familiare e sviluppo dell`identità dei figli
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familiare e sviluppo dell`identità dei figli
Il processo educativo e i conflitti coniugali. Una lettura pedagogica (Maria Teresa Moscato)1 Bozza della relazione Comprendere l’effetto (diretto e indiretto) che il conflitto coniugale riveste nella dinamica del processo educativo dei figli esige alcuni chiarimenti teorici in premessa. Nell’ambito della catechesi, poi, si presentano aspetti specifici di particolare delicatezza educativa, in relazione al giudizio di tipo etico-religioso che il bambino avverte come espresso nei confronti dei propri genitori (anche implicitamente), e che essi avvertono nella forma di uno stigma sociale da cui tendenzialmente si difendono. La maggiore accettazione sociale rispetto alle situazioni coniugali “irregolari” attenua solo in parte il retaggio di sofferenza (per genitori e figli) che di norma il conflitto coniugale porta con sé, e per lungo tempo. In ogni caso, nella cultura cattolica e nelle comunità parrocchiali, in cui ancora si gestisce la maggior parte delle azioni di catechesi rivolte ai bambini e ai preadolescenti, è chiaramente presente un giudizio negativo nei confronti di tali situazioni, anche quando socialmente tollerate, e anche quando non si manchi apertamente di rispetto (o peggio di carità) nei confronti delle singole persone. Questa riflessione deve servirci per avere categorie di lettura delle situazioni di conflitto coniugale che ci aiutino a parlarne, se e quando dobbiamo farlo, con i genitori e i figli, trovando le parole “giuste” (o almeno quelle che feriscono e danneggiano di meno). L’analisi scientifica più sofisticata, però, vale la pena ricordarcelo, non compensa il rispetto e la carità che sono dovuti ad ogni persona, genitore o figlio, ed è di rispetto e carità che dobbiamo armarci, prima che di categorie scientifiche, per quanto esse possano esserci utili. Abbiamo definito l’educazione come un processo dinamico, che lega interattivamente generazioni diverse, sempre nella concretezza di una socio-cultura storica, e di uno specifico orizzonte culturale, anche conflittuale, processo che determina, nel tempo lungo dell’età evolutiva, la formazione della persona, fino alla conquista di una soglia di autonomia, intellettuale, sociale ed etico-religiosa. Abbiamo già detto che questo processo comporta una specifica relazione del bambino con una serie di persone adulte significative per lui, con cui si identifica e da cui viene, per molti versi, psicologicamente “contenuto”, fino al momento in cui egli diventa capace di “autocontenersi”, e raggiunge una soglia di autonomia, in base alla quale assume il controllo e la responsabilità delle proprie condotte. Abbiamo già detto che l’autonomia personale progressivamente conquistata assume forme e contenuti fissati dalla socio-cultura di riferimento; che l’educazione è in sé inevitabile, nel bene e nel male: nessuno può sottrarsi ad essa, ma allo stesso modo, e progressivamente, nessuno può essere educato contro la propria volontà. C’è sempre un progetto di vita che sostiene il processo: colui che cresce lo percepisce nelle attese degli adulti, ma progressivamente lo fa proprio e lo modifica di conseguenza. Il progetto di vita governa le scelte singole via via necessarie, e dirige le condotte rinnovate come i cambiamenti di direzione. Si comprende quindi come, se tale è l’educazione, essa sia inseparabile dal continuo conferimento di senso alla vita, agli oggetti e agli avvenimenti, ed anche alle relazioni umane che si vivono. Non sarebbe dunque possibile che un conflitto (anche solo latente) fra le due figure adulte più significative per ogni figlio nei suoi primi anni di vita restasse ininfluente sul processo educativo in quanto tale, ma dobbiamo supporre che esso vi influisca tanto più quanto più è precoce l’età del figlio, quando il conflitto