LAURUS CAMPHORA Cantani (Manuale di

Transcript

LAURUS CAMPHORA Cantani (Manuale di
LAURUS CAMPHORA
Cantani (Manuale di farmacologia Clinica. Vallardi, Milano, 1887; vol. II: 173-191)
La canfora assunta per bocca produce senso di calore, seguito da un senso di freschezza e, in via riflessa, un aumento
della secrezione di saliva e di muco nella bocca. Presa in soluzione produce, evaporando, la sensazione di freddo nelle
fauci, durante la deglutizione, cui segue più tardi il senso di calore e spesso di vero bruciore. Nello stomaco, le piccole
dosi producono la sensazione prima di freddo e poi di calore…dosi maggiori sono facilmente seguite da nausea, vomito
e diarrea; la mucosa gastrica offre lo stato di catarro, più o meno intenso, talvolta con ecchimosi ed ulcerazione (Orfila);
tal altra la mucosa gastrica offre persino uno stato di infiammazione crouposa. Evaporando, la canfora nello stomaco e
negli intestini gonfia il ventre in forma di generale meteorismo. L’assorbimento della canfora avviene maggiormente
quando la si introduce in emulsione o soluzione (Magendie), nella qual forma spiega l’azione irritante locale sulla
mucosa. La canfora è eliminata principalmente attraverso i polmoni e la cute (respirazione e sudore)…La canfora
assorbita dal sangue produce un perturbamento generale…anzitutto dobbiamo premettere che non v’ha forse rimedio
che produca effetti più opposti secondo la dose e secondo la individualità del paziente. Uno degli effetti più pronti e
meglio sperimentati della canfora è il perturbamento dell’azione cardiaca…la quale viene rinforzata e accelerata a
piccole dosi (5-10 cgr), ma è rallentata e finalmente indebolita a forti dosi (1/2-2 gr). Di pari passo va il suo effetto
sulla temperatura: piccole dosi producono un senso di calore che si diffonde per tutto il corpo, ma senza che si possa
constatare un aumento di temperatura nell’ascella col termometro; le maggiori producono un senso di freschezza
generale, notato già da Avicenna e invocato da Trousseau. Dosi molto forti possono abbassare la temperatura in modo
minaccioso, con pallore della cute, o un aumento febbrile spaventevole, con turgescenza della pelle. Forti dosi
determinano un aumento della frequenza respiratoria e un caratteristico flato dall’odore di canfora. La pelle offrirebbe
spesso un aumento notevole della diaforesi, con le stesse dosi che aumentano la temperatura. Il sudore freddo che si
osserva dopo le dosi avvelenanti non è dovuto alla canfora, ma è sudore paralitico analogo a quello dell’agonia. I reni
segregano, dopo dosi di 10-15 cgr. di canfora, una maggiore quantità di orine. Anche gli organi sessuali sono oggetto di
viva controversia…un verso della scuola di Salerno afferma: camphora per nares castrat odore mares e i monaci
solevano portare al perineo dei sacchetti riempiti di canfora, per rendersi più facile il voto di castità; all’incontro, molti
autori di vaglia dichiarano la canfora addirittura un potente afrodisiaco…pare che ecciti le contrazioni dell’utero e lo
renda iperemico, per cui la si usava come emmenagogo. Importante è lo studio sul sistema nervoso. Alexander, i cui
esperimenti sopra se stesso datano dal 1768 e sono i più interessanti e i più esatti, dopo 2,5 gr. di canfora, presi in una
volta, in sciroppo, sentì un generale rilasciamento, morale e materiale, ebbe sbadigli e rutti molestissimi, abbassamento
della temperatura e diminuzione della frequenza di polso, e poi vertigine, confusione delle idee, vacillamenti da perdere
l’equilibrio e da dover strascinarsi a letto; poco a poco non poteva più leggere, vedendo sussurro agli orecchi, cessò di
conoscere le persone vicine e poi perdette completamente la coscienza: ed allora stette un po’ tranquillo a letto, un po’
ne saltava, voleva vomitare e poi, dopo fortissimo grido, cadde indietro, preso da violente convulsioni epilettiformi con
spuma alla bocca ed occhi fissi, durante il quale attacco cercava di rompere e lacerare qualunque cosa gli stava vicina:
cadde poi in deliquio col volto rosso e 2° di temperatura sopra la norma e con 100 polsi, conservando tanto di coscienza
da poter impedire che Cullen gli facesse l’intenzionato salasso; in tutto questo periodo non era conscio di quanto gli era
successo e solo dopo che, bevuta dell’acqua calda, vomitò, l’odore della canfora gli ricordò il suo stato…dopo tre ore
tornò poco a poco la coscienza e la memoria, e dopo un sonno tranquillo recuperò la completa salute. Purkinè sentì,
dopo 70 cgr. di canfora per un’ora e mezza un piacevole senso di calore per tutto il corpo, con eccitamento generale del
sistema nervoso, estasi e tendenze religiose, dopo di che presto si rimise; ma quando anch’egli ne prese 2,5 gr, sentì
prima il bisogno di muoversi, un’idea cacciò l’altra, la coscienza personale si estinse, ma ritornò dopo il vomito, la fuga
di idee continuò, si turbò notevolmente la vista, ma rimase inalterato l’udito, e dopo alcuni movimenti convulsivi
sopravvenne il sonno. Dosi superiori a 4-5 gr. avvelenano più costantemente e producono, oltre i sintomi della
gastroenterite tossica, senza che precedano fenomeni di eccitamento, subito collapso, sopore, convulsioni e morte,
oppure producono in principio cefalea, allegria sfrenata, allucinazioni grottesche, riso sfrenato con ansia di morte
(Hoffmann), mania di ballare (Reynolds), dilatazione e paralisi delle pupille, stranguria e dolori lungo il corso dei
cordoni spermatici e, se non subentra presto un benefico sonno, sopore, convulsioni epilettiformi, morte apoplettica o
asfittica.
…Ai casi di adinamia con minacciante paralisi generale, in malattie febbrili acute (ileotifo, petecchiale, scarlattina,
morbillo), così pure nel cholera e nella dissenteria…se il polso è piccolo, la temperatura bassa, la coscienza di sé
obnubilata…la canfora sarebbe utilissima…Ed ancora, per analoghe ragioni indifferentemente in tutte le malattie
contagiose e miasmatiche, soprattutto tifo e colera, contro le quali Raspail vantò i suoi sigaretti, la canfora da naso e
l’atmosfera canforata, mentre già da molto tempo si raccomandava ai medici di portare un pezzo di canfora nella
saccoccia, e i medici del medioevo solevano odorare nella presenza dell’ammalato una boccetta contenente canfora, per
proteggersi dal contagio, o più raffinatamente tenevano sotto il naso, durante i consulti, il pomo del loro bastone, che
nella sua cavità conteneva della canfora.
1
Tamburrini N. Nozioni fondamentali di Materia Medica e Terapia. Napoli, 1881: 465-466.
La canfora, a differenza di molte altre sostanze aromatiche, oltre l’odore caratteristico, dà nelle fauci la sensazione di
fresco e poi di calore; nello stomaco, evaporandosi, riesce carminativa, producendo rutti di odore canforaceo. Le grandi
dosi in polvere possono irritare profondamente la mucosa gastroenterica e dar luogo a vere ulcerazioni, poiché si
riconosce nella canfora un potere tossico, che arriva fino alla causticazione. La canfora manifesta, molte volte, con la
stessa dose, fenomeni differenti e opposti…cioè, dopo un transitorio eccitamento provoca segni di
depressione…l’eccitamento generale si traduce in un rinforzo e acceleramento del cuore e della respirazione, in un
senso di calore che si diffonde per tutto il corpo, aumento della diuresi, esaltazione del sistema nervoso e, secondo
molti, in un primo tempo con le piccole dosi anche eccitamento sessuale, benché la scuola salernitana proclamasse:
canfora per nares castrat odore mares. È certo che molte volte la canfora riesce a preferenza anafrodisiaca, senza
negare che altri abbiano osservato il contrario…Le grandi quantità, dopo un transitorio eccitamento, che può spesso non
essere avvertito, provocano gravi fenomeni di depressione, cioè debolezza e rallentamento del cuore, respirazione
frequente e breve, sensibile abbassamento della temperatura, ai quali può conseguire straordinaria frequenza cardiaca e
uno stato febbrile, disturbi nervosi centrali, ossia cefalea, vertigini, delirio, convulsioni, perdita della coscienza, coma e
morte…Presso di noi sono state raccomandate le piccole dosi di canfora nel primo stadio del colera, per moderare il
vomito tumultuoso e la diarrea, o per profilassi; ma per quanto ne sia popolare l’uso, non siamo in grado di stabilire se
realmente il rimedio riesca sempre efficace.
Bernatzik W, Vogl A. Manuale di Materia Medica. Vallardi, Milano, 1886: 606-611.
Negli uomini sani dosi inferiori a 0,05 non sembrano avere un’azione degna di nota; dopo 0,06-0,5 gr. si osserva per
solito senso di calore per tutto il corpo, un polso alquanto più frequente e pieno, un’eccitazione psichica piacevole,
vivacità delle idee, serenità, impulso al movimento, qualche volta peso del capo e mal di testa, alle volte sudore o
aumentata secrezione di urina, infine spesso un sonno tranquillo e profondo. Dietro dosi maggiori (0,6-2,5-4,0 gr.) sono
ugualmente i sintomi cerebrali i più costanti e appariscenti. Per lo più vi sono fenomeni di esaltazione o a questi
seguono fenomeni di depressione. I fenomeni principali sarebbero: stato simile all’ubriachezza, ideazione confusa e
fugace, delirio sereno, svariate allucinazioni, eccessiva voglia di movimento; depressione psichica, abbattimento,
vertigine, sonnolenza, stordimento, perdita della coscienza; diverse sensazioni soggettive come formicolio, intenso
senso di freddo, senso di spossatezza, etc., qualche volta paura, tremore, contrazioni o convulsioni più o meno
violente…Sull’avvelenamento con canfora vi hanno abbastanza numerose notizie dei tempi più antichi e più recenti,
degli ultimi anni, specialmente dall’Inghilterra (per la cosiddetta soluzione omeopatica di canfora spesso usata colà nei
raffreddori). In alcuni pochi casi si ebbe la morte.
Nel mese di aprile del 1787 Hahnemann si trova a Dresda già da tre anni e sostituisce il dr. Wagner, malato, nella carica
di Ufficiale Medico del Dipartimento della Salute. Ciò gli permette di accedere a tutti gli ospedali della città e di
prendere visione degli studi epidemiologici di alcune malattie infettive. Egli sposta la sua curiosità sempre più verso
quelle malattie che, attraverso la loro contagiosità, si trasmettono con un carattere fisso. Solo le malattie infettive,
infatti, consentono di verificare la terapia dei semplici (farmaci unici): tale idea verrà sviluppata in seguito e parte dalla
considerazione che, se una malattia si riproduce con gli stessi sintomi in una data popolazione, l’agente patogeno
trasmissibile deve essere unico. La logica conseguenza di questa impostazione, del tutto condivisibile, è che il rimedio
da contrapporre deve essere unico e semplice. In questo periodo si sviluppa una blanda forma di influenza e Hahnemann
non si lascia sfuggire l’occasione di studiarne le caratteristiche, in modo da verificare se, per la presenza di alcuni
sintomi comuni, sia possibile l’utilizzazione di un’unica terapia. Un primo ostacolo si frappone all’inizio: la maggior
parte dei pazienti presenta solo lievi disturbi, che in genere sfuggono ai medici poco attenti, ma che comunque
testimoniano la presenza della stessa malattia. Solo 1/10 della popolazione colpita presenta, invece, il sintomo febbrile
e, accanto a questo, alcuni segni di malignità, che possono mettere in pericolo la vita stessa dei pazienti. In questi casi,
le autorità della Sanità Pubblica sono inclini a considerare le due forme come malattie diverse. Hahnemann, pertanto,
fatica non poco a riconoscerne l’identica etiologia, descrivendo l’epidemia con notevole dovizia di particolari. Nei casi
lievi, quelli che sfuggono all’osservatorio epidemiologico, i sintomi sono molto scarsi, ma comuni alle forme più gravi:
dolori paralitici e tiranti in alcune parti del corpo (nuca, parti esterne del collo, emitorace, dorso, un braccio o una
coscia, alcune dita). Questi dolori rimangono per settimane e sono ribelli a qualsiasi rimedio, sia domestico, sia medico.
