Il nazismo e la «soluzione finale

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Il nazismo e la «soluzione finale
Shoah
Il nazismo e la «soluzione finale»
Classi 5 G/5 H
Liceo Scientifico Statale «Gaspare Aselli»
Cremona
A cura del Prof. Marco Paolo Allegri
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Arianesimo, antisemitismo,
«soluzione finale del problema ebraico»
(La conferenza del Grosser Wannsee, in E. Collotti, La
seconda guerra mondiale, Loescher, Torino 1973.
E. Collotti, Lo Stato delle SS, in La Germania nazista,
Einaudi, Torino 1962).
L’ antisemitismo è una componente essenziale dell’
ideologia e dell’ azione politica di Hitler e del nazismo. Ne
«La mia battaglia» (1925) vi sono gli orientamenti essenziali
che Hitler cercherà poi di realizzare una volta arrivato al
potere (1933): 1. L’ obiettivo dell’ espansione territoriale ad
Est; 2. La convinzione del complotto ebraico-bolscevico come
causa di tutti i mali; 3. La necessità della purezza della razza
ariana.
Antisemitismo: il «teorico» Chamberlein e il «politico»
Hitler furono l’ un l’ altro devoti ammiratori. Chamberlein
pubblica nel 1900 i «Fondamenti del XIX secolo» in cui parla
degli ebrei come di un popolo di stranieri, dimenticando che la
loro cultura è, da secoli, parte integrante ed essenziale della
cultura europea. Egli ravvisa negli ebrei una perfidia subdola,
che mira ad inquinare intenzionalmente il sangue indo-europeo
e a mantenere la propria purezza. E’ su queste convinzioni che
si regge la denuncia nazista del presunto complotto ebraico
mondiale.
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Ora, se Hitler professa la superiorità della razza germanica
(ariana) e ne sostiene il diritto al dominio, gli occorre una
«teoria della razza» che sia in grado di legittimare l’
asservimento, lo sfruttamento delle risorse umane, una volta
conquistate e soggiogate: slavi, ebrei. Ed è con l’ ascesa al
potere di Hitler che inizia la persecuzione sistematica degli
ebrei, sino allo sterminio programmato nei campi di
concentramento. Sterminio scientificamente programmato, che
rientrava in un progetto di sfruttamento integrale delle energie
degli uomini asserviti (schiavi) in ragione della loro (presunta)
inferiorità razziale, anche se né nel mondo antico né nel
mondo moderno, dall’ Impero romano alle piantagioni della
Virginia, la schiavitù ha mai raggiunto la concezione dello
schiavo come unità produttiva da utilizzare sino alla
consunzione ed alla morte, potendo esser semplicemente
sostituito.
Per la verità, l’ antisemitismo nacque nel Medioevo,
assumendo diverse connotazioni nelle varie età.
Contraddistinto da ostilità, diffidenza, odio, avversione, esso si
scaglia contro l’ «altro», il «diverso», il «capro espiatorio». I
sentimenti di ostilità e di ripulsa crescono quando la società è
in crisi o in pericolo nella sua stabilità, nella sua identità, nel
suo ordine. Tali sentimenti patologici sono esasperati oltre
ogni limite dai nazisti. Costoro se ne servono prima come
strumento di lotta e propaganda politica (dando agli ebrei la
colpa della crisi economica tedesca alla fine della Grande
Guerra) e poi se ne servono per giustificare le spoliazioni ai
loro danni. E appena salito al potere, Hitler si impegna
strenuamente in una violenta campagna che mira a suscitare l’
odio dei tedeschi contro gli ebrei. E’ del 1933 l’ ordinanza del
Partito nazionalsocialista: lì vi sono precise direttive per
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iniziare quella persecuzione che culminerà qualche anno dopo
con lo sterminio di milioni di ebrei: l’ Olocausto, la Shoah, la
catastrofe. Nell’ ordinanza nazista (vero e proprio manifesto
dell’ odio razziale) si parla di una campagna d’ odio che
sarebbe stata condotta dagli ebrei contro i tedeschi, e si
minaccia il boicottaggio ai danni delle attività commerciali
degli stessi ebrei. Si preannuncia la loro esclusione dalle
scuole e dalle professioni di medico e avvocato. Nel frattempo
i nazisti avevano deciso il destino di milioni di ebrei: uno
sterminio scientificamente programmato.
Nel 1935, con le leggi di Norimberga, Hitler priva gli ebrei
della cittadinanza e inizia le persecuzioni. Gli ebrei non
possono contrarre matrimonio o avere rapporti sessuali con
ariani. Misure vessatorie (la stella gialla sul vestito) isolano le
comunità ebraiche e preludono a veri e propri pogrom,
culminati nella «notte dei cristalli» (novembre 1938): negozi
distrutti, sinagoghe incendiate, morti, deportati nei lager. E’
proprio nel 1938 che si definisce la «soluzione finale», lo
sterminio della razza ebraica, il genocidio. E alla soluzione
finale, all’ antisemitismo, si connette il recupero, da parte di
Hitler, della tesi già prussiana, dello «spazio vitale», una
concezione politica che postulava l’ “urgenza”, per il popolo
tedesco, di conquistare altri territori, soprattutto nell’ Europa
orientale, in vista della sua affermazione sulla scena europea e
mondiale, evitando alla Germania di essere soffocata dagli
scomodi e potenti vicini. Il pangermanesimo sosteneva da
tempo (la «spinta verso Oriente») l’ esigenza enfatizzata dall
espansionismo di Hitler, il quale, ne «La mia battaglia»,
prevedeva la conquista di territori europei, più che
d’oltremare.
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Il 1° settembre del ’39 l’ esercito tedesco invade la Polonia
e avvia la seconda guerra mondiale. L’ espansione tedesca
procede ben oltre la rivendicazione delle terre abitate da
popolazioni di lingua tedesca. Il nazismo vuole, in realtà,
conquistare e assoggettare altri popoli. La superiorità del
popolo tedesco esige lo sfruttamento totale dei popoli
inferiori. L’ Europa deve essere sottoposta ad un programma
secondo il quale i popoli inferiori lavoreranno a beneficio del
popolo dei dominatori. La «spinta ad Oriente», e poi il
dominio su tutta l’ Europa (esteso alle popolazioni
industrializzate), avrebbero dato un vantaggio economico
superiore a quello dello sfruttamento di popolazioni
extraeuropee. Su tali progetti si innestano le teorie di
Chamberlain. L’ ariano, l’ indoeuropeo, è il bello. Il semita, l’
ebreo, è l’ opposto. Dio è incarnato nella razza germanica, il
diavolo in quella ebraica. Razza germanica e razza ebraica
sono le sole razze pure. Esse esprimono la lotta tra il bene e il
Male. In mezzo c’ è un coacervo di razze imbastardite, di
meticci.
Nietzsche ha definito l’ antisemitismo come la concezione
del mondo di «coloro che sono in svantaggio». Hitler
psicopatico, disadattato, disoccupato per propria colpa: tali
motivazioni sono sufficienti a dare spiegazioni? L’ odio
fanatico di Hitler per gli ebrei supera ogni tentativo di
spiegazione razionale, politica o pragmatica che sia.
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I campi di concentramento nazisti
I campi di concentramento furono luoghi di reclusione e di
sterminio. Essi costituirono misure coercitive e coatte cui
ricorsero i Paesi in guerra nei confronti dei militari nemici
catturati o dei civili stranieri residenti sui territori nazionali. Il
nazismo usò di un tale strumento repressivo con una crudeltà
che non ha precedenti.
Sin dal 1933 Hitler avviò l’ internamento degli oppositori
del nazismo in «campi di custodia». I campi si moltiplicarono
e, fino al 1939, vi furono rinchiusi decine di migliaia di
dissidenti, omosessuali, e cosiddetti «individui asociali». Tali
detenuti, costretti ad un regime di estenuante lavoro, sarebbero
morti in buona parte di stenti e di denutrizione.