familiare esplode e si consuma. Livelli di influenza del conflitto Il problema più grave che si genera nel figlio è – presumibilmente – il conflitto intrapsichico legato alla sua duplice inconscia identificazione con entrambi i genitori. L’identificazione è del tutto inconsapevole, rimane ignota al figlio nei suoi dinamismi specifici per tutta l’età evolutiva, e può 1 Bozza di relazione offerta a supporto didattico per il Corso diocesano di formazione Catechisti, Ravenna 16 ottobre 2013. Dipende da testi inediti ancora incompiuti, e quindi presenta alcuni vuoti e punti insufficientemente sviluppati. essere di segno totalmente differente da quanto il figlio bambino o adolescente percepisce ed afferma di se stesso e del rapporto con il genitore (padri/ madri finalmente riconosciuti come significativi e dolorosamente pianti solo in età adulta e dopo la loro morte). L’identificazione con un genitore, proprio perché precoce e totalizzante, può essere anche negativa, vale a dire che può coesistere con risentimenti, giudizi svalutanti, delusioni, e rifiuti del genitore medesimo; può essere (e lo è molto spesso) ambivalente, vale a dire che mitizzazioni e ammirazioni, e legami affettivi fortissimi, si alternano a risentimenti e rifiuti, sia in parallelo, sia con periodiche oscillazioni. Questo a prescindere da un più forte legame con uno o con l’altro genitore. Il conflitto fra i genitori diventa dunque, quasi inevitabilmente, conflitto intrapsichico per ogni figlio, per una serie di ragioni: - Perché il conflitto scatena il peggio di entrambi i coniugi, e offre le loro pessime condotte all’osservazione del figlio; - Perché i genitori in conflitto chiedono, esplicitamente o implicitamente, al figlio di “scegliere” fra loro, di “prendere le parti” dell’uno o dell’altra, spesso denigrando ciascuno l’altro coniuge, e senza mai rendersi conto che il figlio non può rinunziare a nessuno dei due; senza rendersi conto che questi viene deluso e indebolito nei suoi processi di crescita – quando scopre la cattiva condotta di uno (o di entrambi) - proprio in ragione della sua identificazione. - Perché il figlio esprime giudizi negativi (al proprio interno) e sviluppa risentimenti nei confronti di uno o di entrambi i genitori, sviluppando contemporaneamente anche forti, ambivalenti e sotterranei sensi di colpa (questo appare una costante spesso inspiegabile in tutti i figli di separati, attestata dalla prassi psicoterapeutica e di consulenza psicologica). - Il senso di colpa potrebbe essere legato a un vissuto di abbandono che non viene rielaborato, “non meritavo di essere messo al primo posto”, “mi hanno abbandonato perché sono ‘sbagliato’ io”. Alcuni adolescenti verbalizzano vissuti in cui sembrano attribuirsi la “colpa” del conflitto fra i propri genitori. Tendo a pensare tuttavia che il senso di colpa, del tutto irragionevole, dipenda piuttosto dall’identificazione inconscia con i genitori “sono sbagliato perché sono come loro”. Questo senso di colpa irragionevole appare connesso ad una insicurezza globale dell’Io adolescente, a sensi di sfiducia generalizzata, e in ultima analisi ad una tendenza al “ritiro” in tutti i successivi momenti di crisi. - Per altro verso si osserva una tendenza costante a “mettere alla prova” altri adulti significativi (o potenzialmente significativi) come insegnanti, catechisti, istruttori … prima di concedere ad essi fiducia (anche se l’adolescente mostra di desiderare di fidarsi). Nell’adolescenza si può osservare un costante atteggiamento di sfida e di provocazione, in alcuni soggetti, tendenza che nelle relazioni amorose della giovinezza diventa poi una continua “messa alla prova” del partner, in genere fino alla distruzione del rapporto (“vediamo se sei meglio di mio padre/ mia madre e non mi abbandonerai”). - In genere la richiesta al partner costituisce una “prova impossibile” perché l’amore di tipo coniugale non può mai