Economia e società nell`Alto Medioevo (sec. V

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Economia e società nell`Alto Medioevo (sec. V
Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da www.problemistics.org/campagna.citta/, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof.
Sergio Bergami. VI Lezione: Economia e società nell’alto medioevo
Economia e società nell’Alto Medioevo (sec. V - X)
Migrazioni e nuova organizzazione dello spazio
I secoli che vedono la decomposizione dell'Impero romano d'occidente rappresentano un periodo di
intense migrazioni di genti che provengono in prevalenza dall'est. La causa di questi spostamenti è
da ricercarsi soprattutto nella volontà, non più contrastata da barriere militari o da vincoli di
inferiorità bellica, di migliorare il rapporto uomo/terra sia sotto il profilo quantitativo
(appropriazione di nuovi e più vasti territori per i bisogni di una agricoltura estensiva e di un
allevamento ancora in parte nomade) sia sotto quello qualitativo (terreni più fertili, in alcuni casi già
bonificati e messi a coltura).
L'organizzazione economica dello spazio terrestre che emerge in Occidente dal progressivo
deperimento del mondo tardo-romano e dal generale rimodellamento (demografico, etnico,
linguistico, ecc.) conseguente alle migrazioni, conserva impronte del passato accanto a caratteri
propri delle nuove popolazioni insediatesi all'interno dell'Impero. Sicché è possibile operare una
ripartizione del mondo occidentale in due tipologie socio-economiche alla cui base v'è una distinta
natura (economica e giuridica) attribuita al fattore terra.
1) La villa. Centro di produzione (agricola e artigianale) e di vita associata, la villa è
espressione della volontà di conservazione dei popoli della penisola italica e della Gallia
meridionale sconvolti dal disfacimento della società romana. Sotto il profilo economicoproduttivo
la
villa
risulta
scomponibile
in
due
parti:
a) la "pars dominica", vasta proprietà padronale costituita da campi coltivati, pascoli e
boschi per il cui sfruttamento viene utilizzato il lavoro dei servi;
b) la "pars massiricia", formata da piccoli appezzamenti di terreno concessi, dietro
riscossione di un canone in natura, a coloni legati alla terra (adscripti glebae).
Accanto alle ville padronali trova spazio anche la proprietà privata di liberi contadini che
dalla
coltivazione
del
loro
fondo
traggono
il
sostentamento
vitale.
2) La marca. Di origine molto remota, la marca, sorta di comunità di villaggio con proprietà
collettiva della terra, è l'organizzazione primitiva dei popoli dell'Europa nord-orientale (i
Germani).
Nel corso dei secoli, con il passaggio dall'allevamento nomade a quello stazionario e con
una sempre più ampia messa a coltura dei terreni, l'originaria proprietà collettiva, pur
rimanendo
preminente,
subisce
alcune
restrizioni.
In seguito a ciò lo spazio della comunità di marca risulta ripartito in due porzioni:
a) gli "orti", terreni situati attorno alle abitazioni e divenuti di proprietà esclusiva delle
famiglie;
b) le "terre comuni", di proprietà della marca, distinte secondo il possesso (esclusivo o
collettivo) in
- terre seminative, divise in lotti (hufe) e concessi in sorte agli abitanti della comunità per
la coltivazione e il godimento dei raccolti da parte delle singole famiglie;
- terre boschive e prative, costituenti lo spazio dominante, formate da foreste, pascoli,
campi incolti, corsi d'acqua, ecc. di uso comune.
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La struttura economico-sociale nelle campagne
Le differenze nella natura proprietaria dello spazio terrestre, con il predominio della proprietà
personale nella villa padronale e di quella collettiva nella comunità di marca, sembrano
riconducibili soprattutto alla diversa destinazione d'uso del suolo: prevalere delle coltivazioni
agricole (vite, cereali) nella penisola italica e nella Gallia rispetto al prevalere dell'allevamento
(carne, latte, formaggio) nelle terre dei Germani.
Questo dualismo agricoltura-allevamento, più marcato al sud che non al nord, è, assieme alla
primitività degli attrezzi e delle tecniche, causa non irrilevante delle basse rese agricole di un
terreno scarsamente fertilizzato dai residui organici animali. Per cui la denutrizione è generalizzata
tra le masse contadine e non si può certo affermare che alla decadenza delle città faccia da
contrappeso uno sviluppo florido delle campagne.
