Il dottorato di ricerca in Italia
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Il dottorato di ricerca in Italia
politiche universitarie Il dottorato di ricerca in Italia: un confronto con l’Europa Angelo Spadaro I numero di iscritti ai corsi di dottorato (fig. 1). l dottorato di ricerca, costituito in Italia nel 1980 (D.P.R. 382/80), conferisce il più alto grado di istruzione dell’ordinamento accademico italiano. Il titolo di dottore di ricerca corrisponde, anche se non ufficialmente, al titolo di “Philosophiae Doctor” (PhD) dei paesi anglosassoni. L’Italia, nel contesto europeo, riguardo al numero dei dottori di ricerca (DdR), si colloca in una posizione di coda quando si confronta il loro numero sia rispetto alla popolazione totale sia rispetto alle unità di forza lavoro. A partire dall’anno 2000 si è però registrato un incremento nel numero dei DdR e nel DdR e università Il titolo di dottore di ricerca fu inizialmente ideato esclusivamente per l’accesso alla carriera accademica. Infatti, la legge precedente (art. 5, L. 341/90) istituiva il DdR come «titolo accademico valutabile unicamente nell’ambito della ricerca scientifica». La normativa presente (art. 4, L. 210/98) invece recita: «I corsi per il conseguimento del DdR forniscono le competenze necessarie per esercitare, presso università, enti pubblici o soggetti privati, attività di ricerca di alta qualificazione». DdR per milione di abitanti (2001) Svezia Finlandia Germania UK Austria Francia Spagna Irlanda Paesi Bassi Danimarca Italia 305 71 0 176 160 149 158 168 100 241 230 200 300 400 500 DdR per milione di abitanti - var. % 2000-2001 UK Italia Irlanda Svezia Francia Spagna Austria Paesi Danimarca Germania Finlandia -20 4 Figura 1. Confronto numeri DdR italiani vs stati europei (Fonte OECD) DdR per 1000 unit di forza lavoro (2001) 381 346 Svezia Finlandia Germania UK Austria Francia Spagna Irlanda Paesi Bassi Danimarca Italia Lo sbocco nella carriera accademica dei DdR è stato purtroppo insufficiente; infatti, i posti di ricercatore messi a concorso sono stati quasi costantemente al disotto del numero dei DdR licenziati dalle università. Ad esempio, nel 2002 sono stati banditi 2145 posti di ricercatore non riservati, mentre i DdR erano 4341. Inoltre, lo Stato ha fatto perdere al titolo di DdR quella preferenzialità per cui era stato concepito: la normativa attuale (L. 210/98 e DPR n. 390/98) ha eliminato i 0.7 0.8 0.6 0.5 0.5 0.4 0.4 0.3 0.3 0.3 0.2 0.0 0.2 0.4 0.6 0.8 Iscritti a corsi DdR var. % 1999-2001 24.23 14.52 12.88 10.76 7.98 6.67 Italia Paesi Bassi Irlanda Finlandia Austria Svezia Danimarca Francia Spagna UK 3.6 1.28 -1.75 -2.87 -5.21 -10 0 10 20 30 69.5 37.5 -0.1 -0.1 8.9 7.8 17.1 -1.5 -3 -8.1 -20 0 20 40 60 80 do ad essi vantaggiose prospettive di carriera. In Italia, il numero di ricercatori per mille lavoratori è il più basso d’Europa (IT=2.8, EU=5.4 USA=8.1, Giappone=9.3) e si investe in ricerca l’1,07% del PIL (EU=1.9, USA=2.7 Giappone=3). Altra nota stonata è il sistema salariale; infatti la retribuzione dei dottorandi, rispetto agli standard europei, è molto bassa: circa 827-850 € mensili netti (sino al 1998 era di circa 560 €); inoltre, il trattamento pensionistico è insoddisfacente. 10 punti garantiti ai DdR nei concorsi per ricercatore, unico valore del titolo dato dalla normativa scorsa, e lascia alla discrezionalità delle commissioni la valutazione del titolo, mettendolo sullo stesso piano di altre borse di studio per attività di ricerca. Il recente DDL Moratti, in controtendenza rispetto alle strategie europee, prevede che la figura del ricercatore vada ad esaurimento e venga sostituita da contratti a tempo determinato 5+5, rendendo così meno appetibile sia il DdR che la carriera universitaria. Secondo le recenti risoluzioni del Consiglio Europeo (Lisbona 2000, Barcellona 2002 e Bruxelles 2003), al