compensare l’amore genitoriale. - Pensiamo che relazioni sentimentali e sessuali precoci si generino (e si siano generate per molti attuali adulti) non tanto da modelli e costumi sociali irresponsabili, quanto da bisogni affettivi insoddisfatti, nei figli di un conflitto coniugale, e soprattutto da bisogni di significato insoddisfatti. Tali bisogni evolutivi, che spingono a relazioni precoci in cui si cerca sicurezza e significato, diventano poi la causa di successive rotture e conflitti da delusione, a loro volta riflessi sui figli. In letteratura sembra abbastanza ricorrente il fatto che figli di separati/ divorziati diventino a loro volta coniugi in conflitto, ma che erano già convinti dell’impossibilità della costanza coniugale. - Un ulteriore elemento di dolore e di insicurezza, per i figli, è dato dalla “perdita” affettiva dei nonni, che si realizza di frequente. Per un verso accade che i genitori dei coniugi in conflitto “prendano le parti” del proprio figlio/figlia, entrino a loro volta in conflitto con il - - - - - - - genero/nuora, e quindi vengano di fatto allontanati e separati dai nipoti, quando la custodia dei figli di fatto appartenga al genero/nuora. Fra gli errori ricorrenti di nonni affettuosi e bene intenzionati c’è sempre l’espressione di giudizi negativi, anche impliciti, nei confronti di uno o entrambi i genitori dei loro nipoti. Per questa ragione nipoti affezionati soffrono anche nella relazione con i nonni, e sviluppano per essi sentimenti ambivalenti. In altri termini, il figlio di separati tende a perdere anche altri possibili supporti affettivi ed edui nonni o da alcuni di essi. La rottura coniugale ha sempre delle conseguenze economiche, che possono essere più o meno gravi, e che possono essere più gravi per uno dei due. Alla lontananza fisica di un genitore si può accompagnare la perdita della casa della propria infanzia, perdita che in certe fasi della vita costituisce un fattore destabilizzante. L’affido condiviso determina di fatto un movimento nello spazio (da un genitore all’altro, da una casa all’altra, periodi alterni anche durante le vacanze). Regole e abitudini quotidiane vengono così stravolte, e si impedisce al figlio il radicamento in uno spazio materiale che possa essere avvertito come “affettivamente sicuro” e come “proprio”. Anche le difficoltà economiche sono destabilizzanti e generano risentimento (e ricerca di “colpevoli). La perdita dello spazio abitativo di riferimento viene complicata da nuove presenze (i nuovi partner dei genitori, i loro figli, i nuovi fratelli/ sorelle nati dalla successiva unione dei genitori). Sono fattori che tendono ad accrescere il senso di solitudine degli adolescenti e una percezione di disamore dei genitori nei propri confronti (anche perché spesso l’ultimo nato assorbe le attenzioni del genitore per ovvie ragioni di età, e si genera un sordo risentimento verso il piccolo, che ha entrambi i genitori presenti e affettuosi. Anche a questo risentimento si legherà però un sotterraneo senso di colpa nei confronti del fratellino/ sorellina. Molto complicate poco studiate in letteratura sono le dinamiche che intervengono fra pseudo-fratelli, cioè figli di un matrimonio lacerato che si ritrovano all’interno di una famiglia ricomposta dalla nuova unione dei rispettivi genitori. In molti casi i partner di una famiglia ricomposta attivano strategie di comunicazione affettiva che ricompongano in unità il nuovo nucleo, sebbene con sensibilità diverse di natura personale e anche in rapporto all’identità di genere. Nuovi legami affettivi si instaurano più facilmente, tuttavia, in presenza di figli bambini, mentre le dinamiche sembrano più difficili con i figli preadolescenti e adolescenti. Molti figli di un conflitto sono disposti ad accettare i nuovi partner dei genitori solo se ad essi non viene imposta una nuova vita familiare (vale a dire che non vogliono “genitori sostitutivi”). Questa