3 L`analisi dell`opera d`arte nella programmazione didattica
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3 L`analisi dell`opera d`arte nella programmazione didattica
3 L’analisi dell’opera programmazione didattica 3.1 Un’analisi esemplare d’arte nella “La forma artistica è una forma storica, condizionata da aspetti materiali e tecniche, ma anche da contenuti e funzioni che generano un intreccio che soffoca la ‘forma pura’ posta a fondamento, ad esempio, della storia interna dell’arte cara a Wölfflin” 1 in cui ciascuna forma è generatrice autonoma di un’altra forma. Immagine 1. Pablo Picasso, Ritratto Kahnweiler Propongo ora una lettura condotta da Michael Baxandall su un’opera esemplare, perché posta in un momento storico cruciale per la ridefinizione del rapporto autorecommittenza in una determinata condizione ambientale con determinati mezzi. Una lettura che dimostra come tutte le voci fino ad ora esaminate non siano semplici dati, ma precisi snodi problematici. L’approccio storico offerto da Baxandall propone una originale revisione del concetto di autore, che coniuga la forma dell’opera con le circostanze storiche specifiche nelle quali essa si è prodotta. L’opera è così posta “all’intersezione fra la linea generale di sviluppo storico e linea espressiva individuale”, dove, nella sua forma circoscritta, confluiscono innumerevoli condizioni. Il modello interpretativo di Baxandall si propone di sottoporre a critica il tentativo di individuare l’intenzione autoriale come fattore determinante l’origine dell’opera. La critica inferenziale proposta dallo studioso intende comprendere il prodotto sia nella ricerca del problema specifico che l’artista voleva risolvere, sia nelle circostanze specifiche nelle quali egli se lo poneva, in definitiva nella ricostruzione della “relazione fra l’oggetto e le sue circostanze”. Dobbiamo altresì ricordare che per Baxandall l’oggetto della descrizione del quadro “è il pensiero che segue alla visione di un quadro, non il quadro, né i processi mentali del pittore”. Nel suo concetto di intenzione Baxandall prende le distanze da coloro che intendono con questo termine un “effettivo stato psicologico” o un “insieme storico di eventi mentali” presenti nella mente dell’artista, dai quali far discendere l’interpretazione dell’opera: “Assumiamo un proposito, o un intento, o, per così dire, un’intentività, non solo nell’agente storico (il pittore, il poeta, ecc.) ma soprattutto nell’oggetto storico in sé. Assumiamo quindi che l’intenzionalità è una caratteristica di entrambi; l’intenzione è l’aspetto tendente-a-qualcosa delle cose”.2 3.1.1 Cosa rappresenta un quadro? L’efficacia del procedimento è verificata nella ricostruzione esemplare dell’agenda di Picasso nel 1910. Per chiarire in quale modo si sia determinata la strategia dell’autore nella realizzazione di un’opera, Baxandall propone la circoscrizione dell’agenda del produttore, ossia di circoscrivere i compiti specifici assunti dal produttore all’interno di un più ampio contesto di condizioni vincolanti, di problemi e di risorse posti in determinate circostanze. Il concetto di agenda viene introdotto a proposito della realizzazione di Forth Bridge da parte di Benjamin Baker, un’opera destinata a 1 2 Hans Belting, La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte, Torino, 1990, p. 24. Michael Baxandall, op.cit., p. 66. 1 soddisfare precise esigenze funzionali, e quindi verificata rispetto al Ritratto Kahnweiler. La ricomposizione dell’agenda permette di comprendere le specifiche soluzioni tecniche e formali adottate dagli autori nelle rispettive opere, perché per Baxandall, l’intenzione riscontrabile nell’opera non è però solo attribuibile all’autore, bensì al prodotto stesso, alla determinata forma: alla “relazione fra oggetto e le sue circostanze”. I margini di scelta consapevole dell’autore, di proposizione della propria agenda, possono variare nelle diverse circostanze, ma riconducono comunque l’autore nell’ambito di determinate circostanze culturali storiche dalle quali non è possibile scioglierlo. Baxandall connette in questo modo quanto mai strettamente l’interpretazione sia all’intenzione dell’autore sia all’intenzione dell’opera3 . L’agenda, quindi i compiti specifici assunti dall’autore all’interno di un più ampio contesto di condizioni vincolanti, un luogo dove il pittore ha personalità sociale – costituì un’importanza essenziale nella realizzazione del Ritratto di Kahnweiler. L’opera esaminata comporta il confronto con le circostanze tipiche nelle esperienze artistiche dell’avanguardia, che posero, come vedremo, lo storico di fronte ad una crisi radicale, propria e del suo oggetto, di fronte alla crisi della tradizionale nozione di rappresentazione artistica. Lo storico si confronta con un’opera esemplare rispetto alle mutate circostanze di produzione dell’immagine, nelle quali solo raramente è possibile individuare un incarico assegnato da un committente determinato. L’interpretazione di Baxandall inoltre permette di focalizzare l’attenzione sul ruolo assunto dal mercante e critico d’arte, le forme del mercato dell’arte, le sue istituzioni e le scelte singolari del pittore configurate all’interno di un ampio quadro di possibilità dato. 3.1.2 L’incarico e la committenza In primo luogo Baxandall assegna al pittore un incarico generico, riscontrabile in ogni tempo: il pittore è chiamato a realizzare su una superficie piana dei segni che abbiano “un interesse visivo finalizzato ad uno scopo”. La caratteristica visiva della forma immagine viene immediatamente e prioritariamente posta in evidenza come condizione comprensiva dell’opera: “interesse visivo intenzionale”. Il passaggio successivo comporta un avvicinamento ulteriore all’opera specifica e alla sua temporalità. Ciò avviene attraverso l’esame di un testo scritto nel 1915 da DanielHenry Kahnweiler, la persona ritratta da Picasso, e pubblicato solo nel 1920: Der Weg Zum Cubismus. Baxandall cerca quindi di tenere conto, e sfruttare come strumento comprensivo, della doppia condizione di Kahnweiler, come osservatore esterno e di presenza interna all’agenda di Picasso. Immagine 2. Henry Matisse, Armonia in rosso Il primo elemento problematico affiorato ricorda come i pittori figurativi, e Picasso fra loro, rappresentano su una superficie bidimensionale la realtà tridimensionale. Non è una questione nuova come si vede, e Picasso aveva dei precedenti prossimi e immediatamente presenti, nell’Impressionismo e in Matisse. Immagine 3. Paul Cézanne, Château Noir 3 Rispetto alla distinzione fra intentio autoris, intentio operis e intentio lectoris vedi Umberto Eco, Intentio lectoris. Appunti sulla semiotica della ricezione, in I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990. 