Dopo l’ invasione della Polonia, nel 1939, furono rinchiusi
nei campi nazisti, milioni di polacchi, prigionieri di guerra
sovietici, zingari e «partigiani» dei Paesi occupati. Fu avviata,
nello stesso tempo, la persecuzione antisemita, e milioni di
ebrei subirono la «soluzione finale», lo sterminio dell’ intera
razza ebraica. Fu avviato il genocidio degli ebrei nei campi di
sterminio, ove le camere a gas eliminavano centinaia di vittime
alla volta e i cadaveri venivano bruciati in forni crematori che
funzionavano a pieno ritmo.
I campi di concentramento erano costituiti da ampi spiazzi
nei quali si effettuavano le adunanze e le punizioni pubbliche,
e da baracche in legno nelle quali venivano ammassati tanti
prigionieri da superarne ampiamente la capienza. Il perimetro
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dei campi, situati in località lontane da centri abitati, era
delimitato da barriere di filo spinato percorse da corrente
elettrica ad alta tensione e sorvegliate da torrette munite di
mitragliatrici.
Numerosi prigionieri vennero utilizzati come cavie umane
per una serie di esperimenti eugenetici e molti morirono a
causa della totale mancanza di precauzioni igieniche e di cure
mediche: il tifo spadroneggiò nei campi nazisti. Non è
possibile stabilire con precisione la cifra delle vittime dei
campi di sterminio nazisti, che sono valutate comunque in
varii milioni, Altrettanti, e forse ancor di più, furono coloro
che morirono nei gulag comunisti.
Riguardo allo sterminio radicale degli ebrei, il programma
della «soluzione finale» divenne operativo con la
pianificazione decisa tra la fine del 1941 e l’ inizio del 1942.
Si tenne, al riguardo, una riunione il 20 gennaio del 1942 al
Grosser Wannsee, fuori Berlino, cui parteciparono i maggiori
responsabili dell’ operazione.
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La Conferenza del Grosser Wannsee
… «Il capo della polizia di sicurezza e del Servizio di
sicurezza, Heydrich, comunica all’ inizio la sua nomina a
incaricato per la preparazione della soluzione finale del
problema ebraico in Europa, nomina conferitagli dal
Maresciallo del Reich (Hermann Göring), e fa rilevare che i
signori presenti sono stati invitati alla riunione per chiarire
punti d’ importanza fondamentale. Il desiderio del Maresciallo
del Reich di avere un prospetto degli impegni organizzativi,
pratici e materiali relativi alla soluzione finale del problema
ebraico in Europa richiede un’ elaborazione comune
preliminare da parte di tutte le autorità centrali direttamente
interessate, in vista di una condotta parallela delle iniziative.
Nell’ elaborazione della soluzione finale del problema
ebraico, prescindendo da confini geografici, la competenza
centrale è del Reichführer-SS e capo della polizia tedesca
(capo della polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza).
Il capo della polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza
fa poi una breve rassegna della lotta sinora condotta contro
questi avversari. I meriti essenziali sono dati:
a)
dalla cacciata degli ebrei dai singoli settori vitali del
popolo tedesco;
b) dalla cacciata degli ebrei dallo spazio vitale tedesco
Nel corso di questa lotta si diede inizio, come unica
soluzione provvisoria possibile, all’ emigrazione accelerata e
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su vasta scala, secondo un programma, degli ebrei dal
territorio del Reich.
Per ordine del Maresciallo del Reich, nel gennaio 1939
venne istituita una centrale del Reich per l’ emigrazione
ebraica, la cui direzione fu affidata al capo della polizia di
sicurezza e del Servizio di sicurezza. Aveva i seguenti compiti
particolari:
a) prendere tutte le misure per l’ emigrazione su vasta
scala degli ebrei;
b) incanalare la corrente migratoria;
c) accelerare l’ esecuzione dell’ emigrazione nei singoli
casi.
Queste misure tendevano a sgomberare gli ebrei dallo
spazio vitale tedesco per via legale.
Tutte le autorità si rendevano conto degli svantaggi
derivanti da codesta emigrazione forzata. Ma non esistendo
altre soluzioni, essa dovette essere per il momento accettata …
Con l’ autorizzazione del Führer, è ora subentrata al posto
dell’ emigrazione, come ulteriore soluzione possibile, l’
evacuazione degli ebrei verso Est.
Questi provvedimenti devono essere considerati di ordine
puramente tattico, ma sin da questo momento ci consentono di
raccogliere quelle esperienze pratiche che rivestono grande
interesse per la futura soluzione finale del problema ebraico.
…
Nel quadro della soluzione finale, gli ebrei dell’ Est
dovranno essere utilizzati, sotto un’ adeguata direzione, in
modo adeguato. In grandi colonne, distinte per sesso, gli ebrei
abili al lavoro saranno avviati in questi territori alla
costruzione di strade; senza dubbio gran parte di essi verrà a
mancare per selezione naturale. L’ eventuale residuo – e si
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tratterà senza dubbio degli elementi di maggiore resistenza –
dovrà essere opportunamente trattato < cioè eliminato >,
perché in caso di liberazione, essendo il prodotto di una
selezione naturale, esso formerebbe la cellula germinale di una
rinascita ebraica (vedi l’ esperienza della storia).
Nel corso dell’ attuazione pratica della soluzione finale, l’
Europa sarà rastrellata da occidente a oriente. Il territorio del
Reich, compreso il protettorato di Boemia e Moravia, dovrà
avere la precedenza, se non altro per la questione degli alloggi
e per altre necessità di ordine politico-sociale.
Gli ebrei evacuati saranno trasferiti di volta in volta nei
cosiddetti ghetti di passaggio, per essere di lì trasferiti verso l’
Est.
Per attuare l’ evacuazione – così continua l’
Obergruppenführer Heydrich – è premessa fondamentale
identificare con esattezza le persone interessate.
Non s’ intende procedere all’ evacuazione degli ebrei di età
superiore ai 65 anni; questi saranno invece trasferiti in un
ghetto per vecchi – sai prevede Theresienstadt …
L’ inizio delle singole azioni d’ evacuazione su scala
piuttosto vasta dipenderà in larga misura dagli sviluppi bellici.
Per quanto concerne la soluzione finale nei territori europei da
noi occupati, o sottoposti alla nostra influenza, si propone che
gli incaricati del problema ebraico presso il ministero degli
esteri conferiscano con i competenti responsabili della polizia
di sicurezza e del Servizio di sicurezza».
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Lo stato delle SS
(E. Collotti)
“La data del novembre 1938 è passata alla storia come la
«notte dei cristalli», a definire l’ azione indirizzata alla
devastazione di negozi e proprietà ebraici. Due giorni dopo l’
attuazione di questa spedizione punitiva, Heydrich, il regista
delle manifestazioni antisemite, poteva presentare al
maresciallo Göring un sostanzioso per quanto provvisorio
bilancio: una prima parziale valutazione faceva ascendere a
815 i negozi ebrei distrutti, a 29 i grandi magazzini incendiati,
a 171 le case di abitazione date alle fiamme o distrutte, a 191
le sinagoghe incendiate. Contemporaneamente erano stati
arrestati 20 000 ebrei, 36 erano stati uccisi, altri 36 feriti
gravemente … le manifestazioni spontanee di furore
antisemita erano in realtà accuratamente organizzate e
indirizzate verso obiettivi ben deliberati.
