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Outcomes in Pediatric Autoimmune Hepatitis Epatite autoimmune: prognosi in età pediatrica Maria T. Greene, MD, and Peter F. Whitington, MD Current Gastroenterology Reports 2009, 11:248–251 Tradotto da Fulvio Moramarco U.O. di Pediatria P.O. Perrino Brindisi – Italy L'epatite autoimmune (AIH) è una causa comune di epatite acuta e cronica in età pediatrica. Una volta stabilita la diagnosi è indicato il trattamento con corticosteroidi e azatioprina. La maggior parte dei bambini con epatite autoimmune rispondono a tale terapia. L’obbiettivo finale della terapia farmacologica è la sospensione della terapia e la remissione dei sintomi. Non è chiara la durata ottimale della terapia. La velocità di ricaduta è inversamente proporzionale alla durata della terapia prima della sospensione de farmaco: così la sospensione del trattamento immunosoppressivo è considerato solo dopo almeno 12 anni di remissione completa. Anche i pazienti che presentano insufficienza epatica acuta possono evitare il trapianto di fegato con una terapia medica precoce. In circa il 10% dei pazienti, il trattamento fallisce, e sono necessarie terapie alternative e/o il trapianto di fegato. Meno del 10% dei bambini con epatite autoimmune decede in un follow –up di10 anni Introduzione L'epatite autoimmune (EAI) è la causa più comune di epatite cronica tra i bambini negli Stati Uniti e altri paesi occidentali. E 'di gran lunga la più comune delle malattie autoimmuni del fegato, che nei bambini includono la colangite sclerosante primitiva (PSC), la colangite autoimmune e la sovrapposizione AIH-PSC. AIH viene diagnosticata con la dimostrazione di istopatologia tipica, assenza di malattie dei dotti biliari e la presenza di autoanticorpi. Sistemi diagnostici a punteggio sono stati stabiliti per gli adulti , ma non per i bambini 1. Gli elementi dei sistemi di punteggio degli adulti che si applicano a pazienti in età pediatrica sono: l’istopatologia del fegato caratterizzata dalla presenza di quadro di epatite, infiltrato portale plasma cellulare diffuso, ipergammaglobulinemia, aumento delle transaminasi (con valori normali della gamma-GT e della fosfatasi alcalina) e autoanticorpi. Le AIH sono classificate a seconda del tipo di autoanticorpi ritrovati: tipo 1 anticorpi antinucleo e/o anti muscolo liscio; tipo 2 anticorpi anti microsomiali del fegato-rene. La base della immunopatogenesi della AIH è la perdita dell’ auto-tolleranza antigeni specifici del fegato da parte del sistema immunitario ospite [2]. Questa disfunzione della immunomodulazione può essere dovuta a una diminuzione della regolamentazione del numero e delle funzioni delle cellule T [3]. Indicazioni per il trattamento La AIH è una malattia epatica progressiva che porta alla cirrosi e a malattia epatica terminale se non trattata. Uno studio controllato con placebo del 1970 ha Epatite autoimmune: prognosi in età pediatrica dimostrato che l'immunoterapia con corticosteroidi ha ridotto significativamente la morbilità e la mortalità negl adulti con epatite autoimmune. Ulteriori studi hanno dimostrato che l’azatioprina è anche efficace, da sola o in associazione ai corticosteroidi. Attualmente, è indiscutibile che i bambini con epatite autoimmune attiva debbano essere trattati. Il trattamento più diffuso è quello con prednisone, di solito in combinazione con azatioprina [3]. Alcuni autori sostengono che i pazienti asintomatici alla presentazione, possono non richiedere terapia immunosuppressiva. Al contrario della gestione delle malattia negli adulti, nei quali un approccio "wait and see" può essere giustificato, nei bambini anche asintomatici con malattia di grado lieve, la terapia farmacologica è giustificata al momento della diagnosi in quasi tutti i casi. L’unica eccezione principale è la presenza di cirrosi inattiva in cui l’immunosoppressione non modifica il decorso della malattia e può