Al contrario, cosa che dimostra la validità delle asserzioni di Hahnemann, scompaiono, al massimo in due giorni, con
un appropriato rimedio contro l’influenza. Solo alcune persone presentano sintomi più marcati, tali da attirare
l’attenzione dei medici e delle autorità. Nella fase precedente il periodo febbrile (alcune ore o diversi giorni, per il
periodo prodromico) compaiono:
-rigidità articolare, aggravata dal movimento e accompagnata a cattivo umore, paura e disperazione;
-senso di peso alla testa;
difficoltà alla deglutizione, che presto si identifica con dolore nelle parti esterne del collo e della nuca, aggravato dalla
pressione;
2
-sgradevole stiramento nel dorso;
-sensazione simile, molto dolente, nel torace e in tutto il corpo, soprattutto alle cosce, con rigidità paralitica molto
marcata;
-stato di prostrazione, specialmente nella posizione seduta;
-aggravamento della rigidità la sera, preceduta da brivido violento e palpitazioni e seguita da angoscia ancora più
marcata, assieme a gonfiore del volto e arrossamento degli occhi;
-nei casi più gravi, a tale sintomatologia si aggiunge iperpiressia marcata, che può condurre a morte in 4, 7, 15 giorni;
-nei casi più lievi, il parossismo febbrile ha un andamento giornaliero e scompare dopo mezzanotte, con sudorazione
generale spesso fetida, che dura fino alle sei del mattino e migliora i dolori e la cefalea;
-costipazione ostinata durante i primi giorni, seguita da diarrea nelle fasi terminali della malattia;
-nei casi più severi, soppressione delle urine, che può condurre a morte per insufficienza renale;
-lingua secca e marrone alla punta, nelle forme più gravi, con induito giallastro nei casi più lievi;
-insonnia;
-la coriza propriamente detta non compare mai.
Fra tutti questi sintomi, Hahnemann identifica quelli più comuni e fastidiosi:
-abbattimento e disperazione;
-rigidità, dolori tiranti e tensivi nelle parti esterne, specialmente nei tendini, nelle aponeurosi e nel periostio delle parti
colpite;
-peso alla testa, che si alterna a tensione e cefalea tirante e pressiva, con perdita di memoria.
Inutile dire che i vari emetici, lassativi, diaforetici, acidi vegetali e minerali, nonché la venesezione, messi in atto dalla
vecchia abitudine alla purgatio, non sortiscono alcun effetto, se non quello di mettere in pericolo la vita dei pazienti.
Solo l’oppio, somministrato in forma semplice, riesce a diminuire la temperatura, ma con un generale peggioramento
della costipazione. La camphora, al contrario, supera ogni aspettativa, dimostrandosi in grado di operare una
guarigione radicale. A tale proposito, Hahnemann usa il significativo termine di specifico, per questo particolare tipo di
malattia, a dimostrazione del fatto che agisce positivamente in tutti i casi e in tutte le fasi della stessa forma epidemica.
Hahnemann (Tentativo di individuare un nuovo principio per scoprire il potere curativo delle sostanze
farmacologiche, accanto ad alcuni cenni su quelli impiegati finora, 1796)
A grandi dosi la Canfora riduce la sensibilità in tutto il sistema nervoso; l’influenza dello spirito vitale, ugualmente
irrigidito sui sensi e sui movimenti, viene inibito (se mi posso esprimere in modo un po’ più rude). Sopraggiungono
congestioni cerebrali, annebbiamento, vertigini, impossibilità a governare i muscoli secondo volontà, impotenza di
pensiero, di sensazioni, impotenza di memoria. La contrattilità delle fibre muscolari, prevalentemente di quelle
appartenenti alle funzioni naturali e vitali, sembra diminuire fino alla paralisi. L’eccitabilità si riduce nello stesso modo,
soprattutto quella delle terminazioni esterne dei vasi sanguigni; di meno quella delle grandi arterie, meno ancora quelle
del cuore. Si sviluppa freddo nelle parti esterne, un polso piccolo e duro e sempre più lento e, a causa dei diversi stati
del cuore contro le terminazioni esterne dei vasi sanguigni, si forma paura e sudorazione fredda. Tale costituzione delle
fibre determina immobilità, ad esempio, dei muscoli della mandibola, dell’ano, dei muscoli del collo, che assumono le
caratteristiche di uno spasmo tonico. Sopraggiungono un respiro profondo e lento e svenimenti. Durante il passaggio
all’azione secondaria appaiono convulsioni, pazzia, vomito, tremori. Durante lo stesso effetto secondario indiretto
inizia, dapprima, la sensazione che ridesta, se così posso dire, la mobilità dello spirito nervoso precedentemente
assopito, la mobilità delle terminazioni arteriose esterne, quasi spentasi, si rianima e il cuore sopraffa la resistenza
presente fino ad ora. I battiti del polso, precedentemente lenti, aumentano di numero e di intensità, il gioco del sistema
sanguigno torna alla situazione precedente, oppure, in certi casi, la oltrepassa addirittura (per dosi alte di canfora, per
pletora, etc.) e si forma un polso più veloce e pieno. Tanto più privi di mobilità erano i vasi sanguigni prima, tanto più
facilmente mobili diventano ora; aumenta il calore per tutto il corpo; a dire il vero, si sviluppa anche rossore e, talvolta,
traspirazioni abbondanti e uniformi. L’intera manifestazione termina dopo 6-8-10-12, al massimo 24 ore. Tra tutte le
fibre muscolari, è la facilità di movimento del canale digerente a tornare più tardi. Nei casi in cui la capacità, da parte
delle fibre muscolari, di accorciarsi prevale notevolmente su quella di rilassarsi, la canfora giova come rimedio
dall’azione opposta, in modo veloce, ma palliativo; in alcune manie, nelle infiammazioni locali e generali di tipo puro,
reumatico o erisipelatoso e nelle malattie da raffreddamento.
Dal momento che il sistema delle fibre muscolari, il sensorio e la Forza Vitale ridotta hanno, in caso di febbre tifoide
pura e maligna, qualcosa in comune con l’effetto iniziale diretto della canfora, essa agisce da rimedio dall’azione simile
e cioè in modo duraturo e con utilità…Se la canfora risolve veramente la stranguria da cantaride, lo fa come rimedio
dall’azione simile, perché essa provoca stranguria. Elimina i gravi sintomi dovuti a purganti drastici, in parte come
rimedio che inibisce le sensazioni e rilascia le fibre (rimedio conseguentemente opposto, palliativo e sufficiente).
In casi di effetti avversi della scilla e in caso questi siano cronici, un gioco tra la capacità di accorciarsi da parte delle
fibre muscolari, che si possono stimolare fin troppo facilmente, essa agisce solo in modo palliativo e meno
3
efficacemente, se non si ripetono frequentemente le dosi, lo stesso vale per i casi cronici da abuso di mercurio. Agendo
come rimedio simile, esso aiuta notevolmente a sostenere la corteccia nel brivido di lunga durata delle febbri
intermittenti degenerate (saporose). L’epilessia e le convulsioni, che hanno alla base fibre derubate della loro
eccitabilità e fibre rilassate, vengono risolte in modo decisivo dall’azione simile della canfora. Essa è un noto antidoto
alle dosi elevate di latice di papavero, contro le quali essa agisce, per la maggior parte, in modo opposto e palliativo.
Ma, dal momento che il tutto è transitorio, agisce in modo sufficiente. Allo stesso modo, il latice di papavero è un
antidoto efficace alle dosi elevate di canfora, come io stesso ho appreso. Questo eleva, in modo opposto ma sufficiente,
la Forza Vitale ridotta attraverso quest’ultima, ed eleva il calore vitale che si era andato estinguendo.
Un fenomeno particolare è l’effetto del caffè, durante l’azione di dosi elevate di canfora. Esso rende mobile lo stomaco,
stimolato alla rigidità spastica; sopraggiunge un vomito convulsivo, oppure veloci svuotamenti per somministrazione in
clisteri; ma non aumenta la Forza Vitale, né lo stordimento dei nervi diventa più libero; anzi, forse diventa ancora più
forte, come mi sembra di aver visto. Dato che l’effetto diretto sui nervi, il più vistoso della canfora, consiste nel fatto
che tutte le passioni si assopiscono in ugual misura e che sopraggiunge una totale indifferenza verso gli eventi esterni
(anche cose molto interessanti), essa sarà utile come rimedio dall’azione simile nelle manie, il sintomo principale delle
quali sarà l’indifferenza con polso lento e soppresso e pupilla contratta, come io stesso ho constatato e (secondo
Auenbregger) anche con testicoli retratti. È inopportuno usarla in ogni tipo di mania. Assunta internamente, la canfora
risolve infiammazioni generali, temporanee e locali, ma anche quelle croniche, per molte ore; le dosi dovrebbero, però,
essere ripetute molto rapidamente contro il primo tipo di infiammazioni, se si vuole raggiungere qualcosa di
ragguardevole; devono essere, quindi, ripetute continuamente, prima che compaia l’effetto secondario. Nell’effetto
secondario, infatti, la canfora aumenta la tendenza a riformare le infiammazioni; inoltre, le rende croniche e dispone il
corpo prevalentemente verso malattie da raffreddamento e catarrali. La sua efficacia è maggiore con l’uso esterno e
continuo e, ai suoi svantaggi, si può provvedere, qui, in altro modo.
Hahnemann (Antidotes to some heroic vegetable substances, 1798)
Antidoto della canfora: opium; antidoto dell’oppio: camphora
La canfora è conosciuta, secondo le osservazioni di altri, come un antidoto della cantaride e della scilla
Antidoto di cocculus: camphora
Antidoto di mezereum: camphora
Hahnemann (Some kinds of continued and remitted fevers, 1798): a proposito dell’influenza
Camphora…era efficace, o meglio specifico, in tutti gli stadi della malattia, accompagnati o no dalla febbre, soprattutto
quando era somministrata più precocemente possibile e a forti dosi. Un gran numero di pazienti si ristabilì, con il suo
impiego, nello spazio di quattro giorni, nonostante la gravità dei loro sintomi. All’inizio ero molto cauto, circa il suo
uso, e non davo agli adulti più di 15-16 grani al giorno, in latte di mandorla; ma presto ho compreso che, al fine di
ottenere una guarigione veloce, era necessario somministrare, anche a soggetti deboli, 30 grani e, ai soggetti più robusti,
40 grani in 24 ore. Il risultato favorevole non tardava, la costipazione cessava, il sapore cattivo, o comunque bilioso,
rapidamente scompariva, insieme con la nausea e il malessere; il peso e il dolore alla testa diminuivano di ora in ora; il
rigor febbrile si spegneva al suo nascere, il calore diminuiva e, nei casi in cui non c’era stata sudorazione, o questa era
troppo abbondante, insorgeva una lieve e generale diaforesi, con sollievo di tutti i dolori tensivi tiranti nelle parti
esterne. Le forze presto ritornavano, insieme all’appetito e al sonno; l’abbattimento si convertiva in forza e speranza e il
paziente riacquistava la salute, senza riacutizzazioni.
Ho timore che questa rapida scomparsa dei sintomi, dell’induito giallo, marrone o nero della lingua, il gusto nauseante e
bilioso, la costipazione e lo stato di malessere, spesso in 24 ore, con l’uso della sola camphora, somministrata a forti
dosi, non farà piacere ai partigiani ortodossi della scuola umoralista. La natura, statene sicuri, spesso rifiuta di
uniformarsi alle richieste dei sistemi: pietà per il medico dogmatico che prova a combattere contro di lei.
Quando sono stato chiamato in tempo, e la malattia, nonostante la gravità del suo esordio, era radicalmente scomparsa
in 4 giorni, o 6 al massimo, non rimaneva alcun sintomo morboso, nemmeno la debolezza.
Hahnemann (Cause and prevention of asiatic cholera, 1831)
Preliminare
È stata data al mondo una ricetta, che si dimostrava così efficace a Dünaburg, nel colera asiatico, che di dieci pazienti
solo uno è morto. Il principale ingrediente è camphora, che si trova in proporzione di un decimo rispetto agli altri
ingredienti. Ma, non un decimo – no, nemmeno uno su cento dei pazienti sarebbe morto, se gli altri ingredienti, così
nocivi e ostruttivi, come anche la venesezione, fossero stati eliminati e la camphora fosse stata data da sola e sempre
giusto all’inizio della malattia, perchè questa, soltanto quando è somministrata in forma unica e alla prima invasione è
così meravigliosamente utile. Ma se i medici arrivano, come di solito succede, troppo tardi dal malato, quando il tempo
favorevole per l’impiego della camphora è passato, ed è ormai cominciato il secondo stadio, la sostanza diventa inutile;
I loro pazienti moriranno anche con il suo uso. Chiunque, pertanto, nel momento in cui un amico cade vittima del
4
colera, deve immediatamente trattarlo, da solo, con la camphora, senza aspettare l’aiuto del medico, il quale, anche se
fosse bravissimo, arriverebbe comunque troppo tardi. Ho ricevuto molte comunicazioni dall’Ungheria, da parte di non
medici, che hanno guarito i loro amici, come per magia, somministrando camphora nello stesso istante in cui si
ammalavano.
