Master in “ Giornalismo d`Inchiesta”
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Master in “ Giornalismo d`Inchiesta”
CENTRO PER GLI STUDI CRIMINOLOGICI – GIURIDICI E SOCIOLOGICI Accademia del Giornalismo d’Inchiesta Master in “ Giornalismo d’Inchiesta” Direttore Dr. Daniele Camilli Titolo tesi Nessuna inchiesta è là dove la fonte manca Relatore Dr. Daniele Camilli Tesi di Master di: Stella Fagioli II^ Edizione 2014 1 INTRODUZIONE P.3 CAPITOLO 1 – RADIO LIBERE NELL’ITALIA LIBERATA, P.8 CAPITOLO 2 – L’AGENZIA STEFANI, P.14 CAPITOLO 3 – 30 NOVEMBRE 1943, P.20 CAPITOLO 4 – LE FONTI SECONDARIE BIBLIOGRAFIA P.31 SITOGRAFIA P. 32 2 INTRODUZIONE Nello svolgere la tesi conclusiva del Master in giornalismo d’inchiesta svolto presso il Centro Studi Criminologici di Viterbo, mi preme innanzitutto specificare che il lavoro non è concluso e che quindi verranno riportati esclusivamente i tentativi e le ricerche effettuate fin qui. L’inchiesta affidatami prevedeva infatti un’attenta ed accurata analisi di fonti che potessero rivelare chi, nella notte tra il 3 e il 4 dicembre 1943, attraverso un annuncio radio, permise la salvezza di alcuni ebrei viterbesi. Al di là di mere e superficiali giustificazioni, devo tuttavia fare mie le indicazioni del dott. Daniele Piovino, fornitemi durante le lezioni del 20 e 21 settembre 2014 tenutesi presso il CSC, circa le condizioni di un corretto svolgimento di un’inchiesta giornalistica che, per essere tale, deve necessariamente tener conto delle condizioni di possibilità della stessa. Occorre dunque essere consapevoli del tempo, del luogo, dei soldi e delle tecniche a disposizione per poter trovare le fonti che conferiranno verità, certezza e indubitabilità al lavoro svolto, elementi per me assenti che hanno inficiato la finalità stessa dell’inchiesta affidatami. E’ chiaro infatti che per poter ricercare, occorre innanzitutto tempo, prezioso alleato quando se ne ha molto a disposizione, nemico acerrimo quando se ne ha davvero poco perché impegnati in lavori che sempre più spesso non hanno nulla a che fare con la ricerca giornalistica. “Quale che sia il tema, il minimo comune denominatore del giornalismo investigativo è il tempo investito nel lavoro di inchiesta. Un giornalista di inchiesta può spendere mesi per sviluppare e preparare un'indagine giornalistica o un libro inchiesta”1. Infatti “l'inchiesta (spesso detta in lingua francese dossier) è un procedimento investigativo teso alla scoperta della verità su di un fatto accaduto, all'accertamento di come siano andate effettivamente le cose, ed all'individuazione di eventuali responsabili. Amedeo Benedetti ha definito il procedimento come uno "svelamento" che si attua sia attraverso l'esame dei documenti più disparati (alla ricerca di ciò che nel passato li ha in qualche modo determinati), sia mediante il risalire da parole, gesti, espressioni, atteggiamenti a pensieri, propositi, emozioni, e sentimenti che le persone normalmente non possono, non vogliono, o non sanno per i più vari motivi rendere parzialmente o interamente evidenti. Se è vero che l'inchiesta è il procedimento che attraverso la raccolta, la valutazione e l'analisi delle informazioni consente di dare un significato originario all'insieme delle informazioni acquisite (cioè 1 http://it.wikipedia.org/wiki/Giornalismo_investigativo. 3 una ricostruzione), allora è importante la capacità di saper osservare, non solo per aumentare la quantità d’informazioni ricavabili, ma anche per meglio verificarle, selezionarle, contestualizzarle”2. L’inchiesta è, se vogliamo, il risultato di un dato oggettivo sommato all’intervento del giornalista. Più precisamente, l’inchiesta rappresenta il momento metodologico del riconoscimento di un bisogno che viene negato: “Il giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia, tutto il resto è propaganda. La sua funzione è quella di portare alla luce ciò che è nascosto, fornire prove e, pertanto, dare fastidio”3. Il riconoscimento di un bisogno coincide dunque con lo svelamento, aletheìa, verità, dischiudimento, svelamento, rivelazione, il cui significato letterale è “lo stato del non esser nascosto, lo stato dell’essere evidente”4, di attività inerenti alla sfera criminale (terrorismo, crimine organizzato, traffico di esseri umani, economia truffaldina) o temi riguardanti la corruzione o fenomeni sociali di costume e/o culturali come la prostituzione, i trend sessuali, l’immigrazione e le mode giovanili5. Attraverso l’inchiesta sollevo quindi una questione nella sua consistenza fisica e storica in vista della trasmissione al futuro comunicando la necessità che un dato errore non si ripeta più e rendendo partecipe il lettore mostrando il percorso che il giornalista ha seguito e le fonti cui ha attinto. Per questo l’inchiesta è un’opera aperta, perché mettendo a disposizione le fonti, il giornalista da la possibilità a chiunque di approfondire il proprio lavoro. La fonte è tutto ciò che conferisce attendibilità alla notizia che è figlia di un procedimento che la rende sicura, certa, legittima, attraverso la sua stessa verificabilità. Verificabile significa attestarne l’attendibilità corrispondente al grado di verità. Verificabilità non è però sinonimo di verità. Una notizia verificabile può anche essere falsa, un’informazione non verificabile può anche essere vera. Tuttavia, in genere, la verificabilità è un buon criterio di verosimiglianza di un’informazione. Ma la verificabilità, richiede anche e soprattutto del tempo. Nel mio caso, nelle vesti di barista/giornalista/donna di casa, ho ritenuto di dover effettuare delle ricerche presso l’Archivio centrale di Stato che osserva una rigida procedura: l’utente può 2 http://it.wikipedia.org/wiki/Inchiesta. http://it.wikipedia.org/wiki/Giornalismo_investigativo. 4 http://it.wikipedia.org/wiki/Aletheia. 5 http://it.wikipedia.org/wiki/Giornalismo_investigativo. 3 4 richiedere fino a tre unità di conservazione per distribuzione; le richieste vanno presentate in loco dal lunedì al giovedì entro le ore 9.40 e le 12.20; il venerdì, entro le ore 9.40, 11.30 e 13.30. Le richieste presentate dagli utenti dopo l’ultimo giro di distribuzione (lunedì e giovedì dopo le 12.20) vengono evase la mattina successiva alle ore 9.40. Una volta avviata la ricerca, è consentita la prenotazione telefonica dei pezzi la mattina dalle 10.00 alle 12.00 e il pomeriggio dalle 14.00 alle 18.00 tenendo sempre a mente che verranno evase la mattina successiva alle ore 9.40. E’possibile, infine, la prenotazione on line inviando una mail e specificando nell’oggetto: “richiesta materiale archivistico”, tenendo sempre in considerazione che le richieste saranno evase entro due giorni lavorativi dalla ricezione della mail ad eccezione di quelle pervenute il venerdì che saranno evase entro i successivi tre giorni lavorativi. Nella fattispecie, se hai tutte le mattine libere e ti svegli di buon ora, hai sicuramente più opportunità di consultare documenti il giorno stesso in cui hai fatto richiesta, mentre se hai a disposizione solo rari pomeriggi devi fare i conti con la dilatazione temporale cui inevitabilmente consegue il procrastinarsi degli studi stessi, quando sarebbe sicuramente più democratico adibire un orario pomeridiano di evasione, tipo le 14.00, dopo il quale poter consultare i documenti: il pomeriggio stesso e non il giorno dopo. Pressoché inutile, infine, la prenotazione telefonica poiché da effettuare solo dopo aver avviato la ricerca che deve essere fatta presso l’Archivio stesso e quindi, una volta lì, non vedo perché non effettuare richiesta e andare invece a casa a telefonare, a meno che in un solo pomeriggio si riesca a prender nota di tutto il materiale necessario e ciò solo a patto che si sappia già cosa cercare e in quali fascicoli sia contenuto. L’ultimo tasto dolente riguarda il pagamento per la riproduzione di ogni documento consultabile. L’Archivio centrale di Stato mette a disposizione un tariffario alquanto dettagliato e che prevede varie entità di pagamento a seconda delle individuali necessità.6 A me personalmente è servita sempre e solo la riproduzione di documenti in jpeg bassa definizione del costo di Euro 3,00 a fascicolo. Non nascondo che raramente ho avuto a disposizione tale somma anche se misera e che spesso e volentieri ho ricopiato a mano il contenuto di fascicoli di interesse e che, in mancanza di tempo, ho furtivamente fotografato i suddetti fascicoli la cui riproduzione è di conseguenza poco nitida grazie anche allo scarso controllo del personale di sala spesso intento alla compilazione di cruciverba (l’Italia è a volte un Paese fantastico). In ultimo il luogo, sono cosciente del fatto che, una volta arenatami in quel che ritenevo e tutt’ora ritengo il filo conduttore della mia ricerca, sarei dovuta recarmi a Viterbo nella speranza di trovare dalla gente del luogo 6 ACS, http://www.archiviocentraledellostato.beniculturali.it/index.php?it/150/riproduzioni. 