aumentare le complicanze legate ai farmaci. Approcci al trattamento Non esiste alcun singolo trattamento accettato in età pediatrica. Alcuni centri applicano la monoterapia con prednisone a una dose iniziale di 1 a 2 mg / kg / d (di solito a un massimo di 60-80 mg / die), che viene gradualmente diminuita nel corso di un periodo da 4 a 8 settimane, mentre vengono monitorate le transaminasi[4]. In presenza di persistente iper transaminasemia o inaccettabili effetti collaterali degli steroidi, si aggiunge l’azatioprina, di solito ad una dose di 1 mg / kg/d [4-5]. Altri centri iniziano la terapia con prednisone in associazione con azatioprina alla dose di cui sopra-età. Con entrambi i trattamenti, una marcata diminuzione dei livelli di aminotransferasi sierica la si ottiene di solito entro 6 settimane; ma la completa normalizzazione può richiedere molti mesi[5,6]. Ottenuta una remissione clinica (definita come assenza di sintomi e livelli di aminotransferasi sierica inferiori a 2 × il limite superiore della norma) vi è l'indicazione di ridurre la dose di prednisone con poco timore di una ricaduta. Mantenimento La terapia, che varia tra i centri, di solito è utilizzata per prevenire le recidive. L’approccio più spesso utilizzato dai centri che preferiscono la monoterapia, è la monodose di prednisone. Mentre i centri con doppia -terapia farmacologica fanno in modo di consentire l'eliminazione di prednisone, lasciando l’azatioprina come terapia di mantenimento. Remissione Almeno l'80% dei bambini con epatite autoimmune raggiunge una remissione biochimica[7]. In uno studio, questa è stata raggiunta dopo una mediana di 6 mesi nel tipo 1 e 9 mesi nel tipo 2[4]. La remissione completa è definita come remissione clinica e biochimica e la dimostrazione di assenza di attività istologica. La risposta istologica ritarda di solito rispetto alla risposta biochimica, pertanto, la remissione completa non può essere raggiunta prima di 12 -18 mesi di trattamento[3]. Nei bambini la risposta clinica e di laboratorio può essere usata per determinare l'adeguatezza della terapia (ad esempio, la dose di Pagina 1 farmaco utilizzato), tuttavia, la biopsia epatica deve essere utilizzata per valutare la completezza della risposta, in particolare se è prevista la sospensione del farmaco. Nei bambini con AIH, non è raro trovare, durante il trattamento, una epatite attiva nonostante un prolungato periodo di livelli di transaminasi normali. Questa è un'indicazione per continuare il trattamento fino a quando la patologia del fegato scompare ovvero aumentare la terapia per favorire una più rapida induzione della remissione. L'interruzione della immunosoppressione Solo i pazienti che hanno raggiunto la remissione completa per diversi anni con la terapia di mantenimento possono essere considerati candidati all'interruzione della terapia. Ci sono pochi dati disponibili per quanto riguarda il successo di questo approccio. Due studi di coorte retrospettivi hanno dimostrato che l’immunosoppressione potrebbe essere sospesa nel 20% 30% di pazienti pediatrici e adulti [9]. Il tipo di malattia e l'approccio alla terapia iniziale possono influenzare l’interruzione della terapia. Uno studio pediatrico dimostra che, la immunosoppressione può essere sospesa in circa il 20% dei casi di tipo 1, ma in nessuno di quelli di tipo 2[4]. La durata della terapia prima della sospensione della immunosoppressione può influenzare il tasso di ricaduta. In uno studio, la remissione è stata ottenuta nel 67% dei pazienti trattati per più di 4 anni prima della cessazione della terapia, mentre solo nel 10% dei pazienti trattati per 1-2 anni [10]. Ricadute Per ricaduta si definisce una perdita dello stato di remissione conseguito con il trattamento. La ricaduta non necessariamente significa che il paziente è diventato refrattario alla terapia ed è destinato al fallimento terapeutico. Piuttosto può essere una battuta d'arresto