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"Samsara Diary" su Sky l'incredibile storia di Baba Pace. Il figlio Ramchandra: "Con questo film...
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4 agosto 2016
"Samsara Diary" su Sky l'incredibile storia di Baba Pace.
Il figlio Ramchandra: "Con questo film ho affrontato
mio padre"
L'Huffington Post | Di Silvia De Santis
Pubblicato: 16/07/2016 17:35 CEST
Aggiornato: 17/07/2016 13:33 CEST
"I miei figli lo chiamano 'nonno Baba'. Li accompagno da lui, in quella che un tempo fu la comune in cui sono cresciuto. Oggi è un tempio
indù, l'unico in Italia, frequentato da nepalesi, indiani, bengalesi. L'ha messo su mio padre di ritorno dal suo ultimo viaggio in India, durato
dieci anni". Perché di Alessandro Pace, ex commercialista romano, nato da emigranti siciliani sbarcati negli anni trenta nella capitale, poi
benedetti dal boom economico e promossi alla piccolo borghesia, oggi non c'è più traccia. Resta solo un nome registrato all'anagrafe,
irrimediabilmente superato dagli eventi. O dal karma, per meglio dire, giacché, se ogni fine è un nuovo inizio, come sostiene la religione
indù, nella sua rinascita Alessandro si chiama Krishna Nath, porta una tunica arancione, barba bianca e lunghi rasta annodati sulla nuca.
Il "rosario" della sua vita lo sgrana "Samsara Diary", due menzioni speciali al Biografilm Festival 2015 di Bologna e all’EtnoFilmFest, in onda
dal 12 luglio alle 21 su Sky Cinema Cult (e su SkyGo): un percorso nelle curve della memoria tra vhs e superotto filtrato attraverso lo sguardo
del figlio Ramchandra, letteralmente "principe guerriero della luna". "Un'altra trovata di mio padre - sorride il regista, 100% italiano, come
Chandra Baba del resto - Anche se fin da piccolo ho sempre avvertito un gap culturale con gli altri bambini. Mi sono sentito un po' 'meticcio',
soprattutto a scuola. Mi sarei potuto chiamare Giuseppe, e invece...".
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Trailer "SAMSARA DIARY" from Ram Pace on Vimeo.
E invece Ram è cresciuto nel culto di Kali e Shiva in una comune alle porte di Roma, a Casal Lumbroso, "un parco giochi fatto di musicisti,
artisti e notti corte". Una madre andata via quando lui aveva otto mesi "perché sfidare il senso comune, negarsi l'istinto di maternità era
stata la sua rivoluzione" racconta nel film, e un padre hippie, visto come un eroe che negli anni Settanta, come molti della sua generazione,
era partito per l'India via terra inseguendo il mito dell'Oriente. "Ma a differenza di altri, che esaurita la spinta iniziale, tornarono a casa, fece
una scelta radicale di rifiuto della società dei consumi".
Il suo fu un percorso di devozione e rinuncia, anche a stare con suo figlio, a un certo punto. "Quando avevo 16 anni mio padre decise di
lasciarsi il passato alle spalle e allontanarsi dall'Occidente un'altra volta. Fece perdere le sue tracce fra il Gange e l’Himalaya entrando
nell'ordine dei Nath, i monaci esorcisti indù. Io rimasi nella comune, che nel frattempo si sgretolava diventando un fantasma ingombrante.
Mi crollò il mondo addosso, passavano i mesi, gli anni, sperando di vederlo tornare. Poi iniziai a cavarmela da solo".
E allora "Samsara Diary", l'incredibile biografia di un padre sui generis, è anche una terapia per rimarginare ferite o provare a chiudere
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cerchi rimasti in sospeso per anni. "Samsara vuol dire 'ciclo della vita' in sanscrito - spiega Ram - Per me è stato una sorta di diario visivo, un
modo per rimettere insieme i pezzi della mia vita e dare loro un senso alla vigilia della nascita del mio primo figlio. Volevo raccontare a
Giordano la storia di suo nonno, ma il film è stato per me anche un percorso di elaborazione della paternità durante la gravidanza della mia
compagna. Sentivo il desiderio di affrontare la figura di mio padre dopo anni di rancore".
Rancore che negli anni di "mancanza forse no, ma assenza certamente" di Alessandro, si sfoga sulle pareti di un'abitazione lasciata
all'incuria, che fa acqua da tutte le parti. "La casa era il corpo di mio padre, e io mi accanivo" confessa Ram nel docufilm. I giorni felici
dell'infanzia, trascorsa tra Italia e l'Oriente, sembravano ormai lontani: "Una volta eravamo in India e io mi persi da solo, di notte, tra guru,
santoni e milioni di indiani che festeggiavano il Kumbh Mela (un pellegrinaggio in cui i fedeli indù si ritrovano per immergersi in un fiume
sacro, ndr). Avevo solo otto anni, ma da sempre mio padre mi lasciava libertà estrema. Vennero a recuperarmi a braccia e gambe due indiani
mandati da lui". Eppure oggi che Alessandro Baba è rientrato a Roma, espulso dall'India dopo anni di clandestinità "il nostro rapporto è
migliorato. Con le sue scelte radicali, estreme, mio padre mi ha insegnato che quando si crede fermamente nei propri sogni e li si insegue
fino in fondo, si possono realizzare. Siamo noi gli autori della nostra realtà, gli artefici del nostro destino. Questo è il messaggio che voglio
dare ai miei figli”.
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3 commenti
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Tiziana Tomasella · Tappabuchi presso Lo Stato
ma poveraccio, abbandonato a se stesso da due genitori del genere, troppo buono
ad averli perdonati! Una delle tante testimonianze di come anche i genitori possono
essere egoisti e irresponsabili, menefreghisti nei confronti dei figli. ma poi
ovviamente si criticano sempre i figli....
P.S: io mi sarei fatta cambiare pure il nome, se non altro per dispetto....
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5 · 16 luglio 2016 10:06
Bernardo Daleppo
Non sarebbe male se tutti i commercialisti facessero la stessa scelta, diventare
immigrati clandestini in India. Per buona misura sarebbe splendido se facessero lo
stesso notai e avvocati.
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2 · 17 luglio 2016 6:53
Donatella Carriera · Freelance presso A casa
Una storia comune a tante persone. Tutti i figli (normali) quando diventano adulti
tentano di recuperare il rapporto con i genitori che magari non lo sono mai stati. É un
modo per leccarsi le ferite tentando di rimarginarle. Pertanto bravo! In bocca al lupo
per la tua vita, Ram!
Mi piace · Rispondi · 18 luglio 2016 0:33
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