5 testimonianze utili al discernimento della verità, cosa che, per i suddetti motivi, mi è stata impossibile. Da qui dunque il titolo della mia tesi: “Nessuna inchiesta è là dove la fonte manca”, che riprende la poesia di Stefan Georg “Das Wort”, citata da Heidegger nel famosissimo testo “In cammino verso il linguaggio”: Meraviglia di lontano o sogno Io portai al lembo estremo della mia terra E attesi fino a che la grigia norna Il nome trovò nella sua fonte Meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte Ed ora fiorisce e splende per tutta la marca... Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice Con un gioiello ricco e fine Ella cercò a lungo e [alfine] mi annunciò: "Qui nulla d'uguale dorme sul fondo" Al che esso sfuggì alla mia mano E mai più la mia terra ebbe il tesoro... Così io appresi la triste rinuncia: Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca. “Dopo le osservazioni che abbiamo premesso, saremmo tentati di soffermarci sul verso finale “Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca”. Il verso porta infatti a parola la parola del linguaggio, il linguaggio stesso e dice qualcosa sul rapporto tra parola e cosa. Il contenuto del verso finale si può convertire in un'asserzione "Nessuna cosa è dove la parola manca". Là dove la parola manca si è insinuata una frattura, una demolizione [...] Non esiste cosa là dove manca la parola, la parola cioè che di volta in volta nomina le cose. Che significa “nominare”? Possiamo rispondere: nominare significa dotare qualcosa di un nome. E che cos'è un nome? Una designazione che munisce qualcosa di un segno fonico o grafico, di una cifra. E che cos'è un segno? Un segnale? O un signum? Un contrassegno? O un cenno? O tutto questo e altro ancora? Ci siamo fatti molto pigri e molto "matematici" nell'intendimento e nell'uso dei segni [...] E' il nome, è la parola un segno? Tutto dipende da che cosa intendiamo per “segno” e “nome” [...] La scopritrice del nome come il luogo del suo ritrovamento - norna e fonte - fanno qui sorgere qualche perplessità a 6 intendere “nome” nel senso di semplice designazione [...] “Nome” e “parola” sono pensati nella poesia di Stefan George in senso diverso, più profondo, che non come semplici segni [...] Dobbiamo perciò sottolineare: nessuna cosa è dove la parola, cioè il nome, manca. E' la parola che procura l'essere alla cosa”.7 Mutatis mutandis, è la fonte che procura l’essere all’inchiesta. Senza fonti non può esserci inchiesta e questa è una verità immutabile di cui ho fatto esperienza nella negatività, perché, affermava Gadamer, si fa vera esperienza del linguaggio proprio quando la parola manca; la privazione linguistica rende nullo qualsiasi tentativo di comunicazione, di comprensione, di essere. Il verso inoltre esemplifica l'enigmaticità del rapporto parola-cosa: “non esiste cosa là dove manca la parola, la parola cioè che di volta in volta nomina le cose”8. Qualcosa è soltanto là dove la parola appropriata, e quindi pertinente, nomina qualcosa come essente e lo fa così essere come tale”9. Tuttavia, trasformando questi versi in un’asserzione, rischiamo di ridurre la portata e il valore dell'esperienza poetica del Linguaggio, che George ha portato a parola attraverso la sua poesia, concentrandola in quei due versi finali. Perciò Heidegger ci invita a soffermarci con maggiore attenzione sul verso in cui il poeta dice di aver appreso, triste, la rinuncia. E' in questa “rinuncia” che si racchiude l'esperienza poetica della parola, e perciò del linguaggio. La rinuncia del poeta consiste nel suo disporsi in un diverso rapporto poetico con la parola, il poeta ha appreso la rinuncia facendo un'esperienza della cosa e del suo rapporto con la parola”, il poeta ha capito che solo la parola fa si che qualcosa appaia, e sia pertanto presente, come quella cosa che è”10. Il poeta ha appreso che la parola è il rapporto stesso con la cosa, che è” la parola a conferire la presenza, cioè l'essere, nel quale qualcosa si manifesta come essente”11. La parola mostra qualcosa che prima non c’era, chiama ad essere gli enti così come un’inchiesta giornalistica svela ciò che altrimenti rimarrebbe nascosto. Quando viene a mancare la parola giusta, quando essa non ci viene concessa dal linguaggio, quel che vorremo intendere con una parola lo lasciamo nell' inespresso, nel suo essere ancora assente. Analogamente, non può darsi un valido lavoro giornalistico senza un’adeguata fonte che conferendo validità al lavoro, svela al contempo un qualcosa che prima era inespresso. Non avendo trovato il nome dello speaker, non ho saputo 7 M.Heiddeger, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano, 2002. M. Heidegger, ibidem. 9 M. Heidegger, ibidem. 10 M. Heidegger, ibidem. 11 M. Heidegger, ibidem. 8 7 procurare l’essere alla mia inchiesta che rimane così una semplice spiegazione del mio cammino, un sentiero interrotto ma ugualmente consapevole. 8 CAPITOLO 1 RADIO LIBERE NELL’ITALIA LIBERATA C’è un quadro di Klee che s’intitola “Angelus Novus”. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata sulle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui nel cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta. W.Benjamin, Angelus Novus Dicembre 1943. Il Regime individua trentatré ebrei viterbesi da deportare e sterminare12di cui soltanto undici effettivamente catturati. “Un documento datato 4 dicembre 1943 parla infatti di un annuncio radio che permise ad “un’ebrea di Capodimonte” e alla famiglia “Spizzichino di Latera”, che lo avevano ascoltato, di scappare e salvarsi. Non sappiamo purtroppo il nome dello speaker. Sappiamo però che venne dato quando ancora non si sapeva nulla dell’imminente rastrellamento, ed è possibile che i 22 ebrei viterbesi, sfuggiti alla cattura, lo abbiano ascoltato salvandosi”.13 Gli autori del libro sostengono la possibilità di un “giusto”, lo speaker che diede l’annuncio, che ha forse contribuito a salvare la vita di molti ebrei viterbesi.14 Il mio compito sarebbe dovuto essere quello di rintracciare lo speaker, come trovare un ago nel pagliaio. A prima vista un compito arduo, quasi impossibile. Il mio unico dato certo e incontrovertibile è il documento, promemoria, datato 4 dicembre 1943 dalla Questura di Viterbo che recita: “Nella giornata di ieri sono stati fermati gli internati ebrei Wolf Martino e moglie in S.Lorenzo Nuovo. 12 Documenti trovati e divulgati da Danielle Camilli e Roberta De Vito e pubblicati dagli stessi sul libro “Concentrare, sterminare. Essere è ricordare”, Intermedia Edizioni, Orvieto, 2014. 13 D.Camilli, R.De Vito, op.cit. p. 6-7. 14 D.Camilli, R.De Vito, ibidem. 9 Sono stati anche fermati gli ebrei Spizzichino Jader e moglie. Dopo l’annuncio dato dalla radio15 una ebrea di Capodimonte si è allontanata per Milano e la famiglia Spizzichino residente in Latera non si è fatta trovare dagli agenti. In Montefiascone la famiglia Coblitz non risulta di razza ebraica. Tanto la figlia quanto la moglie del Coblitz sono di nazionalità italiana e sono ariane. Il marito è già stato arrestato dai tedeschi”.16 Dunque al principio alcune domande: che radio era? Di regime o una radio antifascista? Era Radio Londra? E ancora: chi faceva radio a Viterbo nel 1943? Che tipo di trasmissioni c’erano? Come prima cosa ho ritenuto opportuno fare una ricerca storica circa le radio attive in quegli anni, una ricerca superficiale condotta in Internet per muovere i primi passi e cercare di fare il punto della situazione. Nel 1943, oltre all’EIAR, e per un breve periodo Radio Bari, organi ufficiali del regime fascista, molte erano le radio che operavano in condizioni di clandestinità o semiclandestinità fino al sorgere delle prime radio libere nell’Italia liberata: Radio Bari, Radio Napoli, Radio Roma, Radio Palermo, Radio Sardegna, Radio CORA, Radio Libertà di Biella. Tra le più importanti fu senza dubbio Radio Bari. “L'8 settembre 1943 venne dichiarato l'armistizio tra l'Italia e gli angloamericani. Il fascismo era già caduto un mese e mezzo prima. Il Paese che pure voleva la fine della guerra, risultò poi totalmente impreparato nell'affrontare questa nuova situazione. Vittorio Emanuele III, invece di governare con efficacia, dignità e onore il nuovo contesto di alleanze, scelse di abbandonare precipitosamente, con tutto il suo stato maggiore, Roma per rifugiarsi a Brindisi, in questo estremo lembo di territorio nazionale non ancora invaso dagli alleati, e da cui i tedeschi si erano appena allontanati. Una fuga vigliacca che non solo pesò in maniera determinante sui destini della monarchia, ma che costò all'Italia, lasciata nel caos e nello sbando più totale, ancora guerra, lutti, distruzione. La nostra Città da un giorno all'altro si ritrovò ad essere la Capitale dell'Italia libera”17. “A Bari il 10 mattina, nella centralissima piazza San Ferdinando, uomini del Partito d’Azione e antifascisti di fede repubblicana decidono di prendere l'iniziativa. In quattro si presentano alla sede dell'EIAR e chiedono di poter utilizzare gli impianti. Giuseppe Bartolo, Michele Cifarelli, Beniamino D'Amato e Michele D'Erasmo affrontano il direttore, l'ingegner Damascelli: “Vogliamo fare un notiziario”. Da una casa privata spunta un gigantesco apparecchio CGE, buono a captare Radio Londra e Radio Algeri. Alle 13 e alle 14 vanno in onda i primi notiziari. Contemporaneamente, nella vicina Brindisi, giunge il Re con tutta la sua 15 Corsivo mio. D.Camilli, R.De Vito, op.cit. p.117. 