2 Il secondo elemento è il rapporto fra forma e colore. Anche in questo caso siamo in presenza di un problema secolare, al quale l’Impressionismo aveva dato una risposta che invertiva la tradizionale priorità data al disegno rispetto al colore, così riconosciuto nella sua straordinaria importanza come prodotto della percezione: funzione della vista, non qualità intrinseca degli oggetti, come invece è la forma, percepibile sia al tatto sia alla vista. Le ultime opere di Cézanne costituivano una soluzione originale al rapporto forma e colore. Immagine 4 Eduard Manet, Chez le Père Lathuille, en plain air Il terzo elemento è la “fittizia istantaneità di gran parte della pittura”. In discussione era, in particolare dopo l’Impressionismo, l’apparente coincidenza fra il momento rappresentato nell’opera e il momento dell’esperienza dell’artista: in realtà il tempo impiegato dall’artista è maggiore di quello apparente nella rappresentazione. Il problema posto da Picasso potrebbe quindi porsi in questi termini: “E allora non potrebbe darsi il caso di un pittore che assuma nel modo di dipingere la consapevolezza che l’immagine sulla tela documenta un coinvolgimento intellettuale e percettivo protratto nel tempo con l’oggetto rappresentato? Non si potrebbe forse rendere giustizia a quanto accade davvero in sede di esperienza, vale a dire al fatto che noi non percepiamo mai l’oggetto mediante un unico senso: data la sua importanza ai nostri occhi scegliamo di dipingerlo”.4 L’esperienza dell’artista è quindi relativa ad un processo sensoriale e mentale con l’oggetto, non all’oggetto in sé. Baxandall esclude che Picasso possa aver condotto una riflessione simile, anche perché questi evitava la verbalizzazione dei problemi operativi dell’artista. Il confronto preso in considerazione dallo storico, dal quale emerge la singolarità dell’incarico assunto da Picasso, è, invece, fra i quadri del pittore spagnolo e quelli degli altri esponenti del Cubismo, a lui contemporanei, oltre che con la produzione pittorica precedente. Nella formulazione del proprio incarico da parte di Picasso, Baxandall situa, almeno parzialmente, quanto normalmente prende il nome di espressione dell’artista: fu, infatti, il pittore a scegliere i problemi per i quali stabilire la propria agenda, in una fase che preesiste al processo di elaborazione dell’opera. Qui, nel definire il del proprio incarico, il pittore manifesta la sua maggiore libertà rispetto alla committenza tradiz ionale. 4.1.1 Mercato, baratto, troc Per un’ulteriore messa a fuoco delle circostanze nelle quali l’opera fu composta e delle relazioni che Picasso intrattenne con la cultura del suo tempo, in una condizione di reciproca influenza, Baxandall si confronta, con prudenza, con la definizione del ruolo svolto dal mercato. Non nelle sue forme generiche definite dalle discipline economiche, ma nella forma specifica del mercato dell’arte all’inizio del Novecento. Dobbiamo, infatti, ricordare che la maggior parte della produzione artistica non avveniva più su commissione, bensì il pittore doveva offrire le sue opere al mercato e doveva trovare la via per accedervi. Il mercato dell’arte non ha solo nel danaro il proprio valore di scambio, bensì altri termini di riferimento: “l’approvazione e l’accrescimento intellettuale, e poi gli stimoli derivati dall’incoraggiamento, dalla provocazione, dall’irritazione; e l’articolazione delle idee, un vocabolario di abilità visive, l’amicizia e, particolarmente importanti, cose come la storia del proprio operare, una tradizione, un’eredità e in alcuni casi il denaro, che alcune volte è un bonus sostitutivo dei suddetti elementi e un mezzo per continuare a 4 Baxandall, op. cit. p. 71. 3 dipingere. E la merce di scambio non è costituita solo dall’oggetto del quadro quanto dall’utile e piacevole esperienza costituita dai quadri stessi. Il pittore può scegliere il tipo di compenso che vuole, dal denaro alla possibilità di entrare nella storia della pittura, al consenso del pubblico. Il consumatore può scegliere questo o quel tipo di appagamento. Ma qualunque sia la scelta, questa si riflette sul mercato. E’ il modello del baratto: un baratto di beni mentali, principalmente.”.5 Per questa particolare forma di baratto, di un particolare genere di beni, Baxandall adotta il nome francese di troc. In essa i consumatori non erano in grado di richiedere quel determinato quadro: l’iniziativa di determinare l’esatta risposta da dare al consumatore spettava al pittore, che poteva determinarla all’interno delle sollecitazioni del mercato, oltre la consapevolezza del consumatore. Inoltre la scelta del come rispondere era immediatamente connessa al perché, inteso come motivo che spinge a richiedere una determinata opera, in questo caso il Ritratto di Kahnweiler. All’interno dell’agenda di Picasso, d'altronde, devono essere comprese anche le istituzioni del mercato reali, che erano più rigide e meno adeguate ad accogliere le sollecitazioni specifiche dell’ambito artistico del momento, mentre tendevano a mantenere modelli adeguati ad altre merci interferendo con il troc. 4.1.2 