Anteprima - Sandro Mascia
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Anteprima - Sandro Mascia
L’Alfa e l’Omega Prima edizione: gennaio 2008 Editing Francesca Casula Progetto grafico e copertina Giorgio Noli (immagini di Edoardo Marzi, Cagliari) ISBN 978-88-87758-27-6 © 2008 Scuola Sarda Editrice Via delle Coccinelle, 3 09134 Cagliari www.scuolasardaeditrice.com [email protected] Sandro Mascia l’alfa e l’omega romanzo Carta d’imbarco INDICE Alex Magic Il maestro Il maresciallo Marcello Sotto la città Cagalloni Rara umanità Laura Il futuro La scarpa che respira Giorgio Katia Don Dino La grotta della vipera La retata Pamela Il professore Assassini di Satana A O Suor Maria 9 19 22 30 32 41 44 50 53 58 63 67 79 87 94 96 101 107 110 L’arciconfraternita dell’Orazione e della Morte La signora venuta dal mare Giada Quis ut Deus Il tempio Il priore Il traditore Prima della battaglia La battaglia Vidi una bestia Qualcosa è cambiato Laura Ma 115 126 130 143 161 175 183 193 201 212 219 222 236 Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era, che viene, l’Onnipotente. (dal libro dell’Apocalisse) Alex Magic Lunedì Oggi fa molto freddo, a Cagliari. È una sensazione molto strana, per noi cagliaritani: non ci siamo abituati. Qui, nel quartiere Marina, di fronte al porto, arriva dritto e teso il vento gelido del mare, con un soffio freddo e umido che ti rammollisce le ossa. Il mio nome è Alex Magic. Un nome strano, per un italiano. Sono il figlio di una coppia particolare, padre americano e madre nuorese; io, però, mi considero cagliaritano. Sono nato in questo quartiere, ci vivo e ci lavoro. Abito in via Sant’Eulalia e lavoro nella strada accanto, via Barcellona, che gli Spagnoli chiamavano la Calle Mayor, la via principale. Un tempo qui passavano le carrozze dei re, adesso solo macchine e scooter. Ho un bar al centro della Marina, l’aveva rilevato mio padre alla fine degli anni Quaranta, è proprio dirimpetto al vecchio porto di Cagliari. È un posto privilegiato, quello del barista: sei sopra una pedana e dall’altra parte del bancone vedi scorrere le vite degli altri, il tempo passa e vedi i bambini crescere, diventare adulti, le ragazze invecchiare. Ognuno ti parla, si confida con te e vuole delle risposte che tu non sai dare, o forse vuole semplicemente illudersi, per un po’, di essere ascoltato. L’atmosfera di questo quartiere a volte è magica. Quando esco dal bar vedo ogni giorno gente diversa; mi sembra di sognare, o di essere sempre in vacanza, in paesi orientali o nell’immensa Africa. Oltre agli aromi degli arrosti di pesce e carne che provengono dalle case e dalle vecchie trattorie, si sentono i profumi di incenso e di spezie delle botteghe pakistane o indiane che si fondono con l’odore dei panni stesi e dell’umidità dei muri di tufo impregnati d’acqua. Gli stranieri in questo quartiere sono numerosi rispetto alla popolazione locale, numerosi e laboriosi. Quando giro per le strade, ad ogni metro che percorro sento un idioma diverso. Una Babele in un piccolo quartiere. Non ci sono problemi di integrazione, sinora. Un quartiere felice e solare, ma a volte colo- rato. . . di noir. Alcuni anni fa mi ero trovato in mezzo ad un giallo in piena regola. Con un po’ di fortuna e con il mio vecchio pallino per l’investigazione, ero riuscito a risolvere un caso di omicidio. Un semplice barista come me era addirittura riuscito a scoprire una banda sarda di delinquenti di primo livello con killer giunti dalla Russia. Sono vivo per miracolo. Era morta una donna bellissima, una grande amica e amante, Natasha. Che avete da sghignazzare? Non ci credete? Capisco: dubitate che un loffio come me abbia potuto avere una donna così bella. Questione di fortuna? Forse. O magari la bellezza non conta. I soldi? No, non sono pillanzoso. Natasha… come dimenticarla? Avevo avuto poi una storia con una sua amica russa. È finito tutto a