17 Vittorio Bruno Stamerra, coordinatore del progetto Brindisi Capitale. 16 10 corte. È una fuga mascherata da ritirata strategica, il sovrano deve spiegare molte cose e si affida ancora una volta alla radio. Chiede al povero Damascelli l'invio di una squadra tecnica per la registrazione di un messaggio, infarcito di maiuscole. “Italiani, nella speranza di evitare più gravi offese a Roma, Città Eterna, centro e culla della Cristianità e intangibile capitale della Patria, mi sono trasferito in questo libero lembo dell'Italia peninsulare con mio figlio e gli altri principi che mi hanno potuto raggiungere”18. A Brindisi aveva sede la Presidenza del Consiglio dei Ministri da cui Badoglio riuniva il gabinetto e promulgava le leggi speciali mentre al Re spettavano meri compiti di rappresentanza. Il governo Badoglio, sin nell’ottobre del 1943, aveva confermato le regole del precedente regime fascista per il controllo dell’informazione, negando ogni forma di libertà di stampa, vietando la pubblicazione di nuovi giornali. Solo alla fine di ottobre del 1943, in coincidenza con la Conferenza di Mosca, dove gli Alleati stabilirono le misure da attuare sul territorio italiano, tra cui “la libertà di parola, di culto, di opinione, di stampa e di pubblica riunione”, che il governo Badoglio fu costretto a riconoscere le prime libertà civili. Non si trattò comunque di una libertà che si poteva esercitare comunque, basti pensare che erano necessarie le autorizzazioni dell’Ufficio Stampa del Comando Supremo alleato. Dalla fine del 1943 al 1944, Bari fu il centro di tutta l’attività editoriale nell’Italia libera. Un ruolo importantissimo ebbe Radio Bari, una delle più importanti strutture dell’EIAR. L’Emittente barese, ribattezzata dopo l’armistizio Radio Italia Libera, non interruppe mai le trasmissioni grazie ad un gruppo d’intellettuali antifascisti guidati da Michele Cifarelli. Il Ruolo di Radio Bari si rafforzò quando da Tunisi il TWB trasferì in Puglia il maggiore inglese Jan Greenless con l’ordine di occupare la sede dell’EIAR. Greenless, di formazione liberal-democratica, studioso di Croce, riorganizzò l’emittente, avviò programmi che diventarono essenziali per tenere unito, sia pur solo idealmente, un paese così lacerato dalla violenza della guerra. Tra le rubriche giornaliere più seguite, “Notizie a casa”, per favorire il ricongiungimento delle famiglie, e “L’Italia combatte” per fare il punto sui diversi fronti bellici, anche esteri, e per invitare gli italiani a cooperare “alla cacciata delle truppe germaniche dall’Italia”. Era la trasmissione più seguita e più autorevole, ma anche la più odiata da Mussolini e dai tedeschi che l’attaccavano ferocemente dalle emittenti da essi controllate: “Berlino la teme al punto da aver escogitato una "nota di disturbo" con il compito di sovrastare la voce dello speaker. Perché "L'Italia combatte" non solo dà conto della lotta partigiana e dell'avanzata alleata su tutti i fronti ma smaschera i doppiogiochisti: 18 Sito A.N.P.I di Lissone, sezione Emilio Diligenti, http://anpi-lissone.over-blog.com/article37139828.html. 11 “Italiani, patrioti: occhio alle spie. A Roma in questo momento i delatori e i venduti al nazifascismo sono aumentati. Vi nominiamo stasera alçuni tra gli elementi più pericolosi che agiscono nella capitale. Essi sono ... “. Registrata su grandi dischi e diffusa con periodicità costante, "L'Italia combatte" verrà rilanciata da tutte le radio controllate dagli angloamericani. Ma sarà soprattutto una risposta forte alla propaganda della Repubblica di Salò e un conforto per gli italiani internati dai nazisti dopo l'8 settembre: seicentomila tra soldati e ufficiali che riuscirono chissà come a procurarsi radio di fortuna e ascoltare le notizie provenienti dalla patria libera”19. Quando, durante il Congresso di Bari di fine gennaio 1944, il governo Badoglio riuscì ad ottenere che il dibattito tra gli esponenti democratici convenuti a Bari non fosse trasmesso, gli operatori di Radio Bari lo registrarono e lo inviarono a Radio Londra che lo trasmise regolarmente20. A fine febbraio 1944, con l'avanzata alleata, la Puglia perse la sua centralità e il cuore dell'informazione si spostò a Napoli. Gli americani avevano il controllo della programmazione ma dopo vent'anni di fascismo si respirava un'aria diversa. La città aveva subito centoquattro bombardamenti, ma seppe trovare la forza di liberarsi da sola dall'oppressione tedesca nel corso di quattro gloriose giornate di scontri. L'avanzata degli Alleati trovò sacche di resistenza e di ferocia. C'era da liberare il nord, ancora sotto occupazione nazista. Le formazioni partigiane organizzarono emittenti in grado di rilanciare il segnale proveniente dalle zone presidiate dagli Alleati. La radio era uno strumento di collegamento formidabile. Nella zona di Firenze era Radio CORA (COmmissione RAdio) a tenere contatti con gli angloamericani. Il Partito d'Azione costituiva una redazione capeggiata da Carlo Ludovico Raggianti ed Enrico Bocci, che operava in clandestinità, con una ventina di collaboratori. La radio era il punto di riferimento della resistenza toscana e non solo. Per questo, il 2 giugno del 1944, alcuni uomini dell'8a Armata vennero paracadutati. Il loro compito era quello di rafforzare la radio, per trasmettere informazioni e ottenere lanci di armi. Ma nonostante i continui cambi di sede, il 7 giugno i nazisti individuarono la radio e irruppero in piazza d'Azeglio durante una trasmissione. Sette partigiani vennero arrestati, un giovane radiotelegrafista ucciso. Il blitz si concluse con fucilazioni, torture e deportazioni. Solo in due riuscirono a salvarsi. 19 Ibidem. Le prime voci dell’Italia libera, Comune di Brindisi, Archivio di stato di Bari, http://www.hobos.it/le_prime_voci.pdf 20 12 L'unica emittente radiofonica partigiana rivolta al pubblico e non destinata a uso strettamente militare, operante prima del 25 aprile 1945, fu Radio Libertà di Biella. Le prime dieci note della canzone "Fischia il vento", suonate da una chitarra scordata, aprivano ogni sera alle 21 le trasmissioni, irradiate da un apparecchio radiotrasmittente proveniente dall'aeroporto di Cameri: “Attenzione Radio Libertà, libera voce dei volontari della libertà. Si trasmette tutte le sere alle ore 21 sulla lunghezza d'onda di metri 21”. All'annuncio veniva aggiunta una precisazione: “Non abbiano dubbi coloro che ci ascoltano, siamo partigiani, veri partigiani. Lo dice la nostra bandiera: "Italia e libertà". Lo dice il nostro grido di battaglia: "Fuori i tedeschi, fuori i traditori fascisti". Ecco chi siamo: null'altro che veri italiani. Le nostre parole giungeranno, valicando pianure e montagne, a tutti i compagni patrioti della Liguria, della Toscana, del Piemonte, della Lombardia, dell'Emilia, del Veneto, a tutti coloro che combattono per la nostra stessa causa. Viva l'Italia! Viva la libertà!”. Dal dicembre del 1944 al maggio del 1945, prima per mezz'ora, poi per un'ora al giorno, l'emittente cercò di convincere i giovani arruolati dalla Repubblica di Salò a disertare. Lo scopo era quello di cercare di smontare il più possibile il morale delle formazioni fasciste. Commenti, bollettini di guerra partigiani, notizie, lettere di partigiani o familiari, saluti, brani musicali e anche poesie. La radio trasmise fino a pochi giorni prima della Liberazione, messa a tacere dai fascisti nel corso dell'ultima offensiva, quella del 19 aprile. Sei giorni dopo, dalla sede EIAR di Milano, Sandro Pertini annunciava la sconfitta del nazifascismo. Il 6 maggio nelle strade della città lombarda, sfilavano i partigiani vincitori21. Potrebbe aver trasmesso Radio Bari l’annuncio del 3 dicembre 1943? Oltre queste notizie parziali, sebbene abbastanza attendibili, non mi è stato possibile rintracciare altra fonte circa la natura delle trasmissioni stesse, nessun documento, perché impossibilitata a recarmi personalmente presso gli archivi di ogni città sede di radio libere. Sono tuttavia di Roma dove ha sede l’Archivio Centrale di Stato, presso il quale ho trovato un fascicolo contenente una raccolta di telegrammi dell’agenzia Stefani, con cui ho solo potuto constatare l’esistenza di Radio Bari: “Il Giornale Radio ha trasmesso questa sera la seguente risposta a Radio Bari dal titolo “Postilla ad un’intervista”. Radio Bari ha trasmesso il 30 gennaio alle ore 19.00 la seguente intervista con Tito Zaniboni di un certo “Libero” non meglio identificato”22 . Stessa sorte per quel che concerne le radio clandestine, così chiamate in ogni documento rintracciato preso l’ACS nei fascicoli del Min.Cul.Pop. Gab b.143. e del Min.Int., Direzione Generale 21 22 Ibidem. ACS, Doc. n.12, Agenzia Stefani, 1b, Roma 2 febbraio 1943. 