Armi, bracconiere patteggia due anni - Create-Net
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Armi, bracconiere patteggia due anni - Create-Net
5 Trento e Provincia Corriere del Trentino Martedì 27 Marzo 2012 TN Giustizia Stralciata la posizione del cacciatore di Baselga, sarà sentito oggi. Nella baita di montagna trovati 55 candelotti di dinamite Armi, bracconiere patteggia due anni Niente sospensione della pena per Stefano Bernardi. Il fratello rischia una stangata TRENTO — Armi «clandestine», fucili con il silenziatore, pistole di grosso calibro e ancora 55 candelotti di dinamite, miccia detonante e detonatori. Non stiamo parlando di una Santabarbara, un magazzino di esplosivi e munizioni, ma delle case di montagna dei fratelli Bernardi, Stefano e Fabio, di Baselga di Piné, arrestati sabato mattina dal Corpo forestale trentino durante una delicata operazione in val di Ledro. È un vero e proprio arsenale quello scoperto dagli uomini della forestale di Pergine, Levico e Baselga di Piné, guidati dai vicequestori aggiunti Giorgio Zattoni e Massimiliano Unterrichter, in alcune baite in uso ai due fratelli e ora il più giovane, Fabio Bernardi, incensurato, rischia a una vera e propria stangata. Sarebbe sua, infatti, la posizione più delicata. La Procura gli contesta la violazione delle leggi 895 del ’67 e 110 del ’75 sulle armi, normative piuttosto severe, che affondano le radici negli anni di piombo, e prevedono pene pesanti, anche fino a otto anni di reclusione. Al cacciatore di Baselga di Piné viene contestato anche il reato di porto abusivo d’arma. Accuse che pesano come un macigno per il cacciatore trentino, ma che ovviamente dovranno essere tutte dimostrate. L’uomo, difeso dall’avvocato Antonio Coradello, che difende anche il fratello Stefano Bernardi, respinge la paternità del materiale esplosivo. I 55 candelotti sarebbero stati trovati sotto la tettoia di una vecchia legnaia in un buco; si tratta di materiale risalente alla fine degli anni ’70, secondo la perizia effettuata dagli artificieri dei carabinieri, che hanno già provveduto a farlo brillare, e sarebbe in cattivo stato di conservazione. Ciò significa, almeno secondo la versione del cacciatore, che l’esplosivo era abbandonato nella legnaia da moltissimo tempo, forse ancora prima dell’acquisto, nel 2006, della casa di montagna. Ma a Bernardi viene contestata anche una serie di reati venatori. Gli agenti del Corpo forestale, durante la perquisizione durata fino a tarda sera, hanno trovato varia selvaggina, anche imbalsamata, appartenente a specie protette: esemplari di gallo cedrone, scoiattoli, marmotte e corna di stambecco. La posizione dell’uomo, che al momento è ancora ai domiciliari, è stata stralciata e gli atti verranno con tutta probabilità rinviati alla Procura di Trento per competenza territoriale. Per questa mattina a Rovereto è stato fissato l’interrogatorio di convalida dell’arresto davanti al gip. Intanto ieri mattina il fratello Stefano, da tempo nel mirino del Corpo forestale trentino, già condannato in passato per vicende analoghe e ritenuto «pericoloso» dalla questura che aveva firmato un divieto assoluto di porto e detenzione di armi, ha chiuso i conti con la giustizia con un patteggiamento a due anni per porto abusivo d’armi. Una pena che ora rischia di scontare. Il giudice, infatti, non gli ha concesso la sospensione condizionale della pena in quanto ne aveva già beneficiato in passato. Ma la delicata indagine non è ancora chiusa. Gli agenti della Forestale, che sabato hanno lavorato in stretta sinergia anche con il guardiacaccia, stanno effettuando ulteriori accertamenti. Dafne Roat © RIPRODUZIONE RISERVATA L’operazione Da sinistra il vice questore aggiunto Giorgio Zattoni, i colleghi del Corpo forestale trentino e parte della selvaggina e delle armi sequestrate L’indagine Operazione congiunta di carabinieri e polizia locale a Moena. Indagato un quarantaseienne Nei guai per l’arsenale nascosto in casa TRENTO — A inizio marzo il danneggiamento. Un episodio strano su cui si era