maria testimone della parola nell`insegnamento dei padri
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maria testimone della parola nell`insegnamento dei padri
1 MARIA TESTIMONE DELLA PAROLA NELL’INSEGNAMENTO DEI PADRI Parlando di Giovanni Battista, Gesù diceva che non aveva bisogno della testimonianza di un uomo, dal momento che egli poteva contare sulla testimonianza del Padre suo e delle opere che compiva su mandato del Padre (Cf. Gv 5, 34 ss). Noi tuttavia, come cristiani e discepoli di Gesù, siamo chiamati a rendergli testimonianza davanti agli uomini, secondo la consegna che egli stesso ha lasciato ai suoi primi discepoli: Mi sarete testimoni in Gerusalemme e in tutta la Giudea (At 1, 8). I primi discepoli sono stati fedeli a questa consegna e hanno potuto affermare di se stessi: Dio lo ha risuscitato dai morti e noi ne siamo testimoni (At 2, 32; 3, 15). Da allora i cristiani si ritennero impegnati a rendere testimonianza al Signore Gesù, Uomo-Dio, morto e risorto per la salvezza del genere umano. Pertanto noi tutti, quali suoi seguaci e discepoli, abbiamo ereditato il medesimo impegno. Ma possiamo chiederci: Come dobbiamo rendere la nostra testimonianza a Cristo? Credo che abbiamo tante volte sentito ripetere una frase che è diventata quasi uno slogan: Oggi non c’è bisogno di maestri, bensì di testimoni. Questo detto viene di solito proclamato allo scopo di privilegiare quasi esclusivamente la testimonianza della vita vissuta. In tal caso non vedo perché si debba minimizzare la testimonianza resa con la parola. Certamente la testimonianza o l’esempio della vita pratica esercita una grande forza di convinzione; ma vorrei dire che essa ha pure bisogno della parola per presentarsi nella sua vera identità. Occorre cioè che appaia con chiarezza colui o che cosa si intende testimoniare. Per il cristiano la risposta è ovvia: Egli deve testimoniare quel Cristo che ha fatto una precisa richiesta ai suoi discepoli: Voi mi sarete testimoni. Ma che cosa dobbiamo testimoniare di Gesù? Possiamo rispondere in sintesi: il mistero della sua identità trascendente e divina e l’opera della salvezza dal male e dal peccato da lui compiuta in favore di tutti gli esseri umani con la sua Incarnazione. 2 Se diamo uno sguardo ai primordi dell’era cristiana, possiamo constatare che la testimonianza dell’adesione personale al Signore Gesù è sempre stata intesa come un comportamento che suppone sia la coerenza della vita con la fede professata, sia la proclamazione orale della medesima fede. La necessità di questo duplice atto, interiore ed esteriore, per l’autenticità della fede è attestato da San Paolo: Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza (Rm 10, 10). La necessità di far fronte a questo impegno è dimostrata praticamente dalla condotta dei martiri cristiani che sono considerati i testimoni per eccellenza di Cristo e del suo vangelo. Basti pensare che talvolta per una sola parola essi andavano incontro alla morte. Bastava cioè che dicessero un no al culto degli idoli o un sì per manifestare la loro fede in Cristo e a loro venivano riservate la tortura e la morte. Per il loro amore verso Cristo e il loro coraggio, nella Chiesa primitiva i martiri furono i primi credenti ad essere oggetto di un culto speciale dopo la loro morte. L’ammirazione e la venerazione che gli antichi cristiani avevano per loro può trovare eco in una frase lapidaria di Sant’Ambrogio di Milano: Appellabo martyrem, praedicabo virginem. Satis prolixa laudatio est (De virginibus, 1, 2, 6). Si capisce allora perché nell’antichità cristiana si è attribuita l’aureola del martirio anche a dei personaggi prestigiosi dei quali non sappiamo esattamente a quale morte siano andati incontro, ma che hanno dato lustro alla Chiesa con la fama della loro santità o a causa del ruolo da essi svolto. Un caso tipico è quello di alcuni dei dodici Apostoli, che vengono considerati martiri senza che si conoscano esattamente le modalità della loro morte. Noi li consideriamo i primi e più autorevoli