13 di P.S., Divisione Affari Generali e Riservati, Stazioni Radio Clandestine 1943, si legge: “Si segnala, per i provvedimenti di competenza quanto segue: nella notte dal 25 al 26 luglio u.s. fu intercettata la seguente comunicazione: - nominativo C.I. (Giustizia e Libertà). Da un angolo d’Italia radio clandestina – ordine del giorno del partito socialista italiano. Abbasso il fascismo – Abbasso la Monarchia – Viva la libertà. - Trasmetterà possibilmente tutte le sere alle ore 18.30 - 21.30 – 23.00 – 0.30 su lunghezza d’onda di metri 31. - Il giorno 10 agosto u.s. alle ore 14.45 radio Londra confermava la radiocomunicazione predetta esortando gli italiano ad ascoltarla. Firmata, il capo di gabinetto di Roma”23. Un altro comunicato datato 10 luglio 1943 e indirizzato a Segreto Comando Supremo – SIM. Min. Int. Min.Cul. Pop Ispettorato Radio Dir.Gen. A.G. IV sede, si legge: “Stazione Radio Clandestina. Si ha il pregio di trascrivere qui di seguito quanto ha comunicato il R.Consolato Generale in Tangeri con telegramma spedito ieri 9 c.m.. pervenuto in pari data a questo Ministero: “Per opportuna conoscenza si informa che radio Marocco, in emissione di ieri, ha informato che radio Tunisi ha potuti captare alcuni passaggi della stazione radio clandestina antifascista il cui appellativo sarebbe “Bruno Italo Balbo”24. Un terzo rapporto datato 14 marzo 1943 dalla questura di Ravenna e indirizzato sempre al Min.Cul.Pop dice qualcosa di interessante: “A seguito di precorsa corrispondenza informo che il centro di Bolognaha ora comunicato che le trasmissioni intercettate dal Posto di Avvistamento n.4 di Punta Marina di Ravenna non provengono dalla stazione di Monte Ceneri ma dall’EIAR. Erano note al SIE (Sezione Intercettazioni e Collegamenti) e regolarmente autorizzate”25. La confusione e l’impossibilità di rintracciare le stazioni clandestine, tanto da essere confuse con quelle di regime, e porre fine alle loro trasmissioni è in quest’ultimo documento più che evidente. La segretezza quale arma della resistenza ha reso pressoché impossibile ogni tracciabilità, l’individuazione di eventuali responsabili e di conseguenza la conservazione di documenti a riguardo. Tutti gli atti condotti in clandestinità vengono catalogati semplicemente in quanto tali e in quanto prova di attività segrete contro il regime. 23 ACS, Min. Cul.Pop. Dir.Gen di P.S. b.145. Ibidem. 25 Ibidem. 24 14 CAPITOLO 2 L’AGENZIA STEFANI Ho ripreso tra le mani l’unico documento certo in mio possesso e l’ho analizzato con più attenzione nella speranza che potesse dirmi qualcosa di nuovo, il documento datato 4 dicembre 1943. Alla luce delle ricerche fin qui effettuate presso l’Archivio centrale di Stato, in effetti mi è stato possibile fare più chiarezza. Il documento parla infatti dell’”annuncio dato dalla radio” e non parla di radio clandestine come per gli altri simili comunicati riportati. Parlare de la radio e non di una radio, implica una conoscenza precisa, definita e non vaga e potrebbe dunque riferirsi a qualcosa di familiare, alla radio di regime. Del tutto assente qualsiasi riferimento ad uno speaker. E qui sono iniziate le mie ricerche circa la radio di regime cui è legata indissolubilmente l’Agenzia Stefani. Tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale l’uso della radio assume un’importanza straordinaria specie per i regimi totalitari in quanto strumento di propaganda. Lo scopo di Mussolini era quello di avere un controllo totale sull’informazione e la cultura in tutta Italia attraverso continui messaggi di esaltazione di ideali fascisti. Così nell’agosto del 1924 viene creata l’Unione Radiofonica Italiana, (URI) che inizia a trasmettere i primi programmi sperimentali il 6 ottobre. Inizialmente le trasmissioni non hanno uno sfondo politico; vi si trovavano programmi di musica, bollettini metereologici, informazioni commerciali ed imitazioni umoristiche, notizie sportive, i notiziari erano brevissimi e alle comunicazioni del governo erano riservate solo due ore al giorno. Ma quando nel 1929 l’URI viene trasformata in Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR) e il suo compito diviene quello di trasmettere durante tutta la giornata programmi di attualità e di politica, musica, notiziari e programmi per bambini, rigorosamente a sfondo fascista quindi con intenti propagandistici. Con un decreto il Fascismo stabilì che l’informazione fosse gestita dall’Agenzia Stefani, organo ufficiale di stampa del regime. “La nascita dell’Agenzia Stefani si deve all’intuizione del “giornalista” Camillo Benso conte di Cavour che nel 1847 aveva fondato e diretto, fino al 1850, Il Risorgimento. Per il suo progetto Cavour si avvalse dell’opera del giornalista e patriota veneto Guglielmo Stefani, esule a Torino. L’occasione per la nascita della prima agenzia di informazioni italiana è l’inaugurazione della linea telegrafica Torino-Chambery avvenuta il 18 15 gennaio 1853, che interconnetteva il piccolo Piemonte con la rete francese sulla quale operava con successo l’Agence Havas, la prima agenzia d’informazioni fondata nel 1832 e che aveva il monopolio delle notizie. La necessità dunque per il Piemonte di vere un’agenzia giornalistica “italiana” non pilotata dalla Francia. Mercoledì 26 gennaio 1853 la Telegrafia privata – Agenzia Stefani – Torino comincia la sua attività. Per le sue origini e per le agevolazioni di carattere tariffario che riceve, la Stefani, pur essendo nominalmente privata, è da subito sotto il controllo governativo. Cavour e Stefani muoiono nel 1861 a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Il 1 luglio 1901 viene data una nuova sistemazione alla Stefani con la trasformazione dell’Agenzia da impresa familiare in società in nome collettivo ed il 2 marzo 1920 in società anonima per azioni. Il capitale è di un milione di lire divise in 2000 azioni da 500 lire. Nel 1924 entra in scena Manlio Morgagni, uomo di fiducia di Mussolini, il quale ne diventa proprietario, presidente e direttore generale. La Stefani diviene così da agenzia ufficiosa del governo, agenzia ufficiosa del Fascismo in cui Morgagni crede ciecamente tanto da suicidarsi la sera del 25 luglio alla notizia della caduta di Mussolini. Direttore è, dal 12 gennaio 1941, il giornalista trentino Roberto Suster in sostituzione del dottor Carlo Camagna. Il vide direttore Orazio Marcheselli dimissionario abbandona la Stefani. Dopo il 25 luglio Suster mantiene la direzione dell’agenzia su incarico del ministro della Real Casa, il duca Pietro Acquarone, ed è poi confermato telegraficamente dal nuovo ministro della Cultura Popolare Guido Rocco che anzi lo promuove direttore generale. Dopo l’8 settembre Suster continua a dirigere l’agenzia fino al 23 settembre, quando viene sostituito dal ministro della Cultura Popolare del nuovo regime, Fernando Mezzasoma, con Orazio Marcheselli. Il 18 ottobre Mussolini ordina l’arresto di Suster. Il giornalista è imprigionato nel convento di S.Gregorio al Celio, trasformato in prigione dell’OVRA. La Stefani, pochi giorni prima dell’annuncio dell’armistizio, stava per essere acquistata dal governo Badoglio. Ma gli avvenimenti precipitano e la Stefani resta di proprietà della vedova Morgagni che la vende, nel marzo 1944, per quattro milioni di lire al Ministero della Cultura Popolare di Salò. L’Agenzia diventa così l’organo ufficiale della RSI. Con la divisione dell’Italia in due, la Stefani perde tutti gli uffici del sud e buona parte di quelli all’estero e di conseguenza il relativo personale. Continuano a funzionare, oltre a Berlino e Tokyo, gli uffici di Madrid e di Lisbona. Da quest’ultima viene redatta una rassegna stampa settimanale che viene inviata in aereo a Berlino e quindi alla Stefani la quale attinge da esse parte del notiziario estero. A causa degli eventi bellici di fine settembre 1943 il governo repubblicano si appresta a trasferire la sua attività da Roma al nord e la Stefani il 1 ottobre 1943 comincia a spedire la sua attrezzatura; pochissimi i dipendenti che seguono l’avventura dell’agenzia al nord. 16 Al 31 dicembre il personale dipendente è di sole 71 unità. A Roma la sede è declassata ad ufficio regionale e la Stefani alla fine di ottobre interrompe il notiziario che sarà ripreso da Salò il 9 novembre. Il 18 marzo 1944 l’agenzia riprende la trasmissione del Servizio Mondiale. Ma per superare le difficoltà delle comunicazioni tra Salò e le capitali europee, la Stefani propone (ed ottiene) di poter diffondere da Berlino il servizio mondiale Stefani in italiano. Il 3 giugno 1944 Orazio Marcheselli è sostituito nella direzione da Oreste Daquanno che dirigerà la Stefani fino alla fine e morirà fucilato insieme con Mussolini e gli altri gerarchi in fuga. L’Agenzia cessa le trasmissioni il 25 aprile 1945 con il dissolvimento della Repubblica Sociale Italiana. Il 26 aprile Igino Marconi, delegato del CLN milanese ne prende possesso con le armi e affida la direzione a Vittorio Mogni. Pochi giorni dopo la polizia americana chiude definitivamente l’agenzia. Il 29 maggio 1945 il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia) propone il dottor Gaetano Vetrano a Commissario straordinario per l’Alta Italia dell’ex agenzia Stefani suggerendo che al Commissario straordinario sia dato incarico di provvedere alla conservazione e amministrazione del patrimonio dell’Agenzia nei territori dell’ex RSI nonché di provvedere, con il più breve termine possibile, al riordinamento dell’Agenzia stessa e di rendere possibile forme normali di ordinaria gestione dell’Agenzia. Il 22 settembre 1944, dopo cioè la liberazione di Roma, con decreto presidenziale firmato da Ivano Bonomi era stato nominato “commissario temporaneo per la gestione dell’Agenzia Stefani”, incarico che avrebbe esercitato fino a sei mesi dopo la cessazione dello stato di guerra. Vetrano da “commissario” dei due tronconi della Stefani, quella del centro e quella del nord, divenne poi “liquidatore” dell’Agenzia. Il 14 marzo 1958 l’agenzia fu posta definitivamente in liquidazione da Alfonso Corbo succeduto a Vetrano. Così moriva la Stefani a 105 anni dalla sua fondazione”26. Mi sono recata all’Archivio Centrale di Stato ed ho cercato quindi le buste contenenti i comunicati relativi al dicembre del 1943. Come però affermato da Francesco Arbitrio, autore di importanti pubblicazioni sulla storia dell’Agenzia Stefani: “Era prassi comune della Segreteria distruggere o rimandare al mittente bollettini informativi dopo averli consultati, ma, per le informazioni oggetto del nostro inventario, si fece una eccezione, con ogni probabilità perché si era in guerra ed in tale situazione era logico conservare tutte queste notizie che potevano tornare utili in qualunque momento. Il materiale venne perciò raccolto ed archiviato giorno per giorno con nuovi messaggi e bollettini fino al 25 luglio 1943, quando, in seguito alla caduta del fascismo, si bloccò tutta l’attività della S.P.D. per quanto riguardava gli Uffici di Palazzo Venezia e con essa tutto il meccanismo 26 Francesco Arbitrio, introduzione all’Agenzia Stefani, ACS, vol.48, 125,1. 