subito concentrata l’attenzione dei carabinieri e della polizia locale. Un imprenditore di origini mantovane, maestro di sci, aveva sentito un botto, un rumore forte che lo aveva subito fatto accorrere alla finestra. Sulla strada non c’era nessuno, ma sul vetro c’era un foro circolare, forse prodotto da un pallino di un’arma ad aria compressa. Un avvertimento? Forse. Ma non si poteva escludere neppure il dispetto. Erano partite da qui le indagini dei militari della stazione di Moena e ora, a distanza di una quindicina di giorni, a casa di un quarantaseienne del posto, disoccupato, hanno trovato un ar- senale: un arco con quindici frecce con punte in vari metalli, una fionda piccola per sfere calibro 9, un coltello machete Gurkha, lungo oltre 21 centimetri, una bomba a mano Ananas di- sattiva, una baionetta austriaca e una italiana post bellica, più munizionamento di vario tipo, compreso un 7,62 Nato e sei colpi. Un piccolo arsenale che l’uomo teneva tranquilla- Sequestrati Le armi trovate a casa del quarantaseienne di Moena. Scoperta anche una bomba a mano disattiva Nuove tecnologie Interessato un miliardo di Smartphone e tablet. Armando: «Sicurezza fondamentale» Fbk neutralizza il «baco» di Android Team con Padova e Genova scopre il difetto. Google aggiornerà il software TRENTO — Un baco, in inglese «bug», insetto: ovvero un insidioso errore nella scrittura di un software che può causare comportamenti imprevisti del programma e che può esporre il computer su cui opera ad attacchi informatici. Lo ha trovato in Android, il sistema operativo sviluppato da Google e base di molti smartphone e tablet pc, un gruppo di ricercatori italiani di cui è parte il trentino Alessandro Armando, responsabile dell’Unità di ricerca Security and trust della Fbk. L’errore è stato riscontrato qualche mese fa dal team composto da Armando e da Alessio Merlo di E-campus, Mauro Migliardi, del dipartimento di Ingegneria dell’informazione dell’Università di Padova e Luca Verderame del Dist dell’Università di Genova. Il baco individuato nel sistema operativo di Google consiste in un problema di «vulnerabilità», spiegano i ricercatori, che «si basa su un difetto nel controllo della comunicazione tra applicazioni e componenti vitali di Android che permette di esaurire sistematicamente le risorse di memoria del dispositivo mediante la generazione di un numero arbitrariamente grande di processi: «Il principio fondamentale della sicurezza di Android è infatti la totale separa- zione tra le applicazioni pensata per garantire che ognuna di queste non possa inficiare il funzionamento delle altre». In parole povere gli studiosi hanno individuato un buco nelle maglie della programmazione del sistema che, violando la divisione su cui esso è basato, consente ad eventuali malware (software malevoli) di installarsi sul dispositivo bloccandone di fatto il funzionamento. Un’aggravante del problema è costituita dal fatto l’applicazione pensata per sfruttare il bug potrebbe inserirsi nel sistema senza richiedere alcuna autorizzazione e «lasciando l’utente particolarmente disarmato». Una volta individuata, la vulnerabilità è stata segnalata dagli studiosi all’Android security team. Armando, Merlo, Migliardi e Verderame hanno inoltre trovato e proposto una soluzione al problema che sarà contenuta nella prossima release di aggiornamento del sistema operativo. «Dati recenti parlano di un’attivazione di 850.000 dispositivi Android al giorno e tra pochi anni si potrebbe avere un parco di dispositivi a livello mondiale dell’ordine del miliardo — ricorda Armando —. Avere la garanzia che i sistemi siano sicuri e che non ci siano fughe di notizie o di informazioni sensibili è fondamentale». Oltre a garantire li funzionamento degli smartphone e dei tablet di centinaia di milioni di utenti, la soluzione del team sarà pubblicata negli atti del ventisettesima conferenza internazionale dedicata alla sicurezza e alla privacy nell’uso delle Ict («27th International Information Security and Privacy Conference») che si terrà dal 4 al 6 