Esposizioni, i mercanti e la stampa culturale Baxandall descrive le forme del mercato dell’arte ereditate dall’Ottocento: le esposizioni ufficiali, il Salon annuale, al quale era possibile accedere grazie a selezione della giuria preposta, che escludeva quadri simili a quelli prodotti da Picasso; le esposizioni alternative, i Salon ‘neri’, come il Salon des Indipendents e il Salon d’Automne, nate per accogliere la nuova pittura rifiutata dal Salon, non si distinguevano però da questo nei modi di selezione, ma solo per la disponibilità ad accogliere opere più innovative, come quelle dei neo-impressionisti, prima, e ora dei Fauves; i mercanti d’arte, differenziati secondo il modello dei Salon, che erano assurti ormai a protagonisti tradizionali del mercato, tra questi era presente Kahnweiler, accanto a Paul Durand-Ruel, il mercante degli impressionisti, e a Ambroise Vollard che aveva esposto Cézanne e lo stesso Picasso. Questi si accordavano con il pittore per venderne in esclusiva le opere, a prezzi stabiliti preventivamente in base alle dimensioni. Un ruolo di rilievo era inoltre svolto dalla stampa culturale francese, che aveva una trazione radicata nel Settecento e orientamenti differenziati. Guillame Apollinaire vi costituiva una delle voci più autorevoli intese a promuovere la nuova pittura. A lui spetta il conio del termine Cubismo, oltre che di successivi altri –ismi, la definizione degli intenti degli artisti con formule esaltanti quanto approssimative, come nel caso di Picasso e Braque, e delle liste degli appartenenti ai vari raggruppamenti. Il suo ruolo, nonostante le prese di distanza successive di Braque, Picasso e Kahnweiler, fu importante poiché espresse un complesso di idee, generiche ma consolidate ed efficaci di riferimento, dando forma ad un sistema ideologico di riscontro incoraggiante per le scelte di Picasso: “i mercati d’arte evoluti sono strutture complesse che offrono al pittore la scelta di agende più generiche che lui stesso, col suo procedere, rivisiterà in modo personale, mentre, dall’altro canto, sono strutture troppo elementari per riferire con cura e completezza del ben più ampio traffico che ha luogo nel troc. Il punto è che gli elementi strutturali del mercato, in genere, riguardano l’articolazione economica di una società, anche se a volte indirettamente e vagamente, laddove il loro significato si chiarifica solo in relazione a un orizzonte culturale ”.6 5 6 Ibidem, p. 74. Ibidem, p. 87. 4 L’attività di Picasso si svolse in questo ambito. Egli articolò la sua agenda cambiando la storia dell’arte con scelte originali, in primo luogo nel proporsi al pubblico attraverso la mediazione dei mercanti, i clienti e il giornalismo culturale, mentre rifiutò di partecipare alle esposizioni collettive, dove erano presenti invece i veri cubisti, ossia i “cubisti minori”, disponibili ad inviare i loro quadri ai Salon neri. Lì essi potevano ottenere una migliore visibilità come gruppo. Picasso e Braque evitarono di confondersi con loro, comparendo in sedi espositive comuni o confrontandosi con le loro elaborazioni ideali. 4.1.3 Influenza Un'altra precisazione essenziale, premessa da Baxandall, è utile per evitare una relazione causale fra un autore che influenza e un altro che ne subisce l’influenza. Baxandall pone invece il rapporto fra autori in termini diversi. L’autore che apparentemente subisce compie invece una selezione intenzionale nell’ambito della storia dell’arte. Ne consegue l’esigenza di indagare le ragioni della scelta condotta che modifica l’assetto complessivo del quadro storico di riferimento: “Ogni arte è un gioco di posizionamento e, ogni volta che un artista viene influenzato da un altro, riscrive in parte tutta la storia dell’arte in cui opera”.7 La premessa permette di ridefinire il rapporto fra Picasso e Cézanne. L’assunzione da parte di Picasso dei problemi che ravvisava nell’opera del pittore di Aix modifica la posizione di quest’ultimo conferendogli un’importanza non riconosciutagli altrimenti: “Picasso vide in Cézanne alcuni aspetti e non altri, dopodiché li estrapolò e li modificò secondo la sua particolare intenzione e all’interno del suo universo di rappresentazione. Così facendo cambiò per sempre il nostro modo di guardare Cézanne (o la scultura africana); noi vediamo Cézanne, in parte, attraverso la lente idiosincratica di Picasso”.8 Questo rapporto fra l’autore che precede e l’autore influenzato, che caratterizza il processo storico dell’arte, è analogo a quanto riscontrato nella singola opera da Cézanne, e ripreso da Picasso, e chiarisce il carattere processuale riconosciuto all’opera pittorica. Ogni nuova pennellata aggiunta modifica l’assetto precedente presente dell’opera, gli equilibri fra gli elementi già vi sono presenti e mette il pittore in una posizione nuova nella quale può operare ulteriori scelte. Il carattere processuale riconosciuto nella storia è quindi presente in ogni singola opera, davanti alla quale il pittore, dopo ogni suo nuovo intervento, si trova in una nuova situazione che gli consente di mutare progressivamente l’intenzione iniziale. Baxandall riduce drasticamente così la supposta distanza fra un momento ideativo preliminare perfetto, concluso in una preliminare intenzione, e una realizzazione che, poiché successiva, ne sia copia. 4.1.4 Problemi e soluzioni La qualità dinamica del processo consiste in una continua riconfigurazione del quadro storico all’apparire di una nuova opera e, in ognuna di esse, di una nuova azione dell’artista. L’opera diviene l’esito di una successione innumerevole di momenti intenzionali. Lo storico deve presupporre questo carattere processuale dell’azione produttiva, non per proporne una narrazione che ne colga ogni momento, ma per illuminarne i passaggi essenziali dalla sua posizione a posteriori, ad iniziare dai tre elementi problematici già in precedenza individuati e persistenti fra 1906 e 1912: la discrepanza fra bidimensionalità della superficie pittorica e la realtà tridimensionale; il 7 8 Ibidem, p. 90. Ibidem, p. 92. 