17 informativo, così come lo aveva predisposto Mussolini, venne a cessare, Gli uffici di Palazzo Venezia vennero abbandonati dagli impiegati e tutta la documentazione presente nella segreteria rimase incustodita; L’Archivio del Carteggio Riservato, quello del Carteggio Segreto, la raccolta delle informazioni e dei bollettini del periodo bellico, i libri della biblioteca ed, infine, tutto il materiale vario delle scrivanie, degli armadi e degli scaffali. Di tutto questo materiale, l’attenzione delle autorità si appuntò solo sui documenti ritenuti importanti e cioè su di alcuni fascicoli del Carteggio Riservato e su quasi tutto il Carteggio Segreto di guerra che vennero prelevati nelle giornate immediatamente successive al 24 luglio 1943 dal Comandi Supremo, mentre i bollettini, le informazioni e tutto il materiale d’ufficio dei singoli impiegati furono lasciati a Palazzo Venezia. Essi rimasero lì dimenticati anche quando, dopo l’8 settembre, Mussolini, liberato dai tedeschi e portato al Nord per fondare la Repubblica Sociale Italiana, mandò a ritirare a Palazzo Venenzia i restanti fascicoli del Carteggio Riservato per farli trasferire al Nord-Italia”27. I documenti contenuti nei fascicoli dei comunicati Radio e relativi alle fonti dirette, si fermano a giugno 1943, circa sei mesi prima la data del nostro annuncio. Niente a riguardo è stato nemmeno possibile reperire nei fascicoli concernenti la documentazione relativa alla Stefani, rintracciabile nei fondi archivistici dell’ACS, nel Ministero della Cultura Popolare, Gabinetto (buste: 42, 92, 115, 140, 143), nella Segreteria Particolare del Duce (carteggio ordinario, 509, 767; carteggio riservato, b.1, fasc.Morgagni), o tra le carte della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ho trovato comunque documenti che attestano l’importanza e l’uso della radio in termini di diffusione di notizie belliche e propaganda e dell’Agenzia Stefani: “ Vi espongo, secondo il vostro desiderio, alcune osservazioni e proposte sulla organizzazione della nostra radio-propaganda per l’Interno: poiché la radio è di gran lunga il più importante ed efficace strumento di propaganda, specie in tempo di guerra, conviene dotarla di mezzi adeguati; il giornale radio si serve soltanto di comunicati della “Stefani”; i commenti ai fatti del giorno rappresentano l’attività più importante della nostra radio propaganda”28. Gli orari di trasmissione sono principalmente tra le 8 di sera e mezzanotte quando la gente ha più tempo libero e gli ascoltatori possono così essere informati sui discorsi del duce (in particolare quelli di Piazza Venezia), le cronache del regime, le marce ufficiali e, dopo le leggi razziali del 1938, le conversazioni a supporto del razzismo. Queste trasmissioni radiofoniche sono sempre accompagnate da programmi di svago e d’informazione per aumentare il numero degli ascoltatori. 27 28 Ibidem. ACS, Min.Cul.Pop. Gab. N.143. 18 Quando l’Italia decide di intraprendere la Guerra in Etiopia nel 1935 i programmi cambiano radicalmente con il nascere della radio cronaca, strumento di informazione per la popolazione circa le motivazioni dell’entrata in guerra, il suo svolgimento e per la propaganda alla ormai quasi imminente guerra mondiale, a seguito del cui sopraggiungere le edizioni del giornale radio vengono raddoppiate. “Informare nella stessa giornata, per radiofonia, il pubblico di radioascoltatori italiani, inglesi, francesi, etc, sarebbe ottenere il massimo risultato di propaganda, il più efficace e il più rapido, giungendo all’opinione pubblica in serata, e, quindi, in anticipo sulle informazioni dei giornali esteri del mattino. Gli effetti sarebbero sicuri e frutterebbero, in gran parte, le tendenze di quella stampa straniera che vorrà limitare e falsare la portata della campagna e delle singole operazioni. La radiocronaca, che descrive al vivo un fatto d’arme e lo svolgimento d’una battaglia, potrebbe essere impiegata questa volta, come strumento propagandistico, come genere modernissimo di giornalismo, che risparmia il lavoro delle rettifiche e delle rivendicazioni. Il collegamento radiotelefonico Asmara-Roma sarà iniziato, come è noto a V.E., alla fine di agosto. Ho studiato, nelle linee generali e nei dettagli, il modo di utilizzare il mezzo radiotelefonico per quotidiane trasmissioni di propaganda da avviare a Roma per essere trasmesse in lingua italiana e nelle lingue estere, servendosi dell’attrezzatura del Ministero Stampa. Poiché la realizzazione di tale progetto richiede il perfezionamento di accordi di carattere tecnico con il E. Ministro ella Marina, mi riservo, nei prossimi giorni, di riferire a voce all’E.V. in modo preciso”29. Un altro documento anonimo e inviato al Ministero per la Stampa e la Propaganda, Galeazzo Ciano, elenca nel dettaglio i compiti dell’ufficio Stampa: “Eccellenza, dopo un mese di permanenza in Colonia, dove ho vissuto la vita dei reparti dislocati nell’Altipiano eritreo, sono in grado di riferire all’E.V. sulla costituzione dell’Ufficio Stampa A.C., sottoponendo all’approvazione le proposte che seguono. COMPITI DELL’UFFICIO.- Secondo le istruzioni impartite dall’E.V. e secondo le esigenze di cui mi sono reso conto sul posto, i compiti dell’Ufficio si riassumono: nella diramazione di notizia a) sulla vita delle truppe e sulle operazioni, b) sulla situazione interna dell’Etiopia – per tramite del Ministero della Stampa, via radiotelegrafica (bollettino ufficiale quotidiano Stefani), e via radiofonica (trasmissioni quotidiane alla radio di Roma). Nella raccolta di fotografie eseguite dagli Ufficiali sul campo delle operazioni: riprese fotografiche dirette, gabinetto fotografico e trasmissioni radio-tele-grafiche. Nelle riprese cinematografiche, da inizirsi subito, nella propaganda tra le truppe e fra gli operai, nell’organizzare i servizi logistici per i 29 ACS, Min.Cul. Pop. Gab, busta n. 115, lettera anonima indirizzata al Ministero per la Stampa e la Propaganda S.E, il Conte Galeazzo Ciano. 19 giornalisti italiani ed esteri ed i servizi di trasmissione delle corrispondenze giornalistiche sia dall’Asmara che dal campo, nel predisporre un rapido servizio di censura sulle corrispondenze dei giornalisti e nel distribuire ad essi largo materiale preparato ad hoc (articoli, fotografie, grafici e statistiche”30. 30 Ibidem. 20 CAPITOLO 3 30 NOVEMBRE 1943 Durante le mie ricerche ho trovato un altro documento importante datato 1 dicembre 1943. E’l’ordinanza di Polizia n.5 diramata dall’Ministero dell’Interno e inviata a tutti i capi provincia con precedenza assoluta; “Comunicasi, per la immediata esecuzione, la seguente ordinanza di polizia che dovrà essere applicata in tutto il territorio di codesta provincia: “1° tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati delle incursioni aeree nemiche. 2° tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione delle leggi razziali italiane vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, devono essere sottoposti a speciale vigilanza degli organi di polizia”. Siano intanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento provinciale in attesa di essere riuniti in campo di concentramento speciali appositamente attrezzati”31. Per le suddette ragioni non è stato possibile rintracciare un comunicato radio di questa circolare e perciò non è possibile dare conferma all’ipotesi per cui fosse proprio questo l’annuncio ascoltato dall’ebrea di Capodimonte. Sappiamo però che di questa circolare ne darà notizia il Corriere della Sera il 1 dicembre 1943 aggiungendo che: “la questione razziale è stata frutto del recente Consiglio dei Ministri in termini di assoluta chiarezza. Essendo statigli ebrei dichiarati nemici dell’Italia, ovvie erano le conseguenze della decisione. Non solo essi non dovevano più essere lasciati liberi di Circolare nel nostro Paese, e quindi di nuocere con ogni mezzo alla causa nazionale, ma si doveva procedere altresì alla confisca dei beni. La giuridicità delle disposizioni impartite ai capi delle province è dunque indiscutibile. Un Paese in guerra ha diritto di difendersi dai propri nemici, togliendo ad essi ogni proprietà. Analogo trattamento viene fatto nei territori anglo-americani a centinaia di migliaia di nostri connazionali. Senonchè, mentre i 31 ACS, RSI, PCM, Gab b.57. 