Al processo di Norimberga fu rivelato anche il protocollo
stenografico di una riunione dei ministri del Reich avvenuta il
12 novembre 1938 sotto la presidenza dell’ infaticabile Göring
… per il quale l’ esistenza stessa degli ebrei era un’
intollerabile provocazione nei confronti dei purosangue ariani
… non perse neppure questa occasione per dare sfogo al suo
estremismo suggerendo di imporre agli ebrei le più assurde
umiliazioni; per prima cosa essi avrebbero dovuto eseguire a
loro spese la demolizione delle sinagoghe incendiate; gli ebrei
non avrebbero potuto frequentare né teatri né cinematografi
pubblici, né luoghi di villeggiatura tedeschi, né ospedali
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comuni, né giardini pubblici. Si discusse inoltre seriamente
sulla necessità che il ministero dei Trasporti istituisse nelle
ferrovie speciali scompartimenti per gli ebrei … Come se tutto
ciò non fosse ancora sufficiente, Heydrich propose che agli
ebrei fosse imposto un contrassegno particolare (Göring lo
interruppe: «un’ uniforme!»): in tal modo si sarebbero create
automaticamente le premesse per la costruzione dei ghetti. Per
concludere, agli ebrei veniva imposto un tributo collettivo di
un miliardo di marchi «quale punizione per gli odiosi crimini».
Lo stato delle cose, in definitiva, non poteva essere scolpito
meglio di quanto fecero le critiche e beffarde parole con le
quali Göring riassunse il punto della situazione: «Non vorrei
essere un ebreo in Germania».
Se quindi fino a quel momento la persecuzione era rimasta
al livello episodico e individuale, dopo il novembre del 1938
essa assumeva il carattere collettivo e sistematico che doveva
trovare il suo culmine corale nella tragedia di Auschwitz o di
Theresienstadt, del ghetto di Varsavia o di Treblinka.. In
quelle stesse settimane ebbero inizio le prime deportazioni im
massa: Buchenwald accolse le prime migliaia di deportati
ebrei. Nonostante queste misure, la soluzione del problema
ebraico non era stata ancora trovata. Hjalmar Schacht, il quale
non rinunciò neppure in questa occasione a fornire il sussidio
dei suoi lumi tecnici alla politica del nazismo, suggerì il mezzo
per depredare gli ebrei con il massimo profitto per il Reich,
proponendo di far finanziare l’ emigrazione aebraica mediante
un prestito internazionale ottenuto grazie alla garanzia dei beni
della stessa comunità ebraica.
Ma i tempi stringevano verso lo studio di una soluzione
organica. Un passo avanti in questo senso fu compiuto dopo
che l’ occupazione dell’ Austria e della Cecoslovacchia ebbe
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portato nell’ ambito del Reich anche le grosse comunità
ebraiche di quei paesi; fu allora che Heydrich affidò a un
funzionario del servizio di sicurezza, il quale si era già distinto
a Praga nella creazione di un ufficio centrale per l’
emigrazione ebraica, Adolf Eichmann, l’ incarico di reggere il
dipartimento degli affari ebraici presso la centrale del Servizio
di sicurezza. Lo scoppio della guerra inasprì quindi la
situazione: da una parte creò condizioni sempre più proibitive
per gli ebrei all’ interno del Reich, che nel gennaio del 1941
furono costretti a portare come segno distintivo la stella gialla
e nell’ ottobre dello stesso anno furono sottoposti a lavoro
coatto per l’ economia di guerra; dall’ altra, abbandonando all’
arbitrio dei nazisti i 3 milioni di ebrei polacchi, doveva porre
gli uomini del Terzo Reich dinanzi ad un banco di prova
decisivo: avrebbero essi osato spingersi sino alle conseguenze
ultime delle loro teorie di superiorità razziale o si sarebbero
arresi all’ evidenza dell’ assurdità dei loro progeti
discriminatori? Nel primo periodo della guerra sembrò
affermarsi, per suggerimento di Eichmann e di Heydrich, l’
idea di servirsi della Polonia per farne un ghetto colossale,
evacuando nella zona tra la Vistola e il confine dell’ Unione
Sovietica tutti gli ebrei del Reich, dell’ Austria e del
protettorato di Boemia e Moravia. Più tardi Eichmann fu
incaricato di riprendere in considerazione nei concreti dettagli
un vecchio piano di evacuazione degli ebrei nel Madagascar,
che tornava ora di attualità essendo la grande isola dell’
Oceano Indiano sotto il controllo della Francia di Vichy
asservita alla Germania. Ma anche questo piano risultò
superato dall’ impossibilità di dominare le difficoltà create
dalla presenza nell’ Europa occupata di tanti milioni di ebrei:
la politica nazista era caduta in un vicolo cieco; le razzie e le
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spoliazioni nei paesi invasi trovavano pur sempre un limite in
alcuni milioni di bocche inutili da sfamare, come aveva
chiaramente e ripetutamente lamentato Hans Frank. Le
deportazioni, il lavoro forzato, gli esperimenti su cavie umane,
la vita umiliante e degradante dei ghetti non erano ancora
sufficienti all’ eliminazione fisica della razza inferiore, la cui
sussistenza accresceva le forze di resistenza e la carica d’ odio
nei confronti degli occupatori nazisti.
Nell’ impossibilità di addivenire all’ evacuazione delle
popolazioni ebraiche maturò quindi l’ idea dello sterminio,
della loro estirpazione fisica e biologica: il Giftpilz, il «fungo
velenoso», come era definito l’ ebreo in un libro di lettura
diffuso nelle scuole tedesche, doveva essere sradicato una
volta per tutte. Un mese e mezzo dopo l’ aggressione contro l’
Unione Sovietica, che segnò anche il passaggio della guerra a
forme di indiscriminata brutalità contro intere popolazioni, il
31 luglio 1941 il maresciallo Göring incaricava Heydrich di
«disporre tutti ipreparativi necessari dal punto di vista
organizzativo, pratico e materiale per una soluzione
complessiva della questione ebraica nei territori d’ Europa
sotto influenza tedesca», con il compito di sottoporre al più
presto un progetto per l’ attuazione della divisata «soluzione
finale». Un altro documento esibito al processo di Norimberga,
il cosiddetto Wannsee-Protokoll, fornisce ragguagli più
precisi circa i termini della «soluzione finale», come risultato
appunto dei piani elaborati da Heydrich e dai suoi
collaboratori. Il 20 gennaio 1942 Heydrich chiarì a un
consesso di alti funzionari delle SS e dei dicasteri interessati
gli obiettivi della Endlösung nei confronti di 11 milioni di
ebrei d’ Europa, ivi compresi gli ebrei dei paesi alleati della
Germania, a cominciare dall’ Italia: ossia il loro trasferimento
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in massa verso l’ oriente russo e il loro impiego come
manodopera per conto del Terzo Reich. Ciò significava
semplicemente che erano state finalmente scelte le modalità
pratiche per l’ eliminazione degli ebrei, ossia l’ annientamento
mediante il lavoro.
Da questo momento la macchina di distruzione e di morte
messa in moto da Heydrich, il quale peraltro ai primi di giugno
del 1942 soccombeva alle ferite riportate in un attentato tesogli
da patrioti cèchi, e dai suoi collaboratori, con alla testa
Eichmann, non doveva conoscere sosta. Con l’ inizio delle
deportazioni e delle eliminazioni in massa l’ istituzione già
così mostruosa dei campi di concentramento si trasformò in
una immane fabbrica della morte, dai cui comignoli si
spirigonava il fumo di centinaia di forni crematori, sinistro
simbolo della fertile inventiva di tecnici e scienziati postisi al
servizio di un regime spietato senza nome. Il Reich millenario
non seppe creare altre testimonianze della sua opera, altri
monumenti più duraturi dei campi di concentramento. Un
testimone diretto della vita e delle sofferenze di un Lager,
Eugen Kogon, così descrive questo singolare simbolo del
Terzo reich:
Fu progettato in effetti uno Stato delle SS, e i campi di
concentramento ne furono un ‘ orribile stampo – le celle intorno al circo
massimo del Reich millenario, nella cui pista grossdeutsch veniva
gettata, alla vista di una collettività popolare in parte entusiasta, in parte
costretta, la libertà destinata alla morte sotto gli zoccoli di quella
spaventosa quadriga – adorazione del Führer, fanatismo razziale,
nazionalismo e militarismo – che ha impresso orme sanguinose alla storia
di quest’ epoca. Su tutto ciò sovrastavano gli uomini nella nera uniforme,
contraddistinti dal segno runico delle SS o da teste di morto, pronti a
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tirare le redini, per costringere la nostra sorte definitivamente entro il
tracciato della loro strada.