Dove il colera appare per la prima volta, solitamente si manifesta con un primo stadio (con carattere tonico
spasmodico); la forza del paziente improvvisamente cede, non riesce a stare diritto, l’espressione è alterata, gli occhi
infossati, il volto bluastro e freddo gelato, così come le mani, con freddo nel resto del corpo; abbattimento rassegnato e
ansia, con terrore del soffocamento, è visibile nello sguardo, mezzo stuporoso e insensibile, geme e piange con un tono
di voce rauco e interrotto, senza fare alcun distinto lamento, eccetto che quando chiama; bruciore nello stomaco e nella
gola, crampi dolenti ai polpacci e agli altri muscoli; urla quando si tocca la regione precordiale; non ha sete, né vomito o
diarrea.
Nel primo stadio la camphora permette un rapido miglioramento, ma anche gli amici stessi del paziente devono usarla,
in quanto questa fase termina subito con la morte o con il secondo stadio, che è più difficile da curare e, comunque, non
con la camphora. Nel primo stadio il paziente deve assumere, quanto più spesso possibile (almeno ogni 5 minuti) una
goccia di spirito di canfora (preparato con un’oncia di sostanza in 12 once di alcool), su un pezzo di zucchero o un
cucchiaino di acqua. di questa preparazione si mette una certa quantità nelle mani e si strofina la cute delle braccia,
gambe e torace del paziente; egli deve anche fare un clistere con mezza pinta di acqua calda, mescolata con due
cucchiaini pieni di canfora alcolica e, di tanto in tanto, si può fare evaporare della canfora su ferro bollente, in modo
che, se la bocca dovesse essere chiusa dal trisma e non riesce a deglutire, può assumere abbastanza vapore con il
respiro. Più velocemente possibile tutto questo viene espletato nel primo stadio della malattia, tanto più rapidamente e
sicuramente il paziente guarisce; spesso in un paio di ore, il calore, la forza, la coscienza, la tranquillità e il sonno
ritornano e il paziente è salvo.
Se questo periodo iniziale, così favorevole per la guarigione e la cura veloce, mediante l’impiego della canfora sopra
indicato, è stato trascurato, allora le cose si mettono male; la canfora non è più utile. Ci sono, comunque, dei casi di
colera, specialmente nelle regioni del nord, nei quali questo primo stadio, con il suo carattere dello spasmo tonico, si
osserva difficilmente e la malattia passa, istantaneamente, nel secondo stadio dal carattere degli spasmi clonici;
frequenti evacuazioni di materia liquida, mista a fiocchi biancastri, giallastri, o rossastri e, insieme a sete insaziabile e
forte gorgoglio nell’intestino, violento vomito di grandi quantità dello stesso fluido, con agitazione ingravescente,
gemito e sbadiglio, freddo gelido di tutto il corpo, anche della lingua e aspetto blu marmoreo degli arti, mani e volto,
con occhi fissi infossati, diminuzione di tutti i sensi, polso lento, crampi eccessivamente dolenti nei polpacci e spasmi
alle gambe. In tali casi, la somministrazione di una goccia di camphora in alcool ogni 5 minuti deve essere intrapresa,
fino a che un beneficio evidente non sia osservabile (in quanto, un rimedio dall’azione così rapida come la canfora, deve
agire in un quarto d’ora). Se ciò non avviene così presto, allora non c’è tempo da perdere nel somministrare il rimedio
nel secondo stadio. Il paziente deve assumere uno o due granuli della preparazione più attenuata di rame (preparata dal
rame metallico, nel modo descritto nella seconda parte del mio lavoro sulle Malattie Croniche), quindi cuprum °X°,
mescolati con acqua e introdotti nella bocca ogni ora o mezz’ora, fino a che il vomito e la diarrea non diminuiscono e il
calore e la tranquillità siano ristabiliti. Ma niente altro deve essere aggiunto; nessun’altra medicina, infuso, bagni,
vescicanti, fumigazioni, venesezioni, etc., altrimenti il rimedio non sarà di aiuto. Simili buoni effetti risultano dalla
somministrazione di una piccola porzione di elleboro bianco (veratrum album °X°), la preparazione di rame, tuttavia,
deve essere preferita, in quanto di maggiore aiuto; talvolta una singola dose è sufficiente, tanto che permette di agire
senza una seconda dose, almeno fino a quando lo stato del paziente procede nel miglioramento. Qualsiasi desiderio del
paziente deve essere accettato con moderazione. Talvolta, quando la terapia tarda per molte ore, o altri e impropri
rimedi sono stati somministrati, il paziente cade in una sorta di stato tifoide, con delirio. In questo caso, bryonia °X°,
alternata a rhus tox. °X°, permette un notevole servizio.
La sopra citata preparazione di rame, insieme a una buona e moderata dieta e a una attenta igiene, rappresenta il miglior
mezzo di profilassi e il miglior rimedio protettivo; chi sta bene dovrebbe assumere, una volta la settimana, un piccolo
granulo di questa (cuprum °X°) al mattino presto, senza bere nulla immediatamente dopo, ma ciò non dovrebbe essere
fatto fino a che il colera non sia nella località stessa o nelle immediate vicinanze. La salute dell’individuo non sarà
minimamente disturbata da questa dose…La canfora non protegge dal colera, ma solo la suddetta preparazione di rame.
Quando si assume quest’ultima, deve essere evitato il vapore di canfora, in quanto questa sospende l’azione del rame.
Hahnemann (Lettera al dr. Schroeder, di Lemberg, da Coethen, 19.12.1831. Études de Médecine
Homeopathique, Paris, chez J.-B. Bailliére, 1850: 300-3)
Caro collega,
Non ho avuto alcuna occasione di trattare, direttamente io, il colera arrivato al suo completo sviluppo; ma
sono stato spesso in grado, tramite consigli e direttive, di estinguerlo alla sua origine. Almeno 30.000 copie delle mie
Istruzioni sono state fatte circolare tra gli abitanti di Vienna, dell’Ungheria, di Berlino e Magdeburgo; ciò ha permesso,
nel momento in cui il colera attaccava qualcuno, di fargli prendere, al primo insorgere del male, una goccia di spirito di
camphora ogni cinque minuti, aggiungendo a questo mezzo delle frizioni fatte con la mano sulla testa, il collo e il petto,
con una diluizione di camphora (1 a 12). Con l’aiuto di tale trattamento, il malato ritrovava la salute in meno di un’ora,
5
senza disturbi e come se non gli fosse successo nulla. In questo modo e con i miei numerosi consigli, molte centinaia di
persone furono salvate dalla loro malattia quasi in segreto, senza che fosse stato chiamato alcun medico e senza che i
vicini e i compagni ne fossero istruiti. Lo spirito di canfora sembra, dunque, in base alle mie ricerche, essere il solo
agente capace di distruggere inevitabilmente il miasma che è la causa del colera, ciò che prova la prontezza con la quale
ha estinto la malattia a Vienna, Berlino e Magdeburgo. La guarigione del colera con la canfora, nelle prime 4 ore che
seguono l’invasione, ha luogo soltanto nella forma acuta di questa malattia, o, come ho detto, nelle prime ore, quando
nessun medico ha potuto ancora essere chiamato e quando la malattia è nel periodo degli spasmi tonici. Ma, nel
momento in cui passa alla fase del rilasciamento e degli spasmi clonici, ciò che arriva presto, il medico omeopatico
deve far ricorso al veratrum e al cuprum, sebbene la guarigione avvenga con molta difficoltà. C’è un’altra forma di
colera, più difficile da guarire, rispetto alla prima, ossia quella (che non ha un andamento così rapido) che si sviluppa
lentamente ed è dovuta alla “colerina” (nome che Veith padre, di Vienna, ha dato a questa affezione). Essa insorge, in
effetti, quando il miasma (capace di produrre alla sua fonte un colera sempre mortale, nel caso in cui sia trattato con
all’allopatia) non può più generare che sintomi isolati, se colpisce gli abitanti di un paese più lontano, o se arriva solo
dopo che la malattia si sia rarefatta e indebolita. Nelle persone robuste questi sintomi guariscono da soli; ma nelle
persone deboli si trasformano in vomito, subito seguito da una diarrea indolente, ma molto debilitante, con molta
flatulenza la quale (se non si riesce a fermare) è seguita da spasmi tonici, delirio, fino alla morte. In queste forme a
decorso lento, non c’è alcuna indicazione per la canfora, che farebbe accelerare la morte del malato. L’acido fosforico,
al contrario, si dimostra specifico, soprattutto se il paziente soffre di borborigmi, accompagnati a una diarrea
colliquativa (che indebolisce la forza vitale). Veith padre ha rimarcato questo fatto e io stesso l’ho constatato, dopo di
lui, sui miei malati di Magdeburgo.
CAMPHORA
(dal IV volume, 2° edizione, 1825)
Fin dai tempi più remoti, questa medicina è stata ciecamente e impropriamente utilizzata in forti e massicce dosi, così
che non è mai stata accertata la sua vera azione, nè si poteva accertare, dal momento che la si è quasi sempre
somministrata insieme a molti altri farmaci, mescolati o dati nello stesso momento, e inoltre, ciò che è peggio, è stata
impiegata solo fra il tumulto dei sintomi delle malattie. Gli effetti puri osservati da Alexander∗, infatti, sono molto
poveri, e confinati alle pure espressioni generali.
L’azione di questa sostanza è molto enigmatica e difficile da determinare, anche negli organismi sani, in quanto la sua
azione primaria alterna rapidamente, e si mescola, con la reazione vitale (azione secondaria), più spesso che ogni altra
medicina, tanto che è frequentemente difficile distinguere ciò che si deve attribuire alla reazione del corpo, e l’azione
alternante della camphora nella sua azione primaria.
Camphora, come posso testimoniare dall’esperienza, rimuove l’azione troppo violenta di moltissimi farmaci, quando
impiegati indebitamente o dati in dosi troppo forti, ma generalmente solo nella sua azione primaria, come una specie di
contrarium, come un palliativo. Per questo motivo deve essere data molto frequentemente e in dosi molto piccole quando è necessario ogni 5, fino a 15 minuti, o quando c’è una grande urgenza ogni 2-3, una goccia della soluzione
alcoolica saturata (1/8 di un grano) mescolata in mezza oncia di acqua fino al dissolvimento, ma anche annusando una
soluzione alcoolica saturata di camphora ogni 3, 4, 6, 10, 15 minuti.
Un grano di camphora (dissolto in 8 gocce di alcool) si combina con 400 grani di acqua tiepida, e quando scosso, si
scioglie del tutto, contrariamente all’asserzione di quasi tutti i lavori sulla materia medica, per i quali è del tutto
insolubile in acqua.
Non ho trovato che la camphora sia utile come antidoto per gli effetti violenti di ignatia.
Il rapido esaurimento della sua azione e il rapido cambiamento dei suoi sintomi la rende incapace di curare molte
malattie croniche.
Quella infiammazione cutanea, che diffonde in modo radiale, rosso lucente, il cui arrossamento scompare per un attimo
con la pressione del dito, comunemente denominata erisipela (rosa), quando insorge da cause interne, è sempre e solo
un sintomo singolo della malattia. Ora, dal momento che la camphora, applicata esternamente, eccita una specie di
erisipela, così, nelle malattie acute accompagnate da erisipela, essa diventa utile con l’applicazione esterna, se gli altri
sintomi della malattia interna sono presenti tra quelli della camphora.
Quando l’influenza endemica in Siberia arriva tra noi, ciò che avviene occasionalmente, e quando lo stadio febbrile è
già cominciato, camphora è utile, certamente solo come palliativo, ma un inestimabile palliativo, essendo la malattia di
breve durata. Deve essere somministrata in dosi frequenti, ma sempre crescenti, dissolta in acqua come sopra descritto.
Non diminuisce la durata della malattia, ma la rende più mite, conducendola quindi, in maniera innocua, fino al termine.
(D’altra parte, la nux vomica, in unica dose, la più piccola possibile, rimuoverà spesso, la malattia omeopaticamente in
poche ore).
Quando gli effetti pericolosi conseguono a una forte dose di camphora, opium è utile come antidoto; e, d’altra canto,
camphora è un pronto antidoto nell’avvelenamento da oppio; dunque, ciascuna di queste sostanze rimuove gli effetti
dell’altra. È quindi stupefacente che opium e camphora siano stati, finora, somministrati in associazione, in un’unica
prescrizione!
∗ Will. Alexander, Medical Essay and Observations, 1755.