La ruralizzazione che coinvolge anche lo spazio urbano, con la presenza al suo interno di orti, stalle,
terreni abbandonati, acquitrini, rappresenta sì un predominio schiacciante dell'ambiente rurale su
quello urbano che deriva però unicamente da motivi di conservazione vitale senza che si configuri
come dominazione economico-politica delle campagne sulle città. È più esatto affermare che,
durante alcuni secoli, le strutture e i rapporti di dominazione-subordinazione si trasferiscono, in
prevalenza, nelle campagne svolgendosi tra proprietari terrieri (di cui fa parte anche il Vescovo
residente nella civitas) e contadini dipendenti; il tutto nell'ambito di una economia domestica
sostanzialmente autosufficiente in cui il livello primitivo degli attrezzi e delle tecniche impedisce la
produzione costante di un sovrappiù. Il dominio è perciò rivolto alla appropriazione d i beni di
consumo prodotti attraverso prestazioni lavorative a cui è soggetto il ceto rurale dipendente (servi e
coloni).
Questo schema di rapporti economico-sociali valido per la villa padronale si adatta ben presto anche
alla comunità di marca dove il possesso dei lotti seminativi si trasforma in proprietà ereditaria e
dove emergono sempre più squilibri nel dominio terriero a cui si legano livelli differenziati di
potere sugli uomini. Si assiste così ad una omogeneizzazione culturale, politica ed economica che si
compie attraverso la penetrazione della Chiesa cattolica tra le popolazioni germaniche, a cui fa
seguito l'espansionismo dei Franchi sotto i Carolingi. Si assiste quindi al diffondersi di una
organizzazione della vita economica e sociale contrassegnata spazialmente dai criteri dell'economia
curtense, diretta derivazione dalla villa padronale con alcuni caratteri (ad es. le terre di uso comune)
propri della primitiva marca germanica.
L'economia curtense
Quando si parla di economia curtense o signorile ci si riferisce, dal punto di vista geografico, ad una
vasta area del continente europeo che ha come epicentri la Gallia settentrionale e la Germania
renana, che rappresentano, nel Medioevo, i poli centrali di gravitazione economica e politica.
Nell'organizzazione curtense la terra è divisa fra:
a) la "riserva dominica" coltivata ad esclusivo beneficio del signore sia da servi domestici che non
hanno terra in concessione, sia da coloni obbligati a periodiche prestazioni lavorative gratuite (le
corvées);
b) la "terra mansionaria" ripartita fra i coloni in unità di coltivazione (il manso) di estensione
variabile secondo la qualità del suolo e la località, bastante al sostentamento di una famiglia. Tali
unità sono assegnate in possesso, dapprima vitalizio e poi ereditario, al colono e ai suoi discendenti,
in cambio di prodotti in natura, di piccoli censi in denaro proveniente da coniazioni locali e,
soprattutto, di prestazioni lavorative;
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c) la "terra comune" composta da boschi, prati, fiumi, ecc. disponibile in godimento collettivo
(libero o regolato) per i bisogni generali (caccia, pesca, legna, ecc.).
La coltivazione del suolo
Oltre a queste divisioni riguardanti i diritti di proprietà e di possesso, il suolo agricolo viene
ripartito, per motivi tecnici, in due distinte porzioni:
- la terra coltivata
- la terra a maggese, cioè lasciata a riposo.
È questa la cosiddetta "rotazione biennale" in cui, alternativamente, metà del terreno disponibile
viene seminata con cereali invernali mentre l'altra metà è lasciata a riposo.
Nella fascia centrale del continente, durante il periodo carolingio, a partire dalla seconda metà del
secolo VIII, si inizia a praticare, forse sull'esempio delle primitive popolazioni germaniche, la
"rotazione triennale" in cui il terreno viene diviso in tre parti:
- la prima è coltivata con un cereale invernale (frumento o segale);
- la seconda con un cereale primaverile (orzo o avena) o con leguminose (piselli, ceci, fave, ecc.);
- la terza è lasciata a maggese.