predicatori del Vangelo di Cristo e quindi testimoni della Parola, ossia martiri. LE PAROLE PRONUNCIATE DA MARIA. Se poi guardiamo alla persona mirabile della Vergine Santa, che cosa possiamo dire circa la fine della sua vita terrena? Forse anche lei è morta 3 martire? Alcuni cristiani si sono posti probabilmente questo interrogativo, se vogliamo dare una certa interpretazione ad una dichiarazione fatta da un grande Padre della Chiesa, Epifanio, vescovo di Salamina, nell’isola di Cipro († 403), il quale considerava l’eventualità che Maria potesse essere morta martire, proprio per la sua grandezza e il suo ruolo, Riferendosi alla profezia della spada di Simeone, Epifanio fa la seguente considerazione: Se fu uccisa, secondo quanto è scritto: “Una spada trapasserà la tua anima (Lc 2, 35), allora ottenne la gloria insieme ai martiri e il suo corpo santo, dal quale risplendette la luce per il mondo intero, dimora tra coloro che riposano beati. Epifanio conclude: Nessuno conosce esattamente la fine di lei (Panarion 78, 23). Circa un secolo più tardi, Severo di Antiochia († 538) si porrà il medesimo interrogativo al quale darà una risposta. Egli però ritiene che il martirio di Maria è consistito nel sopportare con fortezza il giudizio temerario di Giuseppe, che l’avrebbe considerata un’adultera prima che l’angelo gli apparisse per informarlo della situazione della sua sposa. Inoltre fu martire quando dovette andare in Egitto per sfuggire al furore persecutorio di Erode. Infine fu martire durante tutto il tempo in cui, prima della sua dormizione, fu costretta a vivere con i giudei, uccisori del Figlio suo (Cf. Homilia XIV). Queste ed altre simili dichiarazioni di autori che cercavano di annoverare Maria nel numero dei martiri, dimostrano quanta rilevanza si attribuiva nella Chiesa antica all’importanza del martirio da una parte e dall’altra alla testimonianza della Madre di Dio. In effetti Maria conosceva troppe cose della vita di Gesù, per cui era ovvio che si pensasse a lei come ad una testimone di primo piano, anche tenuto conto del tipo di rapporto che abitualmente intercorre tra una madre e un figlio e, nel nostro caso, quale Madre e quale Figlio! Eppure sappiamo poco della vita di Maria. Di tutte le parole da lei pronunciate o dei discorsi da lei fatti, il Nuovo Testamento ne ha raccolti pochissimi ed in forma estremamente sobria. I vangeli di Luca e di Giovanni riportano solo sei interventi orali della Vergine: 1 – Come è possibile? Non conosco uomo (Lc 1, 34). E’ una richiesta di spiegazione sul modo con cui ella avrebbe dovuto adeguarsi alla volontà di Dio. 4 2 – Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto (Lc 1, 38). Atto di fede e di obbedienza al Signore. 3 – L’anima mia magnifica il Signore…. (Lc 1, 46). Lode e ringraziamento a Dio per la misericordia usata a lei e al suo popolo. 4 - Figlio, perché ci hai fatto così? (Lc 2, 48). Anche qui si tratta di una richiesta di spiegazione dettata dalla sofferenza per aver smarrito il Figlio. 5 – Non hanno più vino (Gv 2, 3). Intervento a favore degli sposi. 6 – Fate quello che vi dirà (Gv 2, 5). Nella risposta di Gesù al suo primo intervento, Maria deve aver capito qualcosa che a noi non appare con chiarezza. Per questo si rivolge ai servitori con questa raccomandazione. Sono pochissime parole, eppure pensiamo a quanto è stato scritto a proposito di esse! Per impostare il discorso più in generale, noi riteniamo che la Vergine abbia parlato normalmente nella sua vita, secondo le persone, i luoghi e le circostanze in cui si trovava. Allora perché i vangeli sono un po’ refrattari nel riportare le sue parole? Questo problema ci evoca una dichiarazione dell’evangelista Giovanni che potrebbe darci una spiegazione che è valida non solo nel caso di Maria, ma anche nel caso dell’insieme dei vangeli. Leggiamo nella prima conclusione del suo Vangelo: Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Gv 20, 30-31). Le parole di Maria inserite nei vangeli, seppure poche, sarebbero dunque state inserite per