6
Niemeyer (Patologia e Terapia speciale. Vallardi, Milano, 1866; vol. IV: 328-349)
Quasi tutti gli individui che vivono nel distretto del miasma colerico, accusano una leggera pressione ai precordii,
borborigmi e la sensazione di una minacciante diarrea…i quali palesemente nascono dall’influenza del veleno colerico,
crescono visibilmente fino allo sviluppo d’un più o meno grave stato morboso solo allorquando ebbe luogo un’infezione
di una certa intensità, o che l’organismo è in certo grado predisposto ad ammalare. Anche gli accessi di ambascia, le
lipotimie, i crampi surali e altri disturbi dell’innervazione si credettero da taluno (vedi Hahnemann) derivanti
dall’influenza del veleno colerico, e nel volgo l’opinione, che il timore del colera sia assai pericoloso o segni il principio
della malattia, è così radicata che in tempo d’epidemia molti temono persino il timore del colera (!)… La durata del
periodo di incubazione…di certo non è minore di 36 ore e non maggiore di tre giorni.
La forma più leggera che può offrire il colera è quella di una semplice diarrea, non accompagnata da dolori colici, né da
tenesmo, la quale prescindendo da un leggero grado di lassezza e spossamento, non produce alcun disturbo nella salute
generale e nelle singole funzioni…le masse eliminate sono più o meno copiose, sieroso-liquide, ma senza odore e di
colorito normale. La transizione dalle forme più leggere di colera alle più gravi viene costituita da quei casi in cui si
associa alla diarrea un vomito tumultuario e le evacuazioni pigliano un aspetto caratteristico, il quale diede il nome delle
temute scariche simili a brodo di riso. Questa forma ancora mite… sovente raggiunge un alto grado, detto forma
eretistica del colera, ossia colera piccolo o colerina, onde distinguerlo per una parte dalla semplice diarrea colerica e
per l’altra dal colera asfittico. Lo scoloramento delle dejezioni alvine dipende di preferenza ed esclusivamente dalla loro
eccessiva diluizione mediante l’enorme massa del liquido trasudato nell’intestino. Col subentrare delle scariche
caratteristiche del colera, la sete, che sussiste già nella semplice diarrea colerica, viene considerevolmente accresciuta.
Nella colerina la perdita di acqua è più grande e perciò la sete più viva che non nella semplice diarrea colerica. Alle
evacuazioni caratteristiche, alla sete violenta, alla spossatezza e debolezza estrema si associa nella pluralità dei casi
ancora un fenomeno molestissimo agli ammalati, vale a dire ad intervalli più o meno lunghi succedono contrazioni
spastiche in singoli muscoli, specialmente quelli delle sure, le quali talfiata durano mezzo minuto intiero e sono
accompagnati da violentissimi dolori.
La forma asfittica del colera consiste nel massimo possibile aumento del processo colerico nel tubo intestinale…La
prima scarica diarroica è in breve tempo seguita da una seconda, questa da una terza e così via dicendo da un gran
numero di evacuazioni liquide. Le masse eliminate sono in pari tempo singolarmente copiose e, perdendo il loro colore
e odore fecale, assumono il carattere delle così dette scariche alvine simili a brodo di riso. Già sotto la seconda o la terza
diarrea molti pazienti vengono colti dalla sensazione dell’estrema debolezza e prostrazione, oppure anche da un accesso
leggero di lipotimia…sopraggiungono già contrazioni dolorose nei muscoli delle sure, con intensa sete, crescente di
continuo, dopo ogni diarrea. Quanto più gli ammalati bevono, tanto più presto si accompagna alla diarrea anche il
vomito, sotto il quale vengono eliminati, dapprincipio l’accidentale contenuto gastrico, e più tardi grandi quantità di un
umore leggermente giallognolo. La debolezza dei pazienti cresce rapidamente, la voce diventa fioca (vox cholerica), le
dejezioni avvengono involontariamente, la secrezione delle orine è sospesa, i crampi muscolari dolorosi diventano più
violenti e si ripetono più di frequente, la sete tormentosa non può venir spenta e a tutti questi sintomi si associa una
sensazione grave di angoscia e di oppressione, la quale insieme coi crampi surali costituisce il sintomo più tormentoso
del colera. Frattanto anche l’aspetto dell’ammalato ha sofferto un’alterazione orribile; gli occhi sono infossati nelle
orbite, il naso è più affilato, le guance incavate (facies cholerica); la pelle delle mani è rugosa, come quella delle
lavandaje che hanno lavorato un giorno intiero, e quando si forma una piega della cute, dessa rimane per qualche tempo
sollevata e scompare solo poco a poco. Le labbra, le estremità, gli organi sessuali sono tinti in ceruleo più o meno
intenso e sovente tutta la superficie del corpo ha preso un aspetto grigiastro. Il polso radiale, che diventa più piccolo
subito dopo le prime diarree, in molti pazienti non si può più percepire un’ora dopo l’invasione della malattia.
Finalmente scompare il polso anche nelle carotidi, il battito cardiaco e i toni del cuore diventano indistinti e mentre la
circolazione si fa ogni ora più incompleta, mentre giunge una quantità sempre minore di sangue caldo alla superficie del
corpo, la temperatura di questa, specialmente nei luoghi scoperti, discende al grado della cadaverica (stadium
algidum)…La coscienza di sé non è obnubilata, ma per la maggior parte gli ammalati sono sorprendentemente apatici,
accusano bensì dolori e oppressione, ma sono indifferenti al pericolo, tardi ed annojati nelle risposte…gli ammalati non
ammiccano le palpebre allorquando il medico avvicina il dito alla congiuntiva e non reagiscono se vengono spruzzati di
acqua.
Il quadro clinico del colera è dovuto alla forte azione della enterotossina prodotta dal vibrione nell’intestino. In un
interessante, anche se datato, lavoro1 si mette in relazione la sub-unità β di tale tossina, con l’analoga prodotta da e. coli
di origine suina, in una reattività crociata che permette di estrapolare nel ganglioside GM1 il potenziale recettore. Ciò è
stato confermato successivamente2 tra la tossina colerica e quella suscettibile al calore di e. coli (heat-labile toxin)3.
Altro dato interessante, che riguarda il criterio di similitudine molecolare è rappresentato dalla reattività crociata tra il
colera e la brucella melitensis. In uno studio sierologico condotto su 44 adulti peruviani, che lamentavano di moderata
diarrea dovuta al vibrione del colera 01 El Tor, è stata dimostrato, nel 43,2% dei pazienti un titolo 1/80 e nel 15,9%
1/160, come reazione di falsa positività verso la brucella. Tali falsi positivi insorgevano da 7 a 14 giorni dopo l’inizio
della sintomatologia diarroica4. Analogamente, la somministrazione intranasale di antigeni di schistosoma mansoni, in
7
combinazione con appropriati adiuvanti, induce una buona immunizzazione nei topi; lo stesso avviene usando la tossina
colerica, la cui immunizzazione previene l’infezione da schistosoma, in quanto induce una reattività crociata su
quest’ultimo5. Un interessante studio di qualche anno fa ha permesso di verificare l’omologia di sequenza di due
proteine cross reattive, la tossina della pertosse e quella del colera, usando peptici sintetici. In questo modo è stato
evidenziato che gli anticorpi anti-tossina pertussis interagiscono con la sub-unità α della tossina colerica6, mediante un
unico anticorpo monoclonale in grado di legare ambedue i peptidi. Un’altra caratteristica importante della tossina
colerica è data dalla sua capacità di stimolare la secrezione di insulina da parte delle β-cellule pancreatiche, in maniera
del tutto analoga a quanto dimostrato per altre molecole, quali la tossina della pertosse, la maitotossina e la latrotossina7.
Ancora, sul mimetismo molecolare, occorre ricordare come il vaccino orale per il colera contribuisce in misura notevole
alla protezione immunologica nei confronti della diarrea provocata dalla enterotossina di e. coli8. Sotto questo aspetto,
alcuni individui vaccinati sviluppano una risposta specifica di tipo IgE, allo stesso modo, sostanzialmente, di quanto si
riscontra nei soggetti con diarrea da enterotossina di e. coli, soprattutto nelle popolazioni ad alto rischio di colera, quali,
ad esempio, quelle del Bangladesh9. Il colera è una malattia endemica, diffusa soprattutto nelle zone del bacino
continentale indiano. Esso rappresenta un rischio epidemico per molte persone, le quali possono sviluppare anche forme
fruste, caratterizzate e confuse con la diarrea del viaggiatore. I vaccini disponibili sono diversi: la forma inattivata con
fenolo, somministrata per via parenterale, ma con insufficiente capacità immunogena e scarsa tollerabilità; il vaccino
orale costituito da cellula intera uccisa e sub-unità β della tossina ricombinante; vaccino orale vivo attenuato. I vaccini
somministrati per via orale sono ben tollerati e sviluppano una discreta immunizzazione, eccetto che per il sierogruppo
0139 del vibrione colerico10. Gli eventuali effetti avversi della vaccinazione sono stati studiati con la somministrazione
orale del vibrione vivo attenuato su 2545 australiani. Il 15% sviluppò diarrea, l’8% nausea, il 7% eruzioni cutanee, il
2,7% febbre e l’1% vomito11.
Il primo stadio del colera citato da Hahnemann non è riconosciuto, occorre dirlo, da alcun autore, se non dal Niemeyer,
secondo il quale, peraltro, i sintomi descritti sono riconducibili a una forma di panico indotto dalla epidemia
incombente. Tuttavia, tali sintomi possono assumere una notevole importanza, per comprendere le possibilità di
utilizzazione della camphora, che altrimenti risulterebbero molto difficili.
Riepilogo sintomi di avvelenamento (i numeri arabi indicano la materia medica di Hahnemann)
cefalea, vertigine (6, 19), confusione delle idee, vacillamenti (8)
peso del capo e mal di testa (32, 33, 7, 38, 34)
dilatazione e paralisi delle pupille (73)
sensazione di freddo nelle fauci, durante la deglutizione, cui segue più tardi il senso di calore e spesso di vero bruciore
(96)
aumento della salivazione (90, 89)
rutti molestissimi (102), conati di vomito (114, 110)
generale meteorismo (118)
aumentata secrezione di urina (161)
stranguria (156)
“camphora castrat” (170, 171)
senso di calore per tutto il corpo (322, 324, 320), senza aumento della temperatura (293)
polso frequente e pieno (293)
sudorazione aumentata (306)
tremore (302)
generale rilasciamento, morale e materiale (308)
sbadigli (269, 270)
violente convulsioni epilettiformi con spuma alla bocca (91) ed occhi fissi (2, 13, 263)
deliquio col volto rosso e 2° di temperatura sopra la norma e con 100 polsi (321, 318)
fenomeni di esaltazione o a questi seguono fenomeni di depressione (345)
Riepilogo sintomi primo stadio del colera (i numeri arabi indicano la materia medica di Hahnemann)
Dove il colera appare per la prima volta, solitamente si manifesta con un primo stadio (dal carattere tonico spasmodico,
263); la forza del paziente improvvisamente cede (6), non riesce a stare diritto (8), l’espressione è alterata, gli occhi
infossati, il volto bluastro (50) e freddo gelato (310), così come le mani, con freddo nel resto del corpo (304, 309, 310,
318, 312, 301, 317); abbattimento rassegnato (55) e ansia, con terrore del soffocamento, è visibile nello sguardo, mezzo
stuporoso e insensibile (2, 30, 14), geme e piange con un tono di voce rauco e interrotto, senza fare alcun distinto
lamento, eccetto che quando chiama; bruciore nello stomaco e nella gola (126, 96), crampi dolenti ai polpacci (245) e
agli altri muscoli (243, 245, 47); urla quando si tocca la regione precordiale (304); non ha sete, né vomito o diarrea.
8
VERATRUM ALBUM
Tamburrini N. Nozioni fondamentali di Materia Medica e Terapia. Napoli, 1881: 416-419.
Nella bocca la veratrina ha un sapore acre-urente, non amaro, a cui succede quello di ottusità; con aumento della
secrezione di saliva. Nel faringe produce una sensazione di grattamento e di bruciore, ed arrivata nello stomaco e
intestino (alla dose di 6-7 mgr) produce gastralgia, nausea, vomiturazione, vomito, iperemesi, dolori intestinali, profusa
diarrea, talvolta sanguinolenta; insomma, si hanno tutti i sintomi di una violenta gastroenterite…Però è importante
notare che i fatti sullo stomaco e sull’intestino sono dovuti non solo all’azione diretta della veratrina, ma anche
all’azione generale, poiché iniettandola nelle vene si hanno tracce di gastroenterite. La veratrina viene assorbita e perciò
si hanno fenomeni di azione generale. Particolare sensazione alla punta delle dita dei piedi e delle mani e nelle
articolazioni, forma convulsiva che dal tremore può passare alla vera convulsione, agli spasmi tetanici e finalmente alla
paralisi. Colle piccole dosi aumenta la sensazione subbiettiva del calore e un aumento effettivo della diaforesi…Gli
avvelenati possono avvertire un senso di freddo agli arti e in realtà, colle dosi tossiche, la temperatura diminuisce e può
accompagnarsi a un sudore freddo e vischioso. La diuresi pare non aumenti con l’uso della veratrina. La circolazione
dapprincipio è eccitata, ma poi fortemente depressa, quindi i polsi si fanno rari, deboli aritmici, intermittenti e il cuore,
dopo paralizzato, perde la sua irritabilità. La respirazione in prima frequente, poi più rara e più profonda e finalmente
più superficiale e stentata. La morte avviene per asfissia in seguito alla sospensione della respirazione e della
circolazione…gli avvelenati percepiscono poco gli stimoli sulla pelle.