I vantaggi della rotazione triennale concernono:
- l'incremento della produzione perché, a parità di resa, viene messa a coltura una porzione
supplementare di terra;
- la diversificazione della produzione e dei tempi del raccolto con conseguente minor pericolo di
carestie derivanti da avverse condizioni stagionali;
- il miglioramento del rendimento produttivo dei contadini in quanto il lavoro (aratura, semina,
raccolto) è più uniformemente distribuito durante il corso dell'anno;
- l'introduzione di nuove produzioni (ad es. avena) importanti per l'organizzazione agricola generale
(foraggio per l'allevamento di cavalli usati come animali da tiro più veloci dei buoi) o per
l'arricchimento del suolo connesso con la loro coltivazione (ad es. leguminose);
il miglioramento dell'alimentazione umana derivante da una dieta che associa carboidrati (prodotti
dalla semina autunnale) con proteine vegetali (prodotte dalla semina primaverile).
Le innovazioni tecniche
L'introduzione dell'aratro pesante (a ruote e a versoio) sui terreni alluvionali dell'Europa centrale,
permettendo una più profonda effettuazione del solco, porta ulteriori vantaggi in termini di:
- risparmio di lavoro in quanto è resa superflua l'aratura incrociata dei campi (con l’aratro leggero
tra un solco e l'altro, rimaneva un leggero spessore di terra non smossa, perciò il contadino doveva
fare un'aratura incrociata, cioè tracciare dei solchi in un senso e poi dei solchi in senso
perpendicolare);
- miglioramento della resa del terreno in quanto vengono portati in superficie gli strati più ricchi di
sostanze minerali.
Vengono altresì introdotti i ferri per gli zoccoli dei cavalli, vengono aggiogati i cavalli all’aratro
grazie a nuove bardature. A ciò si deve aggiungere che la maggiore produzione di foraggio animale
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provoca un aumento dei capi di bestiame, di cui viene regolato il pascolo libero convogliandolo sul
terreno a maggese per un miglior sfruttamento dei residui organici.
Di modo che, questa più compiuta compenetrazione agricoltura-allevamento, derivante da un
aumento di produzione (agricola e animale) genera ulteriori incrementi produttivi.
Inoltre, la diffusione del mulino ad acqua sfruttando come forza motrice l'energia idraulica, libera
l'uomo e l'animale dal faticoso compito di girare la mola per la macina e li rende disponibili per altri
impieghi produttivi.
Tutte queste innovazioni tecniche concorrono perciò a determinare:
- crescita della produzione (agricola e animale);
- miglioramento quantitativo e qualitativo dell'alimentazione umana con conseguente incremento
demografico, dopo secoli di stagnazione.
Nel loro complesso, queste nuove pratiche agricole costituiscono i requisiti che permettono la
formazione di un sovrappiù costante di prodotti e di lavoro. Tale sovrappiù, se per una certa parte
va a vantaggio del ceto dipendente come miglioramento delle sue condizioni di esistenza, per l'altra,
e in misura notevole, viene incamerato dal ceto dominante che sfrutta:
- l'aumento di produttività del suolo e del lavoro da cui consegue un più elevato ricavo diretto
(maggiore produzione sulla riserva dominica) e indiretto (maggiori contribuzioni in natura dalle
terre mansionarie);
- l'aumento delle prestazioni lavorative derivante sia dall'ampliamento del numero dei coloni
(riduzione e frazionamento della superficie dei mansi a seguito dell'innalzamento del livello
produttivo e di quello demografico) sia dal migliore impiego del tempo lavorativo reso disponibile
dalle innovazioni tecniche.
La struttura sociale nel periodo Carolingio
La struttura sociale di tipo piramidale del periodo Carolingio è, come per il passato, in diretto
rapporto con la proprietà della terra che permette e sancisce il dominio sugli uomini.
La società Carolingia è composta al vertice da:
a) l'Imperatore. L'originale tentativo unificatore dei Carolingi consiste nell'utilizzare la fitta trama
delle strutture e dei rapporti di dipendenza formatasi nel corso dei secoli, per assolvere in maniera
decentrata, a vantaggio del sovrano
- compiti militari
- funzioni giuridico-amministrative.
