Zio Charlie, che zoommate!
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Zio Charlie, che zoommate!
DOMENICA 11 NOVEMBRE 2012 LA DOMENICA ■ 30 giovane Charlie era un vincente: macho, tatuato, L’immagine Da pieno di donne, girava con la pistola. Poi, la caduta: Ritratto di famiglia niente lavoro, niente famiglia, droga, depressione Il nipote Marc Asnin lo ha fotografato per trent’anni senza censure, trasfigurando una storia semplice e triste in un’opera d’arte nel Nome zio dello Fotoromanzo di un uomo qualunque WALTER SITI S i usa dire che un’immagine vale mille parole; vero, se si accompagna l’affermazione con la reciproca, che una parola vale mille immagini. Quante immagini sarebbero necessarie a un regista per dare l’equivalente del grido di Macbeth («la vita è il racconto fatto da un idiota, pieno di rumore e di furia e che non significa niente»)? Non basta certo truccare un attore da Macbeth e affidargli la battuta. Oltre al cinema, uno dei luoghi d’incontro più interessanti tra parola e immagine è la carta stampata. Esce ora, distribuito in Italia da Contrasto, un libro fotografico di Marc Asnin, Uncle Charlie. Marc Asnin è un foto-documentarista assai noto negli Usa; nato e cresciuto a Brooklyn, da bambino aveva scelto uno zio materno, Charles Henschke, come punto di riferimento: macho, tatuato, con molte donne intorno e una pistola. Ma quando Marc ha quasi vent’anni vede lo zio come un perdente: un uomo psichicamente instabile, fisicamente distrutto, incapace di tenersi un lavoro e una famiglia. Spinto da un moto di empatia, che è anche ribellione al perbenismo familiare, Marc comincia a fotografare lo zio; lo fotograferà per quasi trent’anni, nelle situazioni più intime e scabrose, creando con lui una complicità ambivalente; e fotografa le sue mogli, i figli, le amanti, il suo contesto, con un livello di intrusione aggressiva che affascina e sconvolge. Alla ‘‘ Cercavo un duro da emulare. Un allenatore di strada Lo Zio Charlie, duro e supertatuato, lui sì che era un duro. Il simbolo di tutto quello che volevo essere io. Una vita dopo, però, il mio padrino, il duro dell’infanzia, era a pezzi, un frammento dei primi anni a Brooklyn, un tenebroso eroe ritrovato Marc Asnin turale che sa di Rembrandt. La luce è il vero amore che lega lo zio-bersaglio e il nipote indiscreto: quando Henschke deve traslocare dalla casa dove ha vissuto per molti anni, lascia accesa la luce nella camera del figlio morto di Aids. Nell’ultima immagine, lo vediamo in una stanza buia che guarda il mondo illuminato fuori dalla finestra. Il libro è un inno alla mancanza di volontà, un apologo sull’inerzia e sulla rimozione. Charles Henschke nasce con un’intelligenza superiore alla media, è un piccolo genio in matematica ma un padre inutilmente autoritario gli impedisce di studiare; la madre è anaffettiva, lui ha attacchi di panico e di anoressia. Da un bacio negato pretende di far discendere la propria sociopatia; poi è un susseguirsi continuo di speranze mal riposte, di sesso distratto, di orgogliose ipocondrie, di Valium assunto come una droga e di droghe assunte come Valium; con l’alibi del destino ineluttabile colleziona rapporti sbagliati con donne che non ama, seduce stancamente la figliastra, tradisce il proprio ebraismo e vi si riavvicina, si mette nei guai con la giustizia, permette che i figli siano dati in affido. Intorno, un ambiente per cui la parola “squallore” non funziona, essendo una parola di giudizio; quello che Asnin fotografa è un mondo di edilizia lasciata andare, di crocifissi su muri scrostati, di misere gioie affidate alla torta di compleanno e alla chiacchierata sulle scale di servizio; i desideri I tagli apparentemente casuali, i dettagli enfatizzati, le sfocature; una pietà Un