Cantani (Manuale di Terapia medica e farmaceutica. Vallardi, Milano, 1881; vol. II: 206-220)
Presa internamente la veratrina produce nelle piccole dosi un senso di trattamento e di bruciore nelle fauci con costante
aumento della secrezione di saliva. Arrivata nello stomaco ed intestino, produce dolore all’epigastrio, nausea,
vomiturazioni e vomito, talvolta iperemesi, nelle piccole dosi spesso con stitichezza, nelle dosi maggiori regolarmente
con più o meno profusa diarrea, talvolta sanguigna, sempre mucosa…anche dopo injezioni nelle vene. Quanto alla
circolazione, l’attività del cuore viene in principio alquanto eccitata, ma poi viene considerevolmente depressa, i battiti
del cuore e corrispondentemente i polsi si fanno meno frequenti e aritmici ed intermittenti., talvolta col senso
subbiettivo del cardiopalma. La respirazione si comporta in modo simile: da più frequente che si fece dapprima, si
rende più rara e più profonda, finalmente anche più superficiale e più stentata. Quanto alla temperatura del corpo, dopo
le piccole dosi gli ammalati possono anche avere la sensazione subbiettiva di cresciuto calore, senza che il termometro
constati un aumento obbiettivo della temperatura; altre volte però (e specialmente se vecchi, ipocondriaci, isterici,
cachettici, scrofolosi, etc.) essi medesimi accusano senso di freddo glaciale agli arti…e la pelle non di rado si copre di
sudore freddo e vischioso. Oltre la già menzionata salivazione, vi ha talvolta un aumento della lacrimazione e della
secrezione nasale. I nervi sensitivi ne sembrano venir alquanto depressi, perché gli animali avvelenati percepiscono
assai poco gli stimoli applicati sulla pelle. Gli spasimi tetanici furono osservati molto costantemente…
Parte clinica…in varie malattie delle vie digerenti; mentre Magendie e Reiche la raccomandarono nella stitichezza di
individui affetti di torpore intestinale con feci abbondanti e dure…d’altro lato Turnbull la tentò e la trovò utile nella
diarrea! Dunque eccoci un rimedio che serve allopaticamente e omeopaticamente nello stesso tempo!
Bernatzik W, Vogl A. Manuale di Materia Medica. Vallardi, Milano, 1886: 606-611.
Nell’uomo in casi avvelenamento furono constatati come principali sintomi: bruciore alla bocca, all’esofago e allo
stomaco, salivazione, intensi dolori al basso ventre, sensazione di soffocamento, vomito grave, come pure diarrea
(spesso sanguinolenta), vertigine, dolor di capo, grande debolezza, ronzio agli orecchi, formicolio alla pelle, forte
prurito o senso di intorpidimento a tutto il corpo; polso piccolo, debole, spesso appena percettibile, irregolare;
respirazione difficile, spesso accessi di soffocazione; pupille dilatate, occhi immobili, talvolta completa perdita della
volontà; assoluta anestesia della pelle, perdita della voce, contrazioni di alcuni muscoli, talvolta convulsioni.
Veratrina (sarebbe preparata, secondo Bernatzik, dal Semen Sabadilla, ma con strette analogie con la radice di elleboro
bianco). Dosi ripetute di alcuni milligrammi, nell’uomo: sintomi gastrici e collasso; sensazione di calore e bruciore allo
stomaco, talvolta senso di formicolio o di calore e di freddo alternativamente in diverse parti, nausea, senso di
soffocazione, vomiti, scariche liquide, talora sanguinolente, polso debole e raro, respirazione rallentata, abbassamento
della temperatura, pallore della pelle, ansia, vertigine, senso di grande debolezza e spossamento, deliqui, tremito a tutto
il corpo; talora continuo singhiozzo crampiforme ed anche scosse convulsive.
Nella letteratura di ogni tempo sono stati sempre descritti casi di avvelenamento da elleboro bianco. L’ingestione
accidentale della pianta può essere fatale. All’esame autoptico di due persone decedute in un lago di montagna e
ritrovate dopo un mese, fu riscontrata la presenza di un gran numero di piccoli granuli nerastri nello stomaco,
identificati successivamente con i semi di veratrum album. Alla spettrometria di massa furono identificate la veratridina
e la cevadina12. Uno studio svizzero, promosso dal Centro federale di Informazione Tossicologica, nel periodo 19661994, ha descritto la bradicardia (< o = 40/minuto) e lo shock tra i sintomi di ingestione accidentale della pianta13. Tali
9
casi di avvelenamento sono dovuti, spesso, all’errore di individuazione con altre piante. Un episodio del genere è
riportato da alcuni autori italiani. La confusione con la genziana lutea14 ha permesso a una persona di ingerire le foglie
di elleboro bianco, lamentando, a seguito di ciò, sintomi di pirosi e vomito, associati a bradi-aritmia, dissociazione A-V
e vasodilatazione15. Tali effetti hanno condotto diversi ricercatori a individuare alcuni alcaloidi anti-ipertensivi, dai
rizomi della pianta16, anche per la loro rapida azione (spesso entro i 30 minuti)17. Studi elettrocardiografici, condotti su
12 pazienti avvelenati da elleboro bianco, hanno mostrato le seguenti alterazioni del tracciato, in 10 persone:
bradicardia 38-40/m, riduzione intervallo PQ e del QT, ritardo transitorio nella conduzione interventricolare dx e
incompleto BBS; extrasistoli ventricolari; depressione di ST e onde T a punta. È stato ipotizzato che la bradicardia sia
dovuta a un aumento del riflesso vagale, ma che le anomalie del tracciato dipendano dalla azione diretta degli alcaloidi
sul miocardio. L’atropina, infatti, corregge la bradicardia, ma non tali alterazioni, le quali sono beneficamente
influenzate dalla eliminazione delle tossine e dalla somministrazione di cocarbossilasi e vitamine del gruppo B18.
Hahnemann (Tentativo di individuare un nuovo principio per scoprire il potere curativo delle sostanze
farmacologiche, accanto ad alcuni cenni su quelli impiegati finora, 1796)
Il rimedio meno paragonabile, il Veratrum album, determina gli effetti più pericolosi, tali da incutere, al medico in
cerca di perfezione, prudenza e speranza nel debellare alcuni casi di malattie più difficili, che finora sono rimaste
normalmente senza alcun aiuto. Esso provoca, durante l’azione diretta, una sorta di pazzia, che diminuisce, a dosi
elevate, la mancanza di speranza e la disperazione, mentre a dosi minori la preoccupazione per cose banali e puramente
immaginarie. Durante l’effetto diretto esso causa:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
9.
10.
11.
12.
13.
14.
15.
16.
riscaldamento del corpo intero;
bruciori in diverse parti esterne;
infiammazioni cutanee e gonfiori del volto e, talvolta (a dosi elevate), su tutto il corpo;
eruzioni cutanee, desquamazione della pelle;
sensazione di formicolio nelle mani e nelle dita; spasmi tonici;
sensazione di costrizione alla gola e senso di soffocamento;
irrigidimento della lingua, muco denso nella bocca;
costrizione del petto;
sintomi di pleurite;
spasmi da tensione nei polpacci;
una sensazione di paura nello stomaco (logorante?), nausea;
mal di pancia e dolori violenti, di tanto in tanto, negli intestini;
grande paura indefinita;
vertigini;
mal di testa (confusione nel capo);
forte sete.
Nel passaggio all’azione indiretta secondaria, lo spasmo tonico si risolve in clonico; sopraggiungono:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
tremori;
distorsione degli occhi;
(balbuzie);
difficoltà nella deglutizione;
starnuti (per l’uso interno);
vomito (a dosi elevate vomito nero e sanguinolento);
defecazioni dolorose, scarse, accompagnate a tenesmo anale;
spasmi locali oppure, a dosi alte, generali;
sudorazione fredda (sanguinolenta a dosi elevate);
minzione acquosa;
salivazione;
espettorato toracico;
freddo generale;
notevole debolezza;
svenimenti;
lungo sonno profondo.
Alcuni di questi sintomi dell’azione diretta, quali 11, 12, 13, 15, 16 danno indicazioni per provarlo nella febbre
dissenterica, se non addirittura nella dissenteria? La pazzia da esso provocata, accanto ad alcuni sintomi dell’azione
diretta, quali 5, 6, 7, 8, 14, 16 ci insegnano ad applicarlo, con fiducia di un buon risultato, nella idrofobia. In un cane
10
determinò una vera e propria rabbia di 8 minuti. Gli antichi lo esaltavano nella idrofobia. (Nel tetano?). la sua azione
viene considerata specifica contro le stenosi specifiche dell’esofago e contro l’asma, per i sintomi dei punti 6 e 8. Esso
sarà di efficacia duratura nelle eruzioni cutanee croniche per i sintomi dei punti 3 e 4, come ci ha insegnato l’esperienza
in caso di herpes. Esso sarà di beneficio nelle cosiddette malattie dei nervi, quando alla base si trova tensione delle fibre
o sintomi infiammatori (1 e 16) e quando i rimanenti sintomi hanno molta somiglianza con quelli della malattia da
elleboro, così come nelle manie di questo tipo. A un oste di campagna, dalla fibra forte e dal corpo robusto, con volto
rosso e florido e gli occhi un poco prominenti, sopraggiungeva, quasi ogni mattina, poco dopo la veglia, una sensazione
di paura intorno allo stomaco, che, entro molte ore, coinvolgeva anche il torace, lo stringeva, talvolta fino a causare
arresto del respiro. Dopo alcune ore il male prendeva la regione della gola e minacciava di soffocarlo (la deglutizione di
sostanze solide e liquide era impossibile). Dopo il tramonto abbandonava anche questa zona e coinvolgeva solo la testa,
fino verso le dieci, con pensieri mal disposti, disperati, privi di speranza, pensieri suicidi; più tardi sopraggiungeva il
sonno e scomparivano tutti i sintomi patologici. La pazzia descritta del Veratrum, la fibra forte di questo malato e i
sintomi 6, 7, 8, 11, 13 mi comandavano di prescrivergli, ogni mattina, 3 grani per 4 settimane: tutti i disturbi
scomparirono lentamente; la data di questa sua sfortunata malattia era di oltre 4 anni. A una donna di 35 anni capitò,
molti giorni dopo il suo ultimo parto, e dopo molti attacchi di epilessia nelle sue gravidanze, una indomabile pazzia
furiosa, con convulsioni generali degli arti. Era già stata trattata, per 10 giorni senza successo, con evacuazioni da sopra
e da sotto. Ogni notte, a mezzanotte, le veniva una febbre con forte agitazione, durante la quale si denudava di tutti i
vestiti, prevalentemente di tutto ciò che si trovava intorno al collo. La China provocava la febbre per molte ore e
peggiorava la sete e la paura; lo sciroppo denso della Datura stramonium, usato secondo il consiglio di Bergius, portò a
tacere gli spasmi e si arrivò a momenti di ragionamento, in cui si venne a sapere che il più grande disturbo della donna
(al di fuori della febbre) era questa sensazione di soffocamento nel collo e nel petto, al di fuori dei dolori in tutti gli arti.