In cambio l'imperatore concede terre (strappate ai signori vinti) e privilegi, sia per indennizzare i
costi sopportati (ad es. quelli connessi all'armamento, al mantenimento dei cavalli, ai lavoratori e ai
giorni lavorativi persi durante i combattimenti, ecc.) sia per rinsaldare l'obbedienza e la
sottomissione.
b) la Chiesa. Arricchitasi con le frequenti donazioni dl terre da parte dei signori, la Chiesa riveste un
importantissimo ruolo temporale (prestigio, proprietà, potere). Presente nelle campagne (con gli
abati e le loro vaste proprietà terriere) e nelle civitates (con i vescovi), avvalendosi di religiosi dotati
di una cultura superiore alla media, tra di loro collegati per la reciproca assistenza, la Chiesa, in
rapida ascesa a partire dal periodo tardo-romano, si afferma e penetra durante l'epoca medioevale in
tutti i pori della società. Prova visibile di questa sua multiforme presenza è la figura del vescovo
che, nelle superstiti civitates di origine romana (penisola italica e Gallia meridionale) assurge al
rango di protettore militare, civile e religioso della vita fisica e spirituale della comunità.
c) i Signori. Vassalli dell'imperatore da cui ricevono il "beneficio" e a cui prestano obbedienza, i
signori laici formano una schiera di proprietari di tenute la cui ampiezza e fertilità determina, come
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già detto, il loro grado di dominio sugli uomini e sulle cose. Essi risiedono in campagna, in dimore
le cui fortificazioni sono destinate sempre più a moltiplicarsi per esigenze di difesa oltre che di
controllo sicuro sui ceti dipendenti. Le loro occupazioni sono di ordine prevalentemente militare, a
cui si associano lo svago della caccia e dei tornei cavallereschi, e gli obblighi rimunerativi
dell'amministrazione civile (giustizia, fiscalità, ecc.).
La ripartizione del sovrappiù
Questa struttura dominante (Imperatore, Chiesa, Signori) sottomette a sé, attraverso il quasimonopolio della terra, la massa produttrice formata da contadini-artigiani vincolati da una serie di
legami di dipendenza concernenti:
- l'individuo: prestazioni lavorative (corvées) e militari, censi in natura e in denaro, imposte
ordinarie (testatico) e straordinarie (taglie);
- la famiglia: tassa sui matrimonio, divieto di contrarre matrimonio al di fuori della signoria
(forismariagio) senza l'approvazione del padrone che non vuole perdere i futuri lavoratori
rappresentati dai figli del colono;
- i beni: trasmissione dei beni mobili al padrone dopo la morte del colono (manomorta);
- la vita sociale: esazioni (bannalità) per l'uso di servizi di proprietà del signore (mulino, forno,
frantoio, ecc.), tasse sulle attività di scambio, pedaggi per il transito;
- la vita civile: imposizioni giudiziarie e ammende varie.
Attraverso questi vincoli si determina un passaggio del sovrappiù dal ceto produttore-dipendente al
ceto consumatore-dominante.
I ceti sociali
Prima di analizzare le forme di consumo del sovrappiù, occorre completare la raffigurazione dei ceti
che compongono la struttura sociale. Infatti abbiamo ancora:
a) i contadini liberi, assai ridotti di numero ma non scomparsi, dotati di piccoli appezzamenti di
terreno che lavorano da soli o con l'aiuto dei propri familiari;
b) i mendicanti, per lo più popolazione eccedentaria rispetto alle capacità nutritive di un manso già
saturo di persone e perciò costretti dalla situazione o a morire di fame o a vivere degli avanzi del
ceto signorile (soprattutto di quello ecclesiastico);
c) i mercanti, categoria del tutto nuova di persone formate, almeno inizialmente, da avventurieri
dediti al furto ed al saccheggio tra cui si annoverano signori spogliati delle loro terre e contadini in
soprannumero. Riuniti in associazioni (ad es. le gilde al nord) viaggianti in carovane per difendersi
dai briganti, essi hanno come punto di riferimento gli agglomerati dell'alto medioevo (le civitates, le
dimore signorili) e inoltre contribuiscono, in special modo al centro e al nord dell'Europa, a dar vita
ad ulteriori punti di riferimento (i vici, i portus) per uomini e merci (soste, contrattazioni, depositi),
località di vita effimera o duratura secondo il fluttuare delle vie commerciali.