fine di conseguire un più elevato grado di competitività e crescita economica, l’investimento nella ricerca deve crescere progressivamente sino a raggiungere il 3% del PIL entro il 2010. Nel frattempo il numero dei ricercatori in Europa deve crescere di 700.000 unità. A tal scopo ogni stato europeo deve far sì che i ricercatori restino nella professione e nello spazio europeo della ricerca, assicuran- Sbocchi professionali dei DdR L’analisi degli sbocchi dei DdR italiani potrebbe dare importanti indicazioni sulla domanda del mercato del lavoro. Sfortunatamente, al momento non sono disponibili dati completi sulla situazione occupazionale italiana dei DdR. La dott.ssa Paola Ungaro dell’ISTAT, da noi intervistata, ci ha informato che a breve partirà un “progetto pilota” per l’analisi degli sbocchi dei DdR in Italia. A livello internazionale è stato da poco istituito l’Expert Europa Italia 5.2 6.0 Francia 4.3 11.6 6.4 63.0 6.0 31.4 36.0 Paesi Bassi 5.0 Svezia Ricerca Universitaria 11.3 3.1 25.2 39.0 14.8 20.3 Germania 6.4 2.0 33.0 17.0 10.7 11.0 1.7 Regno Unito 1.0 5.0 15.7 Figura 2. Sbocchi professionali DdR in fisica italiani vs stati europei (Fonte EUPEN) 7.0 3.6 43.6 Group on Careers of Doctorate Holders (CDH) che coinvolge OECD, UNESCO ed EUROSTAT, in cui l’Italia è rappresentata dall’ISTAT. Dettagliate informazioni sugli sbocchi dei DdR in fisica in 24 paesi europei sono fortunatamente disponibili grazie ad una indagine condotta dall’EUPEN (European Physics Education Network) per l’anno accademico 1999-2000 (fig. 2). I dati per l’Europa indicano che il 44% dei DdR rimane nelle università, mentre il 36% va nel settore privato (di cui 20% nella ricerca). Andando a considerare i singoli paesi salta subito all’occhio la netta preferenza in Italia per l’attività di ricerca in ambito universitario (63%) rispetto alla scarsa domanda DdR da parte dell’industria (11%). Negli altri paesi europei abbiamo un minore sbocco nella ricerca universitaria ed un corrispondente maggiore impiego nell’industria. Infatti, in Francia, Regno Unito, Germania, 3.7 23.3 3.6 5.2 8.4 2.7 Ricerca Industriale 10.0 33.3 Impiegati Azienda 11.6 43.6 15.7 35.0 Insegnamento Universit à 20.3 Insegnamento Scuola II 30.3 30.0 28.7 48.3 Altro 5 politiche universitarie Figura 3. Variazione spesa per R&S dell’industria italiana vs stati europei (1990-2001) (Fonte EC DG Research, Key Figures 2002) Variazione %%spesa per R&S Variazione spesa per R&S nell’industria 1999-2001 nell’industria 1990-2001 Austria-16.8 Italia -15.4 Spagna UK Germania Francia Olanda Svezia Danimarca Finlandia Irlanda -20 -6.1 -5.3 -1 6.0 6.6 9.6 11.4 13.3 21.5 -10 0 10 20 30 DENOMINAZIONI A MAGGIOR FREQUENZA NEL XVI CICLO Corso di Dottorato Informatica Scienze della Terra Scienze Farmaceutiche Neuroscienze Filosofia Matematica Scienze Chimiche Fisica 160 denominazioni oltre 800 denominazioni N° sedi 10 11 11 13 13 14 22 27 almeno 2 1 Tabella 1. Fonte CNVSU [12] Paesi Bassi e Svezia l’impegno dei DdR nelle università risulta essere diminuito e varia dal 25% (Germania) al 39% (Regno Unito), mentre nelle aziende private la percentuale di DdR va dal 28% dei Paesi Bassi al 48% della Svezia. In Germania (35%) e nei Paesi Bassi (30%) è molto significativo lo sbocco in aziende, seppur con incarichi non di ricerca. Da questi dati emerge che il problema più drammatico dei DdR italiani è la ristrettezza di sbocchi professionali fuori dell’università e sbalordisce che ciò non sia mai stato preso in considerazione dallo Stato e dagli ambienti accademici. All’estero i PhD sono considerati una risorsa umana 6 molto importante e per essi nell’industria, negli enti di ricerca di stato o privati, negli ospedali, nelle scuole, nel giornalismo etc., vengono riservati posti preferenziali e trattamenti economici commisurati al livello di specializzazione e formazione acquisito. Il