21 nemici dell’Asse non danno conto dell’uso delle ricchezze sottratte per diritto di guerra ai cittadini italiani e germanici che allo scoppio del conflitto non hanno potuto rientrare nei rispettivi paesi, noi precisiamo la sorte destinata ai frutti delle speculazioni ebraiche in Italia. Essi andranno a confortare il disagio dei sinistrati dai bombardamenti aerei. L’impiego delle somme certamente ingenti che saranno sequestrate non poteva essere meglio scelto. E’ alla tribù d’Israele, che risale la maggior parte delle responsabilità di questa guerra. Impossessatasi delle leve di comando dell’economia mondiale, essa ha premeditato l’aggressione e il soffocamento dei popoli proletari, scatenando un conflitto universale il cui scopo è quello di dissanguare l’Europa è dischiudere le porte del potere assoluto alla razza eletta. Che i demoni di questa schiatta perversa, con l’usura e lo sfruttamento sistematico della nostra gente, vadano a sanare le ferite provocate dai terroristi dell’aria, è un atto di umana giustizia più ancora che di legittima ritorsione. Ma non solo questo beneficio ritrarrà l’Italia che si riorganizza per il combattimento dai provvedimenti ora adottati. Mentre si procederà alle retate e all’isolamento di questi irriducibili nostri nemici c’è da prevedere una diminuzione non indifferente nello spionaggio e degli atti terroristici. I fili di molte congiure e tradimenti si spezzeranno come per incanto. Il livore e l’oro ebraico avranno cessato di nuocere, E sarà tanto di guadagnato per la patria e per le sue fortune”32. Sebbene non sia possibile accertare l’esistenza di un comunicato radio dell’Agenzia Stefani per la provata mancanza di documentazione, è possibile però ipotizzare che si sapesse dell’imminente rastrellamento e che quindi non corrisponde al vero affermare che l’annuncio fu dato quando ancora non se ne sapeva nulla33. Ricercando su Internet notizie circa il 30 novembre 1943, il primo link che appare è quello della Treccani34, profili istituto sala stampa comunicati: “Martedì 30 novembre a Roma alle ore 17.00 presso la Sala Igea di Palazzo Mattei di Paganica (piazza della Enciclopedia Italiana 4) si terrà il convegno 30 Novembre 1943: ordine di arresto per tutti gli ebrei d’Italia. L’incontro, organizzato dal Centro Romano di Studi sull’Ebraismo, dal Master Internazionale in didattica della Shoah, dall’Unione Comunità Ebraiche Italiane, dalla Fondazione Museo della Shoah e dalla Fondazione Centro Documentazione Ebraica Contemporanea, trae spunto dalla pubblicazione del libro di Liliana Picciotto L’alba ci colse come un tradimento. Gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944 (Mondadori editore). In quegli anni nel nostro paese giunse al culmine l’offensiva fascista contro 32 ACS, Archivio storico dei giornali, Corriere della Sera, 1 dicembre 1943. D. Camilli, R.De Vito, op. cit. p7. 34http://www.treccani.it/istituto/profilo/sala_stampa/comunicati/comunicati_2010/cs21.ht ml 33 22 gli ebrei che, iniziata con le leggi razziali del 1938, conobbe una brutale accelerazione con la nascita della Repubblica sociale. I governanti italiani scelsero infatti di adeguare la propria politica antiebraica a quella dell’alleato-occupante, che aveva già messo in atto autonomamente una serie di retate in diverse città nell’autunno del 1943. Il 30 novembre emanarono dunque un provvedimento che prescriveva l’arresto degli ebrei, cui sarebbe stato confiscato ogni bene, e il loro trasferimento in un unico luogo, individuato nel complesso di Fossoli, in precedenza utilizzato come campo per prigionieri di guerra e destinato anche ad altri internati, come i detenuti politici. Le autorità di Salò e quelle del Terzo Reich definirono una sorta di divisione dei compiti: gli italiani si occuparono dell’arresto e dell’internamento degli ebrei; i tedeschi, che dal marzo 1944 assunsero anche formalmente il comando del campo di concentramento, ne organizzarono la progressiva deportazione verso i lager in Germania e Polonia, attuata con modalità disumane. Fossoli, frazione di Carpi, divenne così lo scenario “inconsapevole” di una delle pagine più cupe della nostra storia; in quel campo furono reclusi 2844 ebrei arrestati in tutta l’Italia centrosettentrionale. Interverranno Lutz Klinkhammer, David Meghnagi, Marcello Pezzetti e Liliana Picciotto”35. 35 Ibidem. 23 CAPITOLO 4 LE FONTI SECONDARIE Ho scritto due mali a Liliana Picciotto tra l’altro segnalatami da Daniele Camilli come persona informata dei fatti e quindi fonte attendibile. “Dal 1969 lavora presso il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano (CDEC), avendo ricoperto varie mansioni, da bibliotecaria a conservatrice di archivio, da ricercatrice a storica. Dal 1986 è responsabile del progetto di ricostruzione dei nomi degli ebrei arrestati in Italia durante l'occupazione tedesca e la Repubblica di Salò (1943-1945). Per ritrovare i nomi, ha messo in atto una lunga ricerca in archivi pubblici e privati, peregrinando tra Italia, Polonia, Israele, alla ricerca di ogni più piccola traccia degli scomparsi. Con permesso speciale del Ministero della Giustizia, ebbe accesso ai registri matricola di molte carceri italiane, poté sondare gli archivi di stato periferici, gli archivi dei piccoli comuni, ascoltò migliaia di testimoni, registrò circostanze, nomi di luoghi, date utili, si fece dire i numeri di matricola tatuati sui bracci. Nell'archivio dell'ex campo di Auschwitz consultò tutti i documenti superstiti (non bruciati dai tedeschi in ritirata) relativi all'Italia. Nel 1985, poté consultare, prima italiana in assoluto, nell'archivio di Yad Vashem, i microfilm delle carte dell'International Tracing Service, attualmente conservate dalla Croce Rossa internazionale a Bad Arolsen e aperte al pubblico solo nel 2008. Questa ricerca, continuamente aggiornata con nuovi nomi e nuovi dati, è sfociata nel 1991 nella pubblicazione della lista degli ebrei deportati dall'Italia sotto il nome di Il libro della memoria. Il secondo importante progetto da lei diretto, avente per titolo "Memoria della salvezza", ha come obiettivo di ricostruire le strategie usate dalle famiglie ebree per trovare una via della salvezza dalla "caccia all'ebreo" messa in atto dalle polizie tedesche e italiane tra il 1943 e il 1945 e la parallela reazione della società civile di fronte alla medesima emergenza Shoah”36. Non avendo ricevuto risposta alle due mail ho deciso di chiamare direttamente il suo ufficio CDEC di Milano. Non senza ritrosia la sua segretaria mi ha concesso un colloquio e la stessa Picciotto si è mostrata da subito abbastanza scettica circa la tesi del libro di Daniele Camilli e Roberta de Vito che, a suo dire, le avevano già inviato tempo addietro una copia digitale del libro. La ragione di tale diffidenza risiede proprio nel 30 novembre; ella sostiene che dopo quel giorno tutti sapevano degli imminenti rastrellamenti e che la salvezza dei 22 ebrei viterbesi e della signora di 36 http://www.lilianapicciotto.it/ 24 Capodimonte non può essere legata all’annuncio di radio clandestine ma, semmai, all’annuncio della radio di regime che aveva tutto l’interesse nel comunicare e propagandare il proprio operato. Dopo l’armistizio di Cassibile dell’8 settembre e dopo soprattutto la liberazione di Mussolini e la proclamazione della Repubblica Sociale Italiana, “voluta dal Terzo Reich come apparato per amministrare i territori occupati del Nord e Centro Italia, lo Stato della RSI era infatti una struttura burocratica non dotata di potere autonomo effettivo, che in realtà era detenuto dai tedeschi. Con il funzionamento di uno Stato fantoccio i tedeschi potevano così riscuotere le spese di occupazione, stabilite nell'ottobre 1943 a 7 miliardi di lire, passate successivamente a 10 miliardi (17 dicembre 1943) e infine a 17 miliardi. L'intero apparato della Repubblica di Salò era infatti controllato dai militari tedeschi, memori del "tradimento" che gli italiani avevano consumato con l'armistizio dell'8 settembre. Il controllo non veniva esercitato solo sulla direzione della guerra e degli affari militari ma spesso anche sull'Amministrazione della Repubblica. Le stesse autorità militari potevano avere infatti anche funzioni civili. In tal modo “...una vasta rete di autorità avente competenze militari ma anche civili fu stesa dai tedeschi nell'Italia da essi controllata...”, “i rapporti tra fascisti ed ebrei, già resi difficili e precari dalle leggi razziali del 1938, subirono un ulteriore degrado dopo la costituzione della Repubblica Sociale Italiana. Il Manifesto di Verona stabilì infatti all'articolo 7 che: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. “Affermazione gravissima ed aberrante moralmente e storicamente, ma che - a ben vedere - non aggiungeva nulla di nuovo alla posizione che, come abbiamo dimostrato, Mussolini e Buffarini Guidi erano andati prendendo negli anni precedenti (...). L'intenzione di Mussolini e dei "moderati" era senza dubbio di concentrare sino alla fine della guerra tutti gli ebrei (...) e di rinviare la soluzione a guerra finita (...). L'assurdità della soluzione adottata è evidente: per qualsiasi persona di buon senso non poteva infatti esservi dubbio che (...) concentrare gli ebrei volesse in pratica dire permettere ai nazisti di impadronirsene quando volevano e, quindi, di sterminarli. (...) Anche in questo aspetto particolare si rileva dunque la insostenibilità della RSI o meglio di coloro che dandole vita e aderendovi ritennero non solo di salvare l' "onore" italiano, ma di poter così operare per la tutela di alcuni interessi italiani (...). Ciò che in questo senso essi poterono ottenere non giustifica certo, anche nei più onesti, l'essersi messi in pratica al servizio dei nazisti e l'aver in tal modo avallato il loro regime di terrore” (Renzo De Felice, storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, pp.446-447). 