Tutti questi gruppi sociali, ripartibili grosso modo in:
- ceti dominanti (signori laici ed ecclesiastici)
- ceti dipendenti (contadini, artigiani)
- ceti intermedi (commercianti, mendicanti)
sono tra di loro interconnessi, oltre che per le differenti funzioni esercitate (consumo, produzione,
commercio) anche per via di una serie di legami attraverso i quali si attua una trasposizione del
sovrappiù dal basso verso l'alto. In questa trasposizione, i ceti intermedi intervengono per la
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modifica nella composizione del sovrappiù (i mercanti) o per il consumo assistito di prodotti
residuali del sovrappiù (i mendicanti).
La crisi delle città nell' Alto medioevo
La fine dell'impero romano determinò la crisi della rete città che ne costituiva la struttura portante.
Tra il V e l'VIII secolo molti centri urbani si spopolarono o addirittura scomparvero, abbandonate
dai proprietari terrieri che in precedenza ne erano stati il ceto dirigente, e private della funzione
centrale in una società sempre più ruralizzata.
Questo fenomeno di disgregazione urbana non si manifestò ovunque con la stessa intensità.
Nelle aree più urbanizzate (Gallia, Italia, Africa mediterranea) fu assai più evidente. Basti ricordare
che Roma passò dall'essere una metropoli di oltre un milione di abitanti durante l'apogeo della sua
potenza imperiale, a un centro che contava da 25000 a 40000 abitanti in epoca altomedievale;
rimaneva il più grande centro abitato dell'Occidente ma aveva perso oltre il 95% della sua
popolazione.
Nonostante il decadimento non si perse la nozione di città come centro di esercizio di poteri
pubblici. Rimasero in funzione le competenze amministrative e politiche dei vecchi municipi
romani, così come non scomparvero in campo religioso le istituzioni vescovili. Le città mantennero
anche il loro ruolo di raccordo territoriale, ponendo le premesse per quelli che sarebbero diventati i
contadi urbani in epoca medievale.
Per quel che riguarda l'aspetto economico, eccezion fatta per alcuni centri commerciali del Mare del
Nord e del Mediterraneo, il rilievo delle città scemò notevolmente. Anche in questo caso l'intensità
della crisi variò da regione a regione: nella Gallia centro-settentrionale e nell'Italia meridionale le
elites terriere spostarono la loro residenza in campagna, mentre rimasero in città nella Gallia
meridionale e in Italia centro-settentrionale contribuendo in questo caso a gettare le premesse
per quella che sarà dopo l'anno Mille una rinascita urbana
L'impiego del sovrappiù
Il ceto dominante utilizza il sovrappiù (di lavoro e di prodotti) in varie maniere rispondenti alle
esigenze e alla concezione di vita della società alto medioevale. In linea generale le destinazioni
concernono:
a) la lotta. La società alto medioevale è caratterizzata da una serie considerevole di lotte (ad es.
quelle promosse dai Carolingi per la ricostituzione dell'Impero) e dall'alta considerazione legata alla
pratica delle armi. Le spese militari rappresentano obblighi nei confronti dell'Imperatore e garanzie
per la stabilità interno-esterna dei domini del signore.
b) l'assistenza sociale. Con la protezione e il mantenimento caritativo dei mendicanti e degli
sbandati si ottiene, per altre vie, il risultato di favorire la stabilità sociale e di attenuare lo scontento.