Nulla meglio dei campi di concentramento rivela la
profonda perversione creata nel popolo tedesco durante l’ era
nazista, l’estrazione di un nuovo tipo umano qualitativamente
diverso dalla rimanente umanità, la perversione di un regime
nel quale uomini come Heydrich o Eichmann, come Höss, il
comandante di Auschwitz, o Martin Sommer, l’ aguzzino di
Buchenwald, poterono essere considerati gli uomini giusti al
posto giusto, di un regime nel quale poté allignare un sistema
così scrupolosamente organizzato di degradazione e di
umiliazione collettiva di intere popolazioni e di intere
comunità politiche o religiose. La crudeltà elevata a
professione di Stato, il sadismo esercitato ai danni dei
deportati, furono il risultato al quale approdarono la forsennata
predicazione dell’ odio di razza, il fanatismo ideologico e
nazionalistico, lo sfrenato attivismo e la violenza sistematica
indissolubilmente legati all’ ideologia e alla pratica di governo
del nazionalsocialismo. Appare ancor oggi inconcepibile che
sia stato possibile erigere una così perfetta organizzazione per
lo sterminio in massa, con una rete di complicità così vasta
anche nel mondo della cultura, con un intreccio così
imponente di speculazioni sulla sorte di milioni di infelici
esseri umani condannati all’ annientamento nel mondo
allucinante dei campi di concentramento. All’ ingresso di
Auschwitz, il comandante Höss aveva fatto scrivere una
celebre massima «Arbeit macht frei», il lavoro rende libero;
«Jedem das Seine», a ciascuno il suo, prometteva con cinismo
non meno raffinato l’ ingresso a Buchenwald. Eppure, dietro
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queste massime morali, nelle quali la presunzione pedagogica
tipica perfino dei carnefici delle SS assumeva quasi una
funzione caricaturale nei confronti di certo proverbiale
pedantismo tedesco, fu organizzato con i sussidi della tecnica
più moderna il più macabro massacro della storia.
Mecidi illustri e onorati istituti scientifici non rifiutarono la
loro opera per escogitare raffinati metodi di eliminazione, sia
sotto il pretesto di esperimenti scientifici in vivo, sia
suggerendo le formule chimiche per la rapida
somministrazione della morte. Nelle sue memorie il
«comandante ad Auschwitz» Rudolf Höss, mantenendo lo
stesso impersonale distacco che gli aveva permesso di seguire
con perfetta astrazione, con occhio clinico, le vicende del suo
Lager, illustra i vantaggi del Cyclon B con calcolata freddezza
e ostentata suasività, con un linguaggio, si direbbe, da
ricettario medico: «provoca la morte con assoluta sicurezza e
rapidamente, soprattutto se usato in locali asciutti e a prova di
gas, ben stivati di persone e usando il maggior numero
possibile di condotti per l’ immissione del gas»; per lui la cosa
più impostante era di non logorare gli impianti … ovvero di
non inceppare il mostruoso meccanismo organizzativo: «non si
poteva fare a meno di continuare le cremazioni anche di notte,
per non creare intoppi ai trasporti in arrivo».
In margine al sistema concentrazionario le SS
organizzarono lo sfruttamento più integrale dei beni rapinati ai
deportati e delle loro stesse persone fisiche, sfruttamento che si
prolungava, al di là della vita, fin sui loro cadaveri; per le SS la
miseria indicibile dei campi di concentramento diventava
occasione e fonte di speculazione e di arricchimento. Nel 1942
fu costituito sotto la guida dell’ Obergruppenführer delle SS
Oswald Pohl l’ ufficio centrale per l’ amministrazione
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economica delle SS (SS-Wirtschaftverwaltungshauptamt), con
l’ incarico di presiedere alla gestione dei beni economici
passati in possesso delle SS. Quale fosse il genere dell’ attività
espletata dall’ ufficio di Pohl risulta dagli stessi documenti –
che cosa non era stato accuratamente e pedantescamente
annotato! – scoperti alla fine della guerra: intere liste di
documenti sottratti alle vittime della «soluzione finale» e
destinati ai Volksdeutsche dell’ Europa orientale; forniture di
orologi, di penne stilografiche, di portamonete, di rasoi, di
forbici, di occhiali, ecc. depredati ai deportati e destinati alle
divisioni delle Waffen-SS, o meglio, come si esprime Pohl in
una lettera del 29 novembre 1944, ai «membri più degni e più
provati» di queste divisioni.
Alla fine della cosiddetta azione Reinhard, colossale piano
di depredazione sistematica parallelamente allo sterminio degli
ebrei del governatorato generale di Polonia, il Gruppenführer
delle SS Globocnik poteva valutare a 100 047 983,91 di
Reichsmark l’ ammontare dei beni (denaro, divise, oro e
metalli preziosi, occhiali, orologi e gioielli) versati all’
amministrazione economica delle SS per l’ inoltro alla
Reichsbank e al ministero dell’ Economia del Reich. Così
come non era sfuggita l’ occasione di impadronirsi dell’ oro
dentario strappato ai cadaveri, non sfuggì alle SS neppure la
possibilità di utilizzare i capelli dei detenuti: nelle istruzioni
emanate in proposito il Brigadeführer delle SS Glücks
precisava che «i capelli degli uomini vengono trasformati in
feltri industriali … i capelli di donna permettono di fabbricare
pantofole per gli equipaggi dei sommergibili e calze di feltro
per le ferrovie del Reich». Perfino la pelle dei deportati fu
utilizzata per confezionare rilegature di libri e paralumi.
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Ma gli affari delle SS non si arrestavano a questo punto; i
loro rapporti con la grande industria non si fermarono ai
contratti per la fornitura del Cyclon B, che fu fornito da varie
aziende del gruppo IG-Farben, tra le altre dalla Degesch, la cui
denominazione sociale non poteva suonare in modo più
pertinente: «società tedesca per la lotta contro i parassiti». Nei
primi mesi del 1942, nel tentativo di spingere all’ estremo
limite lo sforzo bellico della Germania, sottoposta ormai a un’
usura sempre più logorante, fu ordinata la mobilitazione dei
deportati per l’ economia di guerra. Ma per quegli infelici, mal
nutriti e ridotti nelle condizioni più deplorevoli, era soltanto il
preludio di una nuova strage. Intorno ai Lager sorsero
stabilimenti e filiali delle più svariate industrie: a Buchenvald
ebbe larga parte l’ industria aeronautica e la fabbricazioni di
parti delle V-2, le famose armi segrete di Hitler; ad Auschwitz
la IG-Farben, il più grande complesso monopolistico legato
direttamente all’ industria di guerra e quello che maggiormente
fece ricorso alla manodopera dei deportati, installò nuove
fabbriche di gomma sintetica: delle migliaia e migliaia di
deportati ivi occupati soltanto una esigua minoranza
sopravvisse allo sterminio; nel campo femminile di
Ravensbrück il primato dello sfruttamento spettò al complesso
Siemens. Sempre ad Auschwitz anche il complesso Krupp
ebbe la sua parte di lavoratori forzati: a proposito di questo
impiego di manodopera coatta, nel tentativo di riabilitare la
reputazione del cognato Gustav Krupp von Bohlen und
Halbach, il barone Thilo von Wilmowsky non ha saputo dire
altro se non che «in confronto al soggiorno nel Lager e all’
esecuzione ivi stesso del lavoro coatto sotto il controllo del
personale del Lager i detenuti vedevano l’ occupazione nell’
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industria come un sostanziale alleviamento della loro
sorte»…».