5 rapporto fra forma e colore; la fittizia istantaneità della pittura. Essi non appena messi in opera pongono a loro volta a Picasso nuove questio ni derivate. Il Ritratto di Kahnweiler trova la sua collocazione in quegli anni e ne è esso stesso parte. La distanza fra la ricostruzione di quegli anni offerta dallo scritto di Kahnweiler e le dichiarazioni successive di Picasso, messe a confronto, aiutano a far capire come la diversa visuale propria dell’osservatore e dell’autore: il primo interpreta elaborando un modello formale individuando problemi e soluzioni, il secondo trova una soluzione a problemi specifici presenti nell’opera, soluzioni parziali che spiegano la difficoltà di Picasso di licenziare l’opera finita per destinarla al mercato. La formulazione dei problemi enucleati da Kahnweiler rientra nel troc di Picasso, permettono di capire le attese di chi allora rappresentava il suo principale mediatore con il pubblico.9 4.1.5 La rappresentazione e la presentazione Immagini 5. Pablo Picasso, Les Demoiselles d’Avigon La svolta nella produzione di Picasso si riscontra fra il 1906 e il 1907. Egli abbandona i temi narrativi con figure, ancora presenti in Les Demoiselles d’Avigon, di ispirazione tardo-ottocentesca - dove i protagonisti erano colti in meditazione davanti alla vita per privilegiare temi “sotto-narrativi”, come i nudi, le nature morte, i ritratti. Le opere comprese fra il 1906 e il 1912 “inscenano la performance stessa di Picasso, il ripetersi del ‘trovare-il-problema’ e di ‘risolvere-il problema’. Il pittore si fa acrobata conoscitivo, di un genere sostanzioso e stupefacente”.1 0 Il tema scelto divengono le questioni formalizzate da Kahnweiler e sorte all’interno della produzione pre-cubista del 1905-06. Fu il suo stesso linguaggio pittorico a costituire il tema delle opere successive, come ebbe già modo di riflettere Filiberto Menna richiamando le parole di P. Reverdy (1918): “Un’opera d’arte non può accontentarsi di essere una rappresentazione: deve essere una presentazione. Un’opera d’arte”. 1 1 4.1.6 Le parole e le opere La lettura offerta da Baxandall dell’opera di Picasso, della quale qui si è tentata una sommaria sintesi, rivela l’efficacia di un atteggiamento storico-critico che tiene presente, nel considerare il rapporto fra l’opera e la cultura d’origine, la necessità di analizzare nel dettaglio la connessione fra le idee e i quadri. Altrimenti, se le informazioni circostanziali sono generiche, si perdono di vista le finalità del lavoro interpretativo, che ha come scopo primario l’affinamento della percezione dell’opera: “Quello che cerchiamo di spiegare è il quadro come lo descrivono le nostre parole e la spiegazione diventa parte di una più ampia descrizione del quadro, ancora nelle nostre parole”.1 2 In Baxandall sembra risuonare la consapevolezza di Konrad Fiedler nell’affermare la specificità del linguaggio visivo, nell’esclusione di ogni possibilità di giungere ad una comprensione totale dell’opera attraverso l’interpretazione verbale, che, se attuabile, renderebbe inutile l’esistenza dell’opera: “ogni singola forma d’arte è giustificata solo in quanto sia necessaria per la rappresentazione di qualche cosa che non sia 9 Vedi: Daniel Kahnweiler, La via al Cubismo. La testimonianza del gallerista di Picasso, Milano, Mimesis, 2001. Baxandall, op. cit., p. 106. 11 Vedi: Filiberto Menna, La linea analitica dell’arte moderna. Le figure e le icone, Torino, 1975: “Con l’abolizione della similarità e della metafora, il quadro non rinvia ad altro da sé, diventa un oggetto intransitivo, che non rappresenta ma presenta se stesso”, p. 32 -33. 12 Michael Baxandall, op. cit., p. 160. 6 10 rappresentabile in un’altra forma. E’ ingiustificata invece se rappresenta qualcosa che sia rappresentabile anche in altro modo”.1 3 Si iscrive quindi in quel versante critico che riconosce l’autonomia del linguaggio visivo e, tuttavia, vi si accosta con le parole, strumento proprio della storia e della critica, risalendo dall’oggetto al processo creativo, del quale è l’esito e che possiamo richiamare nel nome dell’autore. Le parole vanno a modificare la percezione dell’oggetto, che rimane lo stesso, mentre la sua fisionomia muterà alla vista dell’occhio. L’attività storico-critica di ricostruzione del processo produttivo, interponendosi fra il fruitore e l’opera, ne muterà la ricezione. La radicale revisione operata da Baxandall all’approccio sociologico all’opera d’arte muove da una consapevolezza della specificità della forma dell’opera, simile a quella che ha permesso di ridimensionare l’approccio iconologico. In questo senso è utile il confronto con il pensiero di Otto Pächt: “le arti figurative - al pari della musica – possono dire nel loro linguaggio cose che le altre forme espressive non sarebbero mai in grado di dire. Ed è per questo, in ultima analisi, ciò che s’intende quando si parla dell’arte come ‘sfera espressiva autonoma’. Ma se le cose stanno così la ricerca delle fonti extralinguistiche dell’opera d’arte non potrà mai fare luce sul contenuto specifico della creazione artistica, senza contare che sono sempre possibili invenzioni originali, del tutto estranee al linguaggio della parola e consustanziali con il ‘mezzo’ figurativo. Contro le affermazioni dei Padri della Chiesa e dei teologi medievali, anche il ruolo dell’arte sacra cristiana non si esaurisce affatto in un linguaggio per immagini, destinato a sostituire la scrittura come biblia pauperum. […] Anch’essa è in gran parte delle sue manifestazioni un discorso sui generis sul mondo e l’esistenza, sulla vita quotidiana e sulle cose ultime, non riducibile a un mero surrogato e a sua volta intraducibile”.14 4.1.7 La discontinuità Il modello di Baxandall permette di uscire sia da una storia dell’arte come storia delle forme, dello stile e degli autori, intesa