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Prefazione
di Greil Marcus
Voglio subito essere molto chiaro. Con me all’inferno di Nick Tosches
è il miglior libro mai scritto su un musicista rock ’n’ roll – non c’è
niente di paragonabile. Ma non si tratta solo di questo. Prima o poi,
Hellfire verrà riconosciuto come un autentico classico americano.
A grandi linee, la storia di Jerry Lee Lewis è risaputa. Nato nel 1935
a Ferriday, in Louisiana, Lewis fu un teppista con un’anima scissa tra
le minacce dello Spirito Santo e le seduzioni del diavolo – quest’ultimo incarnatosi in un pianoforte boogie-woogie. Rubò, predicò, frequentò la scuola religiosa, ne venne espulso, compose musica e nel
1957 la Sun Records di Memphis pubblicò Whole Lotta Shakin’ Goin’
On, un disco che per più di un quarto di secolo venne sempre trasmesso da tutte le radio, e che per sempre rimase impresso nella mente di chiunque l’avesse mai ascoltato. Lewis diventò una star internazionale. La sua carriera venne quasi immediatamente distrutta dopo
la notizia delle nozze con la cugina tredicenne, Myra Gale Brown – si
trattava del terzo matrimonio, e della seconda bigamia.
Ormai alla deriva negli honky-tonk 1, Lewis continuò a suonare e
sviluppò una dipendenza da anfetamine e alcol. Nel 1968 strinse un
patto con l’America più timorata di Dio e a maggioranza bianca:
avrebbe abiurato – se non sul palco, almeno su disco – la musica del
peccato, il rock ’n’ roll, in favore della musica della colpa, il country.
E per la seconda volta diventò una star. Nel giro di poco tempo divenne talmente famoso da poter fare ciò che gli pareva, e ricominciò
a registrare rock ’n’ roll. Ma gli anni della dissoluzione e delle dissolutezze, e di quell’antico conflitto tra il paradiso e l’inferno ritornarono, e ancora una volta la vita gli crollò addosso. Venne ripetutamente arrestato e denunciato, divorziò e fu ricoverato in ospedale, i suoi
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Locali di infima categoria, specie del sud degli Usa.
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beni furono sequestrati dal fisco e seppellì il secondo dei suoi figli.
Quando nell’estate del 1981 entrò in una clinica di Memphis, in tutto il paese i giornali diedero la notizia che non sarebbe sopravvissuto; alcuni stamparono addirittura il suo necrologio. Dopo essere uscito dall’ospedale annunciò che da quel giorno in avanti avrebbe
dedicato il talento che Dio gli aveva donato a cantare le lodi del Signore. Una promessa già fatta quando era adolescente, e che nessuno si aspettò lui mantenesse.
Da questi materiali, che sono luoghi comuni e spunti per vere e
proprie leggende, Nick Tosches ha ricavato un libro che può reggere il confronto con l’Autobiografia di Benjamin Franklin, la Life of
Washington di Parson Weems, la Life of Lincoln di William Herndon, The Ordeal of Mark Twain di Van Wyck Brook. Ed è anche un
libro che – ricercando le fonti della voce di Tosches – mi ha riportato alla poesia del 1662 scritta dal pastore puritano Michael Wigglesworth, The Day of Doom (Il giorno del giudizio): “Colui che in sé ha
una brama / e il fuoco dell’Inferno non teme / dell’anima sua corre
verso la morte / perché non sfugga il disio alla sua sorte”; come pure a Faulkner: Barn Burning, Assalonne, Assalonne!, e specialmente
“I Compson: 1699-1945”, l’appendice a L’urlo e il furore (“Amava
non l’idea dell’incesto che non aveva commesso, ma un certo concetto presbiteriano della sua eterna punizione”) 2.
Con me all’inferno non ha nulla a che spartire con l’ironia, che del
modernismo più arido è diventata il pretesto. Si tratta, invece, di una
narrazione precisa ed elegante che ci racconta la versione più antica
e duratura di una storia tipicamente americana: avendo benedetto
l’America, preferita a tutte le altre nazioni, Dio ne giudicherà i membri con intransigenza ancora maggiore. È un concetto che ha prodotto tanto il meglio quanto il peggio del nostro paese; di certo ha originato sia la caccia alle streghe dei puritani e la cosiddetta destra
cristiana dei nostri giorni, sia la compassione e il terrore che caratterizzano i discorsi di Lincoln. Su questo terreno, Wigglesworth e
Faulkner si incontrano; e si incontrano con Jerry Lee Lewis, che inizialmente si rifiutava di cantare Great Balls of Fire perché di quella
canzone aveva riconosciuto l’oscena blasfemia. E, al contempo, il libro di Tosches si inserisce in una tradizione speciale e particolarmen2
Cfr. L’urlo e il furore, trad. di Vincenzo Mantovani, Einaudi 1997, p. 297.
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te negletta, quella della biografia americana. Come i libri di Franklin,
Weems, Herndon e Brook, e come i nostri migliori romanzi ottocenteschi, è una dichiarazione poetica e immaginativa che non intende
tanto far luce sull’America in sé, ma giudicarla. Con me all’inferno
non è tanto “una storia vera” – anche se non c’è libro più scrupoloso su date, luoghi, etichette discografiche, crimini e nel raccontare le
cose come stanno – quanto invece un implacabile trattato.