giugno a Heraklion, Creta. Marta Romagnoli © RIPRODUZIONE RISERVATA Il ricercatore Il trentino AlessandroArmando, responsabile dell’unità di ricerca Security and trust della Fbk che ha scoperto il «baco» di Android La missione Ricerca e sviluppo, intesa con Israele TRENTO — Ricerca e sviluppo industriale nel settore dell’information technology, delle biotecnologie e delle energie rinnovabili sono al centro dell’accordo firmato a Tel Aviv tra il governatore trentino Lorenzo Dellai e il ministro dell’Industria, commercio e lavoro del governo israeliano, Shalom Simhon, che ha ricordato come accordi del genere normalmente «sono siglati da Israele con Stati nazionali e il Trentino è una delle poche regioni al mondo con cui è stato sottoscritto». Alla missione partecipano anche dieci aziende hi-tech trentine che hanno cominciato ieri gli incontri di business con alcuni tra i principali «player» commerciali e tecnologici israeliani. L’obiettivo della trasferta è strutturare ulteriormente i rapporti scientifici e tecnologici con Israele, rafforzando la cooperazione nel campo commerciale e della ricerca industriale attraverso progetti bilaterali che vedano coinvolti centri di ricerca e imprese trentine e israeliani. Nella delegazione sono rappresentate l’università di Trento, la Fondazione Edmund Mach, la Fondazione Bruno Kessler, Create Net e 10 tra start up e spin off trentine presenti per un programma personalizzato di incontri di business. Tra gli incontri di ieri della delegazione scientifica (che include Carla Locatelli per l’Università, Francesco Salamini per la Fondazione Mach; Oliviero Stock per Fbk, Imrich Chlamtac per Create-Net), la visita alla Medic4all, una delle principali realtà imprenditoriali al mondo nel campo della telemedicina, all’incubatore tecnologico Lab One. mente in casa senza, a quanto pare, aver mai denunciato nulla. L’uomo è stato denunciato per detenzione illegale di armi e munizioni; il pm Giuseppe De Benedetto ha aperto un fascicolo, ma i guai per il quarantaseienne potrebbero non essere finiti. I carabinieri stanno infatti cercando di fare luce anche sul danneggiamento subito dal maestro di sci mantovano. Dietro all’episodio ci sarebbe infatti proprio il quarantaseienne con il quale ci sarebbe stato un piccolo screzio. L’uomo, forse per «vendicarsi», avrebbe lanciato, probabilmente con una fionda, il pallino contro la finestra del malcapitato rompendo il doppio vetro. D. R. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il caso Valsugana, vittima un farmacista Vende il Suv di lusso Truffa da 46.000 euro TRENTO — Auto così, anche se usate, costano davvero care. Qualche decina di migliaia di euro. D’altronde si tratta di un Suv di lusso, molto gettonato e non per tutte le tasche. Auto da sogno. Così l’annuncio pubblicato su quel bel Range Rover Evoque usato, tenuto benissimo, pochi chilometri, al prezzo di 46.000 euro, era inevitabile che attirasse l’attenzione di qualche appassionato. Peccato che avrebbe attirato anche l’interesse di un truffatore. L’uomo, un palermitano residente a Brescia, dopo aver letto l’annuncio sulla vendita del bel Suv, pubblicato su internet, si sarebbe subito messo in contatto con il venditore, un farmacista della Valsugana. I primi accordi al telefono, poi l’incontro. Il palermitano, dopo aver stretto i primi accordi al telefono, il 15 marzo scorso si sarebbe presentato dal farmacista per vedere l’auto. Una volta visionata avrebbe detto al farmacista che era davve- Il Suv La Range Rover Evoque ro interessato all’affare e che avrebbe pagato subito onde evitare di rischiare di perderla. Così ha consegnato nelle mani del venditore un assegno circolare da 46.000 euro. Contento di aver concluso l’affare il farmacista ha consegnato le chiavi e l’auto all’uomo che si è subito allontanato. Peccato che quando il malcapitato venditore si è presentato in banca per cambiare l’assegno si è accorto che il titolo era falso. All’uomo non è rimasto altro da fare che presentare denuncia ai carabinieri. D. R. © RIPRODUZIONE RISERVATA