Il «programma» di Hitler
nel Mein Kampf
(A. Hitler, Mein Kampf, Roma, Homerus 1971)
Hitler sostenne sin dal 1925 gli obiettivi del nazional
socialismo, in «La mia battaglia», che egli intese tradurre in
atto una volta giunto al potere nel 1933: l’ obiettivo dell’
espansione territoriale ad Est, la convinzione del «complotto»
ebraico-bolscevico come causa di tutti i mali, la salvaguardia
della «purezza» della razza ariana.
«La politica estera di una nazione deve permettere il
sopravvivere su questa terra della razza del popolo che
rappresenta, creando un ambiente propizio per la crescita degli
individui. Per ambiente propizio ci riferiamo a quello che
permette la vita di una nazione sulla propria terra. … I
nazional-socialisti devono raggiungere fini più alti: il diritto di
avere nuovo spazio si cambierà in dovere se la gente di una
nazione, non essendoci un ampliamento della sua superficie,
sembra diretta verso la guerra. Principalmente allorché non si
parla di una piccola popolazione di colore, ma del popolo
tedesco, creatore di tutto ciò che è l’ attuale forma della vita in
20
questo odierno globo. La Germania o raggiunge il grado di
potenza mondiale o non esisterà. Ma per giungere a potenza
mondiale deve avere una grandezza che le dia il sufficiente
prestigio e dia da vivere alla sua gente … Noi iniziamo dal
punto in cui ci si fermò 600 anni fa. Finiamo l’ eterno
cammino tedesco verso il nord e l’ ovest e guardiamo i territori
posti all’ est …Allorché diciamo di nuovi spazi europei,
dobbiamo tenere in considerazione innanzitutto l’ Unione
Sovietica o le Nazioni satelliti ad essa affiliate … L’ idea
ebraica è limpida. La bolscevizzazione della Germania, ovvero
l’ annullamento del genio nazionale tedesco e l’
indebolimento, conseguente, della potenza lavorativa tedesca
da parte dell’ economia mondiale ebraica è vista soltanto come
l’ inizio dell’ idea ebraica che è quella di impadronirsi della
terra … La totale opera d’ istruzione e d’ educazione dello
stato nazionale deve trovare il suo culmine nell’ inculcare nel
cuore e nella mente della gioventù a lui consegnata il
significato e il sentimento di razza, adeguato all’ istinto e al
raziocinio. Nessun fanciullo, nessuna fanciulla, deve
abbandonare la scuola senza conoscere perfettamente l’
essenza e la necessità della incontaminazione del sangue».
21
L’ antisemitismo di Hitler
(K. D. Bracher, La dittatura tedesca. Origini, strutture,
conseguenze del nazionalsocialismo in Germania, Bologna, Il
Mulino 1973)
«Sulla sostanza delle idee, che Hitler elevò poi a
«fondamento granitico» della sua successiva azione, si è scritto
spesso. Essa si esauriva in un’ unica critica-sfida globale alla
tolleranza e alla borghesia mondiale, alla democrazia e al
parlamentarismo, al marxismo e al giudaismo che,
grossolanamente identificati, venivano considerati i mali
fondamentali del mondo. Il nucleo centrale tuttavia, l’ unica
«vera» convinzione di tutta la sua vita, a cui tenne fede
fanaticamente, era già allora l’ antisemitismo e la mania della
razza: lo schema semplificatore di bene e male, tradotto in
termini biologico-razzisti, fungeva da supremo principio di
spiegazione di tutta la storia e la politica mondiali. L’ odio
fanatico di Hitler per gli ebrei oltrepassa tutti i tentativi di
giustificazione razionale, e non è neppure misurabile con
criteri politici o pragmatici. Il fatto che tutto un popolo lo
seguì e fu capace di produrre una schiera di assassini, dimostra
22
poi che qui non abbiamo a che fare semplicemente con un
insondabile enigma personale, ma con una pericolosa tendenza
del nazionalismo moderno, la cui esigenza di escludere e di
distruggere tutto ciò che è «straniero» costituisce una delle
forze fondamentali dell’ antisemitismo.
I tratti psicopatici della Weltanschauung di Hitler sono già
riconoscibili in questo primo stadio; vi hanno contribuito in
modo decisivo l’ invidia sociale del disadattato, il divario tra le
alte pretese e la miseria del disoccupato per propria colpa, a
cui il normale lavoro sembrava degradante. Nietzsche, tanto
spesso frainteso, ha definito una volta l’ antisemitismo come la
Weltanschauung di «coloro che sono in svantaggio». Voci non
controllabili pretendono di sapere che Hitler, in base a certe
sue sfortunate esperienze con un mercante ebreo venditore dei
suoi quadri, sarebbe giunto alla «consapevolezza» che l’
ingegno creativo – quale egli era come pittore – è sempre
defraudato del suo lavoro dal commerciante ebreo scaltro,
esperto del mondo e capace di rendersi indispensabile. Questi
risentimenti personali possono aver contribuito alla
razionalizzazione di una distorta rappresentazione nell’
antisemitismo di Hitler, che contemporaneamente era
diventato anche un «nazionalista fanatico». L’ ideologia
nazionalistica nel suo momento di massima esasperazione
diventa una forza istigatrice di una follia di massa, assume il
carattere di una psicosi collettiva per cui l’ annientamento del
nemico significa la propria fortuna e salvezza. Le tendenze
antisemite nella Vienna del tempo offrivano a Hitler il punto
d’ appoggio per sviluppare il nazionalismo militante fino alle
sue estreme conseguenze e quindi fino all’ assurdo. Gli ebrei
sono colpevoli di ogni male, la salvezza del popolo, anzi di
tutto il mondo, può consistere solo nella lotta spietata contro di
23
loro: su questo assunto erano fondati il futuro nazionalismo e
insieme l’ imperialismo hitleriano, che infine associò l’
espansione violenta, anche oltre i confini nazionali, con la
missione mondiale di una lotta tedesca contro il «giudaismo
mondiale». Come cancelliere del Reich Hitler dirà poi ai suoi
intimi di essersi servito del nazionalismo per motivi
contingenti, ma di aver sempre saputo con chiarezza che
bisognava eliminare anche questo concetto democraticoliberale e «sostituirlo col concetto della razza, non ancora
entrato nell’ uso politico» ».
Verso il nazismo
• La Francia del dopoguerra continua ad essere
caratterizzata da una grande instabilità governativa e da
una diffusa corruzione del sistema politico. L’
esperienza del governo del Fronte popolare formato a
metà degli anni trenta dalle sinistre si esaurisce per l’
incapacità delle diverse componenti di trovare un
accordo per combattere l’ inflazione e sviluppare l’
economia.
• In Inghilterra la ripresa economica è inizialmente più
lenta di quella del resto dell’ Europa, ma il trend si
inverte negli anni trenta. Sul piano internazionale
24
prevale una politica di appeasement (pacificazione) con
gli Stati totalitari, mentre viene realizzata la piena
autonomia dei dominions e si arriva a una parziale
soluzione della questione irlandese.
• La democrazia dimostra buona tenuta anche in Belgio,
nei Paesi Bassi e soprattutto negli Stati scandinavi,
avviati dai governi socialdemocratici a riforme sociali
particolarmente avanzate.
