La firma di Woytila, nella chiesa dell`autostrada
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La firma di Woytila, nella chiesa dell`autostrada
20 Domenica 6 Aprile 2014 Corriere Fiorentino FI Culture A San Miniato per i Fratelli Musulmani «Il Principe» secondo Sofri Da San Miniato all’Egitto, un appello per la vita e contro la pena di morte. Severino Saccardi e padre Bernardo, priore della basilica di San Miniato al Monte, invitano tutti cittadini impegnati sul tema dei diritti umani oggi alle 12 (dopo la messa officiata da padre Bernardo) in Basilica per rinnovare e sostenere l’appello per la salvezza dei 529 Fratelli Musulmani condannati a morte in Egitto «sulla base di un processo con poche garanzie e tutele per gli imputati» come lo definisce Saccardi, direttore di «Testimonianze». «Consideriamo gli appartenenti a questo movimento dei nemici politici e dei fondamentalisti, ma li vogliamo battere politicamente, non ucciderli». Adriano Sofri tra Machiavelli e la nuova sinistra. Domani alle 17.30 lo Spazio Alfieri sarà teatro di un curioso incontro tra Adriano Sofri e quattro giovani militanti della sinistra fiorentina, Francesca Pezza, Mattia Nesti, Cosimo Guccione e David Regazzoni sulla figura di Machiavelli e la sua rilettura ad opera dello stesso Sofri nel libro «Machiavelli, Tupac e la Principessa» edito da Sellerio. Non una normale presentazione del libro ma un serrato confronto uno contro quattro di natura inter-generazionale. L’incontro rientra nella rassegna «In fondo a sinistra» ideata e condotta da Sergio Staino con Anna Benedetti. Introduce e modera Andrea Giorgi dei Giovani Democratici. Ingresso libero. Personaggi Mercoledì con Hany Abu-Assad s’inaugura «Middle East Now» L’autore: «Ho voluto mostrare qual è la situazione dei Territori Occupati» Info Il Medio Oriente torna protagonista a Firenze dal 9 al 14 aprile con la 5˚ edizione di Middle East Now, con 52 film (di cui 23 cortometraggi, e un totale di 45 anteprime italiane e anche qualche europea). Tra i pezzi forti del programma cinema il festival presenta la prima retrospettiva in assoluto su Hany Abu-Assad che sarà a Firenze con l’anteprima italiana del suo ultimo film Omar - il thriller «Gran Premio della Giuria» al Festival di Cannes e candidato agli Oscar 2014 come miglior Film Straniero - e con la proiezione di alcuni dei suoi lavori più famosi («The 14th Chicks», «Rana's Wedding», «Paradise Now», e i documentari «Nazareth 2000» e Ford Transit). Hany Abu-Assad sarà a Firenze per tutta la durata del festival, con una conversazione approfondita sui suoi lavori. Programma su http://www.middleastnow.it/now/ Da vedere Sopra e accanto alcuni frame di «Omar», nel tondo il regista Hany Abu-Assad L’amore senza Oscar Omar, Nadia e un muro in mezzo, che ostacola i sentimenti Parla il regista palestinese battuto da «La Grande Bellezza» di MARCO LUCERI Hany Abu-Assad ha un primato invidiabile nella recente storia di Hollywood: è l’unico regista palestinese candidato al Premio Oscar. La prima volta fu, nel 2005, con Paradise Now, il film che lo ha reso famoso in tutto il mondo. E ad acciuffare la statuetta Abu-Assad ci è andato vicino anche quest’anno (a vincere è stato il nostro Paolo Sorrentino), con Omar, che a maggio si era aggiudicato il Premio Speciale della Giuria della sezione «Un Certain Regard» al Festival di Cannes. Sarà proprio questo suo ultimo film — in antepri- ma nazionale — ad aprire (mercoledì 9 aprile ore 21 all’Odeon) la quinta edizione del «Middle East Now», il festival sul cinema e le arti visive del Medio Oriente, che dedica al regista palestinese una retrospettiva. Abu-Assad prima di diventare un cineasta di livello internazionale è stato un ingegnere aeronautico. All’inizio degli anni Novanta decide di dedicarsi alla sua vera passione, il cinema. Così si trasferisce in Olanda e inizia a realizzare i primi corti, fino a quando, in un andirivieni continuo con la sua terra d’origine, debutta nel 2002 con Rana’s Wedding (girato durante i primi mesi della seconda In- tifada), storia di una giovane donna determinata a trovare in un solo giorno il vero amore, tra Gerusalemme e Ramallah, per sfuggire a un matrimonio combinato. Nel 2005 arriva il successo di Paradise Now, in cui si raccontano le ultime 48 ore di due kamikaze, ora quello di Omar, da una parte drammatica storia d’amore tra due giovani palestinesi che vivono sotto l’occupazione israeliana, dall’altra thriller politico. Un film interamente finanziato con capitali palestinesi, e come ci dice soddisfatto il regista, «essere riusciti a convincere imprenditori palestinesi a investire un milione e mezzo di dollari per produrre un film è stato incredibile! Qualche anno fa ero a Ramallah e stavo prendendo un té con un amico. A un certo punto mi raccontò di essere stato avvicinato da un agente del governo che sosteneva di conoscere tutto di lui. L’agente lo aveva minacciato di utilizzare le informazioni in suo possesso per costringerlo a collaborare con i servizi segreti. Volevo assolutamente approfondire questa storia e riflettere sulle possibili conseguenze che questo coinvolgimento poteva avere sulla vita di una persona, sulle sue relazioni d’amore e d’amicizia. Il soggetto di Omar è nato così. Il film I protagonisti «I personaggi principali sono interpretati da attori esordienti Lui buca lo