In sostanza, attraverso tale sbocco assistenziale, parte del sovrappiù estorto con le decime e con le
prestazioni servili ritorna alla base della scala gerarchica, testimonianza di aspetti paternalisticoumanitari molto spesso connessi all'esercizio autoritario del potere.
c) le opere di costruzione. Le costruzioni effettuate nell'alto medioevo attraverso l'utilizzo delle
corvées sono volte al soddisfacimento di esigenze di
- protezione militare (mura intorno alle civitates, castelli edificati sopra alture, dimore fortificate,
ecc.);
- vita civile (strade, ponti, ecc.);
- vita economica (mulini; forni, frantoi, ecc.);
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- vita religiosa (chiese, abbazie, ecc. fatte erigere talvolta dai signori per riscattare in punto di morte
sopraffazioni commesse durante tutta una vita).
d) l'acquisto di beni di lusso. Il sovrappiù di beni agricoli incamerato dal signore, una volta
scremata la parte che gli è necessaria per il consumo, unitamente alla quota di numerario assorbita
attraverso i censi in denaro, permette al signore di accedere, attraverso lo scambio, ai prodotti di
lusso (spezie, broccati, gioielli, ecc.) provenienti dall'oriente.
La ripresa dei commerci
Il commercio, ridottosi notevolmente durante la travagliata fine del mondo romano, riprende a
svilupparsi durante il periodo Carolingio. Per cui, accanto ad una economia domestica in linea di
massima autosufficiente, fa riscontro un commercio di prodotti di lusso per via mare sulle grandi
distanze. Il verificarsi di questo fenomeno (commercio di beni di lusso) e il modo in cui si attua (per
via mare) dipendono da:
- i soggetti acquirenti. L'esistenza di un sovrappiù scambiabile nelle mani di un ceto signorile
tendente per lo più ad un ampliamento diversificato del consumo, determina la natura dei prodotti
oggetto di scambio e si concilia con gli interessi dei mercanti in quanto i beni di lusso risultano di
agevole trasporto e di alta resa per unità.
- la tecnologia dei trasporti. La mancanza di una efficiente ed estesa rete viaria di terra e il basso
livello tecnico dei trasporti per via carro, rendono in generale più adatti (maggiore carico, maggiore
velocità) e quindi più utilizzati i mezzi per via mare.
Anche nella navigazione furono introdotte importanti innovazioni: bussola, scandaglio (anche
se utilizzato anche nell’antichità), portolani (carte nautiche) nuovi tipi di navi come la cocca e
la galera. Ci furono anche migliorie nell’armamento dei velieri con l’introduzione della vela
latina, della vela quadrata e del timone a poppa.
Queste migliorie comportavano una significativa riduzione dei tempi di navigazione e permettevano
altresì una navigazione più sicura allungando il periodo in cui era possibile navigare cioè non solo
col bel tempo.
Questo commercio marittimo ha i suoi punti di massima concentrazione nelle località portuali
collegate con l'interno da una fitta rete fluviale.
Abbiamo allora:
- al Sud, Venezia che, basate le sue fortune iniziali sulla vendita di sale, si avvale dei suoi legami
politici con Costantinopoli per diventare fulcro di un traffico sempre più intenso che dall'Oriente
porta merci rare nella Pianura Padana (Pavia) e oltre, attraverso il tracciato fluviale del Po e dei suoi
affluenti;
- al Nord, i Frisoni che esercitano il loro commercio con i popoli semi-civilizzati dell'est e,
attraverso le vie fluviali della Senna, della Mosa e del Reno, portano i loro prodotti (schiavi, sale,
ceramica, ecc.) alla fiera di Saint-Denis di Parigi, a Colonia, a Magonza, a Worms, ricevendo come
merce di scambio vino e cereali.
Questo traffico, per il modo in cui è condotto, in alcuni casi a metà strada fra il saccheggio e la
truffa, contiene in sé effetti di disequilibrio economico macro-territoriale che denotano contrasti
coinvolgenti il rapporto città-campagna. Costantinopoli, ad esempio, sopravvive alla decadenza di
Roma in quanto riesce a monopolizzare lo smistamento verso l'occidente di merci di lusso.
Infatti tali merci, prodotte nel Malabar (India), nelle Molucche, nelle isole della Sonda e in luoghi
ancor più remoti, vengono prelevate, con scambi ineguali, esclusivamente da Costantinopoli (si fa
divieto ai mercanti occidentali di rifornirsi direttamente sui luoghi di produzione) e convogliate sul
mercato per essere vendute con la mediazione del fisco imperiale che ricava da ciò introiti
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considerevoli (tasse sul commercio interno e sulle esportazioni). Questo assoggettamento del
produttore al mediatore (Costantinopoli) che altro non è se non sfruttamento delle campagne da
parte della città, si ripropone in Occidente in quanto i mercanti, nella vendita dei prodotti, scremano
ricchezze enormi provenienti dal ceto signorile ma estorte, in definitiva, al ceto dipendente.