• Soffocati i tentativi rivoluzionari della sinistra estrema,
la repubblica tedesca nata dal crollo dell’ Impero è
fragile per la scarsa
incisività riformatrice dei
socialdemocratici. L’ accorta politica diplomatica di
Strasemann consente alla Germania di attenuare il peso
economico delle riparazioni e di reinserirsi
gradatamente nel concerto europeo.
• Le conseguenze della crisi economica del ’29 spostano a
destra l’ equilibrio politico della Repubblica di Weimar,
mentre nel Paese cresce la forza organizzativa ed
elettorale del Partito nazionalsocialista, le cui
formazioni paramilitari non vengono sufficientemente
contrastate dal governo. Potentati economici e casta
militare spingono quindi il presidente Hindenburg a
nominare cancelliere Hitler, il cui governo evolve
rapidamente in senso dittatoriale. Con la violenza della
repressione e un imponente apparato propagandistico il
nazismo ottiene in poco tempo il «livellamento» della
società tedesca, avviando il Terzo Reich verso un
25
intenso sviluppo industriale incentrato soprattutto sul
riarmo.
Il dibattito sulle origini del nazismo
A. Dal pangermanesimo tradizionale al nazismo
(E. Vermeil, Doctrinaires de la revolution allemande 19181938, Paris 1939, tr. It. G. Biscaretti)
«La mistica razzista avrebbe trionfato in Germania se,
grazie all’ evoluzione che abbiamo descritta, lo Stato a
tendenze totalitarie non si fosse costituito per proprio conto
contro il pluralismo di Bismarck e di Weimar?
Il razzismo si è dunque trovato di fronte ad una società
pronta ad incarnare in lui il suo ideale e la sua volontà.
Se i fatti avevano raggiunto un certo grado di maturità,
bisognava pure preparare in qualche maniera gli spiriti.
Rosenberg, il profeta ispirato del razzismo, invoca
indistintamente fra i precursori della dottrina, i mistici tedeschi
anteriori alla Riforma, Lutero, Herder, ed infine i nazionalisti
più noti del XIX e del XX secolo, in particolare Paul de
Lagarde e H. S. Chamberlain. Il nazionalsocialismo continua
in linea diretta la tradizione pargermanista. I nazisti non si
astengono nemmeno dall’ utilizzare Nietzsche. Come spiegare
questa doppia filiazione?
26
Nelle terre tedesche, dal XVII al XVIII secolo, nell’ epoca
cioè in cui il cristianesimo comincia a secolarizzarsi in Europa,
si è verificato un fatto molto significativo. Rinchiuso in un
quadro territoriale ristretto, sottomesso all’ ortodossia più
rigorosa, questo sistema politico-ecclesiastico che prende
ovunque, e particolarmente in russica, l’ aspetto di un
opprimente apparato burocratico, non può soddisfare la
religiosità tedesca. Essa abbandona le Chiese, assume la forma
del pietismo e poi si dissolve nella civiltà laica; sogna un
cristianesimo nuovo al di sopra delle diverse confessioni, una
Riforma non scismatica, destinata a liberare la Germania dal
dualismo confessionale. E’ questo il curioso ambiente che ha
fatto da culla al nazionalismo tedesco. E il popolo tedesco si
forma per proprio conto una rappresentazione mistica, vuol
dire che il suo sogno è insieme reale, perché presente negli
spiriti e invisibile, perché non realizzato e anche irrealizzabile.
Esso vuole concepirsi infatti come organismo vivente, unità
creatrice, individualità collettiva o «genio nazionale». E’ in
questo senso che Herder vuole porre la nazione fra l’ individuo
ragionevole e la Ragione universale. Ora, conferire l’
individualità ad una collettività umana, è fare atto religioso e
ritornare, sul piano profano, alla nozione del «Corpus
christianum» e di Comunità preesistente ai suoi membri. E’
anche attribuire allo Stato quanto appartiene solo alla
Religione. Rosenberg si richiama oggi a Herder. Rifiutando
tutto l’ umanesimo del XVIII secolo, egli conserva di Herder
una sola affermazione, cioè che ogni popolo persegue la
propria felicità a modo suo.
La Germania si costruisce così un nazionalismo romantico
prima ancora del romantisimo stesso …
27
Al sopraggiungere, al tempo della Rivoluzione Francese e di
Napoleone, del romanticismo, il passo decisivo sarà fatto. L’
idea di genio nazionale e di individualità collettiva assumerà
un senso politico; diventerà l’ idea dello Stato organico
contrapposto al contratto sociale dell’ Occidente. E si spiega
come il pangermanesimo abbia potuto abbozzare le sue tesi
essenziali tra il 1800 e il 1815, in epoca ancora lontana.
La sua vena religiosa e filosofica si è conservata fino ad
oggi e riaffiora nelle concezioni che i capi hitleriani si fanno
della sua futura religione nazionale e della futura cultura
tedesca …
Il pangermanesimo filosofico insiste sulla superiorità del
pensiero e della cultura tedeschi. Anch’ esso, sebbene
indirettamente, risale a Leibniz e a Herder. Ha dunque la sua
sorgente in una concezione della storia e del linguaggio che,
termine intermedio fra l’ ottimismo del progresso illuministico
e il pessimismo di Rousseau, ostile ad ogni civilizzazione,
vede l’ Energia divina manifestarsi per mezzo dei geni
nazionali e delle grandi culture che essi generano. Ancora
cosmopolita nel XVIII secolo, questa concezione diventa più
tardi credenza nella superiorità della cultura tedesca. Fiche la
elabora nei suoi Discorsi alla Nazione Tedesca e Hegel la
perfeziona. Quando questi due filosofi, come la maggior parte
dei loro contemporanei, contrappongono l’ idea di organismo
vivente a quella di meccanismo inanimato, fanno della prima il
simbolo per eccellenza del pensiero germanico e della seconda
la tara del pensiero francese e del razionalismo occidentale. Il
loro ideale è quello della Comunità organizzata; quindi
totalitaria. Nel momento stesso in cui constatano l’ impotenza
assoluta della Germania, essi cullano il sogno della sua
rinascita e della sua missione egemonica in Europa.
28
Queste idee si precisano, sotto Bismarck, nelle opere degli
storici che, con Ernst Curtius per la Grecia, Mommsen per
Roma e Treitschke per la Germania prussificata, si sforzano di
dimostrare che, ultima arrivata, la loro nazione è destinata a
mietere il raccolto preparato dalle civiltà precedenti. Se le
attribuiscono un diritto all’ egemonia continentale, è perché la
ritengono la sola capace di conciliare in Europa l’ autorità e la
libertà, l’ istituto monarchico e i costumi repubblicani. Sotto
Guglielmo II questo pangermanesimo della cultura brucia una
nuova tappa. Esso oppone all’ Ariano del Nord, eroico e virile,
il Latino decadente ed effeminato …
Si scoprono i primi lineamenti della dottrina razzista nel
Deutsches Volkstum di Jahn, apparso nel 1809, cioè l’ idea di
una Razza santa che i Greci sarebbero stati i primi a
rappresentare e che i tedeschi devono incarnare dopo di loro,
essendo il loro popolo un concentrato, una quintessenza della
totalità della natura umana. Fichte e Hegel non temono di
affermare che la nazione tedesca è scevra da ogni mescolanza.
Verso il 1854, nel suo Pro populo germanico, Arndt ripete che
la razza tedesca è superiore alle altre per il coraggio, per quello
spirito combattivo che permette alle comunità umane di
guadagnarsi un bel posto nel mondo. Goerres ritiene di poter
affermare che le invasioni germaniche hanno ringiovanito
fisiologicamente i popoli dell’ antichità latina. Federico List e
Birmarck pensano che l’ avvenire è dei tedeschi del Nord, gli
unici ad essere provvisti di qualità maschile, perché il ruolo
della razza germanica, in caso di mescolanze, sarà sempre
quello virile e fecondante.
