livelli primario e secondario, che continuano ad essere operative e supportive per tutto l’arco della vita, come i diversi sensi del sé individuati nel modello di Stern (1985/2000). Questo tipo di processi di appagamento reciproco che abbiamo visto nelle proto-conversazioni precoci e nelle situazioni di apprendimento culturale prima del compimento del primo anno di vita, possono essere visti come simili alle caratteristiche della conversazione verbale di ordine superiore. Per esempio, gli adolescenti nella conversazione faccia a faccia spesso rispecchiano i gesti reciproci in modo molto simile a quello che osserviamo nelle interazioni precoci adulto-bambino, e molte volte assistiamo al completamento delle asserzioni dell’altro, allo stesso modo delle sequenze che si manifestano nel gioco manuale preverbale orientato sull’oggetto. Ad esempio, nel dialogo tra partecipanti con pari competenze linguistiche, la “sintonizzazione sulla sintonizzazione dell’altro” (Rommetveit, 1998: 360) sembra predisposta per l’interazione reciproca, simile a una danza, che possiamo osservare nelle prime settimane dopo la nascita. Il fatto che i neonati, 45 minuti dopo la nascita, sono capaci di imitare le espressioni facciali degli adulti con i quali entrano in contatto, è l’evidenza di questa predisposizione innata. Naturalmente, altre forme di comunicazione umana adulta condividono gli stessi principi vitali e le stesse fondazioni ritmiche, e questo è specialmente chiaro nelle performance rituali, nel dramma, nella musica e nella danza. Qui di seguito, presentiamo una succinta caratterizzazione di alcune delle operazioni caratteristiche dei vari livelli. I. 4 Imitazione e protoconversazione nei primi mesi di vita. Molti genitori hanno fatto l’esperienza di come i loro bambini nei primi mesi di vita rispondono in modo complementare in un gioco finemente sintonizzato di soddisfazione reciproca e di rispecchiamento di gesti ed espressioni. Perfino durante le prime settimane di vita, madre e bambino possono raggiungere tale coordinazione di espressioni e movimenti, in una specie di danza circolare di movimenti corporei che si intrecciano e si completano reciprocamente. C’è una sintonizzazione intersoggettiva primaria nel modo della reciproca protoconversazione soggetto-soggetto e nella comunione interpersonale, in cui ognuno partecipa e si accorda all’espressione e al gesto emotivo dell’altro, e ai movimenti che producono suoni, che invita al rispecchiamento e alla sintonizzazione affettiva, che inizia subito dopo la II. 5 nascita e prepara e sostiene competenze di ordine superiore più avanti nella vita. Per esempio, per quanto concerne l’imitazione vocale e lo sviluppo del linguaggio, si è visto come un neonato di 45 minuti tenta di imitare il suono /a/, e uno di 20 settimane /a/, /u/, e /i/. A 6 settimane, e volte anche prima, il neonato si impegna in una protoconversazione reciproca con l’adulto. Nella sua percezione precoce del linguaggio, il bambino inizia a “sfrondare” i suoni, separandoli dall’ambiente percettivo (Kuhl, 1998). È stato documentato con studi sperimentali che nelle prime settimane di vita il bambino inizia ad imitare vari tipi di gesti, come la protrusione della lingua, movimento delle sopracciglia, rotazione della testa, movimenti delle dita, e gesti e movimenti che esprimono sorpresa, piacere e noia, nonché produzioni vocali. Un esempio evidente è la documentazione video di Kugiumutzakis (1983; 1998: 74), che mostra come i neonati già nella prima ora dopo la nascita tentano di imitare l’adulto, in risposta a movimenti della bocca e delle sopracciglia. Invitati anche all’imitazione vocale, rispettivamente, dei suoni /a/, /m/ e /ang/, i neonati (da 14 a 42 minuti dalla nascita) riescono a riprodurre il suono /a/, mentre non riescono con gli altri suoni. Cercando di emettere il suono, accompagnato con movimenti di tensione nelle mani e occhi chiusi, il risultato era di solito un’intensa esplosione di un /a/ prolungato e non strutturato. Abbiamo un’evidenza delle capacità di ascolto musicale dei neonati, e della loro preferenza naturale per gli aspetti musicali della voce. Perfino