forma di difesa molto spesso crolla per non contrariare il genitore con cui si vive (e che si teme sempre di perdere), e anche perché questi figli hanno in realtà bisogno che qualcuno assolva per essi le funzioni sia paterne sia materne. Anche i nuovi partner, del resto, tendono ad integrare in una famiglia ricomposta tutti i figli presenti (anche se non sempre con successo). All’origine di ogni difficoltà di questi figli esiste comunque quella che è la causa stessa del conflitto coniugale, e cioè un rancore aggressivo e perdurante degli ex coniugi fra loro, che appare solo sopito e celato anche a distanza di lunghi anni. Di chiunque siano inizialmente i torti maggiori, i coniugi in conflitto non si perdonano mai, non si rispettano, non si compatiscono. Queste sarebbero del resto le condizioni per restare sposati, o per rinnovare il matrimonio. In genere essi si fanno reciprocamente dei torti ulteriori nel corso del conflitto, in una sorta di gara a chi può maggiormente ferire l’altro o vendicarsi dell’altro. E nessuno di loro percepisce che ognuno di tali torti sarà una ferita per il figlio/ figlia che essi dichiarano di amare. In realtà, anche indipendentemente dalla sua natura sacramentale, il matrimonio presenta una sua irreversibilità strutturale che è in primo luogo concretamente psicologica, generata dall’intimità sessuale e dai legami amorosi, ma soprattutto dai reciproci investimenti emotivo-affettivi che i due coniugi hanno a suo tempo realizzato, dalle mitizzazioni - rispettive e dalle ferite narcisistiche che essi subiscono con l’abbandono del partner, e in genere dal fallimento del matrimonio, e che esigono una compensazione psicologica (che talvolta viene richiesta proprio al figlio). Analogamente, soprattutto negli ultimi decenni, è sparita dall’orizzonte culturale un’immagine della famiglia come nuova realtà sociale costituita e fondata da un patto di responsabilità fra un uomo e una donna. Come effetto di un individualismo imperante, e per la stratificazione di ideologie di segno diverso, ma concorrenti (freudismo, naturalismo spontaneistico, tardo illuminismo), si è persa del tutto la percezione che le società umane non siano tanto “aggregazioni di individui”, ma siano e siano sempre state piuttosto “reti di famiglie”, vale a dire nuclei sociali primari caratterizzati da una solidarietà strutturale fra i loro membri. In tal modo il significato di un “patto d’amore” e di una “scelta di libertà” è stato coperto dalla figura dell’innamoramento (che è cosa diversa dall’amore e che spesso nasconde un puro capriccio amoroso, oppure abissali bisogni di sicurezza personale). Anche la prevalenza di famiglie nucleari lontane dai loro ascendenti, la prevalenza dei figli unici, favoriscono una lettura individualistica della scelta amorosa. Si accetta dunque l’idea che un matrimonio duri quanto l’innamoramento, e che esso possa essere rotto come espressione di libertà soggettiva dei coniugi (o almeno di uno di essi), e non si vede come, nella percezione del figlio, il legame fra i suoi genitori sia di fatto irreversibile, in quanto posto all’origine della sua vita e della sua stessa identità (tragicità della negazione materna nel mito di Medea). Perciò si dovrebbe oggi parlare di psicologia della famiglia assai più che della sacramentalità del matrimonio cristiano, e di responsabilità genitoriale assai più che di “diritto alla genitorialità”, giusto per ricominciare a percepire la realtà della esperienza umana nella sua storicità esistenziale. Punti di attenzione da sviluppare: - Aiuti e consulenze specifiche (consultori di ispirazione cattolica, forme equivalenti ai corsi per fidanzati, colloqui privati ai figli adolescenti), - Prese di posizione entro la catechesi, controllo delle parole usate - Incontri di famiglie e con le famiglie - Politica culturale che riporti l’attenzione sulle dinamiche familiari in senso non ideologico