noi, perché crediamo nel Figlio suo e Figlio di Dio, e così possiamo conseguire la salvezza. Le parole di Maria non parlano di lei, ma di Gesù; sono testimonianze rese alla persona del Figlio, alla verità e alle parole di salvezza da lui proclamate. L’ESEGESI DEI PADRI DELLA CHIESA. Ho pensato che fosse opportuno elencare i testi della Scrittura prima di dare la parola ai Padri della Chiesa, perché questi si muovono nel quadro della divina 5 rivelazione. Essi sono i portatori di quella tradizione cosiddetta orale, la quale non fa altro che completare e chiarire la tradizione scritta, contenuta nell’Antico e nel Nuovo Testamento. I Padri sono stati i primi lettori, i primi esegeti e i primi predicatori della parola di Dio. Per compiere una simile missione essi hanno ricevuto dal Signore un carisma del tutto speciale. Vogliamo ora ascoltare qualcuno dei loro commenti sulle poche e scarne dichiarazioni con cui Maria ha reso testimonianza a Cristo. I Padri ne hanno sottolineato l’importanza testimoniale, come pure la ricchezza dottrinale e spirituale dei loro contenuti. Non potrò dilungarmi sul contesto in cui si situano le parole stesse; mi limiterò a proporre qualche commento che l’uno o l’altro Padre della Chiesa ha fatto a proposito delle parole di Maria. 1. Come è possibile se non conosco uomo? (Lc 1, 34). Solitamente i Padri scorgono in queste parole una prova forte della fede di Maria, la quale riteneva possibile ciò che l’angelo le aveva annunciato. Ciò che la Vergine chiedeva erano solo le circostanze in cui i fatti si sarebbero verificati e in qual modo ella si sarebbe dovuta comportare nell’evento ineffabile che Dio stesso stava portando avanti con la sua sapienza e onnipotenza. Su questa interpretazione Agostino si è espresso con chiarezza. Mettendo a confronto la risposta di Zaccaria all’angelo con quella di Maria, fa questa osservazione: A Zaccaria è promesso un figlio; anche a Maria è promesso un figlio ed anche lei ha risposto a Gabriele con delle parole che sono quasi le stesse di quelle di Zaccaria….. Ma se simili sono le parole, diverso è il cuore. Con le orecchie sentiamo le stesse voci, ma diverso è il cuore di fronte all’annuncio dell’angelo (Sermone 291). Zaccaria nutriva dubbio e incredulità nel suo cuore; Maria invece si sentiva piena di fede; e Dio che scruta le menti e i cuori, ha castigato Zaccaria rendendolo muto fino alla nascita del figlio, mentre Maria è stata chiamata alla maternità divina per la sua fede, profeticamente esaltata anche dalla cugina Elisabetta: Beata colei che ha creduto (Lc 1, 45). La fede di Maria rende testimonianza anche a noi a proposito della verità e dell’efficacia della parola di Dio, che non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e 6 senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata (Is 55, 11). Nel caso di Maria l’effetto e il frutto è sono stati davvero meravigliosi. Inoltre le parole di Maria: Come avverrà questo?, hanno il merito di aprire la porta alla rivelazione della persona divina dello Spirito Santo e del suo intervento nell’economia della salvezza: Lo Spirito Santo scenderà su di te (Lc 1, 35), risponde l’angelo Gabriele. Un altro Padre della Chiesa, Tito di Bostra († ca. 378), manifesta la convinzione che queste parole dalle quali emerge le fede di Maria, invitano anche noi alla fede nella parola di Dio, pur lasciando nell’oscurità del mistero l’evento da esse annunciato: Il tuo dire, o Vergine, è ben degno di fede, ma il modo è inaccessibile, perché in natura non era mai capitata una cosa del genere (Commento a Luca, TU 21, 1, 144). Tito di Bostra prosegue con una spiegazione abbastanza curiosa, affermando che il Signore sarebbe stato indulgente con Maria, permettendole di chiedere spiegazioni sul concepimento verginale, affinché potesse dare una testimonianza di fede nella Parola di Dio, pur trattandosi di un fatto che non ammette spiegazioni umane. Invece Gregorio di Nissa († 392) decide di toccare una questione ermeneutica abbastanza problematica, quale è quella