La prima ad assistere al vero fiore del razzismo è l’ epoca
Guglielmina. Le opere principali di Gobineau, apparse tra il
1850 e il 1880, influenzano la Germania a partire dal 1890. D’
29
altra parte, la scienza dell’ epoca si orienta sempre più verso la
biologia, l’ antropologia e la sociologia. Si diffonde l’ idea che
religioni e culture derivano prima di tutto dalla virtù del
sangue, da qualità d’ ordine psicologico e razziale. Si direbbe
che non è il Cristianesimo ad aver purificato i Tedeschi ma
sono piuttosto i Tedeschi che lo rinnovano convertendosi ad
esso …
Religione, Cultura e Razza sono le basi del
pangermanesimo pratico, che si presenta, in primo luogo,
come un fervente appello all’ unità territoriale e come apologia
della Costituzione perfetta che i tedeschi stabiliranno sul regno
delle competenze. Si attende l’ uomo forte e potente che saprà
fondare la massa e fare dello Stato una forza insieme materiale
e spirituale, militare e politica. Questo bonapartismo alla
tedesca, che preconizza sia il federalismo che l’ egemonia
della disciplina prussiana, ha servito da armatura all’ Impero di
Bismarck. Il pangermanesimo implica, naturalmente, non
soltanto l’ apologia dell’ esercito, ma una teoria della
militarizzazione totale. Si ripeterà, sulla falsariga di Fichte e di
Hegel, che la guerra classifica i popoli e stabilisce tra di loro
una gerarchia naturale e genuina. Come fa un popolo che da
Arndt, nel 1803, si definisce «senza spazio», e cerca di
provarlo con Ratzel sul piano geografico, con Lamprecht sul
piano storico, a non pensare alla guerra? C’ è da stupirsi che
con List, Molte, Treitschke e tanti altri pubblicisti che si sono
moltiplicati fino all’ avvicinarsi della guerra mondiale, esso
abbia elaborato un programma continentale e coloniale tale da
inquietare ad un tempo tutte le nazioni europee? La tradizione
pangermanista si è dunque costituita in tre grandi tappe: prima
metà del XIX secolo, era bismarckiana e regno di Guglielmo
II. Il pangermanesimo, dapprima religioso e filosofico, limitato
30
a qualche testa isolata, non ancora consolidato dall’ unità
territoriale, si accontenta di sognare. Sotto Bismarck, la
politica prussiana di fulminei successi militari e lo slancio
economico del giovane Impero lo lasciano nell’ ombra, pur
preparandogli le posizioni più forti per il futuro. Sparito
Bismarck, la marea passerà sommergendo tutti gli ostacoli.
Compare allora il razzismo con quell’ inaudita fioritura di
teorie e di programmi che genera una pseudo-élite intellettuale.
In quest’ Impero che la legislazione, l’ amministrazione e l’
esercito hanno già così vigorosamente prussianizzato, gli
strumenti dell’ azione sono già pronti. L’ offensiva del 1914
non è altro che un sogno di grandezza che disponendo degli
strumenti necessari alla sua realizzazione passa all’ azione, ad
un’ azione che i Tedeschi chiamano «rivoluzionaria».
La tragedia economica e politica che ha preparato l’ avvento
del sistema autarchico si accompagna ad una tragedia
intellettuale e morale. Trasportato dalle circostanze come dal
proprio movimento, il pensiero tedesco doveva stimolare più
vigorosamente di ogni altro, in Europa, la critica delle
ideologie su cui si fondano le odierne Internazionali. Dirò
persino che la sua funzione specifica è stata quella di trattarle
come ideologie e di attribuire loro un relativismo mortale. Con
grande audacia, i tedeschi hanno distrutto tutti i ricettacoli nei
quali l’ umanità ha posto fino ad oggi al riparo la coscienza
che essa ha di se stessa, si tratti della Storia universlae, o del
cristianesimo o di una autorità divina soprannaturale, o della
ragione e dell’ idea di progresso, o infine della speranza
socialista. Il niccianesimo vi ha contribuito in buona parte. Il
cumulo di tutte queste rovine ha generato, in Germania più che
ovunque, un nichilismo che, ripudiando i vecchi valori, si
rifugia finalmente, sul piano nazionale, nel biologismo sociale
31
autoritario che il terzo Reich impone ai suoi sudditi. Così si
spiega il trionfo dell’ hitlerismo. Una contrazione territoriale,
amministrativa, militare e politica, legando la Società e lo
Stato, ha ultimato il processo che, da gran tempo, conduceva la
Germania allo Stato totalitario e all’ autarchia. Una tragedia
intellettuale senza precedenti, portandola al nichilismo, ha
fatto trionfare il razzismo, erede di tutta la tradizione
pangermanista e fondato su un pseudo-biologismo autoritario e
dittatoriale. Questo reich totalitario e razzista si erge contro
tutte le Internazionali che hanno fino ai nostri giorni tentato di
restituire al continente la perduta unità. Da allora la Germania
viene galvanizzata all’ interno per un’ azione determinata da
di fuori. E’ la legge stessa della sua storia.»
32
B. L’ estraneità del nazismo alla tradizione tedesca
(G. Ritter, I cospiratori del 20 luglio 1944. Carl Gördeler e
l’ opposizione antinazista, tr. di E. Collotti, Einaudi, Torino
1960)
«Il problema centrale consiste nel considerare se si debba
condurre l’ ascesa del nazionalsocialismo essenzialmente a
radici specificamente tedesche (come inclinava a pensare,
dopo la catastrofe del 1945, la maggior parte dei suoi critici,
specialmente stranieri) o a fenomeni sostanzialmente comuni
alla vita europea, che in Germania assunsero soltanto una loro
particolare forma. Ma si esagera questa seconda
interpretazione quando si considera l’ hitlerismo come una
specie di fenomeno estraneo alla natura tedesca, come un puro
contrasto con le nostre tradizioni nazionali, e, in definitiva,
come un semplice episodio della vita tedesca. E, tuttavia, non
c’ è dubbio che dovunque sorse una resistenza di principio, per
ragioni profonde, essa sottintendeva l’ appassionata
convinzione che il nazionalsocialismo fosse una falsificazione
satanica della vera tradizione tedesca. Era giustificata una tale
convinzione? Ci si dovrebbe guardare dal rispondere a questa
33
domanda con quei luoghi comuni della cosiddetta psicologia
dei popoli, che oggi sono in voga dappertutto e che tuttavia dal
punto di vista storico non spiegano proprio nulla, perché
pretendono di ridurre a un unico denominatore la più
complessa di tutte le creazioni storiche – la nazione moderna –
e di caratterizzare con una sola parola il suo modo di essere.