Il mercante dunque si conquista una posizione di ricchezza attraverso il depauperamento indiretto
del ceto produttore (contadini e artigiani).
Verso la rinascita urbana
Il quadro complessivo fin qui delineato permette di formulare, anche per il livello micro-territoriale,
alcune considerazioni attinenti al rapporto campagna-città nell'alto medioevo durante il periodo
Carolingio.
Le maggiori rese agricole, conseguenti a innovazioni nelle tecniche produttive, permettono la
formazione, ancora limitata, di un sovrappiù pressoché costante nelle campagne.
L'appropriazione di tale sovrappiù è opera di una serie di centri, abitati da un ceto dominante già
affermato (signori ed ecclesiastici) o in ascesa (mercanti). Questi centri rappresentano agglomerati,
più o meno densamente abitati, che incarnano le funzioni prioritarie svolte nell'epoca medioevale da
questi ceti:
- la funzione militare (il castello)
- la funzione religiosa (la civitas)
- la funzione commerciale (il vicus).
La concentrazione sul territorio di queste funzioni prelude, con l'assommarsi di compiti produttivi
(le corporazioni artigiane), alla formazione di quella che viene ad essere la città medioevale.
Già nell'alto medioevo, le civitates e le abbazie, i castelli e le dimore fortificate, i nuovi centri di
commercio e di traffico, in sostanza tutti i luoghi vecchi e nuovi di vita associata rappresentano città
in potenziale formazione, che mettono in atto rapporti di spoliazione nei confronti delle campagne
che rappresentano la base su cui si fonda la rinascita urbana del nuovo millennio.
Alcuni esempi
Dalla città monocentrica del periodo romano si passa alla città policentrica: le sedi e gli spazi
deputati al potere civile, al religioso e all'economico divengono fattori poleogenetici nella
formazione della città medievale. Per l'Occidente è esemplare il caso di Roma, ove a cominciare dal
pontificato di Adriano I (772-795), durante il quale la città fu di fatto un enorme cantiere di
restauro, si assiste ad una sistematica ripresa dell'attività edilizia volta non solamente ai complessi
di carattere religioso, bensì anche al ripristino delle strutture pubbliche, comprese quelle difensive.
Tale piano trova la sua più qualificante attuazione nella fondazione della civitas Leoniana ad opera
di Leone IV (847-855): di fatto ci si limitò a cingere con mura una realtà insediativa già esistente,
sorta in relazione e in funzione della tomba venerata dell'apostolo Pietro. Quello dell'urbanizzazione
dei borghi sorti ai limiti delle città classiche, in connessione nella maggioranza dei casi a santuari
martiriali di larga frequentazione nei pellegrinaggi altomedievali, è fenomeno ancora da valutare
nella sua ricaduta sul piano urbanistico. I casi di Ostia con la costituzione della Gregoriopoli, di
Lucca con il borgo di S. Frediano, di Nola con il complesso di S. Felice si pongono come altrettanti
esempi delle diverse valenze che tali borghi possono assumere in rapporto alle città di pertinenza: se
infatti nel primo caso è lecito riconoscere al borgo il carattere di cittadella fortificata, ultimo resto
della città romana, nel secondo si assiste ad un ampliamento dello spazio urbano come era avvenuto
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per Roma; per Nola infine il nucleo abitativo sorto intorno al polo cultuale ha dato vita nel tempo ad
un insediamento autonomo, il centro di Cimitile (NA).