di conciliare l’accettazione del progetto divino da parte di Maria e la volontà di lei di condurre una vita verginale per la quale si sarebbe impegnata con lo stesso Dio. In occidente anche Agostino interpreta l’interrogativo di Maria all’angelo quale prova di una promessa o voto di verginità. Tornando al Nisseno, nel caso presente egli non si rifiuta di accennare alla testimonianza di qualche tradizione apocrifa che però non nomina. A noi viene subito da pensare al Protovangelo di Giacomo. Ma ecco in sintesi il suo pensiero. Le parole di Maria all’angelo attestano la sua fedeltà alla promessa di verginità fatta a Dio; per cui, mentre l’angelo le annuncia la maternità, ella si preoccupa della verginità. Ascolta le parole dell’angelo ma senza venir meno alle sue convinzioni. Maria dunque testimonia che bisogna essere fedeli alle promesse fatte a Dio il quale, quando ci si rimette 7 alla sua amorevole volontà, sa come risolvere le apparenti contraddizioni che possono insorgere nella nostra vita cristiana (Omelia sul Natale di Cristo, PG 46, 1140-1141). L’angelo infatti ricorda a Maria che nulla è impossibile a Dio. Era pure frequente nei Padri l’idea che Maria, proclamando nel vangelo dell’Annunciazione la sua verginità da lei ritenuta superiore al matrimonio, ha dato alle future generazioni cristiane una inequivocabile testimonianza della divinità di Gesù, perché solo un Figlio di Dio poteva nascere verginalmente. Lo afferma, ad esempio, Epifanio di Salamina: Vergine viene detta propriamente colei che , senza commercio con uomo, ha davvero generato il Verbo di Dio (Panarion 30, 20). Perciò, precisa Giovanni Crisostomo, il parto della Vergine è oggetto di fede, a causa della singolare e trascendente identità del Figlio da lei nato (Cf. Commento alla Genesi 49, 2-3). 2. Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me come hai detto (Lc 1, 38). È la battuta finale di Maria nel colloquio con l’angelo Gabriele. Ella ha creduto alla parola del Signore ed ha meritato di essere illuminata su come si sarebbero svolti i fatti preannunciati dall’angelo. Inoltre non si è limitata ad attendere gli eventi; ha sentito il bisogno di impegnarsi personalmente nel compimento della divina volontà: Eccomi, sono la serva del Signore. Insegna così a noi credenti che di fronte alla volontà di Dio non basta rassegnarsi; bisogna soprattutto collaborare. L’antico martire Giustino († ca. 165) sostiene che Maria, con la sua risposta all’angelo, non solo ha offerto a Dio la sua cooperazione, ma ha testimoniato fede e gioia, derivanti dalla consapevolezza che stavano per compiersi le promesse messianiche ad opera del Dio Salvatore in favore di quelli che si convertono (Cf. Dialogo con Trifone 100). L’accenno alla conversione è un richiamo alla collaborazione con l’iniziativa di Dio. La testimonianza della Vergine Santa vale per noi come altissimo esempio da seguire, dal momento che la parola di Dio è rivolta anche a noi. 8 Se vogliamo riferirci al commento di un autore più tardivo, possiamo citare Esichio, prete di Gerusalemme († 451). In una sua omelia attribuisce all’angelo Gabriele un discorso che vuole essere una parafrasi delle sue parole conservate nel vangelo dell’Annunciazione; e la Vergine santa, con il suo comportamento di fede e di umile accettazione della volontà di Dio, potrebbe rispedire a sua volta le medesime parole al nostro indirizzo. Ecco ciò che Esichio fa dire a Gabriele: Ciò che io appresi, te lo dissi…; oltre a questo nulla posso annunciare. Infatti non mi fu comandato, o Vergine, di dire il come, ma di prestare servizio nell’annunciare il fatto. Ammira dunque il mistero ed accogli senza esitare il lieto annuncio (Omelia I sulla santa Madre di Dio, PG 93, 1453). La risposta di Maria all’angelo è un esempio di come si deve reagire alla rivelazione di Dio: il mistero divino deve essere creduto, non indagato. Un contemporaneo di Esichio, il vescovo Antipatro di Bostra († dopo 457), si permette di fare a Maria un’esortazione valida anche per noi: È Dio che