Ricordo di Mononghan

Transcript

Ricordo di Mononghan
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
_______________________________________________________________________________
Ricordo da Monongah
Cento anni fa la più grande tragedia dei minatori italiani all’estero.
Con emozione Italo Stellon, segretario generale del Molise, ed io abbiamo partecipato alla
celebrazione del centenario del disastro minerario, tenuta il 7 dicembre scorso a Monongah. In
quel disastro, il più grave della storia americana, persero la vita 362 minatori di cui 171 italiani. I
dati ufficiali tuttavia non corrispondono alle perdite reali; le vittime furono molte di più: 936 morti
accertati. Gli italiani almeno 500. Di molti non si conosce il nome. Perì infatti un numero inprecisato
di bambini e adolescenti la cui presenza in miniera non era registrata. Da questa vicenda prese le
mosse l’iniziativa del Congresso per imporre qualche regola alla sicurezza nelle miniere.
Monongah che si trova nel West Virginia a 80 miglia da Pittsburg, ci è apparsa come una manciata
di casette di legno, sparpagliate su una collina bianca di neve. Un fiume trasparente la attraversa
e, in basso, in una sua ansa, il centro del villaggio è tenuto da una statua di pietra che raffigura
l’eroina di Monongah: una donna con il fazzoletto legato sotto il mento, un bimbo in braccio, un
altro aggrappato alla sua sottana. C’è, appesa a un traliccio di ferro, una campana di bronzo: è
nuova, fusa nella più antica fabbrica di Agnone e portata fin lì dal Molise per ricordare i tanti italiani
che persero la loro vita. Cento anni fa, in una uggiosa mattina del 1907, quella placida plaga
risuonò dei boati di violente esplosioni che si propagarono dalle prime due gallerie alle altre per un
raggio di 12 km. Risuonò dell’ululo delle sirene e dei gridi disperati di richiamo in tante lingue –
americano, austriaco, russo, ungherese, turco, italiano - dei familiari accorsi all’ingresso della
miniera: Una tragedia che emblematicamente racchiude tanti fatali destini individuali e nel
contempo rappresenta molti simboli del secolo che ci siamo lasciato alle spalle. Il ricordo doloroso
va alle persone coinvolte: uomini in carne e ossa. Giovani uomini accompagnati dai loro aiutanti
figli, fratelli minori, bambini ed adolescenti, privi di nome perchè scesi nei pozzi senza lasciare
traccia. Era il buddy sistem: veniva pagato non il tempo di lavoro ma la quantità di carbone estratto
e ciascuno usava pala e piccone di sua proprietà, acquistati nel negozio del campo della miniera.
Non c’era un registro che annotava le presenze. Gli aiutanti non avevano il bottone d’ottone di
riscontro perchè questo toccava al minatore e non alla squadretta che lui organizzava per
aumentare la sua produzione di carbone. Di questi uomini conosciamo sia pure in piccola parte
aspirazione, pensieri, problemi. “Caro padre – così scrivevano alle famiglie rimaste in Italia – ti
invio questa presente onde darvi noto della mia florida salute tanto spero di sentire di voi e di tutta
la famiglia. Caro padre vi fo’ sapere che unito con la presente vi spedisco lire 350 scusate se sono
pochi che come ben sapete che bisogna rimanere qualcosa per riserva. Vi prego di dare lire 5 a
San Sebastiano e poi fate dire una messa a San Giuseppe. Caro padre a farvi sapere le cose di
questi luoghi sarà tutto inutile perchè son cose che voi non capite, noi siamo a lavorare sotto terra
e quindi non vediamo mai ne sole e ne acqua ma però per fuori ci piove quasi tutti i giorni ma per
noi non ci fa niente perchè non viene mai ne mollo ne tosto a lavorare è sempre lo stesso”. In
queste storie, in queste parole, in questi minatori, nella tragedia di Monongah c’è, come dicevo, un
alto tasso simbolico. C’è il lavoro in tutte le sue declinazioni. C’è una voglia di riscatto che porta i
contadini dal sole del loro paese nel cuore del Mediterraneo fin nelle gallerie mineria della West
Virginia per guadagnare al massimo 10 cent l’ora. C’è lo sfruttamento del lavoro. La Fermon Cool
Company tramite sensali intercetta i lavoratori direttamente al momento dello sbarco, anticipa i
soldi per il viaggio fino alla miniera, li sistema, a caro canone, nelle baracche di legno dei campi di
lavoro, organizza i loro acquisti nel negozio dove non si usa la moneta ma il costo della spesa è
trattenuto direttamente dalla busta paga. E finchè non hanno pagato tutti i loro debiti, i minatori non
www.cgil.it
Confederazione Generale Italiana del Lavoro
_______________________________________________________________________________
possonon andare via, guardati a vista da uomini armati. L’incidente del resto avviene perchè, per
risparmiare, il giorno precedente che non era di lavoro, non erano stati accesi i ventilatori e il gas si
era concentrato nelle gallerie. C’è, infine, la forma più odiosa di sfruttamento, quella dei bambini
senza nome. Ombre che scendono negli abissi e spariscono nel nulla: per loro neppure la tomba
nel piccolo cimitero poggiato sul fianco della collina. E’ dunque la storia del ‘900 che ci viene
incontro a Monongah un secolo di enormi progressi democratici, economici, sociali civile, ma
attraversato da violente contraddizioni. Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Le cose sono
radicalmente migliorate, ma momenti come quello vissuto a Monongah sono fondamentali per non
dimenticare. Per non smarrire, ciascuno, le proprie radici. Radici comuni di qua e di là dell’Oceano
Atlantico. Per non dimenticare che purtroppo ancora lo sfruttamento esiste nel mondo e nelle
nostre opulente società; ancora di lavoro si muore; ancora ci sono bambini che anzichè andare a
scuola si guadagnano la magra vita fin dai primi anni, privati per sempre delle loro infanzia e
dell’opportunità di emancipazione.Per non dimenticare che lo sviluppo e la crescita del benessere
non è tale se semina vittime lungo il suo percorso.
di Nicoletta Rocchi
www.cgil.it