In Italia il fenomeno dell'abbandono di taluni centri portò alla nascita di nuove città: esempio
emblematico rimane la laguna veneta con la fondazione di Torcello, Murano, Rialto, Iesolo, Caorle,
Eraclea, Malamocco e Chioggia; al 604 sembra potersi attribuire l'erezione del castrum Ferrariae
(Ferrara), noto attraverso i documenti e confermato dai dati archeologici, con un ruolo di scalo
fluviale in un punto di passaggio obbligato all'interno della Pianura Padana. In altri casi la scelta dei
nuovi siti porta a privilegiare i luoghi di altura al riparo dai danni delle catastrofi naturali, specie
inondazioni, e maggiormente difendibili da attacchi militari: forse già al IX secolo si può attribuire
la nascita della nuova Otricoli sul colle prospiciente la pianura attraversata dal Tevere ove sorgeva
l'Ocriculum romana, ed è dell'854 la fondazione a solo di Leopoli, la civitas creata da papa Leone
IV per dare rifugio agli abitanti di Civitavecchia oppressi dalle incursioni dei Saraceni. Nell'856 è
fondata la nuova Capua, con un impianto di cui è stata riconosciuta l'originalità anche se furono
condizionanti i resti della romana Casilinum
I rapporti di potere verso la fine del primo millennio
Il tentativo carolingio di unificare e regolamentare le popolazioni del continente dopo i
sommovimenti migratori e le lotte dei secoli precedenti, sfocia in un nuovo periodo di migrazioni e
di lotte e in un nuovo e più organico particolarismo.
Alla base del crollo della dinastia Carolingia e del prevalere del potere feudale sta il venir meno del
"beneficio" come strumento per il mantenimento di una rete di vassalli obbedienti al sovrano.
Infatti, il passaggio delle terre e dei privilegi signorili dalla concessione ad personam alla
ereditarietà, privilegio che i vassalli ottengono durante le lotte intestine dei Carolingi (877,
Capitolare di Querzy), elimina il termine di scambio su cui si reggono gli obblighi di servizio verso
il sovrano. Con ciò si rende di fatto superfluo il vertice della piramide (l'Imperatore) e si fa franare
il fragile edificio imperiale. Un secolo e mezzo più tardi, come ulteriore spinta al frazionamento,
anche i vassalli minori (i valvassori) reclameranno e otterranno, nel regno italico, la ereditarietà dei
loro feudi (1032, Constitutio de feudiis).
La società feudale
La società feudale nasce dunque dalle lotte interne tra i signori (Imperatore-Vassalli, VassalliValvassori) a cui si aggiungono gli sconvolgimenti causati da popolazioni migranti dalle loro sedi
originarie: da sud i Saraceni, da est gli Ungari, da nord i Normanni.
I Saraceni utilizzano le loro capacità marinare per compiere incursioni nell'Italia meridionale dove
occupano la Sicilia, nelle coste Provenzali, e nella penisola Iberica dove si fissano stabilmente.
Gli Ungari, popolazioni nomadi in prevalenza dedite alla pastorizia, si spingono, ai primi del 900,
nella Sassonia e poi nella Borgogna, compiendo razzie ed esigendo tributi.
I Normanni si servono delle vie di mare e dei tracciati fluviali per penetrare verso l'interno e
effettuare saccheggi. Le loro incursioni spaziano in un raggio molto ampio dall'Atlantico al
Mediterraneo, con stanziamenti nella Britannia e nella Francia settentrionale.
Le lotte, le invasioni e i saccheggi, si riflettono negativamente soprattutto sui contadini, il ceto più
indifeso e sulla produzione agricola che è bottino prioritario in quanto permette la effettuazione e la
continuazione dell'attività predatoria nel suo complesso.
Si assiste perciò al contrarsi della popolazione rurale vittima delle incursioni, al ridursi della
superficie coltivata e al conseguente calo della produzione agricola. I contadini liberi affidano sé
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Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da www.problemistics.org/campagna.citta/, da Treccani.it e da altre fonti - sono a cura del Prof.
Sergio Bergami. VI Lezione: Economia e società nell’alto medioevo
stessi e le loro terre al signore per ottenere protezione in cambio di sottomissione e di lavoro. Così
facendo rendono onnicomprensivo il dominio signorile sulla terra ("nulle terre sans seigneur") e
sugli uomini. La società feudale, massima espressione di particolarismo signorile e di soggezione
servile attraverso una compiuta cristallizzazione gerarchica, si realizza così pienamente verso la fine
del primo millennio dopo che secoli di gestazione ne hanno modellato forme e modi di esistenza.
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