un neonato prematuro può attivamente contribuire ad un preciso scambio ritmico-canoro, con una regolazione di altezza e di timbro (Trevarthen, 1993; Malloch, 1999). Il modo con cui si parla ai neonati, anche in lingue diverse, ha aspetti ritmici e prosodici universali, e i suoni ascendenti suscitano e mantengono l’attenzione dei bambini, più di quelli discendenti. A differenza dell’acuto ascendente delle vocalizzazioni materne che stimolano il bambino, il suono è più basso e continuo nel confortare (Fernald, 1992; Papousek, 1994). C’è una regolazione precisa della voce materna, e i neonati hanno un’innata preferenza per l’estensione vocale di una madre felice, quale che sia la lingua in cui parla. Apprendimento orientato all’oggetto attraverso l’azione partecipante. Quando entrano in gioco oggetti di attenzione congiunta e di rilevanza emozionale, intorno ai nove mesi, una finestra si apre per l’apprendimento imitativo della manipolazione di oggetti. Bråten (1996) ha documentato che i bambini sono capace di porgere il cibo col cucchiaio, imitando la persona che li nutre, prima del compimento di un anno di vita – ad esempio, un bambino di 11 mesi, quando gli è dato il cucchiaio in mano, lo porge alla sorella maggiore come per nutrirla, e apre persino la bocca nell’operazione. (Fig. 1, 2). Fig 1. Immagine tratta dal videotape di Bråten Fig. 2 Vari esempi dei neonati che nutrono i loro caregiver. Quando i bambini rispondono in questo modo, dimostrano che mentre venivano nutriti non partecipavano solo passivamente, ricevendo e mangiando il cibo, ma anche prendendo parte virtualmente al processo di nutrizione, mettendosi dal punto di vista dell’adulto. Questo implica la 6 III. 7 simulazione attraverso una partecipazione alterocentrica all’azione dell’altro, simile a quanto accade all’adulto quando involontariamente apre la bocca mentre porge il cibo al bambino. La loro riproposizione di ciò che hanno esperito ricevendo il cibo dimostra che essi devono essere stati in grado di partecipare ai movimenti della persona che li nutre dal punto di vista di questa – l’opposto di quanto si pensa se si prende come riferimento la posizione egocentrica. Per essere in grado di restituire l’atto del nutrire, devono essere stati in grado di partecipare virtualmente all’attività di nutrimento, come se fossero co-autori dell’azione (anche se i reali autori sono gli adulti). Questo è il criterio che definisce l’apprendimento attraverso la partecipazione alterocentrica (Bråten, 1998). Più o meno allo stesso modo possiamo considerare il modo di agire del bambino di 18 mesi nel modello del recupero del comportamento di Meltzoff. Guardando lo sperimentatore che non riesce a mettere da parte un manubrio, il bambino, quando afferra il manubrio, lo mette da parte, solitamente con un sorriso trionfante. Qui si dimostra la capacità del bambino di “leggere l’intenzione del modello” (Meltzoff & Moore, 1998: 50-52), ma c’è molto di più, che può essere specificato nei termini della partecipazione alterocentrica. Dall’aver partecipato virtualmente allo sforzo del modello, evocando il completamento simulato dell’azione tentata, si produce una riproposizione circolare da parte del bambino, che realizza con successo l’intenzione dell’azione. Semplicemente guardando qualcuno che cerca di arrivare a uno scopo, il bambino mostra di saper realizzare quello scopo che non è stato raggiunto dall’altro, attraverso la memoria emozionale dei circuiti di simulazione mentale evocati dalla percezione partecipante allo sforzo del modello. Di nuovo, questi sono processi operativi caratteristici della conversazione verbale. Comprensione intersoggettiva e contesti conversazionali. In ambedue i casi esposti sopra (il nutrimento reciproco e il compimento di un’azione tentata), vediamo in atto processi operativi che somigliano ai processi della conversazione verbale, e probabilmente li sostengono. Qui vi sono precisi paralleli con l’efficienza comunicazionale dimostrata nei dialoghi verbali più avanti nell’ontogenesi. Per esempio, quando ascoltiamo il nostro partner di conversazione che è sul punto di dire qualcosa, ed esita prima