Non era in grado di fare molto di più, anzi, con il suo uso continuato, questi ultimi pericolosi disturbi aumentarono, il
volto era gonfio, la paura immisurabile, la febbre più elevata. Gli emetici non erano di aiuto, il latice di papavero
portava la sonnolenza e aumentava l’agitazione; l’urina era di colore marrone scuro e il ventre fu costipato per molto
tempo. La notevole debolezza, oltre tutto, vietava l’uso dei salassi, che in questo caso, sarebbero stati, sicuramente, di
poca utilità. Con l’estratto di Datura stramonium tornarono i deliri, gli spasmi e i gonfiori dei piedi. Di mattina le diedi
mezzo grano di polvere di Veratrum album e il pomeriggio, alle 2, la stessa dose. Comparvero deliri di altro genere, un
muco denso nella bocca, ma non scomparve la febbre; seguì il sonno e presto sopraggiunse un’urina biancastra e
torbida. Essa era, a dire il vero, calma e ragionevole, senza considerare la grande debolezza. La sensazione di
soffocamento al collo era scomparsa, così come lo erano la tumefazione al volto e quella ai piedi; verso sera comparve,
invero, senza prendere alcun medicinale, una sensazione di costrizione toracica. Il pomeriggio seguente le somministrai
ancora un altro mezzo grano di Veratrum album. Tutti i suoi disturbi passarono, la febbre scomparve e la debolezza
lasciò il posto a un buon ordine di vita. Una colica spastica ancora più improvvisa guarì con Veratrum album, in un altro
caso. Esso si è dimostrato efficace nella ossessione, agendo come rimedio che determina mania e spasmi. In attacchi
isterici e ipocondriaci, con fibre tese alla base, esso sarà indicato, come talvolta lo è già stato. La polmonite troverà, in
esso, un rimedio utile; la sua durata è breve, circa 5, 8 al massimo 10 ore, compreso l’effetto secondario, al di fuori dei
casi difficili dovuti a dosi elevate.
Hahnemann (“Dissertatio historico-medica de helleborismo veterum”, 1812, nel quale si paragonano le
azioni descritte dagli ippocratici, con quelle dell’epoca moderna)
42: “…mi permetto di confrontare, a questo punto, le proprietà dell’elleboro bianco degli antichi, con quelle del nostro
veratrum album (riportiamo solo gli effetti descritti da Hahnemann):
•
•
•
•
•
•
•
•
calore interno, con disgusto per i liquidi (Grassius); bruciore intorno la regione precordiale (J. De Muralto);
calore della lingua e della gola (Gesner); calore delle fauci (Bergius); infiammazione all’interno della bocca
(Greding)
costrizione della gola (Winter); strangolamento delle fauci (Lorry); strangolamento intorno alla gola (J. De
Muralto); strangolamento, spasmo, costrizione della gola (Reimann); gonfiore dell’esofago, con terrore del
soffocamento (Gesner); mancanza di respiro (Forestus); come strangolati, sono in grave pericolo di
soffocamento (Scholzius); inspirazione molto laboriosa e difficile (Benivenius)
balbuzie (Grassius); perdita della voce (Rödder); perdita della vista (Borrichius); quasi completa perdita dei
sensi (Vicat)
delirio (Grassius)
singhiozzo (J. De Muralto); singhiozzo per ½ ora (Gesner); singhiozzo tutto il giorno (Greding)
spasmi (J. De Muralto); crampi dei polpacci (Reimann); spasmi nelle mani, nelle dita ((Greding); conati di
vomito, con trisma (Greding)
eccessiva debolezza (Benevenius); polso quasi estinto, impercettibile (Vicat); minaccia di una sincope (Lorry);
perdita di coscienza (Forestus)
forti conati di vomito, fino alla sincope (Greding); fortissimo, orribile, severo vomito (diversi autori)
11
Racconta Hahnemann in “un caso di colicodinia risolto rapidamente”, pubblicato nel 1797:
“L-ie, di 24 anni, magro, di carnagione pallida…aveva lavorato presso una tipografia per un anno e
mezzo…improvvisamente, per la prima volta, sentì un gran dolore nel lato sx dell’addome, che lo obbligò a mettersi a
letto e che andò via dopo diversi giorni, con l’uso delle medicine ordinarie. Da allora, comunque, soffriva di una sorda e
sgradevole sensazione all’ipocondrio sx. Qualche mese più tardi, dopo aver sovraccaricato lo stomaco con una birra
dolce al gusto di cumino, fu colpito da una forte colica, la violenza della quale non riusciva neanche ad
esprimere…L’attacco cessò, questa volta non so come, ma egli osservò che, successivamente, non poteva sopportare
determinati tipi di cibo. Il male aumentò inosservato e la colicodinia, con i suoi sintomi distintivi, mise una ferma
radice. I cibi peggiori, per lui, erano le carote, ogni forma di cavolo, specialmente il cavolo bianco…e ogni sorta di
frutto, le pere in particolare…entro 8 giorni dopo una attacco che era stato indotto da questi alimenti, il peso aumentava
al punto da non poter mangiare neanche un boccone di pera, senza poi subire, a distanza di 1-2 settimane, un altro
severo attacco. Il corso di una crisi era il seguente: quattro o quattro ore e mezza dopo mangiato, sentendosi
precedentemente bene, sentiva un certo movimento intorno alla regione ombelicale; a questo si sostituiva,
improvvisamente e nella stessa zona, un pinzettamento sostenuto da un dolore intollerabile, che terminava in 30-60
secondi e ogni volta andava via bruscamente con un borborigmo, che si estendeva all’inguine dx, intorno alla regione
del cieco…Interveniva anche una costrizione sopra e sotto, così che l’aria non riusciva a passare in ambedue le
direzioni. Il disagio e i dolori aumentavano di ora in ora, l’addome gonfiava e diventava dolente al tatto…vi era
inclinazione al vomito, con senso di costrizione del torace, il respiro era più corto e si manifestava con sempre maggiore
difficoltà, fuoriusciva sudore freddo e vi era una sorta di stupore con totale sfinimento. A questo punto era impossibile,
per lui, deglutire anche una goccia di liquido, ancora meno ogni cibo solido. Così, giaceva stupefatto e inconscio, con il
viso gonfio e gli occhi protrusi, senza dormire per ore; l’attacco di colica spasmodica cedeva, gradualmente, con la
diminuzione del dolore, cui seguiva qualche fuoriuscita di aria da sopra e dal basso; in tal modo, l’attacco scompariva
(talvolta solo dopo 16/24 ore dopo il suo esordio). Le forze si ripresentavano solo dopo 3 o 4 giorni, tornando come una
persona in buona salute, senza altro disagio, ad eccezione del dolore sordo e fisso precedentemente descritto, una
debolezza generale e un aspetto malaticcio…In queste circostanze egli non poteva mantenere la sua occupazione presso
la macchina tipografica; divenne allora un compositore. Gli attacchi ricorrevano sempre secondo le condizioni descritte,
continuando da più di un anno, prima di mettersi in cura presso di me. Si poteva facilmente supporre che gli attacchi si
presentassero a causa della flatulenza; questo, però, non era il caso. Egli poteva assumere, senza il minimo
inconveniente, un buon pasto a base di piselli secchi, fagioli o patate e comunque era obbligato a fare in questo modo,
dato che la sua posizione sociale non gli dava opportunità di assumere gran che di diverso. O si poteva supporre che gli
attacchi si presentassero a causa di qualche tipo di fermentazione nelle prime vie, o da qualche idiosincrasia per le cose
dolci. Ma niente era più lontano da questo caso. Egli poteva assumere dolci cotti con lievito, latte e zucchero a volontà,
senza la pur minima traccia di colica, sebbene il primo attacco sembrasse, come ho detto, dovuto alla birra. O poteva
una nociva acidità aver determinato un attacco dopo 4 ore…? Non era questa la causa. Succo di limone e aceto erano
entrambi innocui. Né aveva mai vomitato materiale acido, neanche durante il conato che si presentava con la crisi o
quando gli veniva ordinato un emetico. Nessuna delle terre assorbenti o alcaline gli era di utilità, se prese durante o
prima dell’attacco. Un medico aveva sospettato parassiti intestinali e lo sottopose al trattamento di Hernnschwan
(polvere di radice di felce maschio, seguita da purganti), senza alcun risultato. Né prima, né dopo aver eliminato
alcunché avesse la più piccola somiglianza con i vermi…ho dimenticato di dire che, preventivamente, avevo già
provato ogni sorta dei cosiddetti potenti rimedi antispasmodici, all’inizio del parossismo. Piccole dosi di ipecacuanha
presa a secco, pediluvi tiepidi e bagni, oppio e olio di cajeput, senza alcun risultato, oltre che senza alcun effetto
palliativo. Vidi solo palliare i sintomi quando continuava a usare, senza molestia, la corteccia di china…quando venne
da me, l’idea dei vermi era così radicata nella sua mente, che fui obbligato a ordinargli tutto quanto fosse peculiare dei
metodi di Nuffer (radice di felce maschio insieme a varie complesse restrizioni) e di Clossius (assunzione, per 4
settimane, di sostanzioso formaggio salato e buon vino, seguito da drastici purganti)…”.
Hahnemann prescrive tutti i rimedi considerati dalla vecchia scuola: tartrato di antimonio, artemisia in grandi quantità,
olio di colocynthis e di castoro, sabadilla, zolfo, petrolio, canfora, assa fetida e vari sali lassativi. Dunque: “poiché
questa condizione richiedeva un aiuto immediato…mi convinsi a dargli una medicina che produceva sintomi morbosi
molto simili. La somiglianza della colica, l’ansietà, la costrizione del torace, la febbre, la perdita di forze, etc., prodotti
dal veratrum album, mi apparivano adatti a dare un permanente sollievo. Gli diedi 4 polveri, ciascuna contenenti 4 grani
e gli dissi di prenderne una al giorno, facendomi sapere, ogni volta, se compariva qualche sintomo violento. Cosa che
non fece. Egli non ritornò che dopo 5 giorni. La sua fiducia illimitata nel mio aiuto gli aveva giocato un brutto tiro. Il
beneficio che gli avevo promesso dalle polveri lo aveva indotto ad assumerne due, anziché una al giorno. Dopo la
seconda polvere, senza aver mangiato nulla che gli facesse male, cominciò un parossismo indescrivibile, qualcosa di
molto simile alla sua colica spasmodica. Questo non gli impedì, comunque, di assumere la terza e la quarta dose il
giorno seguente (quindi 16 grani in due giorni, in luogo di 4), dopo di che questa colica artificiale, se così posso
esprimermi, accrebbe in modo terribile, al punto che, per usare una sua espressione, egli lottò contro la morte, coperto
di sudore freddo e quasi soffocato. Ebbe bisogno di altri tre giorni per riprendersi, quindi ritornò per le altre direzioni. Io
lo biasimai per l’imprudenza, nonostante non potessi evitare di confortarlo con la prospettiva di un buon esito. Il
risultato lo confermò; attraverso una tollerabile buona dieta recuperò la sua forza e da un anno e mezzo non ha mai
avuto una minaccia di parossismo, sebbene, di tanto in tanto, abbia mangiato alimenti che prima gli erano nocivi…”
12
Hahnemann (“Osservazioni sui tre metodi di cura correnti”, 1809)
“quanto può, la conoscenza della causa e della natura essenziale delle malattie endemiche, rivelarci i veri rimedi di
queste? Per noi poveri mortali rimarrà sempre un insuperabile abisso tra questa conoscenza immaginaria e il rimedio.
La ragione non scoprirà mai una logica connessione tra le due cose! Fosse anche Dio a illuminarci su queste invisibili
alterazioni, prodotte all’interno delle più piccole parti del nostro corpo dal miasma di quella fastidiosa, ricorrente
endemica malattia, che insorge dalle parti di Lunenburg e Brunswick – la cosiddetta colica d’acqua, che l’occhio
dell’anatomista più attento non può scoprire. E fosse anche la nostra mente, capace solo di apprendere dalle impressioni
dei sensi, a guidarci verso la comprensione di tali alterazioni trascendentali, mai arriveremmo alla scoperta del solo,
specifico e infallibile rimedio – il veratrum album.
VERATRUM ALBUM (dal III volume, 2° edizione, 1825)
È del tutto falso che i pazienti colpiti da malattie emozionali e mentali richiedano, di regola, dosi enormi di medicina,
come i loro medici ancora immaginano. In tali malattie la salute generale è molto poco coinvolta, e i soggetti spesso
molto robusti sotto questo aspetto; di regola, la malattia si è situata negli organi invisibili delle sfere emozionali e
mentali, non raggiungibili dall’anatomia (che servono come medium dell’anima puramente spirituale, dalla quale il
corpo materiale viene regolato). Questi organi sottili soffrono molto in tali malattie, essendo essi molto colpiti dal male.