settore privato In Italia, nel settore privato il titolo di DdR può rappresentare addirittura un fattore negativo: l’industria tratta spesso il DdR come un neolaureato più vecchio, non riconoscendo o non rendendosi conto delle sue capacità organizzative e delle esperienze acquisite attraverso ricerca, stage all’estero, collaborazioni e partecipa- zione a congressi, quasi sempre in ambito internazionale. Gli anni di sacrifici, anche economici, spesi nella ricerca universitaria spesso si traducono in un danno, dato il ritardo con cui i DdR arrivano sul mercato del lavoro. Il trend negativo di crescita della spesa per ricerca e sviluppo nell’industria (1990-2001) evidenzia il disinteresse per la ricerca da parte dell’imprenditoria italiana, formata in maggioranza da piccole e medie imprese, che esportano prodotti a basso contenuto tecnologico. Occorre però sottolineare che in Italia molti corsi di dottorato sono orientati a settori di ricerca particolarmente circoscritti e troppo specialistici, tali da ostacolare il reclutamento al di fuori dell’ateneo. Ad esempio, i 1520 corsi attivati per il XVI ciclo riportano soltanto 8 denominazioni comuni a più di 10 sedi. Poi si riscontrano oltre 1000 diverse denominazioni, di cui 160 comuni ad almeno due corsi e oltre 800 uniche. Bisogna dire che il governo, con timidi e disarticolati tentativi, ha cercato di favorire l’inserimento dei DdR nel tessuto imprenditoriale attraverso agevolazioni e sgravi fiscali per le aziende. Tra questi ricordiamo, ad esempio, l’ex D.M. 8 agosto 2000 (art. 14) per il quale, sorprendentemente, le domande pervenute al MIUR da parte delle imprese per ottenere le agevolazioni sono risultate nel 2001 soltanto 91. Il dato è sconcertante se si pensa che attraverso questa facilitazione il costo mensile di un DdR, per l’impresa, ammonta a poco più di 500 euro. Abbiamo sentito il parere di alcune realtà industriali che svolgono attività di ricerca avanzata, come Bausch&Lomb Oftal, SIFI e STMicroelectronics, riguardo al numero di DdR in organico, alla preferenzialità del titolo di DdR per l’assunzione e agli eventuali incentivi economici riconosciuti ai DdR assunti. Secondo il dott. Mangiafico, responsabile della ricerca europea di Bausch&Lomb la decisione strategica di investire nello sviluppo di farmaci altamente innovativi implica la necessità di reclutare in maniera sempre più oculata il capitale umano: «Nel processo di selezione del personale, che operi o no nei laboratori di ricerca e sviluppo, si è cominciato ad attribuire un gran peso all’esperienza formativa del candidato. Quindi un maggiore riconoscimento del DdR è scontato ed è ulteriormente avvalorato dal fatto che Bausch&Lomb è un gruppo multinazionale americano e negli USA tradizionalmente i PhD sono considerati risorse preziose. Gli ultimi due ricercatori assunti dal gruppo italiano sono stati due DdR dell’università di Catania». Presso SIFI attualmente sono presenti in organico 10 DdR su un totale di 346 dipendenti. In questa azienda il DdR viene valutato molto positivamente e per le posizioni in RS&I (Ricerca, Sviluppo e Innovazione) rappresenta un requisito preferenziale. Riguardo gli aspetti retributivi, le esperienze maturate nel corso del dottorato vengono tenute in considerazione nel sistema di total reward con cui l’azienda computa lo stipendio dei neoassunti. In STMicroelectronics il titolo di DdR è un elemento distintivo ma non costi- tuisce alcun titolo preferenziale per l’assunzione. Il settore pubblico Non sono mai stati creati dispositivi di legge che favorissero in maniera significativa l’inserimento dei DdR in aziende ed enti statali, quindi lo Stato, dopo aver speso ingenti risorse per formare i DdR, è il primo a non riconoscerli, nonostante la miriade di pareri favorevoli del CUN. Ad esempio, in CUN Notizie n. 159 si sottolinea che la formazione