minore, come un aumento delle transaminasi in un paziente che ha raggiunto remissione biochimica. Si stima che circa il 40% dei pazienti pediatrici ha ricadute mentre esegue la terapia. Diversi fattori sono correlati ad un aumento del rischio di ricaduta. Uno è l'uso di prednisone a giorni alterni. Anche i cambiamenti puberali possono portare a ricaduta [4]. La non compliance è una causa comune di recidiva in adolescenti [11]. I fattori genetici possono influenzare il rischio di ricaduta. Czaja [12] ha riportato che un polimorfismo del gene del fattore di necrosi tumorale (NTF) si verifica più comunemente in pazienti con epatite autoimmune di tipo 1 ed è associato con una scarsa risposta ai corticosteroidi. Le ricadute dopo l'interruzione del trattamento sembrano essere comuni nei pazienti adulti. Montano-Loza et al.[13] hanno riportato che il 77% di 102 pazienti adulti ha una ricaduta entro 151 ± 8 mesi dopo l'interruzione della terapia somministrata per due anni. Un alto tasso di recidiva (75%) è stato anche riportato da Verma [14] in pazienti adulti. La completa remissione può influenzare le recidive. Pazienti che sono stati trattati fino a quando non vi era completa normalizzazione delle transaminasi sieriche e delle IgG avevano una più bassa frequenza di ricaduta rispetto ad altri, nonostante risultati istologici comparabili [13]. In quest'ultimo studio, un aumento Epatite autoimmune: prognosi in età pediatrica del rischio ricaduta è correlato con un lungo periodo necessario ad (5 mesi circa), numero di occasioni all'anno, di livelli di transaminasi anormali e uno score di infiltrato plasma cellulare portale di almeno il 25% [14]. Nei bambini è stato segnalato un alto tasso di recidiva dopo la sospensione del farmaco [9]. La recidiva si verifica in genere 18 mesi dopo la cessazione del trattamento. Non ci sono segni clinici e bioumorali in grado di predire i pazienti pediatrici che possono rimanere in remissione [15]. Insuccesso del trattamento Il "Fallimento del trattamento" connota un peggioramento o un mancato miglioramento della sintomatologia clinica e di laboratorio o dei reperti istologici, nonostante una corretta terapia. In uno studio su pazienti adulti, l’insuccesso si è verificato in circa il 7% di 214 pazienti il 69% trattato con cortisone ed azatioprina e il 31% con solo cortisone. L’età di inizio, la presentazione acuta, l’iperbilirubinemia e la presenza di HLA DRB1 * 03 sono più frequenti nel pazienti che hanno fallito la terapia convenzionale [13]. Quando la terapia convenzionale non è efficace sono state tentate terapie alternative. Un'alternativa al prednisone è la budesonide, un glucocorticoide di seconda generazione con meno effetti collaterali sistemici del prednisone. In un piccolo studio pilota, nove pazienti da 12 a 66 anni, intolleranti al prednisone o alla azatioprina sono stati trattati con budesonide. Sette di nove sono andati in remissione. La dose di Budesonide variava da 9 mg al giorno a 3 mg a giorni alterni per un periodo da 24 settimane a 8 anni [16]. Un'alternativa alla azatioprina è il micofenolato mofetile (MMF), un inibitore della inosina monofosfato (IMP) deidrogenasi, un enzima che catalizza la conversione di IMP a xanthosine monophosfato, con conseguente depauperamento di nucleotidi e guanina, in ultima analisi, l'inibizione della sintesi del DNA. Il MMF ad una dose di 20 mg/kg due volte al giorno è stato utilizzato con successo in pazienti che hanno fallito la terapia convenzionale [4]. Sono stati utilizzati anche gli inibitori della calcineurina e la ciclosporina quando la terapia convenzionale ha fallito La Ciclosporina, seguita da basse dosi di prednisone con azatioprina, è stata studiata come agente di induzione di remissione nei bambini. Il novanta per cento dei pazienti ha raggiunto remissione biochimica; questa è stata ben mantenuta successivamente quando i pazienti hanno utilizzato basse dosi di