D’altro canto, è una verità innegabile, sebbene non sospettata finora, che i pazienti affetti da malattie emozionali e
mentali recuperino subito lo stato di salute, cioè a dire un perfetto recupero della salute e della ragione, con dosi tanto
piccole quanto quelle che sono sufficienti per altre malattie non psichiche, certamente molto piccole, ma solo
dell’appropriata e perfettamente omeopatica medicina. Non ho mai trovato necessario dare una dose maggiore di una
singola goccia, spesso una piccola porzione di una goccia, della tintura di elleboro bianco, diluita a tal punto che una
goccia contenga un quadrilionesimo di grano della radice. Questa dose può, quando necessario, essere somministrata
all’insaputa dei pazienti nelle loro bevande ordinarie - conseguentemente, senza che sia richiesto di impiegarla
forzatamente, il che è sempre pregiudizievole in tali casi, a condizione che il regime sia così regolato, che tutte le
condizioni generali, richieste a sostegno della vita, siano simultaneamente rinforzate, e ogni cosa che possa interferire
con la cura, dai cibi e bevande eterogenei che agiscono in modo medicamentoso, agli ostacoli morali e psichici, sia il
più accuratamente evitato. I parossismi dei dolori, simili a quelli che la radice di elleboro bianco può produrre per se
stessa, e che sempre porterebbero il paziente, per breve tempo, a una sorta di delirio e mania, cedono spesso alla più
piccola dose della sopra citata soluzione. Anche nelle forme di malaria che si manifestano solo con freddo esterno, o si
presentano solo con calore interno e urina scura, la radice viene spesso impiegata vantaggiosamente, soprattutto quando
la sudorazione fredda del corpo o, alla fine, quella della fronte, sia presente. In molte affezioni ipocondriache, come
anche in particolari forme di ernia inguinale, risulta molto utile, essendo un rimedio intermedio in tutti questi eventi. I
gravi e improvvisi accidenti che risultano dalla assunzione della radice di elleboro sono rimossi, con molta sicurezza, da
qualche tazza di forte caffè. Ma, se lo stato predominante è il dolore pressivo alla testa, con freddo del corpo e sopore
incosciente, la canfora ne è l’antidoto. Se in uno stato ansioso, distratto, accompagnato da freddo del corpo, o dove sia
presente una sensazione di bruciore nel cervello, l’aconito risulta, invece, utile. Le altre affezioni croniche provocate
dall’abuso della radice di elleboro bianco, ad esempio la febbre quotidiana di pomeriggio, sono meglio rimosse da
piccole dosi di corteccia di china. Ho visto, inoltre, che gli effetti di questa radice, anche a piccole dosi, dura cinque
giorni e anche più.
Riepilogo sintomi di avvelenamento (i numeri arabi indicano la materia medica di Hahnemann)
vertigini (1, 8, 2, 7, 17), cefalea (27, 30, 40, 25, 29, 28, 31, 32, 34, 24, 74)
pupille dilatate (56, 57, 58), lacrimazione (91, 90), acufeni (118)
scialorrea (171, 169) bruciore della bocca, faringe, esofago e stomaco (161)
singhiozzo crampiforme (190, 192), eruttazioni (200, 194, 197)
gastralgia (282), nausea (230, 18, 235), conati di vomito (232, 229), vomito (242, 244), dolori intestinali (306, 308, 300,
305, 310, 302, 299, 286, 294) diarrea talvolta sanguinolenta (324, 321, 338, 319, 325)
respirazione frequente all’inizio (384), poi sempre più superficiale e stentata (385, 401)
accessi di soffocamento (402, 426, 434, 388), perdita della voce (158)
fastidio alla punta delle dita (524, 483) e alle articolazioni (448, 472, 506, 509, 522, 542, 491, 462, 518, 505, 499, 515)
tremore (617), spasmi tetanici (516, 492, 490, 495, 553, 503), convulsioni (520, 108, 556), paralisi (487)
iniziale calore (682), senza aumento effettivo della temperatura (681, 637); successivamente freddo agli arti (45, 625) e
diminuzione della temperatura (611, 614, 615, 619, 612), con sudorazione fredda (47, 645)
formicolio della pelle e prurito per tutto il corpo (526, 513, 476, 534, 535), con intorpidimento (478, 550, 551, 566, 480)
iniziale aumento della frequenza cardiaca; poi bradicardia (583), aritmia e sensazione soggettiva di cardiopalma (405)
insonnia (596, 590), collasso (570, 578, 563, 531, 584), perdita della volontà (700, 711, 693)
Secondo Hahnemann, anche: psicosi (13); disperazione e preoccupazione per cose banali e del tutto immaginarie (684,
689, 568)
13
Riepilogo sintomi del colera (i numeri arabi indicano la materia medica di Hahnemann)
spasmi clonici (520, 108, 556), con crampi nei polpacci e nelle gambe (516, 492, 490, 495, 553, 503)
frequenti evacuazioni di materia liquida, mista a fiocchi giallastri o rossastri (324, 321, 338, 319, 325)
agitazione ingravescente, senso di angoscia e oppressione, con gemito e sbadiglio (684, 689, 568)
freddo gelido di tutto il corpo, diminuzione della temperatura (611, 614, 615, 619, 612), sudorazione fredda (47, 645)
diminuzione dei sensi (700, 711, 693), spossatezza (570, 578, 563, 531, 584)
voce fioca (158)
polso lento e piccolo (583)
DROSERA ROTUNDIFOLIA
Hahnemann (Tentativo di individuare un nuovo principio per scoprire il potere curativo delle sostanze
farmacologiche, accanto ad alcuni cenni su quelli impiegati finora, 1796)
Sulla Drosera rotundifolia non sappiamo nulla, oltre al fatto che può causare tosse; per questo è stata usata con
successo nelle tossi catarrali umide e nell’influenza.
Hahnemann (Esame delle comuni fonti della materia medica, edito postumo nel 1845 dal BHJ)
Nessuna medicina è tanto capace di produrre uno stato simile a quello della epidemica pertosse, quanto la drosera; e
questa malattia che, nonostante tutti gli sforzi dei medici allopatici, diventa cronica o termina fatalmente, è curata in
pochi giorni in maniera sicura e prudente, come per primo io stesso ho mostrato, con la più piccola parte di una goccia
della decilionesima diluizione del succo di drosera rotundifolia.
Hahnemann (Come possono le piccole dosi di medicina attenuata impiegate dall’omeopatia ancora
possedere un grande potere?, 1827)
…se vogliamo, ad esempio, attenuare una goccia del succo di drosera alla decilionesima, ma agitiamo ciascuna
boccetta con venti o più succussioni, mediante la forza del braccio, la cui mano afferra il flacone, in questo caso la
medicina, che ho scoperto essere il rimedio specifico per la spaventosa epidemica pertosse dei bambini, sarà diventata
così potente, alla quindicesima attenuazione, che una goccia di essa, messa in un cucchiaino di acqua, potrebbe mettere
a rischio la vita stessa del bambino. Mentre, se tali boccette sono scosse solo due volte (con due agitazioni del braccio) e
preparate allo stesso modo fino alla decilionesima attenuazione, un granulo di zucchero della grandezza dei semi di
papavero, impregnato con l’ultima attenuazione, curerà questa terribile malattia con una singola dose, senza mettere in
pericolo la salute del bambino…
Gilbert A, Thoinot K (Nuovo trattato di medicina e terapia. Utet, torino, 1907; vol. IX)
La pertosse, in generale apiretica, è caratterizzata nel periodo di stato da accessi di tosse convulsa, consistenti in un
rapido succedersi di brevi espirazioni, seguite da un’inspirazione lunga, sibilante, sonora; l’accesso termina con
l’espettorazione di mucosità più filanti e più vischiose che l’albume d’uovo. Spoglia di ogni complicazione, la pertosse
si presenta con un decorso di solito benigno, malgrado l’apparenza spesso spaventosa degli accessi. Ecco riassunto a
grandi tratti, il quadro della malattia, ad esempio, in un bambino di 4-5 anni:
qualche giorno dopo un contatto con un malato di pertosse, il bambino contagiato è preso da fenomeni di catarro
laringo-tracheale; si giudicherebbe un semplice raffreddore, se non esistesse talvolta una insistenza anormale della tosse
e un certo movimento febbrile: ciò dura da qualche giorno a due settimane, poi la tosse si modifica. Da incessante che
essa era, diventa più rara; nello stesso tempo compaiono accessi di scosse espiratorie di più in più numerose (5, 10, 12,
15), che si seguono, senza che il malato riprenda lena. L’accesso è costituito quando dopo si ha l’inspirazione lunga e
sibilante, che si chiama la ripresa. Da questo punto, e sempre per parecchie settimane, il piccolo malato ogni giorno è
preda ad un certo numero di accessi, ciascuno dei quali non può essere considerato come finito, se non dopo
l’espulsione delle mucosità caratteristiche. Trousseau (vedi avanti) descrive mirabilmente gli accessi, il cui numero
aumenta dapprima di giorno in giorno, poi rimane stazionario, per tre o quattro settimane circa. Non è che dopo sette o
otto settimane, in media dal principio della malattia, che incomincia a diminuire il numero, la durata e l’intensità degli
accessi…la pertosse è terminata quando sono scomparsi tutti gli accessi: per raggiungere questo punto occorrono in
media 2 mesi e mezzo. Incubazione: in media 7 giorni. Periodo catarrale: tosse secca, più frequente di notte; solletichio
laringeo; dolore retro-sternale e dispnea notturna; voce nasale, coriza; simultaneità di tosse e starnuti; congiuntive
iniettate, lacrimazione; sibili e ronchi all’ascoltazione; sonno meno tranquillo; febbre leggera, con remissione mattutina
ed esacerbazione vespertina. Periodo spasmodico: il più delle volte l’accesso è provocato da varie cause (emozioni,
rumori, odor di tabacco, corsa, gioco, pressione sulla laringe, imitazione di altri bambini che tossiscono). Complicazioni
14
neurologiche: spasmo della glottide (soprattutto nei bambini più piccoli), convulsioni (di solito prima dei 3 anni e
precedute da cefalea, assopimento e dispnea); le convulsioni hanno una prognosi estremamente grave. Reliquati: otite
media cronica, sordità, paralisi da meningo-encefalite (di solito emiplegia), enfisema con possibilità di sclerosi broncopolmonare. Terapia: la drosera in tintura godette qualche anno fa di una reputazione forse alquanto usurpata. Risulta
utile, quando le mucosità bronchiali diventano predominanti, l’ipecacuanha, somministrata in dose vomitiva, ad
esempio ogni due giorni.
Trousseau (Clinique médicale de l’Hotel-Dieu, Paris, 1894)
Il bambino, che sente arrivare l’accesso, compie sforzi infruttuosi per farlo abortire, lottando in seguito contro l’asfissia
passeggera, che rende cianotico il viso e uscendo infine da questa crisi con la faccia e con gli occhi gonfi, ma calmato
dopo l’espettorazione delle mucosità e riprendendo il sonno e i giochi propri, fino al ritorno di un nuovo accesso…un
bambino è occupato nei suoi giochi: qualche minuto prima che arrivi la crisi, egli si ferma, l’umor gaio cessa e il
bambino diventa triste; se si trova in compagnia di altri bambini, si apparta e cerca di scansarli; è allora che egli medita
la sua crisi, egli la sente venire e prova quella sensazione di prurito e di solletico di cui si parla. Dapprima cerca di far
abortire l’accesso: invece di respirare naturalmente a pieni polmoni, come respirava prima, trattiene il respiro; sembra
che egli comprenda che l’aria, arrivando in grandi quantità nel laringe, debba provocare quella tosse molesta della quale
ha già la triste esperienza. Ma, malgrado i suoi sforzi, non potrà prevenire, tutto al più ritardare lo scoppio dell’accesso;
se egli grida, se piange o se è rotto il dominio di una emozione che ecciti in lui il sistema nervoso, l’accesso scomparirà
più presto. Dal principio dell’accesso voi vedete il malato cercare attorno a sé un punto d’appoggio, al quale egli possa
afferrarsi; se è un bambino al seno, esso si precipita fra le braccia della madre o della nutrice; se è già più avanti negli
anni e sta in piedi voi lo vedrete dimenarsi in uno stato di agitazione convulsa; se è coricato egli si drizza vivamente per
afferrare le tendine o le sbarre del letto. Cominciato l’accesso, rimane sospesa l’inspirazione e perciò si arresta
l’ematosi: si produce un vero e proprio stato di asfissia acuta. Voi vedrete allora lo sventurato bambino, il cui torace è
scosso violentemente dai movimenti espiratori, mancare d’aria, colla faccia rossa, congesta, la bocca aperta, la lingua
proiettata contro gli incisivi inferiori; la ripresa produce una tregua passeggera, ma prolungandosi l’accesso, l’asfissia
riprende più intensa: la faccia coperta di sudore è bluastra e gonfia, le palpebre tumefatte, le congiuntive iniettate, le
vene del collo tese, il turgore delle giugulari, la frequenza del polso…coll’ultima ripresa l’aria rientra definitivamente
nel torace e il termine della crisi viene segnato dall’espettorazione altrettanto più caratteristica, in quanto essa non
manca neppure nei primi anni di vita…le sostanze emesse sono biancastre, vischiose, filanti…spesso mescolate con
alimenti, perché i vomiti sono più frequenti alla fine degli accessi un po’ intensi. Terminato l’accesso ritorna la calma; il
bambino riprende il sonno o i giochi interrotti e può alimentarsi; egli risente tutt’al più di una leggera prostrazione e
sopra tutto una gonfiezza degli occhi, la quale di per sé è sufficiente a far sospettare la pertosse.