25 La creazione della Repubblica Sociale Italiana sotto diretta tutela della Germania fu l'inizio della caccia all'ebreo anche in territorio italiano, cui contribuirono attivamente reparti e bande armate della RSI. Talvolta il movente era costituito da ricompense in denaro “...essendo a conoscenza che i tedeschi pagavano una certa somma per ogni ebreo consegnato nelle loro mani, vi furono elementi delle Brigate Nere, delle SS italiane, delle varie polizie che infestavano il Nord, pronti a dedicarsi a questa caccia con tutto lo slancio possibile...”. Secondo Liliana Picciotto Fargion, risulta che del totale degli ebrei italiani deportati, il 35,49%, venne catturato da funzionari o militari italiani della Repubblica Sociale Italiana, il 4,44% da tedeschi ed italiani insieme e il 35,49% solo da tedeschi (il dato è ignoto per il 32,99% degli arrestati). Fra le retate completamente organizzate ed eseguite da italiani della RSI assume particolare rilievo il rastrellamento di Venezia effettuato tra il 5 ed il 6 dicembre 1943: 150 ebrei furono arrestati in una sola notte. La stessa triste vicenda del rastrellamento e della deportazione degli ebrei romani (effettuata dai tedeschi sotto il comando di Herbert Kappler) vide l'attiva collaborazione delle autorità della Repubblica Sociale Italiana e in particolare del commissario Gennaro Cappa, responsabile del Servizio Razza della Questura di Roma. Il 30 novembre 1943 fu emanato da Buffarini Guidi l'Ordine di polizia n°5 secondo il quale gli ebrei dovevano essere inviati in appositi campi di concentramento. Il 4 gennaio 1944 gli ebrei vennero privati del diritto al possesso. Subito dopo iniziarono ad essere emessi i primi decreti di confisca che già il 12 marzo successivo ammontavano a 6.768 (fra terreni, fabbricati, aziende, ecc.); agli ebrei venivano sequestrati anche arti ortopedici, medicine, spazzole da scarpe e calzini usati. Nel frattempo iniziarono le deportazioni, effettuate dai nazisti con l'aiuto e la complicità della R.S.I. come si è già avuto modo di segnalare. Guido Buffarini Guidi concesse ai tedeschi l'uso del Campo di Fossoli, attivo fin dal 1942 e preferì ignorare l'apertura del Campo di concentramento della Risiera di San Sabba che, sebbene situato nella Zona d'operazioni del Litorale adriatico, faceva ancora parte de iure della R.S.I. Con la nomina di Giovanni Preziosi, nel marzo del 1944, a massimo responsabile della Direzione per la demografia e la razza, si assistette ad un ulteriore inasprimento della persecuzione antiebraica. Vennero emanate nuove disposizioni ancora più vessatorie, sostenute da Alessandro Pavolini e sottoscritte da Mussolini. Preziosi tentò anche, nel maggio 1944, di strappare al Duce il consenso su un progetto di legge che prevedeva non dovessero essere considerati di sangue italiano tutti coloro che non potessero dimostrare la purezza del proprio lignaggio "ariano" fin dal 1800. Il ridicolo insito in tale proposta spinse Buffarini Guidi ad intervenire presso Mussolini che 26 inizialmente non firmò.”...tuttavia, come al solito, Mussolini sceglierà una situazione di compromesso: la legge viene modificata ma passa”. Le cifre degli italiani di religione ebraica deportati fino alla caduta della R.S.I., se rapportate alla consistenza complessiva della comunità israelita presente in Italia (costituita da 47.825 unità nel 1931, di cui 8.713 ebrei stranieri), sono elevate e rappresentano la quarta o la quinta parte del totale. Secondo fonti affidabili, i deportati furono 8.451 di cui solo 980 fecero ritorno; agli scomparsi nei campi di concentramento e di sterminio vanno aggiunti tuttavia 292 ebrei uccisi in Italia. In totale vennero assassinati dai nazifascisti 7.763 ebrei italiani”37. In un’Italia schiacciata dalla presenza tedesca e in guerra, con “il fascismo in punto di morte”38, è lecito supporre che le comunicazioni radio, in particolare quelle riguardanti la cattura degli ebrei, fossero di estrema importanza data soprattutto l’immediatezza del mezzo, anche se, ripeto, non sono state trovate fonti a proposito. Ho contattato successivamente Rossana De Marchi, autrice del libro “17 gennaio 1944. In quell’attimo anche gli angeli si misero a piangere”, tramite Facebook, ma senza risultato. Nello scritto in questione, riporta infatti una testimonianza che, se approfondita, avrebbe forse potuto aggiungere particolari interessanti. A parlare è Vincenzo Curioni, nato il 24 giugno 1922: “Fino al terzo Ragioneria ho studiato al Paolo Savi, poi sono partito militare. Inizialmente avrei voluto fare la carriera militare, ma in seguito preferii abbandonare. La maturità la presi in un secondo tempo privatamente, a Viterbo. Facevo il marconista in aviazione, sono stato mandato in missione in varie località: in Sicilia, a Malta,e in Sardegna da dove partivo per fare incursioni in Africa. Ho poi beneficiato di un avvicendamento con un altro ragazzo viterbese, perché avevo fatto più di 24 mesi in zone di operazioni. Venni a Viterbo nel marzo 1943 e fui collocato al centro radio presso l’aeroporto, fino al novembre del‘43, dopodiché fui preso dai tedeschi. Stavo al centro radio di Viterbo ed ero sempre collegato con il centro radio di Tarquinia, qui si sapeva quando stavano per arrivare gli aerei e immediatamente venivo informato; a quel punto avvertivo l’intero aeroporto del pericolo che stava sopraggiungendo. Ero io che mettevo in azione la sirena d’allarme, ovviamente soltanto dell’aeroporto. In quei giorni gli hangar dell’aeroporto erano pieni di armi che i tedeschi portavano a Cassino. I tedeschi avevano munizioni a non finire, le loro fortezze volanti con il rimorchio erano piene di armi. Noi in aeroporto lo sapevamo, ma lo sapevano anche coloro che inizialmente erano per noi i nemici, tanto che non a caso vennero a bombardare soltanto l’aeroporto, mentre la città non la 37 38 http://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Sociale_Italiana. ACS, Fondo Colosso, Trasmissioni Radio Londra. 27 presero in considerazione. Le informazioni le avevano, e per quanto abbiamo visto, erano anche molto precise. Con molta probabilità furono informati da una delle tante spie, che di certo non mancavano. Ricordo come fosse adesso, erano le 14, 30 del 29 luglio 1943, quando sentimmo il rombo cupo delle fortezze volanti dei nemici avvicinarsi. Appena il tempo di alzare gli occhi verso il cielo. Quello che vedemmo fu terrificante. Sopra di noi, un’infinità di fortezze volanti, a pattuglie, erano in formazione di 25, 30 aerei, tutti in fila uno dietro all’altro, così tanti che oscurarono il cielo. Corsi ad attivare la sirena d’allarme, spinsi un bottone e la sirena partì. Faceva sei suoni a distanza di sei secondi l’uno dall’altro, mentre a fine bombardamento, il suono era uno, e lungo. Era come un ululato metallico, uuu, uuuu, uuuuuu. Ma quel giorno non servì quasi a niente, perché le fortezze volanti ci stavano ormai piombando addosso con tutto il loro carico di morte. Iniziarono a sganciare bombe a non finire. Distrussero in un baleno le palazzine comando degli ufficiali, sottufficiali e delle truppe. Io riuscii ad arrivare dentro una specie di rifugio del centro radio che si trovava al secondo piano dell’ufficio comando. Insieme con altri riuscii a raggiungere un piano sotto terra (quello era il rifugio), non sicuro al cento per cento, però ci salvò. Il bombardamento durò circa mezz’ora. Quando sentimmo che non bombardavano più, uscimmo allo scoperto, lo spettacolo allucinante che si presentò ai nostri occhi, ci fece rimanere scioccati; da sotto terra in cui ci trovavamo, ci arrivavano i boati delle esplosioni, ma mai pensavamo di trovare la distruzione intorno a noi. La pista dell’aeroporto non esisteva quasi più, gli aeroplani tedeschi carichi di munizioni erano saltati per aria, contribuendo ad ammazzare e ferire chi si trovava nelle vicinanze. Morirono italiani e tedeschi, militari e civili, tutti accomunati da una tragica sorte. Non fu colpito, per fortuna, il deposito delle munizioni, chiamato polveriera, che si trovava dentro una grotta vicino alle casermette dove allora