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Active ageing
Quello dell’invecchiamento attivo è un concetto nato negli
anni Cinquanta negli Stati Uniti, poi approdato in Europa e
definitivamente passato nel dibattito pubblico grazie all’Organizzazione Mondiale della Sanità che, da alcuni anni, ha
adottato il termine «invecchiamento attivo» (active ageing)
per esprimere un concetto di invecchiamento che assicuri
alle persone il diritto di vivere dignitosamente anche se
hanno superato un certo livello di età.
La parola «attivo» (active) fa riferimento alla partecipazione
continuata nelle questioni sociali, economiche, culturali,
spirituali e civiche, e non esclusivamente alla capacità di rimanere fisicamente attivi o di far parte della forza lavoro. In
sostanza il concetto di active ageing sposta le politiche dell’invecchiamento da un approccio basato sulle necessità a
uno basato sui diritti, riconoscendo che esistono altri fattori, oltre alla cura della salute, che condizionano il modo di
invecchiare di una popolazione. Infatti, i cosiddetti pilastri
dell’active ageing sono: la garanzia di adeguati servizi sociali e sanitari, la partecipazione alla vita comunitaria e la
sicurezza dell’affermazione dei propri diritti e necessità.
L’approccio necessario per rispondere in modo compiuto alle questioni che pone l’invecchiamento della popolazione è
quello di tenere insieme varie politiche, pensionistiche, occupazionali, della salute, dell’assistenza e dell’inclusione per
sfuggire a una visione dell’età anziana come età della dipendenza. In sintesi, l’invecchiamento attivo si concretizza
in una serie di interventi:
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• sostenere misure per il pensionamento flessibile non più
rigido a una determinata età, sperimentando forme come il part-time (metà lavoro e metà pensione), cosa
questa che aiuterebbe anche i giovani lavoratori privi di
esperienza;
• lottare contro le barriere discriminatorie dell’età per favorire, anche attraverso un’adeguata formazione lungo
tutto l’arco della vita, il prolungamento dell’età lavorativa per chi può e ne ha voglia;
• migliorare la salute nei luoghi di lavoro in particolare tra
i lavoratori impiegati in posti di bassa qualità, per aumentare la qualità della vita delle persone;
• sostenere la partecipazione sociale degli anziani, nella
politica, nel sindacato e nel volontariato.
Un’adeguata strategia dell’invecchiamento attivo va costruita nell’intero arco della vita delle persone con un mix di
politiche pubbliche di sostegno e con un cambiamento culturale che coniuga esigenze solidali ed economiche, in
quanto mira a incrementare l’occupazione e a migliorare la
qualità della vita puntando a ridurre i conflitti tra le generazioni.
Paola Furfaro
Adultità
Nous sommes encore aveugles au problème de la
complexité. […] Or cet aveuglement fait partie de notre barbarie. Il nous fait comprendre que nous sommes toujours dans l’ère barbare des idée. Nous sommes toujours dans la préhistoire de l’esprit humain.
Seule la pensée complexe nous permettrait de civiliser notre connaissance.
Edgar Morin, Introduction
à la pensée complexe
Per declinare il termine «adultità» occorre partire dal contributo di C.J. Titmus, nel saggio sui concetti e i principi dell’Educazione degli Adulti, nella International Encyclopedia
of Adult Education and Training, dove l’adulto viene definito
come la persona considerata tale dalla società cui appartie180
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ne, in forza della capacità di rispondere a ruoli e svolgere
funzioni: «L’adultità è identificata con la possibilità di assolvere a una molteplicità di ruoli, in diverse situazioni individuali e collettive, che possono essere elencate come segue:
guadagnarsi da vivere; stringere matrimonio; avere relazioni sessuali; essere genitori; vivere attivamente da cittadini;
avere attività sociali e culturali nel tempo libero; vivere il
pensionamento. In quest’ambito di indagine, sono le funzioni svolte che distinguono l’adultità [adulthood] dall’infanzia
e dall’adolescenza, non il collocamento in una determinata
età, sebbene tali funzioni siano generalmente in larga parte
correlate all’età»1. Tale accezione, tuttavia, in cui l’adulto
viene caratterizzato in relazione alle funzioni, sembra essere il presupposto di un’altra definizione, in cui l’adultità è
concepita come il punto di arrivo di un ciclo, che attraverso
«stadi» successivi porta l’individuo alla maturità psichica e
fisiologica2.
Ambedue gli approcci, quello «funzionale» e quello «stadiale», ponendo l’accento su un adulto inteso come prodotto di
fasi evolutive o di ruoli sociali, hanno poca attenzione per il
processo che porta l’individuo a diventare adulto, ovvero
per i meccanismi di apprendimento e riflessività. Oggi, in altre parole, si assiste a un maggiore interesse, nelle scienze
sociali e negli indirizzi di ricerca, alla dimensione della continua trasformazione, riorganizzazione delle conoscenze e
degli apprendimenti esperienziali. Ciò porta a considerare le
molteplici figure di adulto, le continue ridefinizioni della
sua identità e a porre l’accento sugli elementi di transizione, piuttosto che di «arrivo».
