L´esperimento danese per fare sentire i rifugiati a casa. (di Carine

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L´esperimento danese per fare sentire i rifugiati a casa. (di Carine
Fonte
Data
Internazionale 19 agosto
2015
Web
http://www.internazionale.it/reportage/2015/08/19/danimarcarifugiati-migranti
L’esperimento danese per fare sentire i rifugiati a
casa
di Carine Fouteau (traduzione di Giusy Muzzoppappa)
Tutto è cominciato nell’autunno del 2014 a Hjørring, un comune nello Jutland, nella
Danimarca del nord. Mads Nygård lavorava in un centro di accoglienza per richiedenti
asilo: cinquecento persone di 25 nazionalità diverse avevano trovato rifugio nei bungalow
in legno di un ex campeggio, rimesso in funzione per l’occasione.
L’afflusso di profughi in fuga dalla Siria o dal Corno d’Africa cominciava a essere visibile e
a creare tensioni in questo paese di 5,6 milioni di abitanti che ha accolto 14.680 richiedenti
asilo nel 2014, il doppio rispetto al 2013, cifra che fa della Danimarca uno degli stati
membri dell’Unione europea più ospitali in rapporto alla popolazione.
Le domande per ottenere protezione nel paese ottengono risposte piuttosto rapide (tra i tre
e i quattro mesi per siriani ed eritrei). I richiedenti sono inoltre indirizzati verso un centro
di accoglienza, e per questo, a differenza di quanto accade in altri paesi, sono rare le
persone costrette a vivere per strada.
L’iniziativa si basa sull’idea che i rifugiati non
vogliono la carità
Nonostante il paesaggio bucolico e il quadro legale favorevole, le condizioni di vita erano
difficili in quel centro. Faceva freddo, si avvicinava l’inverno, le abitazioni non erano
particolarmente salubri. In attesa che la loro richiesta di asilo fosse esaminata, i residenti si
annoiavano. “Le uniche attività autorizzate erano i corsi di lingua, cioè il danese, e la
pulizia degli edifici”, ricorda Mads Nygård. “I contatti con la popolazione locale erano
inesistenti”.
Discutendo con i suoi compagni, Nygård si è accorto che gli abitanti della città non osavano
bussare alla porta del centro. Si è convinto dunque di una cosa: i richiedenti asilo non
avevano percorso migliaia di chilometri per vivere chiusi tra di loro e restare isolati,
soprattutto se dovevano poi stabilirsi in Danimarca. Così l’apertura del centro al mondo
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esterno è diventata ai suoi occhi prioritaria. “Mi sono messo in testa di costruire ponti non
solo per consentire ai rifugiati di uscire, ma anche per permettere a noi, i loro vicini, di non
avere più paura di incontrarli”, racconta.
Solidarietà online
È nata così l’associazione Venligboerne (”Abitanti amichevoli”), basata sull’idea che i
rifugiati, siano essi originari della Siria, dell’Eritrea o di altri paesi, non vogliono la carità.
Non hanno lasciato la loro famiglia né hanno rischiato le loro vite per ricevere i sussidi
sociali. “Tutte queste persone hanno molte risorse. Alcune sono molto istruite, altre hanno
delle competenze straordinarie. Tutte sono interessanti a modo loro. Non sono qui perché
gli venga dato qualcosa, ma per scambiare qualcosa. Come tutti quanti, vogliono essere
riconosciute e apprezzate per quello che sono”, commenta.
Dopo aver preso contatti con alcune scuole e asili del quartiere, Mads Nygård si è spinto
fino all’università. Il progetto è decollato: gli studenti stranieri sono stati particolarmente
ricettivi. Facebook si è imposto come lo strumento principale – quasi esclusivo – di
comunicazione dell’associazione Venligboerne, perché il suo uso si è affermato anche tra i
rifugiati, non solo tra gli abitanti del posto. I centri di accoglienza sono equipaggiati con il
wifi e i richiedenti asilo, come la maggior parte dei migranti di tutto il mondo, sono
connessi, soprattutto per necessità, per restare in contatto con i loro familiari.
Tutti possono accedere a Facebook, secondo l’ideatore dell’iniziativa: “Non c’è niente di più
facile che aprire un account. Alcuni profughi, per esempio gli iraniani, diffidano dei social
network perché si preoccupano dei dati che potrebbero essere recuperati dal loro profilo
pubblico. Noi li incoraggiamo a usare identità false”.
Nel giro di pochi mesi sono nati gruppi di volontari in tutto il paese. Ce ne sono ormai 53
che raccolgono 22mila persone, di cui 10.400 a Copenaghen. Ciascun gruppo rappresenta
un luogo in cui condividere esperienze. Nel gruppo nato attorno al centro di Hjørring,
Yechiela, Zeinab, Yeliz e Tareq, tutti richiedenti asilo, scambiano ricordi, raccontano la loro
situazione, offrono i loro servizi, mentre Jette, Annette, Bente e Liv rispondono alle loro
osservazioni, cercano soluzioni, aprono le loro rubriche degli indirizzi.
La tradizione dell’accoglienza non è molto
sviluppata qui. Non è facile farsi accettare
quando si è stranieri
Arrivata in Europa sei mesi fa, dopo essere fuggita dalla Thailandia per motivi politici,
Yechiela lamenta per esempio l’isolamento dei richiedenti asilo e per far sentire la loro
voce propone di aprire una radio all’interno dei centri di accoglienza e di creare una linea
telefonica per consigli di carattere legale. Le rispondono diverse persone, tra cui Tareq,
rifugiato siriano, e Liv, danese, offrendole dei consigli per sviluppare meglio il suo
progetto. Samrawit, originaria di Asmara in Eritrea, è felice degli incontri che può fare
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grazie agli “abitanti amichevoli” e sostiene che proprio grazie ai suoi nuovi contatti la vita
che conduce è meno “stressante e noiosa”.