Contrariamente a quel genere dozzinale che oggi in America è diventato la biografia, in cui anche la figura più irrilevante viene scandagliata nei suoi dettagli più inutili, il libro di Tosches è breve e conciso. Come le biografie di cui si parlava in precedenza, è sia uno
studio su determinati valori – da dove provengono, dove conducono
– sia un esempio di un genere letterario risalente agli albori dell’America: il sermone. Ciò che rende il libro così strano e irresistibile è il
fatto che il sermone non scaturisce da una serie di valori religiosi prefissati ed eterni, come quelli del primo cugino di Lewis, il telepredicatore Jimmy Swaggart, le cui omelie spesso vertevano su Jerry Lee,
ma su una trasmutazione di quegli stessi valori, dall’interiorità dello
stesso Lewis. E in questo sermone le cadenze della vita del protagonista e le cadenze del peccato e della salvezza hanno creato un ritmo
tutto loro, completamente nuovo. Con me all’inferno è la storia di
Jerry Lee Lewis non tanto come lui vorrebbe che fosse raccontata –
a prescindere dalla sua onestà di facciata, che lo spinge a rendere
pubblico ogni suo peccato – quanto invece il giudizio che lui potrebbe sognare, e da cui non sarebbe in grado di risvegliarsi.
Così la lingua di Tosches passa attraverso Faulkner e predicatori
come Wigglesworth, risalendo fino alla sua fonte primigenia: la Bibbia. Tosches intreccia i dettagli più prosaici e apparentemente più
strani – le posizioni in classifica dei dischi di Lewis, i dati dei diritti
d’autore, i particolari sulle licenze matrimoniali, le date delle tournée
nelle zone rurali – con quel tipo di linguaggio, talché Con me all’inferno alla fine diventa uno degli Apocrifi del ventesimo secolo. Tosches parte con grande accuratezza: traccia la genealogia della famiglia di Lewis evitando prodigi o presagi sensazionalistici, descrivendo
senza accenti melodrammatici l’arrivo del pentecostalismo e gli attacchi di glossolalia nella città natale del giovane Jerry Lee, Ferriday, disseminando poi la narrazione di improvvisi bagliori, di frasi apparentemente classiche come “lentamente precipitò in quel luogo dove la
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fama ripete il proprio nome”; preparando così il lettore a un passaggio come questo, pronto ad accettarlo alla lettera, ritrovandosi ad affrontarlo senza ombra d’ironia:
l’alcol e le pasticche scatenavano in lui l’inferno e provocavano spaventosi scoppi di risa. Talvolta si ritirava all’ombra di
se stesso, rimuginando sulle cose più disparate – abominevoli, indicibili, e anche peggiori. Talaltra si dilungava in invettive di ripugnante onnipotenza, dando ordini a quelli che gli
stavano attorno come un Belial che raduna a sé i suoi tirapiedi. Lui era il Killer ed era immortale – a ciò era condannato
finché sarebbero esistiti il bene e il male, e a dibattersi tra di
essi fra mille tormenti. Consapevole di ciò, sedeva nei camerini di mille malsani locali notturni e ingoiava pasticche buttandole giù con tre dita di whisky, per esserne poi ancor più
consapevole. Sarebbe salito sul palco con passo virile, con il
suo sigaro Churchill in una mano e il bicchiere del whisky
nell’altra, e avrebbe pestato sul pianoforte e avrebbe cantato
le sue canzoni peccaminose, chiamando a sé quelli che gli stavano dinanzi, quelli che, mortali, non erano come lui, nato
dal grembo e destinato alla distruzione; li avrebbe chiamati a
sé affinché, per qualche istante, rimanessero accanto a lui sull’orlo dell’inferno. E poi sarebbe entrato nella notte antica,
dove avrebbe trovato ad attenderlo altre pasticche e altro
whisky, là dove i cani neri mai cessavano di latrare e l’alba mai
sorgeva; e là sarebbe andato.
di Jerry Lee e le collega a una storia – quantomeno a parti di essa –
condivisa da tutti gli americani.
Con me all’inferno nasce dal bisogno di capire le forze che hanno
originato una musica potente come quella di Whole Lotta Shakin’
Goin’ On, di capire cosa sia accaduto all’uomo che ha creato quella
musica, dopo averla creata. Ed è motivato dal bisogno di trasmettere
tangibilmente tutto ciò ad altre persone. Nel libro di Tosches ci vengono offerti peccati in quantità, ma nelle sue pagine non v’è traccia di
momenti corrivi. Anche quando si è felici di non essere come Jerry
Lee Lewis – e il finale di Con me all’inferno è davvero deprimente e
spaventoso, in una biografia di una persona non ancora morta – mai
ci si sente superiori a lui. E anche in questo caso, non è con l’empatia
che si deve misurare il valore di una biografia, ma tramite i suoi sottintesi. Chiunque abbia accolto il messaggio di Whole Lotta Shakin’
Goin’ On troverà probabilmente un posto in Con me all’inferno.
Non si tratta certo dell’unico genere di prosa presente in Con me
all’inferno, ma rappresenta l’essenza del libro. L’uso del punto e virgola; la devastante chiusura, con quel “e là sarebbe andato” dalle infinite risonanze; la premessa di quel biblico “consapevole di ciò” e,
in fondo alla frase, il sorriso sardonico e disperato di “per esserne poi
ancor più consapevole” che ci riporta con i piedi per terra – in tutto
ciò ritroviamo i fondamenti della scrittura americana.
L’energia, l’impegno e la sensibilità scaturiti dal ritmo della scrittura conferiscono la credibilità necessaria al contesto costruito da Tosches: una lotta tra il fondamentalismo religioso e il culto odierno
della celebrità, tra la volontà di non lasciarsi sfuggire un desiderio e
la consapevolezza che esso richiede la distruzione sia del corpo che
dell’anima. A sua volta, un simile contesto dà un senso alle vicende
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