Ogni nazione è, in realtà, il risultato di innumerevoli contrasti
interni. In ogni nazione (almeno nell’ ambito della civiltà
europea e occidentale) esistono suppergiù analoghe possibilità
di sviluppo umano e spirituale. Sarebbe perciò abbastanza
insensato voler spiegare determinati fenomeni storici
contrapponendo, per esempio, il Tedesco «romantico e avido
di conquista» al Francese «razionalista e amante della pace» o
il presunto servilismo dei nostri compatrioti all’ amore
naturale per la libertà degli Inglesi. Invero, la Francia non ha
avuto meno di noi romanticismo politico e avventurieri dello
spirito e della politica e non le sono mancati neppure
stravaganti sogni di potenza; non sono passati ancora cent’
anni dall’ epoca in cui in Europa si soleva considerare non la
Germania, ma la Francia, come una caldaia in eterna
ebollizione, carica di inquietudine rivoluzionaria e di
ambizione guerriera. Ma chi voglia attribuire le responsabilità
del trionfo del nazionalsocialismo all’ abitudine dei Tedeschi
allo spirito di sudditanza e all’ esatta obbedienza militare
ricordi che la Germania non è stata la prima bensì l’ ultima
nella lunga schiera di paesi europei nei quali dopo il 1917 si
affermò il sistema del partito unico e della tirannide totalitaria;
e che Hitler, Austriaco di nascita, non trovò il suo modello
nello Stato bismarckiano, ma nell’ Italia di Mussolini, in un
paese cioè ai cui cittadini nessuno certo rimprovererà un esso
di spirito di sudditanza e di disciplina …
34
Si può ricordare che il liberalismo tedesco ebbe, sin da
principio, un volto diverso da quello dell’ Europa occidentale:
non sorto come questo da lotte politiche interne, ma nel tempo
delle guerre di liberazione, non si nutrì della diffidenza verso
un forte potere statale, ma per prima cosa cercò di fondare
proprio siffatto potere, come potere direttivo nazionale basato
sul consenso di tutti i consociati e pertanto in condizione di
sostenere la lotta con le altre nazioni. Sin da principio, le idee
liberali di libertà e l’ orgoglio della potenza politica agirono di
stretto accordo, e, dopo la fondazione dell’ impero
bismarckiano, con la sua Costituzione fondata sulla monarchia
costituzionale e la sua forte posizione in Europa, il liberalismo
cedette sempre più il passo al nazionalsocialismo. La massa
della borghesia tedesca non nutriva diffidenza nei confronti
dello «Stato birbone», ma una grande fiducia nell’ autorità,
ancor più rinsaldata e rafforzata dopo il 1866, che diminuì
bensì sotto Guglielmo II e fu poi profondamente scodda dalla
rivoluzione del 1918, ma risorse subito nel 1933: nella cieca
fiducia di vasti circoli della borghesia tedesca nelle buone
intenzioni di Hitler, il cui primo programma di governo era,
addirittura, colmo di belle promesse di pace. Allora, alla massa
della borghesia tedesca sarebbe parso addirittura grottesco che
si potesse cadere nelle mani di un incosciente avventuriero
come capo di governo, e per giunta con la benedizione del
vecchio Hindenburg …
Ciò nonostante, sarebbe
fondamentalmente falso, e non consentirebbe di comprendere
il successivo sviluppo del movimento di resistenza tedesco, il
voler far derivare lo stesso nazional-socialismo dai presupposti
qui ricordati della storia tedesca, che ne facilitarono il
successo, quasi esso fosse l’ ultima conseguenza e il momento
culminante di tradizioni specificamente tedesche. Proprio là
35
dove più viva era la tradizione del vecchio Stato militare
prussiano, nell’ esercito, esso fu sentito sin da principio come
qualcosa di estraneo, e nessuno ne fu più amaramente deluso
di quegli idealisti i quali si attendevano, in buona fede, per
prima cosa, un rinnovamento degli ideali sulla comunità
politica nel senso del più antico liberalismo, ben disposto nei
confronti dello Stato, dell’ età della riscossa tedesca. Nella sua
più intima essenza il nazionalsocialismo non fu un prodotto
originale tedesco, ma la forma tedesca di un fenomeno
europeo: quello dello Stato retto da un partito unico e da un
unico condottiero. Ma non è possibile spiegare questo
fenomeno con tradizioni meno recenti, bensì soltanto con una
crisi specificamente moderna, con la crisi della società e dello
Stato liberale. Non dobbiamo cercarne le ragioni più intime in
questa sede. Decisivo però è il fatto che la moderna società
industriale, con l’ uniformità delle masse che le è caratteristica,
è poco favorevole all’ ideale liberale delle libere e autonome
personalità, indipendenti spiritualmente ed economicamente;
tanto più favorevole invece alle idee democratiche della
eguaglianza dei diritti fondamentali e della sovranità popolare.
I mezzi offerti dalla tecnica moderna consentono di mobilitare
il popolo, ossia la massa divenuta sovrana, in misura del tutto
diversa che in precedenza. La dimostrazione di massa, la
cosiddetta «azione diretta» subentrava sempre più al posto
della seria discussione parlamentare …
Molto ci sarebbe da dire sull’ intima dissoluzione dello
spirito liberale in Europa, sulla decomposizione del pensiero
idealistico e degli ideali umanistici della personalità in seguito
al sorgere di nuove correnti e di nuove concezioni del mondo
nell’ epoca del positivismo e del materialismo; sull’
applicazione alla società e alla storia umana delle teorie
36
biologiche sull’ eterna lotta fra tutti gli esseri viventi; sulla
preoccupante diffusione della filosofia della vita di Nietzsche
con la sua predicazione del superuomo, della «volontà di
potenza» e del «vivere pericolosamente», della viltà dell’
intelligenza e della gioia di una forte vitalità; sulla lotta dei
sindacalisti rivoluzionari contro la borghesia sazia; sulla loro
esaltazione delle élites combattive e del «mito» politico che
crea il movimento delle masse. Tutta l’ evoluzione spingeva ad
una valutazione unilaterale della volontà forte, della vitalità
naturale al posto di valori puramente spirituali, dell’ avventura
al posto della sicurezza borghese. Su una parte della gioventù
tedesca l’ appello di Hitler di «tenersi pronti al sacrificio» agì
come un ebbrezza romantica (in modo del tutto diverso dall’
effetto che ebbe il bolscevismo sulla gioventù russa, che vide
in esso certamente anzitutto la tecnicizzazione, il
disincantamento razionale del mondo russo). La robusta
energia volitiva, la rapidità delle decisioni dei sistemi fascisti,
in contrapposizione ai dibattiti senza fine (e spesso così
infruttuosi) dei parlamenti, si impose in modo imperioso a
vastissimi circoli di formazione moderna. In ogni caso, - e non
fu questo tra gli elementi meno decisivi, - in un primo
momento non ci fu nessuno disposto a rischiare la vita per la
conservazione delle libertà parlamentari. …
La resistenza alla tirannia, ove sia richiesto il sacrificio
immediato della vita, può avvenire soltanto sotto la spinta di
una vera fede: una fede che non conosca più alcun riguardo per
il benessere privato, per la vita e l’ onore esteriore. Questo ci
ha insegnato con molta efficacia anche la storia del movimento
di resistenza contro Hitler. La misura del suo eroismo fu in
modo incontestabile determinata dalla sincerità delle
convinzioni di fede che sempre ispirarono la resistenza. Nei
37
casi in cui si trattò di semplice insoddisfazione di gente
trovatasi in qualche modo nell’ ombra è meglio non parlare di
«resistenza».
La maggiore debolezza del nostro tempo si rivela nella sua
povertà di fede, nell’ incertezza delle convinzioni, nella
relatività dei valori morali, nello scetticismo nei confronti di
tutto ciò che si presenta agli uomini come esigenza assoluta.
Nello scadere nichilistico di ideali sinceri a semplici ideologie,
nel non prendere più sul serio le decisioni etico-spirituali in
quanto tali, nelle semplici chiacchiere in luogo di una chiara
coscienza della propria responsabilità. Il fatto di possedere una
fede fanatica in se stesso, nella sua missione e nella religione
di ricambio nazionalsocialista, conferì a Hitler la massima
superiorità nei confronti di tanti intelligenti, ma scettici e
irresoluti uomini politici della repubblica di Weimar; poiché la
massa ha bisogno di credere in un uomo e in una causa. Lo
stesso fanatismo che lo innalzò, lo spinse poi all’
autodivinizzazione e alle folli avventure, che si conclusero con
la sua caduta. Ma la scettica incertezza dei suoi ideali di libertà
rappresenta ancor oggi il vero pericolo del mondo europeooccidentale, di fronte al quale si erge ora la religione di
ricambio bolscevica, che nutre una fanatica sicurezza di sé ».
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