come percorso autonomo rispetto alla complessità della storia generale, senza smarrire la specificità dell’oggetto nel rapporto con il mondo della sua origine, sia di illuminare le circostanze nelle quali furono possibili le scelte dell’artista, sia di restituire al committente e al pubblico una posizione attiva, e offre la possibilità di “ricostituzione del legame fra arte e pubblico”.1 5 La crisi consumata fra Ottocento e Novecento del rapporto fra immagini artistiche e pubblico è, d'altronde, relativa soprattutto alle forme tradizionali. Le immagini, viceversa, intrattengono inconsuete e intense relazioni con il pubblico nelle condizioni di esistenza offerte dalle nuove tecnologie. Quali indicazioni pratiche possono discendere da questo esempio che ben difficilmente può trovare immediata applicazione in un aula scolastica? Innanzitutto è necessario convincersi che da un’efficace analisi discende la possibilità di apprezzare un’opera, soprattutto se di origine lontana dalla nostra cultura. Esercizio: Un semplice esercizio per cercare di intuire l’efficacia dell’analisi consiste nell’osservare, prima, un’immagine, come la riproduzione che segue, e quindi procedere alla descrizione propostane. Quindi tornare nuovamente all’immagine. Anche se durante la lettura della descrizione qualcuno sarà forse già tornato più volte ad essa. Immagine 13 Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, Milano, 1945, p. 206. Otto Pächt, Metodo e prassi nella storia dell’arte, Torino, 1994, p.75. 15 Hans Belting, op. cit., p. 4. 14 7 6. Giorgione, Doppio ritratto Ludovisi “Alle spalle della figura è un parete grigia, schiarita da un fiotto di luce fredda che spiove in diagonale dall’alto, evidentemente da una finestra aperta sulla parete di sinistra della stanza la cui presenza, immediatamente al di là del margine della tela, percepiamo meglio che se vedessimo figurata entro il quadro. Una zona di penombra, più densa sotto la finestra e poi sempre più incerta, si spegne lentamente sulla destra, ma per riaccendersi poco oltre sulla colonnina che chiude la parete e al di là della quale è il varco da cui appare in una situazione di luce diversa un altro giovane. Quel lume radente ha la capacità di evocare su quel breve tratto una straordinaria situazione d’interno. Lo spazio ne risulta qualificato in senso intimistico. […] La testa del giovane è piegata di traverso in modo di coricarsi sulla diagonale della luce, e mentre essa si disegna delicatamente in controluce sulla parete, dal giro elegante del cappello blu scuro, guarnito di due fiocchi dal puntale dorato che cadono paralleli in ordine impeccabile, alle chiome inanellate disciolte sulle spalle il viso sfiorato dalla luce radente, gli occhi affossandosi nell’ombra delle arcate sopraccigliari, la bocca celata dalla lunga ombra del naso, scoprendosi alla carezza del lume solo da un angolo. E’ un raffinato equilibrio tra il rilievo della testa sulla parete che ne sottolinea i valori disegnativi, e il rapimento della stessa nel fiotto di luce. Il giovane si abbandona al conforto della luce. Una complicità altamente poetica si realizza fra le qualità intimistiche e intellettuali della luce e quella sentimentale a fior di pelle. La luce, cadendo sulla manica, rivela la bellezza del blu scuro dell’abito, lo stesso del cappello, in rapporto al grigio freddo della parete; fa brillare le guarnizioni dorate, di un oro che scintilla freddo, e accende crudo, rispetto all’incarnato un po’ terreo del polso, il bianco della camicia al collo e all’uscita della manica. Il rapporto tra la luce acuta, fredda, di questi bianchi e il colore basso, terreo dell’incarnato è come nella nuda della Tempesta. Accanto a questi accordi sono quelli appena indicati, di grigio e blu, di blu e oro: un cromatismo, per così dire, sacrificato ad un luminismo freddo che è lo stesso della tempesta. Le luci di giallo freddo delle guarnizioni dell’abito sono vergate su un fondo di giallo più caldo su cui si frangono variamente, perché i valori intermedi del fondo sono ripresi da ultimo di tocco a schermare e frazionare le pennellate di massima luce. E’ la tecnica del luminismo cinquecentesco che si prepara a raggiungere i suoi vertici. La finestra si percepisce non propriamente di lato alla figura, ma appena più arretrata, perché la luce si infila appunto da dietro fra il busto e la manica, ma ricreando qui dei colori di controluce analoghi a quelli della testa sulla parete, ma subito si perde in un riverbero fioco dentro alla penombra in cui sono immersi il busto e il davanzale, cioè la zona centrale e il primo piano del quadro. Lo spiovere netto della luce sulla camicia è sempre dettato dalla stessa sottigliezza del disegno: si consideri come esso sia coinvolto nella stilizzazione che presiede a tutto il dettaglio della mano piegata ad angolo retto sul polso, dal profilo in controluce tirato sul regolo, ancora una volta l’equilibrio è estremamente sapiente fra sottigliezze luministiche che aprono la via ai grandi naturalisti del Seicento e sottigliezze disegnative stilizzanti da smaliziato ‘primitivo’ nazareno. I bianchi della camicia, così crudamente accesi di luce diventano nell’ombra improvvisamente spenti, sgradevolmente sordi ed opachi, dei grigio-azzurri animati dal sommesso vibrare della luce sulle piegoline e sulle guarnizioni del colletto; ma è una povertà geniale, fino in fondo cosciente di sé, se è vero che non teme di esibirsi in quello che è il centro tradizionale del quadro, il suo centro geometrico: perché è lì che appunto avviene quella brusca sospensione di luce e, con la luce, della preziosità della materia e della stesura. Come Giorgione non ha esitato a irrigidire il profilo del polso, così ora non si esita a svuotare queste zone centrali del quadro. Questo vale anche per la pittura del collo interamente in ombra e appena modellato da un riverbero di luce, e per quella dell’abito, dove analogo valore