opera; non dubitare. Al che la Vergine risponde: Io sono la serva del Signore, la tavoletta che deve essere scritta. Lo Scrittore vi scriva ciò che vuole; la materia è pronta, faccia l’Artefice quello che vuole… L’angelo accolse le parole della fede e se ne andò… La Vergine non disse: Lascia perdere… io sono vergine… non è ragionevole ciò che mi proponi… ma avendo lei, la spirituale, spiritualmente ascoltato e la santa santamente creduto alle sante parole, rimase ferma nella fede e nell’accettazione dell’annuncio (Omelia sulla Madre di Dio 11) . Secondo l’esegesi di Antipatro, la Vergine dunque insegna che la parola di Dio in certi casi va accolta anche al di là della sua apparente irrazionalità. 3. L’anima mia magnifica il Signore (Lc 1, 46 ss.). Sul Magnificat non possiamo intrattenerci con un commento patristico esteso e dettagliato, perché il tempo non ce lo consentirebbe. Vorrei soltanto fare qualche riferimento che ci consenta di vedere come qualche Padre abbia colto l’intenzione che la Vergine ha avuto nell’indirizzare questo stupendo cantico a quel Dio che ha scelto lei, come prima aveva scelto Israele, per attuare i suoi disegni di salvezza. Proviamo a metterci brevemente all’ascolto dei Padri per apprendere quello che essi hanno imparato dall’ascolto di questo testo con cui Maria esprime lode incondizionata al Signore, salvatore del suo popolo, e umile 9 riconoscenza per la misericordia infinita con cui ha operato in lei le grandi cose connesse con la vocazione alla divina maternità. Il Magnificat è l’unico discorso abbastanza prolungato che i vangeli mettono sulla bocca della Vergine. Non intendo fare qui una critica testuale del cantico, né toccare la questione dell’autore di questo testo, se è stata Maria a pronunciarlo o se è stato l’evangelista a comporlo in base a sentimenti che la Vergine stessa gli avrebbe confidato. Noi vogliamo coglierne semplicemente i contenuti. Possiamo iniziare ricordando il commento del grande Origene († 254), che definisce Maria profetessa e qualifica come profetico il discorso di lei, pronunciato quindi sotto divina ispirazione. Come profetessa, certamente Maria ha proclamato parole che si proiettano verso un futuro che sta per realizzarsi; ma lei ha voluto esprimere soprattutto lode, esaltazione e riconoscenza verso il Signore per il suo comportamento nei riguardi di una piccola persona quale ella si reputava. Tuttavia, secondo l’esegesi del teologo Alessandrino, Maria va al di là della sua umile persona per proseguire nella testimonianza delle meraviglie di grazia e di misericordia che Dio ha operato in lei e nel nuovo Israele (noi diremmo la Chiesa). Nel comportamento e nelle parole di Maria, Origene legge un modo tipico di agire adottato dal Signore; modo che consiste nell’abbassarsi verso i piccoli, nel privilegiare la loro semplicità, povertà e umiltà, virtù a lui particolarmente care. Maria lo dimostra non solo con il suo atteggiamento, ma anche con le parole del suo cantico: Ha rovesciato i potenti dai troni ed ha esaltato gli umili (Lc 1, 52). Origene si chiede: Su quale umiltà di Maria il Signore ha rivolto il suo sguardo? Che cosa aveva la Madre del Signore di umile e di basso, ella che portava nel seno il Figlio di Dio? E risponde insistendo sul fatto che Dio rivolge uno sguardo di predilezione alle virtù dell’uomo, tra le quali è primeggia l’umiltà; anzi vede nell’umiltà una specie di sintesi di tutte le virtù Dicendo: Ha guardato l’umiltà della sua serva, è come se dicesse: Ha guardato la giustizia della sua serva; ha guardato la sua temperanza; ha guardato la sua fortezza e la sua sapienza… Dio mi ha guardata perché sono umile e ricerco le virtù della mitezza e del nascondimento (Commento a Luca, omelia VIII). 