La tossina della pertosse, responsabile del quadro patologico caratteristico, si lega a particolari molecole delle cellule
bersaglio, ossia le β2-integrine (CD11b/CD18)19, analogamente al fattore X della coagulazione. La bordetella stabilisce
tale legame con la emoagglutinina filamentosa sui neutrofili20, la quale, essendo simile al fattore X, determina un
aumento del tempo di coagulazione21. Tra gli studi più importanti sul meccanismo d’azione della tossina va segnalata la
possibilità che le complicazioni neurologiche (imputate a fenomeni emorragici e a ipossia) siano immuno-mediate. Nei
roditori la tossina della pertosse è comunemente usata per l’induzione di encefalomielite autoimmune sperimentale22.
Interessante sono anche i suoi effetti sui neuroni serotonergici, come è stato dimostrato nel raphe dorsale dei ratti, ove si
verifica un disaccoppiamento tra 5-HT e recettore23. Questo aspetto assume una certa rilevanza nelle complicazioni
neurologiche della pertosse e nei potenziali effetti collaterali dei vaccini. L’immunizzazione con cellula intera è stata,
infatti, associata a reazioni locali, sistemiche e neuronali, soprattutto le convulsioni dei bambini. Un elegante modello
sperimentale sui topi ha dimostrato che la somministrazione parenterale di vaccino a cellula intera induce modificazioni
del comportamento e crisi convulsive, associate a un significativo aumento di IL-1 nell’ippocampo e nell’ipotalamo24.
A tale osservazione si aggiunge un diminuito rilascio di inibitori del GABA e dell’adenosina25. Gli effetti della
iniezione diretta della tossina nei ventricoli cerebrali dei topi sono altrettanto interessanti: dopo circa 3 ore aumenta in
modo marcato il corticosterone plasmatici, raggiungendo un picco alla 6° ora e mantenendosi tale per 6 giorni. A ciò si
associa un progressivo aumento dell’aggressività e della dopamina ipotalamica, nonchè una diminuzione della
norepinefrina e della 5-HT nell’ippocampo. Non risultano cambiamenti sui livelli di catecolamine26. I recettori
ionotropici kainati, descritti con le proteine G, hanno la proprietà di aumentare l’eccitabilità neuronale, mediante una
disinibizione dei circuiti: la tossina della pertosse previene l’inibizione presinaptica, attraverso il rilascio di (3)H-GABA
dei recettori kainati nell’ippocampo dei ratti27. Probabilmente correlata a questi eventi è l’atassia conseguente ad alcuni
casi complicati di pertosse. Ciò è stato osservato su tre pazienti, di età compresa tra 13 e 15 anni, con sindrome
cerebellare invalidante e permanente, dimostrata da atrofia pancerebellare alla risonanza magnetica28. I casi di
encefalopatia sarebbero associati, inoltre a un alto titolo, nel liquido cerebro-spinale, di anticorpi prodotti su tossina
della pertosse ed emoagglutinina29. Tale osservazione potrebbe essere legata allo sviluppo di meccanismi autoimmuni,
peraltro dimostrati su modelli sperimentali, quali l’uveo-retinite nei ratti30, di cui si ammette, peraltro, una suscettibilità
genetica31.
15
DROSERA ROTUNDIFOLIA (dal VI volume, 2° edizione, 1827)
Questa pianta, una delle più potenti erbe medicinali della nostra zona, era usata principalmente, dagli antichi medici,
come un rimedio esterno - nelle eruzioni cutanee - ma non con gli effetti migliori. La davano anche per via interna, e
talvolta, come sembrerebbe, con vantaggio. I moderni, guidati dalla tradizione, e non avendo altra conoscenza che le
forti dosi, non seppero come impiegare questa non comune pianta eroica senza mettere in pericolo la vita dei loro
pazienti, dunque la rifiutarono del tutto.
Dapprima la utilizzai alla trilionesima diluizione del succo, ma poi a una potenza ancora più alta, e alla fine alla 30°
(decilionesima) diluizione (dando a ciascun passaggio di boccetta, due succussioni), e di questa diedi, come dose, solo
la più piccola porzione di una goccia, ovvero uno, o al massimo due, globuli della grandezza di un seme di papavero
(200 o 300 dei quali possono essere impregnati con una goccia della diluizione), nelle condizioni morbose simili ai
caratteristici effetti prodotti da questa pianta sulle persone sane.
Per fare un esempio, dunque, una tale singola dose è del tutto sufficiente per la cura omeopatica della pertosse
epidemica∗, in accordo alle indicazioni fornite dai sintomi 135, 137, 144, 149, ma specialmente 145 e la seconda parte
del sintoma 143.
Camphora allevia e antidota i suoi effetti.
∗ la cura agisce con certezza in sette, fino a nove giorni,, con una dieta non terapeutica.
Sintomi relativi alla pertosse (citati nella premessa)
135. Dolore negli ipocondri, tossendo, come se tali regioni fossero forzatamente contratte
137. Sedendo, violento dolore attraverso il torace, anche indipendentemente dalla tosse, caratterizzato più da pressione,
che da lancinazione, e scompare con il movimento; la parte è dolente anche alla pressione
144. Tosse che insorge dalla parte più profonda del torace
149. La sera, stando sdraiato a letto, espirando, improvvisa contrazione dell'ipogastrio, che lo rende pesante, come se
dovesse vomitare, e stimola la tosse
al sintoma 143 (vedi): molto simile a questo deve essere lo stato ove, in alcune forme della cosiddetta tisi laringea
(premesse che non vi sia, di fondo, alcuna forma di cachessia specifica di natura sifilitica, psorica, etc.), la drosera è
così particolarmente utile. Questa pianta eccita anche una tosse molto violenta nelle pecore (vedi Borrichius, in Act.
Hafne., vol. IV, pag. 162). Molti dei medici più anziani trovano che questa pianta sia utile in alcune forme di tosse
maligna, e nelle persone tisiche, cosa che conferma il suo (omeopatico) potere medicinale; ma i moderni (vide Murray,
Apparat. Med., vol. III, pag. 501), in conformità alle loro teorie anti-patiche, avvertono contro il suo uso, per la presunta
acredine
143. Profondamente nelle fauci (e nel palato morbido) aspra e raschiante sensazione di secchezza che eccita una
tosse corta, con lieve espettorato giallo e raucedine della voce, così che solo con grande sforzo riesce a parlare con
toni bassi; nello stesso tempo sente oppressione del torace, come se qualcosa prendesse l'aria indietro quando
tossisce e parla, tanto che il respiro non può essere espulso (durante parecchi giorni)
1
Finkelstein RA, et al. Antigenic determinants of the cholera/coli family of enterotoxins. Rev Infect Dis 1987 Sep-Oct;9
Suppl 5:S490-502.
2
Bernardi A, et al. Second generation of ganglioside GM1 as artificial receptors for cholera toxin: replacement of the
sialic acid moiety. Bioorg Med Chem Lett 2000 Oct 2;10(19):2197-200.
3
Bernardi A, et al. Simulation of carbohydrate-protein interactions: computer-aided design of a second heeration GM1
mimic. J Comput Aided Mol Des 2001 Feb;15(2):117-28.
4
Goicochea CE, et al. Cholera-Brucella Cross-Reaction: a new potential diagnostic problem for travelers to latin
America. J Travel Med 1996 Mar 1;3(1):37-39.
5
Ariani AA, et al. Immunological cross-reactivity between Schistosoma mansoni and cholera toxin. Parasite Immunol
1997 Aug;19(8):355-61.
6
Presentini R, et al. Studies of the antigenic structure of two cross-reacting proteins, pertussis and cholera toxins, using
synthetic peptides. Mol Immunol 1989 Jan;26(1):95-100.
7
Holz GG, et al. Insulinotropic toxins as molecular probes for analysis of glucagon-like peptide-1 receptor-mediated
signal transudction in pancreatic beta-cells. Biochimie 2000 Sep-Oct;82(9-10):915-26.
16
8
Holmgren J, Svennerholm AM. New vaccines against bacterial enteric infections. Scand J Infect Dis Suppl
1990;70:149-56.
9
Quadri F, et al. Enterotoxin-specific immunoglobulin E responses in humans after infection or vaccination with
diarrhea-causing enteropathogens. Infect Immun 2000 Oct;68(10):6077-81.
10
Ryan ET, Calderwood SB. Cholera vaccines. Clin Infect Dis 2000 Aug;31(2):561-5.
11
Wiedermann G, et al. Adverse events after oral vaccination against cholera with CVD103-HgR. Wien Klin
Wochenschr 1998 May 22;110(10):376-8.
12
Gaillard Y, Pepin G. LC-EI-MS determination of veratridine and cevadine in two fatal cases of Veratrum album
poisoning. J Anal Toxicol 2001 Sep;25(6):481-5.
13
Jaspersen-Schib R, et al. (Serious plant poisonings in Switzerland 1966-1994. case analysis from the Swiss
Toxicology Information Center). Schweiz Med Wochenschr 1999 Jun 22;126(25):1085-98.
14
Garnier R, et al. (Acute dietary poisoning by white hellebore. Clinical and analytical data. A propos of 5 cases. Ann
Med Interne (Paris) 1985;136(2):125-8.
15
Festa M, et al. (A case of Veratrum poisoning). Minerva Anestesiol 1996 May;62(5):195-616
Atta-ur-Rahman, et al. Isolation of antihypertensive alkaloids from the rhizomes of Veratrum album. Planta Med
1993 Dec;59(6):569-71.
17
Quatrehomme G, et al. Intoxication from Veratrum album. Hum Exp Toxicol 1993 Mar ;12(2) :111-5.
18
Marinov A, et al. (Electrocardiographic studies of patients with acute hellebore poisoning). Vutr Boles 1987;26(6):369.
19
Guermonprez P, et al. In vivo receptor-mediated delivery of a recombinant invasive bacterial toxoid to
CD11c+CD8alpha-CD11b high dendritic cells. Eur J Immunol 2002 Nov;32(11):3071-81.
20
Guermonprez P, et al. The adenylate cyclase toxin of Bordetella pertussis binds to target cells cia the alpha(M)beta(2)
integrin (CD11b/CD18). Exp Med 2001 May 7;193(9):1035-44.
21
Rozdzinski E, et al. Inhibition of leukocyte-endothelial cell interactions and inflammation by peptides from a
bacterial adhesin which mimic coagulation factor X. J Clin Invest 1995 Mar;95(3):1078-85.
22
Hofstetter HH, et al. Pertussis toxin modulates the immune response to neuroantigens injected in incomplete Freund’s
adjuvant: induction of Th1 cells and experimental autoimmune encephalomyelitis in the presence of high frequencies of
Th2 cells. J Immunol 2002 Jul 1;169(1):117-25.
23
Chen Y, et al. Effect of pertussis toxin and N-ethylmaleimide on voltage-dependent and –independent calcium
current modulation in serotonergic neurons. Neuroscience 2002;111(1):297-14.
24
Loescher CE, et al. Interleukin-1beta-dependent changes in the hippocampus following parenteral immunization with
a whole cell pertussis vaccine. J Neuroimmunol 2000 Nov 1;111(1-2):68-76.
25
Donnelly S, et al. Whole-cell but not acellular pertussis vaccines induce convulsive activity in mice: evidence of a
role for toxin-induced interleukin-1beta in a new murine model for analysis of neuronal side effects of vaccination.
Infect Immun 2001 Jul;69(7):4217-23.
26
Kim DH, et al. Increased plasma corticosterone, aggressiveness and brain monoamine changes induced by central
injection of pertussis toxin. Eur J Pharmacol 2000 Dec 1;409(1):67-72.
27
Cunha RA, et al. Pertussis toxin prevents presynaptic inhibition by kainite receptors of rat hyppocampal (3H)GABA
release. FEBS Lett 2000 Mar 10;469(2-3):159-62.
28
Setta F, et al. Cerebellar ataxia following whooping cough. Clin Neurol Neurosurg 1999 Mar;101(1):56-61.
29
Grant CC, et al. Pertussis encephalopathy with high cerebrospinal fluid antibody titers to pertussis toxin and
filamentous hemagglutinin. Pediatrics 1998 Oct;102(4 Pt 1):986-90.
30
Agarwal RK, et al. Pertussis toxin alters the innate and the adaptative immune responses in a pertussis-dependent
model of autoimmunity. J Neuroimmunol 2002 Aug;129(1-2):133-40.
31
Caspi RR, et al. Genetic susceptibility to experimental autoimmune uveoretinitis in the rati is associated with an
elevated Th1 response. J Immunol 1996 Sep 15;157(6):2668-75.
17