di completare l’affermazione, o sembra che non trovi la parola giusta, è normale che senza esitazione forniamo la parola, completando l’enunciazione del parlante, che silenziosamente fa un cenno di assenso,o lo conferma con un semplice “si”. Analoga è la situazione della “pappa”: quando i movimenti della bocca della persona che nutre – bambino o adulto – rispecchiano il movimento corrispondente di chi viene nutrito, possiamo vedere un parallelo con la partecipazione esibita dai partecipanti ad una conversazione verbale, che ricostruiscono reciprocamente gli atti verbali dell’altro, e talvolta nel completano gli enunciati. Dai 3 ai 6 anni circa, si manifesta la meta-comprensione della comprensione dell’altro, che implica una comprensione di secondo ordine di pensieri ed emozioni in sé stesso e nell’altro, in virtù di una simulazione ricorsiva dei processi mentali dell’altro – che inizia con il riconoscimento della bugia, e l’attribuzione di false credenze e con le costruzioni immaginative co-narrative con i pari, e permettendo al bambino che ascolta una storia di assumere il punto di vista del personaggio principale, come dimostrato da Harris (1998) e da Rall & Harris (2000). Questo riguarda il salto qualitativo verso la simulazione infantile o la teoria della mente, correlata con le loro abilità verbali e conversazionali, che implica la comprensione di secondo ordine dei pensieri e delle emozioni dell’altro. Sembra ragionevole assumere che un sistema speculare per accordarsi agli atti degli altri può costituire una strada verso la simulazione delle altre menti (Bråten, 1998; Gallese & Goldman, 1998; Bråten & Gallese, 2004), e che questa capacità preverbale di partecipare virtualmente a quello che fanno gli altri può sostenere quella modalità ricorsiva di feedback che Bråten (1974) definisce simulazione conversazionale del modello della mente, che illustra come i partecipanti ad un dialogo simulano la produzione verbale e la comprensione dell’altro. La musicalità nella comunicazione prelinguistica. La musicalità manifesta i propri aspetti fondamentali nei modi espressivi in cui il corpo umano addestrato si muove, e anche nei modi in cui i bambini agiscono in relazione alle espressioni ritmiche nelle vocalizzazioni nei gesti di altri esseri umani. Un neonato riconosce la madre dal tono e dalle inflessioni della sua voce. Quando un bambino di sei mesi sorride riconoscendo la sua canzoncina favorita, e 8 si muove al ritmo, è come conoscere il proprio nome, mostrando un “me” sociale all’interno della condivisione affettiva familiare (Trevarthen, 2002: 21). È stato notato che una madre felice vocalizza intorno all’ottava sopra il Do intermedio, e che l’eloquio di una madre depressa,che non riesce a catturare l’interesse del bambino, scende sotto tale estensione. L’estensione musicale e la sua modulazione espressiva nel canto sembrano essere attributi innati della comunicazione vocale umana. La musica cerca ed invita all’esperienza del movimento, e il suo suono cantato, simile a quello della voce, richiama anche sentimenti morali e affettivi che ci portano verso il sentire empatico (Panksepp & Bernatsky 2002). Per molti anni i coniugi Papousek e Daniel Stern e i suoi colleghi hanno, pur se in modi diversi, rivolto la loro attenzione alla “musicalità” dell’espressione nella comunicazione con i bambini nella prima infanzia. I Papousek (1981) hanno identificato forme musicali di espressione intuitivamente prodotte da genitori e bambini, in una prospettiva di apprendimento culturale. Stern (1985) ha identificato la “sintonizzazione affettiva” della voce materna, con l’essenziale supporto affettivo da cui dipende lo sviluppo di una personalità sicura ed espressiva nel bambino. Un senso interiore del tempo (kairos, e non chronos) è visibile nell’attività spontanea di un neonato in tranquillo controllo dell’energia del movimento “nel momento presente” (Stern, 2004). Il corpo del bambino si muove ritmicamente, in cicli scorrevoli di sforzo. Ciò mostra la misurata gerarchia ritmica del controllo motorio centrale, che è stata chiamata IMP, Intrinsic Motive Pulse (Pulsazione Motoria