10 Possiamo dire che con il Magnificat la Vergine santa ha squarciato il velo che nascondeva la sua vita interiore per testimoniare la grandezza e la misericordia di Dio. Al di sopra delle sue inclinazioni e preferenze interiori, ella mette Dio al primo posto. Tra i Padri latini possiamo citare Ambrogio, che pur collocandosi sulla linea ermeneutica di Origene, dimostra di saper pure sviluppare un suo pensiero esegetico personale. Come Origene, considera il Magnificat un testo profetico, non solo perché la Vergine ha visto la sua sorte proiettata nel futuro (Tutte le generazioni mi diranno beata), ma soprattutto perché la profezia stessa testimonia la procedura sapiente e provvidenziale che Dio ha adottato per realizzare l’economia della salvezza. Se il peccato è entrato nel mondo per la tentazione e la caduta di una donna, la salvezza ha avuto inizio con la fede e l’ubbidienza di un’altra donna, la Vergine Maria, colei che, pronunciando il Magnificat, ha testimoniato che Dio è fedele alla parola data ad Abramo e ai suoi discendenti e che era ormai giunto il tempo della realizzazione. Ambrogio valuta la portata del messaggio profetico della Vergine Santa paragonandolo all’importanza prestigiosa della sua persona: La pienezza della profezia di Maria corrisponde all’eccellenza della sua persona (Quo persona melior, eo prophetia plenior (In Lucam II, 28). 4. Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo (Lc 2, 48). Segue la risposta di Gesù, che è anche la sua prima parola inserita nei Vangeli dell’Infanzia: Perché mi cercavate? Non sapevate che debbo occuparmi delle cose del Padre mio? (Lc 2, 49). Il tono delle risposta di Gesù ci fa supporre che Maria e Giuseppe sapessero come doveva comportarsi Gesù. Infatti la risposta ha una risonanza retorica. Probabilmente quello che Maria e Giuseppe non sapevano era il comportamento che avrebbero dovuto tenere loro stessi in simili circostanze. 11 In questo quadro evangelico, pervaso da un certo spirito di famiglia e da un’atmosfera di trascendenza , appare rilevante l’intervento di Maria, perché ha offerto al Figlio l’occasione di tracciare un breve schizzo della sua identità personale. Egli ha di fronte una coppia di sposi: lei è la sua madre terrena, lui è lo sposo di sua madre ma non è il suo padre carnale. Gesù infatti parla di un altro Padre, del suo vero Padre, cioè il Padre celeste, dei cui interessi egli è venuto sulla terra per occuparsi principalmente. Maria sapeva bene chi era il vero Padre di Gesù: colui che ha operato in lei il miracolo dell’Incarnazione. Per spiegare questo ineffabile mistero, i Padri della Chiesa hanno coniato un assioma che essi frequentemente ripetevano: Nell’eternità il Verbo è stato generato dal Padre senza madre; nel tempo è stato generato dalla Madre senza padre. La parola di Maria al Figlio, mentre questi stava discutendo con i dottori nel tempio, ha contribuito ad aprire uno squarcio indescrivibile nel mistero del Verbo Incarnato. Lei stessa, protagonista di questo mistero e donna dalla fede incrollabile, insegna ad accogliere la parola della salvezza, come ha fatto lei stessa: Sua Madre serbava tutte queste cose nel suo cuore (Lc 2, 51). A proposito di questo scambio di battute tra Maria e Gesù, trovo di notevole interesse il commento fatto da un testo davvero appassionante, anche se ci sono problemi sulla sua paternità. Si tratta di una specie di biografia della Vergine che il manoscritto in lingua georgiana attribuisce al celebre teologo e mistico Massimo il Confessore († 662). La versione georgiana fatta sull’originale greco scomparso, è firmata da un noto traduttore, Eutimio Agiorita, monaco del Monte Athos, vissuto intorno al Mille, il quale attribuisce la paternità del testo a Massimo il Confessore. Il compianto Padre Michel van Esbroeck, che ha pubblicato recentemente questa Vita di Maria, si è pronunciato pure per Massimo il Confessore. Ad ogni modo, chiunque sia l’autore, il testo si fa leggere con viva attenzione e interesse. 