di un qualche animazione della penombra hanno le bordure d’oro e su queste i quattro nastrini viola che lo chiudono sul petto. Questa povertà è del tutto funzionale all’idea coraggiosa e assolutamente senza precedenti sta sperimentando di una zona di penombra che involga il primo piano e il centro del quadro, il davanzale come il busti stesso della figura, una penombra riverberata e trasparente, ma dove nulla succeda. La vita riprende ai margini del quadro, la dove la raggiunge la luce. E infatti sulla diagonale luminosa che scende dalla finestra, e che di fatto coincide con la diagonale del quadro, attraverso quello spazio d’ombra, una bolla si accende sull’angolo del davanzale, e qui lo schiarirsi della pietra sotto l’incidenza della luce, con quello sfumare lento dell’alone nell’ombra del piano e troncarsi netto lungo lo spigolo, anzi intensificarsi sul filo di quel contrasto con l’ombra come ad assaggiare l’argine ultimo, lì sul primissimo piano, del nostro percorso, è 8 cosa degna di un olandese del secolo dopo, come il pensiero stesso di quella nuova vita della luce dopo la grande pausa dell’ombra. La mano appare entro quel breve ritaglio di luce, talmente breve che le due superbe foglie del melangolo restano nell’ombra, realizzate solo dai riverberi della luce, dai mezzi toni, mentre dietro la mano stupendamente scorciata gli ori della bordatura della manica sul limite dell’ombra e di contro al blu che si indovina carico, hanno uno splendore fermo, più fermo di quelli dall’altra parte, immessi in una situazione di luce appunto diversa. Non si può non insistere sull’audacia di questo immergere in ombra il davanzale e il centro del quadro, anche perché questo vuoto è proprio quello che ci dà tutta la magia di quel venire innanzi della mano, uscendo fuori dall’ombra lì nell’imminenza del primo piano. Grazie a questa soluzione il viso segnato dalle stimmate della malinconia, e la mano che porta l’emblema d’amore, vengono a trovarsi in straordinaria rispondenza l’uno dall’altra, legati, oltre l’ombra, dal tragitto della luce. Queste due aree, oltre che da questo artificio, che è il piano della verità di natura, sono connesse tra loro sul piano della composizione delle forme da altri che hanno il loro fulcro nella colonna. Questa struttura, non certo esornativa, vale intanto quale asse verticale contro cui apprezzare quel sentimentale inclinarsi del giovane, non diversamente dunque dallo spadone e dalla lancia nell’Uomo d’armi degli Uffizi; ma qui anche quale registro di partizione della luce, perché il colmo tracciato sulla colonna, proprio sulla linea mediana del quadro segna il limite di esposizione della figura, della testa e del busto, sul quale si allinea anche la punta della manica in penombra, sulla cui bordura dorata corre un tenue filo di luce, mentre il profilo in ombra di quella colonnina individua il limite di accensione della luce sul davanzale – ancora un pensiero di composizione e di stilizzazione e da un lato suggella in modo perentorio, con la perentorietà dei fatti che competono alla forma di contro alla natura, la gravitazione della testa verso la fonte di luce, dall’altro contribuisce non poco a dare a quel ritagli di luce sul primo piano e al gesto della mano un’analoga presenza ferma , sospesa e come sottratta al tempo della natura.” 16 4.1.8 Spiegazione e produzione Possiamo concludere: la spiegazione dell’opera è, fin dall’atto descrittivo, un attività che la inserisce in una rete di riferimenti, tessuta di parole e concetti. La spiegazione storica, che fonda la possibilità del fruitore di avvicinare l’opera e il suo produttore, stabilisce relazioni fra l’opera e un ambito temporale di appartenenza. Ne possiamo distinguere due tipi: causale e finale. Nel primo caso l’oggetto è spiegato come esito di cause, in modo simile a quanto avviene nelle scienze naturali, nel secondo lo si spiega come prodotto di un’azione dotata di scopi. Nel primo caso si procede verso l’individuazione di leggi generali, simili a quelle fisiche. Ciò comporta una limitata efficacia in ambito artistico, dove lo storico è interessato alle ragioni del specifico prodotto, non al cosa ma al come quella cosa si è prodotta. Nel secondo invece è possibile individuare le caratteristiche del prodotto, esito di un’azione intenzionale, ponendo attenzione alle singolari caratteristiche formali delle opere. L’attenzione dello storico dell’arte è rivolta all’oggetto prodotto, al quale noi riconosciamo un valore specifico di opera d’arte, per comprendere il quale noi risaliamo all’azione che lo ha prodotto. Lo storico si occupa del processo produttivo, di relazioni fra problemi e loro soluzioni in circostanze materiali e intellettuali determinate, il cui esito è l’opera oggetto di descrizione. Interpretare un’opera d’arte comporta un’indagine che dall’opera, dal testo, risale al contesto nel quale fu prodotta e da qui propone un percorso che consenta di illuminare le strategie attraverso le quali l’opera soddisfa un’intenzione creativa. L’opera risponde a delle sollecitazioni, storicizzabili e non determinate solo all’interno dell’ambito artistico, con una forma che rappresenta una visione originale di quanto è già esistente. L’equilibrio fra quanto è già prima dell’opera e che l’opera adotta come contenuto e strumento - per esempio le convenzioni iconografiche o le soluzioni tecniche e formali già esistenti e che 16 Alessandro Ballarin, Giorgione e la Compagnia degli Amici: Doppio ritrattto Ludovisi, in Storia dell’arte Einaudi, Torino, Einaudi, 1983, vol. 5, p.500-503. 9 costituiscono il codice da cui l’opera prende forma - e la nuova soluzione propria dell’opera specifica è ogni volta rideterminato. Le analisi esemplari prodotte da Baxandall non si rivolgono alcuno scopo didattico diretto, ma noi possiamo assumerle come modello per una didattica che si ponga lo scopo di porre gli alunni in grado di interpretare correttamente un’immagine, un’opera che abbia un intento visivo. Quali indicazioni pratiche possiamo ricavare da questo modello? 