prednisone e azatioprina [17]. L'esperienza pediatrica con basse dosi di tacrolimus per il trattamento della epatite autoimmune refrattaria è molto limitata. Circa il 10% dei bambini con epatite autoimmune non riescono a migliorare con qualsiasi terapia medica e richiedono il trapianto di fegato [15]. L’insufficienza epatica acuta a causa di AIH è una insolita, ma non rara presentazione della AIH, soprattutto di tipo 2. Il trattamento di questi pazienti è difficile e non sempre determina un successo. In uno studio, solo uno dei sei bambini con AIH che presentavano una encefalopatia ha risposto all’immunosoppressione ed evitato il trapianto di fegato[4]. I pazienti adulti con epatite autoimmune e in genere ALF ricevono scarso beneficio dalla terapia con Pagina 2 corticosteroidi e l’AIH che si presenta in questo modo è una comune indicazione al trapianto di fegato. La terapia steroidea è associata con frequenti complicanze settiche, e ciò è un potenziale svantaggio nel tentare tale terapia. I pazienti con ALF da qualsiasi causa hanno una maggiore suscettibilità alle infezioni batteriche, che il trattamento con steroidi può esacerbare [19]. Si consiglia di trattare tutti bambini affetti da ALF a causa di AIH con corticosteroidi per via endovenosa e di valutare il miglioramento clinico mentre ci si prepara al trapianto di fegato. La dose di steroidi varia tra i centri, ma di solito è in un range da 2 a 5 mg/kg/die. Anche se non tutti i pazienti rispondono, a volte si può verificare una completa regressione dei sintomi e evitare il trapianto di fegato [5]. Carcinoma epatocellulare Nove di 227 (range 13-82 anni) pazienti con epatite autoimmune hanno sviluppato carcinoma epatocellulare (HCC), il tutto durante l’età adulta [20]. I fattori di rischio identificati per il carcinoma epatocellulare erano il sesso maschile, ipertensione portale, storia di transfusioni, trattamento immunosoppressivo per 3 o più anni, fallimento del trattamento e durata della cirrosi per 10 più anni. In un altro studio, il 4% di 69 pazienti adulti con epatite autoimmune di tipo 1 hanno sviluppato HCC dopo un follow-up di 96 mesi [21]. Trapianto di fegato Circa il 10% dei bambini con epatite autoimmune richiedono il trapianto, di solito 10-15 anni dopo la diagnosi [4]. La reiterazione della AIH dopo il trapianto per AIH è frequente rispetto ad altre indicazioni per il trapianto di fegato. Tre di 16 pazienti adulti e pediatrici con epatite autoimmune avevano recidive istopatologiche dopo trapianto di fegato [22]. Morte La sopravvivenza a lungo termine è la norma nei pazienti con epatite autoimmune. In adulti, la sopravvivenza dopo la diagnosi è del 98%[21]. In coloro che presentano una cirrosi il tasso di sopravvivenza al 62% [2]. Il tasso di sopravvivenza è inferiore al 80% nei pazienti senza cirrosi e meno del 40% tra quelli con cirrosi alla presentazione [3]. Ci sono pochi studi di mortalità in bambini con epatite autoimmune, oltre il 97% dei pazienti trattati con terapia immunosoppressiva standard erano vivi dopo un follow-up mediano di 5 anni dalla diagnosi [5] Bibliografia References and Recommended Reading Papers of particular interest, published recently, have been highlighted as: • Of importance •• Of major importance 1.•• Czaja AJ: Performance parameters of the diagnostic scoring systems for autoimmune hepatitis. Hepatology 2008, 48:1540–1548. This article compares the performance of the original scoring system of the International Autoimmune Hepatitis Group for the diagnosis of autoimmune hepatitis with the simplifi ed version. 2. Czaja AJ: Autoimmune liver disease. Curr Opin Gastroenterol 2006, 22:234–240. 3. Krawitt EL: Autoimmune hepatitis. N Engl J Med 2006, 354:54–66. 4.•• Mieli-Vergani G, Vergani D: Autoimmune paediatric liver Epatite autoimmune: prognosi in età pediatrica disease. World J Gastroenterol 2008, 14:3360–3367. 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