Intrinseca). Quelli che tra i muscoli e le giunture degli arti del bambino, come pure all’interno del corpo, in quegli organi eterocettivi speciali che rispondono ai pattern energetici riflessi dall’ambiente – cavalcano il movimento, assorbendo efficientemente gli effetti di pressione, tocco, vista e suono. Riflessi di sorpresa disturbano il flusso solo occasionalmente, quando c’è l’intrusione di qualche stimolo inaspettato e non assimilato. L’osservazione della partecipazione attiva dei bambini alle canzoncine e ai giochi corporei della madre mostra quanto essi sono interessati, e quanto siano disposti a muoversi con la musica. Mazokopaki and Trevarthen (2007) riportano che un bambino di 6 mesi si calma ascoltando la musica, si orienta e sorride, e in seguito si accorda con movimenti ritmici, quando “afferra” la musica. Bambini di 3 o 4 mesi imparano velocemente le canzoni, si muovono in accordo con esse, e 9 mostrano ai familiari la loro contentezza di essere capaci di muoversi con il ritmo e la melodia. Malloch (1999) ha dimostrato che il suono di una protoconversazione registrata tra una bambina scozzese di 6 settimane, Laura, e la madre poteva essere analizzata in termini rigorosamente acustico-musicali, secondo la base ritmica, il controllo qualitativo dell’espressione melodica in altezza e timbro, fraseggio, con divisione, e progressione in cicli di decine di secondi in cicli narrativi di energia ed eccitazione. La sintonizzazione reciproca e i modi musicali in cui il bambino e l’adulto, in una protoconversazione, risuonano reciprocamente, e reciprocamente completano suoni e movimenti dell’altro, attestano “la musa interiore” (Bjorkvold 1992), e e possono essere paragonati ad alcune caratteristiche della conversazione verbale intima, in cui ogni partecipante completa gli enunciati dell’altro. Supporto neurofisiologico e questioni sulla filogenesi Quando l’ascoltatore completa l’enunciato dell’altro e quando la bocca della persona che nutre si apre riproducendo il movimento di chi è nutrito, la loro partecipazione virtuale è piuttosto evidente. Un sostegno parziale dal punto di vista neurofisiologico a queste cose è stato recentemente scoperto. La scoperta dei neuroni specchio, e l’evidenza elettrofisiologica di un sistema di rispecchiamento nel cervello umano, ci informano sul tipo di sistema neurofisiologico che sostiene i processi di percezione partecipante di cui abbiamo parlato. I neuroni specchio, trovati per la prima volta nel cervello dei macachi, che “scaricavano” allo stesso modo quando la scimmia si prepara ad afferrare un pezzo di cibo e quando osserva un altro afferrarlo, appartengono ad un sistema che appare in grado di accordarsi all’atto percepito, attraverso una simile attivazione interna del percettore. (Di Pellegrino et al. 1992; Fadiga et al. 1995; Stamenov & Gallese (Eds.) 2002). Ulteriori evidenze sperimentali suggeriscono che tale sistema esiste anche negli esseri umani, nella regione cerebrale che contiene l’area di Broca (che non è solo funzionale al linguaggio, ma appare attiva sia durante l’esecuzione di movimenti manuali, sia durante l’immaginazione di essi). Identificando questo sistema che permette che all’azione osservata corrisponda un’azione simile, generata interiormente, dell’osservatore, Rizzolatti e Arbib (1998) fanno riferimento alla teoria motoria della percezione del 10 linguaggio di Liberman (1993), che implica uno stretto legame tra la produzione e la percezione del linguaggio. Questo è parzialmente coincidente con il modello della simulazione mentale conversazionale di Bråten (1974) in cui l’ascoltatore prende parte al processo di produzione verbale del parlante, e presuppone il substrato operazionale di un tale sistema di rispecchiamento. Bibliografia Akhtar, N., & Tomasello, M. (1998). “Intersubjectivity in early learning and use.” In S. Braten (Ed.), Intersubjective Communication and Emotion in Early Ontogeny (pp. 316-335). Cambridge: Cambridge University Press. Bateson, M. C. (1975). “Mother-infant exchanges: The epigenesis of conversational interaction. In D. Aaronson & R. W. 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