del DdR deve essere rivolta non solo alla preparazione in vista della carriera accademica, ma anche orientata alla formazione e alla ricerca da svolgere presso enti pubblici e privati. Il CUN rileva, inoltre, che i decreti previsti dall’art. 4 comma 7 della legge 210/98, ai fini della valutazione del titolo di dottore di ricerca nella pubblica amministrazione, non sono stati ancora emanati. Questa situazione è incredibile se si pensa alle ingenti somme spese dallo Stato per pagare i corsi di formazione necessari per accrescere la preparazione professionale dei propri dipendenti. In maniera contorta lo Stato riconosce l’utilità dei DdR nella pubblica amministrazio- 7 politiche universitarie Pubblicazioni per milione di abitanti Pubblicazioni per 1000 Ricercatori 1657 Svezia Finlandia Danimarca Regno Unito Paesi Bassi Austria 949 1120 Spagna Irlanda Italia 600 542 573 457 0 500 1000 1500 2000 95 93 Irlanda Italia 244 255 226 61 81 29 19 0 186 226 100 200 300 300 400 500 600 400 500 100 84 90 78 83 74 69 70 46 62 47 36 53 52 52 50 46 42 26 14 12 Spagna 100 200 71 Francia Irlanda 54 Spagna 270 260 260 255 243 227 Germania Paesi Bassi Austria Svezia Italia Danimarca Finlandia Regno Unito 377 320 155 180 132 150 118 138 320 344 308 308 Brevetti per 1000 Ricercartori 383 289 265 170 452 360 370 0 Brevetti per milione di abitanti Svezia Finlandia Germania Paesi Bassi Danimarca Austria Francia Regno Unito 395 400 367 Spagna Irlanda Francia Germania Finlandia 471 430 356 Danimarca Svezia 845 717 780 657 779 652 613 Germania Francia 346 Regno Unito Paesi Bassi Austria 1157 1307 1214 1152 963 497 Italia 1431 1320 0 20 40 60 80 100 120 Pubblicazioni per milione di abitanti Svez Finl Dani Reg Paes Austri Fran Spa Irlan Germ Italia 657 717 78 70 9 47 51 7 5 452763601035 2 0 Figura 4. Confronto pubblicazioni e brevetti italiani vs stati europei (Fonte EC DG Research, Key Figures 2002) ne: la legge finanziaria del 2002 (all’art. 52 comma 57) stabilisce che il dipendente vincitore di un concorso per dottorato mantenga per tutta la durata del corso lo stesso trattamento economico e nel contempo lo impegna a rimanere negli organici della pubblica amministrazione per almeno due anni, dopo il conseguimento del titolo, al fine di «restituire alla collettività le professionalità 8 1999 200 400 600 800 845 994693 1000 1152 1157 1214 1120 1200 2001 1307 1320 1400 1431 1600 1800 acquisite durante il corso di dottorato». Tra le pochissime buone notizie dal settore pubblico abbiamo che è riconosciuta l’utilità del DdR per la formazione continua in medicina. Di contro il titolo di DdR non è utile per l’accesso alla carriera nel Servizio Sanitario Nazionale nonostante il CUN abbia dato parere favorevole. Inoltre un DdR in materie giuridiche esenta dalla prova preliminare (test a risposta multipla) per i concorsi per l’accesso in magistratura. Per quanto riguarda l’inserimento nell’insegnamento scolastico, solo recentemente e dopo anni di lotta dell’ADI (As- sociazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani), nei concorsi i DdR vengono finalmente riconosciuti. Ad esempio, per quanto riguarda le “graduatorie permanenti” da cui si attinge per assegnare le supplenze annuali e per assegnare i posti di ruolo, per la tabella che comprende in pratica tutti gli abilitati dal 1999 in poi, al DdR sono attribuiti 12 punti. Anche riguardo le “Graduatorie d’istituto”, da cui si attinge per assegnare le supplenze temporanee, ai DdR sono attribuiti sino a 12 punti. Per i concorsi d’accesso alle scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario il DdR vale 3 punti. Una luce in fondo al tunnel? Come visto, la posizione italiana in Europa riguardo investimenti nella ricerca, numero di ricercatori e di DdR è purtroppo di coda. Da un’analisi più accurata emerge che tale grave debolezza è soprattutto nei numeri e