12 Nella descrizione della scena del ritrovamento nel tempio di Gerusalemme, la risposta del dodicenne Gesù all’interrogazione angosciata della Madre si presenta così parafrasata: L’amabile e dolce Signore fece comprendere la verità alla Madre beata: fece conoscere il suo vero Padre; e affinché non lo considerassero solamente come un uomo, ma come Dio incarnato, disse che la casa del Padre, che è il tempio, gli appartiene, come tutto ciò che è del Padre è anche del Figlio (Vita di Maria 61). Sorprendente l’accenno alla casa del Padre. Con questo dettaglio l’autore sembra appoggiare una variante del NT greco presente in qualche codice: Non sapevate che devo stare nella casa del Padre mio? (BJ). La risposta di Gesù, secondo il testo, aveva sicuramente un intento pedagogico, perché Maria e Giuseppe non potevano raggiungere da soli la comprensione perfetta della verità. Il Figlio intendeva preparare la Madre al compito della testimonianza. E infatti l’evangelista Luca probabilmente ha appreso da Maria e inserito nel suo Vangelo certi messaggi provenienti dalla vita e dalla predicazione di Cristo, soprattutto quelli relativi alle vicende dell’infanzia di lui. 5. Non hanno più vino (Gv 2, 3)… Fate quello che vi dirà (Gv 2, 5). Le ultime parole di Maria, riportate dal vangelo, sono quelle da lei pronunciate in occasione delle nozze di Cana. Sono due suoi brevissimi interventi. Nel primo si rivolge al Figlio quasi per presentargli una richiesta sottintesa; nell’altro intervento si rivolge ai servitori del banchetto nuziale per esortarli ad eseguire le direttive che avrebbero ricevuto da Gesù. Le parole indirizzate ai servitori non pongono particolari problemi esegetici, salvo che Gesù, ordinando ai servitori di riempire le sei giare di acqua, sembra contraddire la risposta che egli stesso aveva dato alla Madre. Al contrario questa risposta alla Madre ha suscitato nei cultori della critica testuale reazioni ermeneutiche senza fine. I Padri e gli antichi scrittori cristiani preferiscono spiegazioni più semplici, ma che vanno diritte al cuore del credente. Se vogliamo rimanere nel genere letterario della biografia, possiamo invocare la testimonianza di un autore del periodo bizantino, Simeone 13 Metafraste († ca. 1000), che nel suo Sinassario per la Dormizione della Madre di Dio racconta la vita di lei e ricorda anche l’episodio delle nozze di Cana, con un commento improntato a grande semplicità e senso pratico. Scrive, a proposito dell’intervento di Maria: Cosa dice al Figlio? “Non hanno più vino”. Ebbene, pur sapendo che è suo Figlio, non dimentica che è anche il suo Creatore. Perciò anche se le fa piacere mostrarsi madre di un simile Figlio e ringraziare con il suo intervento quelli che l’hanno invitata al banchetto, tuttavia gli chiede di operare il miracolo in modo rispettoso e prudente. Per questo dice ai servitori: “Fate quello che vi dirà”. La Vergine quindi ben conosce il potere straordinario del Figlio, perché fin dalla nascita ha visto cose strabilianti e prodigi che ella ha sempre conservato nel suo cuore (Vita di Maria 28). In questo passo notiamo che, a proposito della Vergine, Metafraste fa un’osservazione che deve tradursi nella pratica della vita cristiana. Prescindendo dal piacere che una madre prova nel rimanere accanto al proprio figlio e nell’ascoltare le sue parole, Maria si dimostra consapevole di avere a che fare con il suo Dio, il quale sembrava aver opposto un rifiuto alla sua richiesta. Senza sentirsi delusa, mantiene un contegno rispettoso e prudente, ma non rinunciatario. Questo spiega le sue parole ai servitori. Ella deve aver capito, nella risposta di Gesù, qualcosa che a noi sfugge. La sua insistente perseveranza è una lezione per noi. Quante volte le risposte di Dio alle nostre preghiere nascondono qualcosa di incomprensibile, che a noi potrebbe apparire un vero e proprio rifiuto. Maria testimonia che la parola di Dio è sempre un dono, una grazia per noi, che esige fede e rispetto, ma anche fiducia incrollabile. Gli aspetti misteriosi di questa parola non significano che il Signore ci volta le spalle; possono essere semplicemente un richiamo ad affidarci totalmente alla sua misericordia e alla sua provvidenza piena di amore. E con questa bella lezione che ci viene dalla Vergine possiamo concludere questa nostra riflessione. Luigi Gambero sm