4.2 Tre fasi dell’interpretazione La descrizione del Doppio ritratto Ludovisi di Giorgione prima proposta è parte di un saggio dedicato all’opera. Qui ne abbiamo citata solo la parte centrale, dove Ballarin esamina accuratamente ogni aspetto del dipinto. Prima di questo brano il saggio presenta un percorso di avvicinamento all’opera, una sua contestualizzazione nella cultura neoplatonica veneziana di inizio Cinquecento, impegnata in una complessa riflessione sull’amore che trovò una forma verbale negli Asolani del Bembo. Lo storico, dopo la descrizione, riprende l’esame dei rapporti che l’opera di Giorgione intrattenne con la cultura di quel torno di tempo, e proietta le qualità emerse per illuminare le ulteriori vicende della storia dell’arte. La descrizione è quindi inserita in un più vasto disegno, che nella descrizione lì incastonata trova un proprio esito e dalla descrizione trae ulteriori informazioni utili a comprendere sia il quadro storico generale, sia altri esiti artistici. Consideriamo per questi motivi il saggio di Ballarin esemplare. Esso raduna in sé tre possibili fasi del lavoro didattico che pone al proprio centro la descrizione analitica. La prima fase articola le competenze relative al contesto di origine, la seconda afferma la centralità dell’opera specifica e ne costituisce l’interpretazione, la terza raduna tutte le possibili esperienze compiute per preparare il terreno ad ulteriori analisi. Questi tre momenti costituiscono quindi un percorso esemplare riconducibile e adeguabile all’attività didattica che voglia essere attività storica, analisi critica dell’opera, e si presti a intrattenere un approccio interdisciplinare. D’altra parte questo saggio ha un carattere esemplare anche perché esalta e non sacrifica le qualità visive dell’opera, sfugge al pericolo di fare della cultura visiva e di ogni singola opera un “sintomo” fra gli altri di una cultura che in altre forme trova già una perfetta espressione. 4.2.1 L’insegnante e l’allievo, due diversi ruoli Le tre fasi che abbiamo individuato nel saggio di Ballarin possono dare vita a tre momenti distinti della didattica nei quali trovino differente espressione le competenze dell’insegnante e le capacità degli alunni. La tradizione didattica italiana privilegia la tipologia della lezione frontale. Essa offre ottime possibilità di riversare in tempi rapidi conoscenze, determinate in modo univoco dall’insegnante. Soprattutto in presenza di alunni molto motivati e padroni di una tecnica di assimilazione e rielaborazione dell’insegnamento presenta vantaggi notevoli. Era questa la condizione normale pretesa da chi voleva frequentare i licei prima della riforma che liberalizzò, negli anni settanta, l’accesso all’università. Non credo che la lezione frontale debba essere rifiutata in assoluto, come alcuni tendono a credere, penso piuttosto che debba essere adottata, dopo averne compresi i limiti, con più oculatezza e resa problematica, affiancata da altre e adeguata alle singole situazioni. La lezione frontale tende a riprodurre le stesse competenze già dell’insegnante e a porre l’alunno in una posizione subalterna e passiva: egli dovrà provare di aver quanto più e meglio assimilato quanto già è del docente. Questa tipologia quindi mantiene l’allievo dipendente dall’insegnante, unico responsabile del prodotto cognitivo. Chi 10 detiene le conoscenze tende ad assicurarsi che queste siano trasmesse e riprodotte, piuttosto che favorire lo sviluppo di forme di sapere diverse, attraverso l’acquisizione di competenze che rendano progressivamente autonomo e originale l’apporto dell’allievo. Questi è concepito come un terreno più o meno fertile dove introdurre una specifica cultura, già maturata indipendentemente da lui. Le tipologie didattiche alternative tendono invece a un processo di apprendimento empirico e induttivo, propongono un percorso didattico che orienta gli alunni a partire dalle competenze precedentemente acquisite, stimolando l’acquisizione di nuove competenze attraverso attività che coinvolgano immediatamente gli alunni. Questo approccio favorisce la partecipazione attiva degli alunni alla costruzione della lezione e li rende immediatamente protagonisti responsabili della propria formazione. Le competenze così acquisite sono immediatamente esercitate, assumono quindi un carattere performativo, permettono di imparare facendo. Un approccio performativo però richiede ampia disponibilità di tempo e spesso di mezzi, richiede orari flessibili, laboratori attrezzati e biblioteche ben organizzate. Queste condizioni sono spesso carenti o addirittura assenti nelle nostre scuole che sono state pensate per la lezione frontale. Con questi limiti dobbiamo confrontarci nella programmazione didattica. Non possiamo prescindere dalle condizioni reali, se non vogliamo esporci alle inevitabili frustrazioni conseguenti agli esiti incerti di progetti velleitari. Ritengo sia possibile, all’interno di una programmazione modulare, distinguere dei momenti diversi, alcuni affidati ancora alla lezione frontale, altri nei quali siano immediatamente protagonisti gli alunni. Esercizio per il forum: Propongo qui un possibile nodo storico artistico oggetto normalmente di particolare interesse in ogni ordine di scuola. Lo propongo come un modulo in cui sono evidenziate le prime due fasi, delle quali sono individuati alcuni possibili passaggi. Esaminiamolo e quindi proviamo a cambiarne l’articolazione, sia impostandone diversamente le categorie interpretative che ne reggono l’incipit, sia inserendo o togliendo autori e opere e motivandone la scelta. Chi voglia può riformularlo completamente. Particolare interesse può avere proporre la comparazione con altre opere dichiarandone i motivi e la funzione. 1. 1.1. 1.1.1. 1.1.2. 1.1.3. 1.1.4. 1.1.5. 1.1.6. 1.1.7. 1.1.8. 1.1.9. 