puttane. E non fate battute sul precedente impiego della ragazza. Non è per quello che ci siamo lasciati. Mi ha scaricato per quello che in città chiamiamo un “cremino”: un fighetto pieno di soldi, un giovane imprenditore rampante che ora la mantiene in una sontuosa villa con annessi e connessi, servitù e piscina, conti aperti nei negozi e strisce di bianca sul vassoio d’argento. C’era da immaginarselo, che sarebbe andata così, ma non la biasimo per com’è finita, non mi aspettavo certo che mi accompagnasse per il resto della vita. Lei con un povero barista sfigato! L’ho già dimenticata, non mi ricordo neanche come si chiama. O almeno faccio finta, si chiama Svetlana. Sono astemio, ma quella volta mi sono bevuto un paio di bicchieri di fil’e ferru uno dietro l’altro, per dimenticare. Vedevo i bicchierini allineati nel bancone del bar come birilli. Ci si sente strani, quando si viene mollati. È un qualcosa che si spezza, anche quando poi conoscerai un’altra sai già che non sarà mai la stessa cosa. Ma perché si è messa con quello lì? Perché è bello? Forse c’è l’ha più grande? Dubito. I soldi? Dubito meno. Ma in fondo chi se ne frega. Vivo alla giornata e penso che quei mesi, quei giorni, sono stati tutto sommato felici. Bisogna vivere alla giornata, ecco cosa bisogna fare. Poi di donne ne esistono a milioni. Sette per ogni uomo. Basta guardarsi attorno ed ecco... una delle mie sette che entra al bar. Mora, alta, ha tutto lungo: i capelli, le gambe, il viso, le mani affusolate che sembrano quelle di una pianista; grandi occhi nocciola e una bella bocca, labbra carnose, un bel sorriso, gran belle tette. Proprio unu bellu pilloni, come dicono dalle mie parti. Non sarà mica una “completissima”, come si legge negli annunci dell’Unione Sarda”? Avrà circa venti anni o poco più, forse è una studentessa universitaria. Me la tento? No, meglio di no. A parte che una così mancu mi càgara. Poi non prendo molte confidenze quando lavoro. È una questione di professionalità: se mi “allargassi” perderei la clientela femminile. Ci possono essere però delle eccezioni, molte volte capita di fare amicizia e di conoscere nuove donne. Provo a fare amicizia con questa splendida creatura che mi ricorda Sophie Marceau, quella del Tempo delle mele. Il film po carirari, ma lei era, ed è, bellissima. Avevo un suo poster in bagno, quando avevo quindici anni, e mia madre l’ha subito distrutto, per fortuna. La tipa non d molta confidenza, e allora la- scio perdere. Molto bella, ma molto “convinta” Con nonchalance faccio una breve ritirata servendo un altro cliente. Non bisogna mai fare vedere di essere arrepentati: le donne ne sentono l’odore e lo riconoscono lontano un miglio. Magari far trasparire il tuo interesse, ma non asfissiarle. La lingua che striscia per terra e gli occhi che escono dalle orbite è meglio lasciarli ai cartoni animati. La Sophie Marceau di Uta mi parla del suo fidanzato. Brutto segno, mi sta dicendo: “Spesarì, non m’interessi”. Servo un altro cliente, l’ineffabile Simone, uno dei pochi veri blues-man bianchi; come al solito, sembra che si sia pettinato con le bombe a mano, ha un cespuglio incolto per capigliatura, non è certo con lui che i consulenti d’immagine fanno i soldi. Svisa tutta la scena e mi manda sottovoce un augurio con un classico “ammollarinci” ed un più maschilista “tzàccale la mutanda”. Torno dalla bimba, ma… entra un giangallone, uno più grosso di me, alto, muscoloso, bello, palestrato. Il mio opposto. «Ti presento il mio ragazzo» mi dice. Mi verrebbe in mente di dirle “E a mei ‘ta catz… “ , ma gli stringo la mano e faccio conoscenza con questa specie di Tyson de is biddasa. Avete presente i buttafuori delle discoteche? Quelli gonfiati e pieni di estrogeni, coi capelli rasati e . . . poca materia grigia? Cosa ci farà una bella fanciulla prossima alla laurea cun custu tontu? I misteri della vita. Niente da fare neanche…