schermo Lei è riuscita a trasmettere una misteriosa tristezza» — prosegue Abu-Assad — mostra qual è oggi la situazione dei Territori Occupati. Il muro di separazione è il simbolo più evidente delle difficoltà che si incontrano quando due persone si amano. Tuttavia il tema principale del film è la fiducia, la sua importanza nelle relazioni umane. La fiducia è la pietra angolare dell’amore, dell’amicizia e della lealtà, è spesso intangibile e può essere a volte fragile e a volte forte». Lo sforzo di restituire una rappresentazione realistica passa nel film anche dalla scelta degli attori: «I quattro personaggi principali sono interpretati da giovani attori che recitano nel loro primo film — spiega il regista — Durante la selezione io e la direttrice del casting abbiamo incontrato numerosi attori palestinesi e ciò che chiedevamo a ognuno di loro era di esprimere delle emozioni profonde, che potessero dare una sostanza realistica ai personaggi. Adam Bakri, che interpreta Omar, è stata una vera scoperta: è capace di bucare lo schermo. Come anche Leem Loubany, la ragazza che recita nel ruolo di Nadia, è riuscita a veicolare una certa misteriosa tristezza nel suo sguardo. Abbiamo girato una settimana a Nablous, un mese e mezzo a Nazareth e una settimana a Bisan. Abbiamo ottenuto il permesso di girare dappertutto, anche in prossimità del muro di separazione, almeno fino a una certa altezza. Però le scene in cui si vede Omar sulla sommità del muro le abbiamo girate a Nazareth, ricostruendolo. Le riprese sono state più facili in Cisgiordania perché che la polizia palestinese lì era più presente». Quando infine chiediamo ad Abu-Assad se ha visto La grande bellezza, il film che gli ha soffiato l’Oscar, il regista palestinese non rinuncia a una punta di veleno: «Mi è piaciuta soprattutto la musica, quando verrò a Firenze comprerò il cd con la colonna sonora». La sconfitta brucia ancora. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’anniversario Nel capolavoro di Michelucci, la messa per ricordare la prima liturgia. Il grazie di Betori La firma di Woytila, nella chiesa dell’autostrada «Oggi è una data particolarmente interessante, perché ricorda la giornata in cui questa chiesa aprì le porte alla città. Io c’ero». Comincia così il ricordo di don Elio Pierattoni di quel 5 aprile del 1964 quando fu inaugurata con la benedizione dell’arcivescovo di Firenze monsignor Ermenegildo Florit, la chiesa di San Giovanni Battista, meglio conosciuta come «chiesa dell’Autostrada», davanti a una platea di amici che sono venuti a salutarlo e a festeggiare con lui. C’è don Giovanni Momigli, direttore dell’ufficio pastorale sociale e lavoro della diocesi di Firenze e parroco di San Donnino, il dottor Bocci, medico e grande appassionato d’arte, persone che abitualmente frequentano la chiesa, tutti insieme in questo luogo che Michelucci ha voluto di passaggio e di incontro. Sabato 5 aprile 2014, Don Elio rac- conta di cinquant’anni vissuti in quegli spazi — «che bisogna sedersi, guardare e lasciare che ci entrino dentro» — delle pietre scolpite a una a una dagli scalpellini, alcune delle quali ne portano la firma; dei primi anni, quando i turisti arrivavano a frotte, di un periodo di abbandono e della riscoperta degli ultimi tempi, anche da parte della gente del luogo, tanto da divenire quasi una chiesa parrocchiale. Legge alcuni scritti lasciati dai turisti in visita, tra cui anche uno del Il cardinale «Padre Pierattoni è stato fedele custode in un luogo che è frontiera dell’arte e incontro di umanità». 1965 firmato Karol Woijtyla, allora arcivescovo di Cracovia e si commuove davanti alle parole di una lettera del cardinale Giuseppe Betori che lo ringrazia per essere stato sempre «fedele custode e dedito al servizio liturgico e pastorale» in un luogo che è «frontiera dell’arte e incontro di umanità». Il sindaco di Campi Bisenzio, Emiliano Fossi, spiega come la chiesa eserciti un grande fascino per i campigiani, con il suo valore storico, architettonico, culturale e artistico, «anche se a noi campigiani ci dà un po’ noia che se ne parli sempre come se appartenesse al territorio di Firenze». Il presidente della Fondazione Michelucci, Giancarlo Paba, e il direttore Corrado Marcetti raccontano di come il grande architetto pensò alla chiesa come luogo d’incontro, a cominciare dal cantiere, con i suoi sessanta operai A destra l’interno della Chiesa di Michelucci sull’autostrada durante la messa. Sopra, una vetrata (Foto Folgoso/Sestini) provenienti da ogni parte del paese, dal Friuli alla Sicilia, «un insieme di dialetti e saperi artigiani», dice Marcetti, che aggiunge: «Il cantiere era la grande metafora della società che Michelucci immaginava, dove ogni persona poteva sentirsi importante, artefice e protagonista. Credo che sia stato profondamente felice di questa chiesa». Forse oggi non sarebbe così felice di vedere che i danni del tempo si fanno sentire, così come don Elio, che dice: «Prima la chiesa era il fiore all’occhiello di chi l’aveva realizzata, ora non ci sono soldi. Per conto mio non posso sostituire neanche una lampadina o un albero. Il futuro è nelle mani di Dio». Prima della visita guidata, una preghiera «perché — dice Don Elio — io fo il prete e ora si recita il Padre Nostro». Francesca Tofanari © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 3586222