c’erano i paracadutisti, altrimenti non ci saremmo salvati nessuno. Il motivo di questo bombardamento? Gli alleati sapevano che a Viterbo transitavano le fortezze volanti dei tedeschi, cariche di bombe e munizioni, da portare a Cassino. Nell’aeroporto in quel momento c’erano circa una sessantina di aerei tedeschi, ma furono distrutti circa sette, otto, non di più. I morti purtroppo furono almeno 50, tra cui un carissimo amico, il maresciallo Achilli, che comandava la centrale elettrica e i feriti furono tantissimi. Poi venne il secondo bombardamento. Avvenne la notte del 15 Agosto. Ero sempre di turno alla radio, quando il centro radio di Tarquinia mi avvertì dell’arrivo di altri aerei. La sirena d’allarme 28 elettrica era ormai distrutta dal primo bombardamento, allora presi quella manuale, salii un piano dell’edificio e mi misi a far girare la manovella per avvertire i presenti del pericolo affinché si potessero mettere in salvo. C’è da dire che ci raccomandavamo a Dio, non avevamo un rifugio, gli unici posti che avevamo erano i piani sotterranei, e poiché sopra c’erano tre o quattro piani, speravamo ci proteggessero. I rifugi negli aeroporti non esistevano, era così a Viterbo, come altrove. Sono stato in cinque aeroporti, di cui due al fronte a Sciacca, a Castelvetrano, in prima linea ad Alghero, in Sardegna, e posso dire che in nessun posto esisteva un luogo per rifugiarci. Ritornando a Viterbo, il 15 agosto iniziarono a bombardare dalle 22 fino alle 3 del mattino. Di notte però non venivano le formazioni, ma un aereo alla volta, con un intervallo di circa mezz’ora l’uno dall’altro (anche quando partivano i nostri per andare a Malta a bombardare, partiva un aereo alla volta, a intervalli di circa 20- 30 minuti l’uno dall’altro. Anch’io sono stato a Malta a bombardare, ho fatto 27 azioni). Ero tanto giovane, credevo molto in quello che facevo. Sì, ho anche pensato che una delle bombe da me sganciate poteva uccidere qualcuno, ma il Duce ci diceva che dovevamo farlo, e a me questo bastava. Con tutta sincerità quello che più provavo era la paura. Paura di essere ucciso, colpito dai caccia nemici. Quando partivamo da Sciacca con destinazione Malta, ci trovavamo gli inglesi con un’infinità di cannoni che ci sparavano contro. Noi Italiani (parlo del 1941) partivamo con 5 aerei, i CANT Z 1007BIS, dopo un’ora partivano i caccia tedeschi, che in genere erano 8, e si mettevano a 7000, 8000 metri d’altezza, piazzandosi ai lati dei nostri aerei che stavano in formazione, e ci facevano da scorta. Quello che succedeva nel cielo è indescrivibile, perché di lì a poco arrivavano i caccia degli inglesi, e cominciavano a mitragliarci come pazzi, e altrettanto facevano i caccia tedeschi. Ero giovane, avevo 20 anni e la paura mi assaliva. Il 15 agosto 1943 i nemici (era così che chiamavamo gli alleati) non vennero perché pensavano che ci fossero ancora i tedeschi, ma per finire di distruggere l’aeroporto, affinché non fosse più utilizzabile. Un altro bombardamento lo fecero il 9 settembre 1943, il giorno dopo l’armistizio alle ore 17, colpendo Viterbo duramente, centrando via Francesco Baracca, viale Trieste, la zona di Garbini e quel giorno ci furono circa 200 morti. Poi, un altro il 12 dicembre 1943, intorno alle 11 del mattino, colpendo ancora Porta Fiorentina, parte della Città e Prato Giardino, perché dentro, nascosti tra gli alberi, c’erano i mezzi corazzati e non, dei tedeschi. Anche dentro il Cimitero di San Lazzaro c’erano 200 automezzi tedeschi, nascosti lungo i viali. Io mi trovavo vicino alla chiesa della Trinità, 29 dove c’era il dispensario, feci in tempo a buttarmi dentro una cunetta. Sembrava la fine del mondo, è stata un’incursione durata almeno un’ora. Il 17 gennaio 1944, intorno alle 14,30, un altro devastante bombardamento colpì ancora la zona di Garbini, Porta Fiorentina e le zone limitrofe. Poi vado sfollato a Grotte Santo Stefano, sperando di stare protetto e verso febbraio, marzo, tornarono a bombardare ancora e noi dal paese vedevamo Viterbo che veniva bombardata e i polveroni delle bombe che si alzavano fino al cielo. Altri terrificanti bombardamenti nella zona di Porta Fiorentina, via Garbini, li fecero perché nella villa dei De Maria, come pure quella dei Cecchetti, ci si erano insediati i comandi tedeschi. Anche Grotte Santo Stefano l’8 e 9 febbraio 1944 fu bombardata, c’erano le officine tedesche, dove venivano aggiustati i loro cannoni e anche gli automezzi. Altre officine tedesche c’erano anche a Caprarola. Il Comando della Rocca che era in stanza in Prefettura gestiva le officine di Caprarola: con gli automezzi che si trovavano a Bolsena, mandava rifornimenti di carburante a quelli che poi sarebbero andati a Cassino. L’aeroporto di Viterbo venne in seguito sistemato alla meglio dagli alleati, ma le piste non erano più agibili come all’origine, potevano atterrare solo velivoli leggeri. L’unico aereo nostro che si è salvato dai bombardamenti si trova a Vigna di Valle nel museo. La guerra anche dopo la sua fine ha continuato a mietere morti, perché nel rimuovere le macerie, c’erano molte bombe inesplose, che scoppiavano all’improvviso”39. Vincenzo Curioni è l’Economo, Tesoriere, dell’Associazione Grandi Invalidi di Guerra di Viterbo che ho provato a chiamare innumerevoli volte senza tuttavia ottenere mai risposta. Andare personalmente a Viterbo sarebbe potuta essere un ottimo tentativo. Invano ho cercato anche di contattare, chiedendo amicizia su Facebook e inviando un messaggio circa i contenuti della mia ricerca, la Sig.ra Franca Sarah Anticoli che, in data 6 marzo 2011, ha voluto ricordare: “Letizia Anticoli, nata a Viterbo il 30.8.1914 figlia di Emanuele Vittorio e Reale Di Veroli. Coniugata con Angelo Di Porto. Arrestata a Viterbo il 2.12.1943 da italiani. Detenuta a Viterbo e Fossoli. Deportata da Fossoli ad Aushwitz il 5.4.1944 Morta a Mauthausen dopo la liberazione il 12.5.1945 sorella di mio padre”40. Lei probabilmente avrebbe potuto sapere dell’annuncio radio, ma l’amicizia non è stata mai accettata. 39 http://www.lacitta.eu/archivio-2013/storia/82-casa/8478-grandi-invalidi-di-guerra-letestimonianze-di-due-protagonisti.html 40 http://www.assonews.it/lavoro-welfare-a-diritti/dillo-ad-assonews/430-la-memoria-eviva.html. 30 La mia ricerca delle fonti storiche si è fermata qui, oltre non mi è stato possibile continuare per le suddette ragioni. Avrei a questo punto voluto contattare Romualdo Luzi e Moreno Milletti che hanno scritto e pubblicato un libro “I giusti di Latera” che narra, in estrema sintesi, della sorte di Samuele Spizzichino e della sua famiglia. Furono nascosti e protetti, anche da qualche fascista del posto, fino alla fine della guerra e Samuele, dopo la liberazione, fu nominato primo sindaco del paese dal Cnl41 e Angelo Biondi, storico del Pitigliano. Sarei andata anche personalmente a Viterbo nei momenti disponibili per tentare di contattare Vincenzo Curioni o Rossana De Marchi. Ma la scadenza è giunta e il lavoro deve essere consegnato. 41 http://www.viterbooggi.eu/foto/giornata-della-memoria,-33-gli-ebrei-viterbesi-vittimedella-shoah_31821_0.htm. 31 BIBLIOGRAFIA ACS ARBITRIO FRANCESCO, Introduzione all’agenzia Stefani, ACS, vol. 48; 125, 1. CAMILLI DANIELE, DE VITO ROBERTA, Concentrare, sterminare. Essere è ricordare, Orvieto, Intermedia Edizioni, 2014. HEIDEGGER MARTIN, In cammino verso il linguaggio, Milano, Mursia, 2002. 32 SITOGRAFIA http://www.hobos.it/le_prime_voci.pdf, Le prime voci, Vittorio Bruno Stamerra, coordinatore del progetto Brindisi Capitale “8 settembre 1943, l’orgoglio ritrovato”. Ultima consultazione 12/12/ 2014. http://anpi-lissone.over-blog.com/article-37139828.html, # Resistenza Italiana, Radio Libere e liberate in Italia dopo l’8 settembre 1943. Ultimo aggiornamento 7/10/2009. http://www.bibliotecaviterbo.it/biblioteca-e-societa/1997_3/inserto.pdf, Giovanni Battista Sguario, Viterbo durante il periodo della Repubblica di Salò. Ultima consultazione 13/12/ 2014. http://www.lacitta.eu/archivio-2013/storia/82-casa/8478-grandi-invalidi-di-guerrale-testimonianze-di-due-protagonisti.html, Rosanna De Marchi, Grandi invalidi di guerra, le testimonianze di due protagonisti. Ultimo aggiornamento 14/02/2013. http://www.assonews.it/lavoro-welfare-a-diritti/dillo-ad-assonews/430-la-memoriae-viva.html, Ines Maizzi, La memoria è viva. Ultimo aggiornamento 06/03/2011. http://www.storiaradiotv.it/STORIA%20DELLA%20RADIO%20di%20Ruggero%20Rig hini.html, Ruggero Righini, La storia della radio. Ultima consultazione 04/11/2014. https://comunico.wikispaces.com/Radio+e+propaganda+durante+il+Fascismo, Radio e propaganda durante il fascismo. Ultima consultazione 04/11/2014. http://www.treccani.it/istituto/profilo/sala_stampa/comunicati/comunicati_2010/cs2 1.html, 30 novembre 1943. Ordine di arresto per tutti gli ebrei d’Italia, Convegno alla Treccani in occasione della presentazione del libro di Liliana Picciotto. Ultima consultazione 06/12/2014. http://it.wikipedia.org/wiki/Repubblica_Sociale_Italiana, ultimo aggiornamento 06/11/2014. http://it.wikipedia.org/wiki/Giornalismo_investigativo, ultimo aggiornamento 24/11/2013. http://it.wikipedia.org/wiki/Inchiesta, ultimo aggiornamento 3/01/2014. 33 34