1.1.10. Classicismo e anticlassicismo. L'immagine sacra fra idea, natura e maniera. Giorgione, Pala di Castelfranco; Tre filosofi; Tempesta. Tiziano Vecellio, Miracolo della donna ferita e del marito geloso; Assunta dei Frari; Amor sacro e Amor profano; Pala Pesaro ; Martirio di S. Lorenzo; Diana e Atteone. Lorenzo Lotto, Annunciazione. Correggio, Visione di S. Giovanni Evangelista. Pontormo, Trasporto di Cristo. Rosso Fiorentino, Deposizione. Michelangelo Buonarroti, Sagrestia Nuova di S. Lorenzo; Giudizio Universale; Pietà Rondanini. Parmigianino, Madonna dal collo lungo. Romano, Palazzo Te. Bronzino, Venere e Cupido. 11 1.1.11. 1.1.12. Jacopo Tintoretto, Miracolo dello schiavo; Ritrovamento del corpo di S. Marco; Ultima cena di S. Giorgio Maggiore. Paolo Veronese, Ester incoronata da Assuero; Cena in casa Levi; affreschi di Villa Barbaro. La prova della settimana: Ogni corsista rediga una presentazione di un tema storico artistico concordato con il tutor secondo il modello qui di seguito indicato. Ÿ Come impostare l’introduzione ad un modulo. 1. Dimensione: da 3000 a 3300 battute (spazi esclusi). 2. Ogni relazione dovrà presentare un titolo ed essere divisa in tre parti: dovranno essere distinti almeno tre paragrafi. 3. Il titolo può essere concepito sulla base delle indicazioni date dal tutor e dovrà costituire una estrema sintesi del tema, anche una sola parola può essere illuminante. 4. La prima parte, introduttiva, dovrà avere carattere espositivo e un’estensione pari a quinto del totale. La sua lettura dovrà rendere disponibili tutte le informazioni che il redattore riterrà essenziali, rispetto all’ambito storico (dove e quando?) e alle problematiche relative. L’obiettivo è stabilire una relazione immediata fra il destinatario e l’argomento proposto. Una frase può essere sufficiente per permettere a chi legge di capire quale sia la tesi principale e introdurre la materia del modulo e al contesto storico-artistico nel quale si ritiene debba essere inserito. Il lettore della relazione deve essere informato fin dalle prime parole dei motivi che rendono importante la trattazione del tema. 5. La seconda parte, ancora di carattere espositivo, deve informare. Dovrà entrare nel merito e proporre un itinerario che metta a fuoco i concetti, le categorie il lessico specifico necessario per descrivere i fenomeni artistici esaminati. Data la brevità della composizione, l’approfondimento dovrà essere relativo, ma dovranno essere colti tutti gli snodi principali. Dovranno essere posti in evidenza, definiti e spiegati i termini chiave, specialmente se essi sono introdotti per la prima volta o assumono un’accezione particolare nello specifico contesto. Non devono essere presenti giudizi o valutazioni del redattore: lo scopo non è la valutazione ma l’interpretazione competente. 6. La terza parte è conclusiva, ha carattere espositivo e argomentativo. Consentirà al redattore di esporre e motivare le proprie considerazioni critiche rispetto al tema e alle problematiche presentate. Piuttosto che delle conclusioni sono opportune delle domande, anche rispetto a testi o 12 fenomeni relativi ad altri ambiti disciplinari strettamente ed esplicitamente pertinenti. Potrà essere addotto un esempio tratto da problematiche prossime ai destinatari, che offrano uno scorcio originale su motivi di immediato interesse, ma senza digressioni che si allontanino troppo dal tema d’origine. E’ opportuno concludere con una domanda, che rilanci e riassuma il problema aperto. Temi proposti 1. Realtà e simbolo nella pittura ravennate. 2. L’evoluzione dell’iconografia della crocifissione nella pittura fra Duecento e Trecento. 3. La rinascita del ritratto fra Medioevo e Rinascimento. 4. La tipologia della chiesa longitudinale in Brunelleschi e Alberti. 5. Il monumento funebre fra Quattrocento e Seicento. 6. L’evoluzione della pala d’altare fra Quattrocento e primo Cinquecento, da Piero della Francesca a Tiziano. 7. L’immagine della città nella pittura di Carpaccio. 8. La concezione dello spazio prospettico negli affreschi mantovani di Mantegna e Giulio Romano. 9. L’immagine sacra nella pittura italiana e fiamminga del Quattrocento. 10. L’Ultima cena nella pittura fra Quattrocento e Cinquecento: A. del Castagno, Leonardo da Vinci, Paolo Veronese, Jacopo Tintoretto. 11. La nuova concezione della facciata della chiesa introdotta da Palladio. 12. La concezione della piazza rappresentativa nel Cinquecento: Michelangelo, Sansovino, Vasari. 13. Le tipologie della villa palladiana. 14. Il ritratto nella pittura del Cinquecento: Leonardo, Raffaello, L. Lotto, Bronzino. 15. Lo spazio rappresentativo nella pittura di Tintoretto. 16. La nascita della pittura di genere. 17. La funzione della luce nella pittura di Caravaggio. 18. La concezione scenografica della piazza barocca. 19. La nascita della concezione barocca della città nel piano di Sisto V. 20. Il rapporto fra natura e architettura nelle residenze regali del Settecento. 21. Realtà e invenzione nella pittura vedutista veneziana. 22. La rappresentazione della morte nei monumenti funebri di Bernini e Canova. 23. L’immagine della natura nella pittura romantica. 24. Il soggetto storico nella pittura fra Settecento e Ottocento: David, Goya, Géricault, Delacroix. 25. La funzione del colore nella pittura impressionista e post impressionista attraverso il confronto di tre opere emblematiche. 26. Le utopia e progetto nell’urbanistica dell’Ottocento. 27. L’affermazione dei nuovi materiali nell’architettura contemporanea. 28. La crisi della forma rappresentativa nella pittura del primo Novecento: Matisse, Picasso, Kandinsky, Mondrian. 29. Ecole des Beaux-Arts ed Ecole Polytechnique: storia, utopia e rivoluzione tecnologica nell’architettura dell’Ottocento. 30. Il nudo femminile nella pittura moderna: Tiziano, Bronzino, Manet. 31. Espressione e concetto nell’arte del secondo dopoguerra. 32. Forma e funzione nella progettazione del prodotto industriale. 13