non nella qualità. Infatti, raffrontando i dati delle pubblicazioni scientifiche internazionali di provenienza italiana col numero dei ricercatori, piuttosto che con la popolazione, la posizione dell’Italia è di testa (fig. 4). Ciò indica chiaramente l’eccellente proficuità scientifica dei nostri ricercatori. È indubbio, quindi, che si debba intervenire finanziariamente per incoraggiare gli studi dottorali e per sostenere chi decide di fare il ricercatore, così come indicato dalle strategie europee. Inoltre, bisognerebbe promuovere la ricerca industriale e diminuire gli obblighi fiscali delle imprese che investono in ricerca e sviluppo, favorendo il passaggio di persone e competenze dalla ricerca pubblica a quella privata. Qualcosa sta finalmente cambiando; infatti, i governi europei con la Dichiarazione di Bologna e la Conferenza di Berlino hanno dato inizio ad un corso che potrebbe trasformare l’Europa in una società dinamica e competitiva il cui successo sarà imperniato sulla conoscenza. Due opinioni sul dottorato S econdo il dott. Renzo Rubele, Past President di EURODOC (European Council of Doctoral Candidates and Young Researchers), da noi intervistato, «in Italia vi sono due ordini di problemi, uno di carattere economico-strutturale, ed uno culturale. Dal punto di vista economico, la struttura produttiva italiana è basata su una miriade di piccole aziende e su settori a basso contenuto tecnologico per cui il tipo di ricerca e innovazione che si può fare utilizzando le competenze dei DdR è di poco interesse. Dal punto di vista culturale la società italiana privilegia gli insiders contro gli outsiders. Il ruolo delle leggi e delle corporazioni tutela in maniera eccessiva chi detiene una posizione (di lavoro, di potere) rispetto a chi vuol far valere i propri titoli di merito o le idee nuove. La combinazione di una attitudine conservatrice e di una malintesa garanzia congiurano nei fatti contro i più giovani, lasciati nel limbo di una prolungata dipendenza e incertezza. Inoltre, c’è una scarsa mobilità geografica, intersettoriale e disciplinare». S econdo il prof. Giuseppe Ronsisvalle, Coordinatore del dottorato di ricerca internazionale in Scienze farmaceutiche, la formazione dottorale si troverà nei prossimi anni al centro dell’attenzione nella definizione delle politiche innovative dei sistemi formativi di terzo livello, in quanto al crocevia tra l’Area Europea della ricerca (ERA) e l’Area Europea dell’alta formazione (EHEA). «Abbiamo partecipato, come università di Catania, al progetto di analisi dell’Istituto del dottorato di Ricerca in Europa, condotto dalla Associazione Europea delle Università (EUA), che si prefiggeva lo scopo di proporre politiche innovative ai ministri dell’Istruzione dei paesi che hanno sottoscritto la Dichiarazione di Bologna. Partendo dall’assunto che nei prossimi 5-10 anni serviranno in Europa almeno 700.000 nuovi ri- cercatori, è apparso evidente come i DdR devono sì essere formati per le esigenze del mondo del lavoro e delle professioni, ma devono essi stessi costituire veicolo di innovazione, essendo chiamati a contribuire con le loro conoscenze e capacità in maniera decisiva alla crescita di competitività delle aziende in cui opereranno e del territorio in cui queste sono insediate». Questo significa, a suo avviso, ritenere che l’over-qualification dei dottorati e la loro internazionalizzazione potrà e dovrà costituire la spinta all’innovazione che tutti si attendono e che si spera coinvolgerà anche le piccole e medie imprese, così restie ad investire in ricerca e sviluppo. Dalla capacità del sistema universitario di rispondere alle sfide richieste da una formazione dottorale sempre più avanzata e qualificata si valuterà, d’altra parte, l’efficienza del sistema universitario nazionale e il rango delle singole istituzioni nel contesto internazionale. 9