Gli scambi non restano solo virtuali. I pretesti per incontrarsi di persona sono numerosi:
andare a uno spettacolo, prendere un gelato insieme in un parco di divertimenti, mettere a
disposizione la macchina per un tragitto, badare a turno ai bambini, cucinare gli uni per gli
altri. Vengono proposte attività artistiche di ogni genere.
Solidarietà nel quartiere alla moda
Volontaria della prima ora, Apolline Barra si descrive come una “operaia”
dell’associazione. Questa francese, emigrata in Danimarca due anni fa, ha contribuito a
creare una biblioteca per il centro di accoglienza di Hjørring. “Abbiamo lanciato un appello
su Facebook e sono arrivati libri da tutto il mondo, per esempio dal Marocco, dal Canada,
dalla Russia, dalla Norvegia”, spiega. “Venligboerne è un tentativo di federare gli atti di
buona volontà”, aggiunge. “La creazione di questo gruppo è una cosa buona, perché la
tradizione dell’accoglienza non è molto sviluppata in Danimarca. Questo paese non ha una
lunga storia di immigrazione. Non è facile farsi accettare quando si è stranieri”.
L’ultima iniziativa in ordine di tempo è l’apertura a Copenaghen di un bar Verligboerne in
un quartiere alla moda della città. Situato in un container, è nato con facilità grazie a una
raccolta fondi lampo (36 ore) di 15mila corone (duemila euro). L’esperienza sarà replicata
in altre città danesi, assicura Mads Nygård, che attualmente si sta dando da fare per il
Budapest project, un viaggio collettivo previsto per il prossimo autunno nella capitale
ungherese, luogo di transito di numerosi rifugiati in viaggio verso il nord dell’Europa.
Su Facebook, Fawaz, rifugiato siriano che ha studiato ad Aleppo, propone idee per dei
volantini da diffondere per “rivolgersi alla società civile locale” presentando in breve la
“cultura del Medio Oriente”. Ne approfitta per raccontare come i preparativi per una festa
nel centro di Hjørring gli abbiano dato l’occasione di conoscere numerose persone, come
capita a “tutte le persone normali”. Riferendosi all’influenza dell’estrema destra in
Ungheria, ricorda di aver partecipato nella sua città a una manifestazione contro il gruppo
Siad (Stop islamization of Denmark).
Relazioni sotto attacco
Le relazioni con la società danese non sono sempre idilliache. Scritte con croci uncinate
sono state trovate di recente nei pressi di un centro di accoglienza. Alle elezioni legislative
del 18 giugno 2015, l’estrema destra ha ottenuto un risultato importante, senza tuttavia
entrare nel governo.
Sotto la pressione di un’opinione pubblica favorevole alla chiusura delle frontiere, il
governo guidato dal partito liberale Venstre (centrodestra) ha irrigidito le sue posizioni
sulle questioni relative ai migranti. Il ministro per l’integrazione Inger Støjberg ha
annunciato il lancio di una campagna in inglese che ha l’obiettivo di scoraggiare i profughi
a stabilirsi in Danimarca. Sono state effettuate delle espulsioni verso l’Italia in base al
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regolamento di Dublino che attribuisce la responsabilità dell’esame della richiesta d’asilo al
primo paese di ingresso nell’Unione europea.
Legami che Venligboerne ha contribuito a creare rischiano di sbriciolarsi. Ormai “attivista
a tempo pieno”, Mads Nygård, che è anche scrittore e giornalista, si scaglia contro la
politica delle autorità danesi ed europee. “Queste persone sono perseguitate da un paese
all’altro, è inammissibile”, esclama. “L’Ue distrugge quello che noi ci sforziamo di
costruire”.
Mads Nygård ha perso il suo lavoro al centro di accoglienza dopo aver organizzato una
festa di Natale, il 7 gennaio del 2015, per un gruppo di rifugiati eritrei ed etiopi che
avevano espresso il desiderio di ritrovarsi insieme. “Abbiamo trovato una chiesa in mezzo
al nulla, dove si sono riunite 125 persone”, racconta. “Abbiamo concluso la festa ballando”.
Con l’amministrazione – statale e locale – mantiene rapporti quanto più possibile
distaccati. “Non chiediamo sovvenzioni pubbliche che ci obbligherebbero a rendere conto.
Preferiamo rivolgerci a donatori privati, che si impegnano in un progetto e che ci
consentono di muoverci rapidamente”.
Da allora il centro di accoglienza è stato smantellato. I rifugiati sono stati trasferiti in
aperta campagna. Oggi occupano un’ex casa di riposo nel villaggio di Hæstrup Mølleby.
L’amministrazione pubblica ha giustificato questa collocazione affermando che i residenti
avevano bisogno “di tranquillità e di pace”. Mads Nygård non è d’accordo. Secondo lui
questo posto è troppo isolato per rifugiati che hanno “soprattutto bisogno di vita”.
Questo reportage è stato pubblicato su Mediapart all’interno del
progetto#OpenEurope, un osservatorio sulle migrazioni a cui Internazionale
aderisce insieme ad altri nove giornali. Gli altri partner del progetto sono
Mediapart (Francia), Infolibre (Spagna), Correct!v (Germania), Le Courrier
des Balkans (Balcani), Hulala (Ungheria), Efimerida ton syntakton (Grecia),
VoxEurop, Inkyfada (Tunisia), CaféBabel.
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