Sono molte le condizioni (precarizzazione delle condizioni
di vita; mondializzazione economica, tecnologica, scientifica; crisi dei ruoli tradizionali di genere ecc.) che mettono in
crisi il modello di adulto come risultato, prodotto finale univoco di uno sviluppo stadiale: «Di fronte a questi cambiamenti appare sempre più evidente la necessità di leggere e
ridisegnare le possibili e diverse identità adulte come trame,
1 C.J. Titmus, Adult education: concepts and principles, in A.C. Tujiman (a cura di), International Encyclopedia of Adult Education and
Training, Pergamon, Oxford, 1966, p. 11 (trad. nostra).
2 Cfr. H. Bee, The Journey of Adulthood, Prentice Hall, Englewood
Cliffs, 1996; H. Erikson, I cicli della vita, trad. it. di S. Chiari, Armando,
Roma, 1981 (ed. orig. Identity and Life Cycle, Barnes and Noble, New
York, 1978).
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percorsi di costruzione degli individui, ma anche come indispensabili fulcri per l’orientamento dei processi di sviluppo
della società»3. Superando una concezione dicotomica dell’identità adulta, o come risposta nel tempo a compiti evolutivi, o come soddisfacimento nella comunità di ruoli sociali, ci appare una terza via di ricerca nel campo dell’educazione degli adulti, quella legata al far «interagire queste
dimensioni con una dimensione dell’età adulta intesa come
cura di sé, come maturità che si esprime nel bisogno e nella
capacità riflessiva su se stessi, sul proprio percorso e anche
nella proiezione di un futuro possibile, che già si manifesta
in terze o quarte età»4. Questo richiamo alla complessità e
poliedricità dell’essere adulto non vuole giustificare l’adultità come condizione destrutturata, disimpegnata, debole,
sregolata e non progettuale, al contrario rimanda a un continuum evolutivo, in cui gli individui ridefiniscono sempre
nuovi obiettivi in termini di realizzazione identitaria, professionale, sociale. L’età adulta non rappresenta più il porto
tranquillo del «buon padre di famiglia», ma costituisce piuttosto un continuo «lavoro di tessitura» che si caratterizza
per un passaggio da una fase apicale all’altra del processo
di definizione dell’identità adulta5.
Di conseguenza, l’approccio multidisciplinare è l’unico in
grado di indagare e interpretare i molteplici piani e percorsi
dell’età adulta. E, di nuovo, lo stato permanente di cambiamento e trasformazione giustifica il ricorso al paradigma
dell’«apprendimento lungo il corso della vita» – il lifelong
learning – con un’attenzione specifica all’apprendimento riflessivo ed esperienziale. In questo campo di indagine, quello dell’educazione in età adulta, l’apprendimento è fondamentalmente un processo di costruzione di senso, nel quale
le esperienze apicali e quotidiane diventano il sostrato del
sapere attraverso una riorganizzazione continua delle funzioni euristiche, esplorative e di indagine. Il sapere e l’ap-
3 A. Alberici, Imparare sempre nella società della conoscenza, Bruno Mondadori, Milano, 2002, p. 78.
4 Ibid.
5 Per la definizione di «fase apicale», D. Demetrio, Manuale di educazione degli adulti, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 65-67; Id., «Introduzione», in J. Mezirow, Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’esperienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli
adulti, Raffaello Cortina, Milano, 2003, p. XV (ed. orig. Transformative
Dimension of Adult Learning, John Wiley & Sons, New York, 1991).
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prendimento si configurano quindi, nel quadro di un approccio eminentemente «costruttivista», come elaborazioni di significato che si strutturano a partire dalle esperienze che riguardano il soggetto adulto e dalle operazioni della mente
per organizzare tale esperienza. La conoscenza, in questo
senso, ha un valore strumentale ai bisogni adattivi del soggetto, ed è eminentemente una conoscenza pratica, esperienziale, non formale: «la conoscenza si configura quindi
come una realtà temporanea, in sviluppo. […] La realtà si dà
quindi come un insieme di fatti, oggetti, relazioni storicamente e istituzionalmente determinato preesistente ai singoli individui e, allo stesso tempo, insieme di significati quotidianamente negoziati sul piano interindividuale. Essa si
propone così come una costruzione sociale, in cui le funzioni sociali e gli adulti – in quanto mediatori di realtà – si offrono come le prime categorie cognitive a disposizione del
soggetto, il quale se ne serve per organizzare il suo campo
esperienziale e conferire ad esso significato»6. A partire da
tali premesse, anche i processi apprenditivi e cognitivi vengono a far parte di un percorso di elaborazione e trasformazione: la conoscenza per l’adulto viene ad avere non solo un
valore individuale, ma è anche un qualcosa che si produce e
riproduce, si scambia e si negozia nel corso di attività e di
pratiche sociali.
Luisa Daniele
6
F. Santoianni, M. Striano, Modelli teorici e metodologici dell’apprendimento, Laterza, Roma-Bari, 2003, pp. 79-80.
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