mondo di crocifissi su muri scrostati, di misere gioie dove i desideri cadono che sa di Rembrandt come vele sgonfie fine ne sbobina una lunga affabulazione autobiografica e la dispone tipograficamente come una poesia visiva, alternandola alle foto. Ne è nato un librone di 400 pagine, con quasi trecento fotografie e un centinaio di pagine di testo. Le immagini non sono né illustrative né cronologiche ma hanno col testo un rapporto metonimico (di causa/effetto), o sineddochico (il bicchiere paterno come segno di eredità) o semplicemente prolettico, di anticipazione della storia. Spesso mancano le didascalie perché in quel caso le immagini valgono come descrizioni d’atmosfera, come se fossero aggettivi o avverbi; quegli aggettivi e avverbi che in una storia ben scritta valgono più dei verbi a dare il senso dell’insieme. Qui il senso dell’insieme è dato dalla straordinaria bravura di Asnin fotografo: i suoi tagli apparentemente casuali, i dettagli enfatizzati, le sfocature sapienti; ma soprattutto lo splendido bianco e nero, con una luce che rivela ma anche comprende e accarezza, negli interni e nei ritratti — una pietà crea- non vengono attraversati ma cadono come vele sgonfie quando la nuda materialità ha il sopravvento; i dolori si patiscono senza elaborarli, l’affetto più sincero si impasta con l’indolenza. Un mondo dove non c’è il domani ma solo l’oggi, l’attonita accettazione auto-assolutoria. L’accanimento di Asnin su un’unica vita, durato trent’anni, non è un’elegia sentimentale né una condanna moralistica; ma non è nemmeno un’ossessione, né una performance sperimentale. È la raccolta paziente di materiale per un esito che non esiterei a definire romanzesco: Charles Henshke è un personaggio a tutto tondo come quelli di Roth o di Malamud. La bellezza delle singole foto è tale che si sarebbe spinti a goderle una per una, folgoranti come una poesia o un aforisma; ma se facciamo lo sforzo di scoprire i nessi non sempre chiari tra parole e immagini, scopriremo il tessuto multistrato tipico del romanzo — un vero e proprio “photographic novel”. A LETTO. Charlie Henschke nel letto si fa massaggiare dal figlio Brian nel 1985 IL LIBRO È in libreria Uncle Charlie di Marc Asnin (Contrasto, 408 pagine, 45 euro) Il volume racconta in trecento fotografie scattate in quasi trent’anni la vita quotidiana di Charles Henschke, zio di Asnin, che viveva con i suoi cinque figli (Charles, Joe, Brian, Mary e Jamie) a Bushwich, Brooklyn. Uncle Charlie è un diario che descrive in modo dettagliato la sua lotta con la malattia mentale, l’isolamento, la povertà e i legami familiari. Il libro è impaginato seguendo un criterio visivo che unisce le parole di Charlie ad alcuni documenti che riguardano la sua vita privata (pagelle scolastiche, diagnosi mediche). Uncle Charlie è nella shortlist del Photo-Aperture Foundation Photobook Awards per la sezione First Photobook. Dall’8 novembre al 22 dicembre alla Steven Kasher Gallery di New York ci sarà una mostra con le fotografie presenti nel volume © RIPRODUZIONE RISERVATA Repubblica Nazionale DOMENICA 11 NOVEMBRE 2012 ■ 31 HOMEBOY. Charlie nella cucina dell’appartamento di 23 Troutman St, Bushwick, Brooklyn nel 1983 COPPIA. Charlie abbraccia la moglie Carol, è il 1984 INFANZIA. La prima volta che Charlie torna nella casa della sua infanzia dal ’69 SANTA KLAUS. Il primo Natale con i figli dopo che carol se ne è andata (1987) NUOVI AMORI. Charlie con la nuova ragazza Blanca nel 1988 PARTY. Charlie con la ex moglie Carol alla festa di promozione dalla figlia Mary nel Queens (1992) FIGLI. Charlie minaccia il figlio Brian per le sue idee antisemite, è il ’99 PENOMBRA. L’ultima immagine di Charlie: solitudine, oscurità e la luce che entra da una finestra Repubblica Nazionale