Educabilità dell`uomo

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Educabilità dell`uomo
Educabilità dell’uomo
Negli ultimi anni, alla scuola e alla famiglia, ritenuti i modelli educativi per eccellenza, si sono affiancate altre
agenzie educative (associazioni sportive, ricreative, culturali) che oltre a perseguire specifici scopi, esercitano
anche finalità educative.
D’altra parte, già nel 17° secolo Comenio riteneva che l’educazione dovesse procedere dalla nascita fino alla
morte, ma solo nella seconda metà del 20° si afferma l’idea di “educazione permanente” e di “società educante”
con istanze educative anche extrascolastiche.
Ecco quindi che alle tradizionali figure educative degli insegnanti e dei genitori si affiancano: educatori
professionali, animatori, formatori, ecc.
Naturalmente, oltre alle competenze specifiche relative all’ambito in cui operano, dovranno avere un comune
denominatore: puntare intenzionalmente e progettualmente alla crescita e al miglioramento della persona informazione.
Sarebbe importante poter integrare questa pluralità di interventi al fine di intervenire in modo unitario; ecco
quindi la necessità di organizzare servizi educativi che possano realizzarsi:
• nell’ambito della vita delle singole persone
• sul territorio
• all’interno dei servizi
• tra i diversi servizi
Ma prima di parlare di queste figure bisogna stabilire se l’uomo è educabile e in che modo.
Nel corso della storia varie teorie sono state formulate, ma nessuna è stata capace di rendere conto in maniera
compiuta del divenire dell’uomo.
Già Aristotele (300 a.C.) in alcuni scritti elaborava consigli pedagogici che avevano l’intento di educare, per lui
il percorso esistenziale ha un fine ben determinato: tendere alla perfezione, e quello a cui dobbiamo tendere lo
troviamo in noi; inoltre è uomo solo colui che agisce secondo ragione.
Rousseau (‘700) conferma l’esistenza di un nucleo centrale come Aristotele ma sostiene, provocatoriamente (in
contrasto con il metodo dell’epoca) che l’educazione deve essere spontanea, senza i condizionamenti che
vengono dalla società, l’educatore deve solo fornire degli stimoli, nulla è insegnabile perché tutto deve essere
scoperto dal soggetto in-formazione.
Dewey (inizio ‘900) sviluppa ulteriormente questi concetti affermando che l’educazione deve essere la
realizzazione di ciò che l’uomo è, deve essere spontanea, ma è necessario che sia anche attività sociale; non solo
relazione con la realtà, ma relazione con gli altri.
Nell’ultimo secolo varie teorie si sono succedute a cercare di spiegare questa educabilità, a partire dalla teoria
dell’apprendimento secondo cui è l’ambiente a modellare il comportamento.
Watson dice che con una scelta oculata è possibile programmare la professione futura di un essere umano
indipendentemente dalle sue predisposizioni.
Skinner parla del condizionamento operante tramite il rinforzo: il comportamento è opera per ... invece di
risposta a .., e progetta macchine per insegnare.
Bandura sottolinea come le persone formulino delle regole sulle quali formare le azioni future osservando le
proprie azioni e quelle degli altri (apprendimento sociale).
Secondo i cognitivisti fin dalla nascita la mente è fornita di strumenti capaci di elaborare le informazioni che le
arrivano, è riconosciuto il ruolo dell’ambiente, ma bisogna rispettare gli stadi di sviluppo propri di ciascuna età
(Piaget).
Per la psicoanalisi (Freud) esiste un antagonismo tra le pulsioni, in special modo sessuali, e l’ambiente esterno,
in particolare le pressioni educative dei genitori; l’uomo diventa nevrotico quando è incapace di sopportare le
frustrazioni imposte dalla società.
Secondo Erikson queste pressioni procurano delle crisi che se superate positivamente rappresentano un passo
avanti verso la maturità, se non risolte in maniera adeguata lasciano residui nevrotici.
Per la psicologia umanistica (Maslow) negli esseri umani c’è l’esigenza innata di autodeterminarsi solo quando
siano stati soddisfatti i bisogni più elementari (piramide di Maslow).
Infine, per Rogers, l’educazione dovrebbe consistere nell’ E-DUCERE (trarre fuori)
Tutte le teorie concordano nel ritenere che l’uomo sia modificabile in seguito all’intervento di educatori, e alle
influenze ambientali: questo viene definito come EDUCABILITA’.
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L’uomo quindi non è solo un essere che si sviluppa a causa di fattori biologici e ambientali, ma è in-divenire,
prende forma all’interno di un processo relazionale cogliendo dalle occasioni educative un modello, una norma,
a cui fare riferimento (o trasgredire, infrangere).
L’uomo cresce quando si trasforma seguendo un ordine che non necessita di scelte (caratteri fisico-biologici),
diviene quando il suo sviluppo tende a realizzare una forma che sente e riconosce quale suo ideale.
Se vissuta come costrizione l’educazione si riduce ad addestramento.
Competenza pedagogica
Competenza = capacità di agire in modo efficace in una situazione precisa.
In pedagogia è competente chi possiede la capacità di interpretare la realtà in termini educativi, elaborare
risposte capaci di incidere sulla progettualità educativa del singolo e del gruppo, chi si pone una domanda
educativa e cerca di dare una risposta non solo dettata dal buon senso, ma basata sulla scienza dell’educazione
Secondo Wittorski è qualcosa di provvisorio, in costruzione, deve quindi rappresentare il punto di partenza e
non di arrivo della professionalità educativa.
Abbiamo tre livelli di competenza:
1) specifica: data dai vari profili professionali
2) trasversale: saper apprendere
aggiornarsi
essere aperti ad accogliere nuove proposte
assumere rischi
tollerare le frustrazioni
disponibilità al cambiamento
essere creativi
3) di base: saper osservare
ascoltare
indagare
organizzare
gestire la complessità
lavorare in gruppo
animare
essere promotori di una cultura dell’infanzia e dell’adolescenza
saper comunicare utilizzando più codici:
primari: linguistici
affettivi
sociali
etici
secondari: cinesici (non verbali)
prossemici (gestione dello spazio)
prosodici (variazione del tono di voce)
saper costruire la relazione
Per Toupin la competenza è fatta di:
Materia conoscenze che possono essere acquisite
Energia atto creativo del soggetto che opera
Senso
M ed E devono essere sintetizzate dall’educatore che dà loro una direzione, un senso
Al soggetto competente non si chiede la semplice acquisizione, ma l’interiorizzazione delle conoscenze, per far
si che sappia agire in determinate circostanze. Egli deve essere in grado di proporre dei progetti (non programmi
da eseguire ma gestione del futuro) di cui si possono dare i fondamenti, ma la parte operativa è lasciata agli
educatori: un progetto prevede il cambiamento in corso.
Non ci può essere competenza pedagogica se non all’interno della relazione educativa
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Relazione educativa
Relazionarsi con altri non indica necessariamente intrattenere relazioni educative, affinché questo si verifichi
occorre che i due soggetti partecipino attivamente con proposte, progetti, ecc., senza sovrapposizioni né
condizionamenti; i ruoli devono essere rispettati.
Secondo Bujold la relazione educativa si costruisce con l’altro e per l’altro, e segue alcune tappe di sviluppo:
- precontatto
- coscienza dell’altro
- contatto
- impegno
- intimità
- deterioramento
- affrancamento o dissoluzione
Secondo Dewey la relazione educativa è:
- interattiva: prevede almeno due soggetti
- contestuale: si svolge in uno specifico ambiente
- situazionale: si sviluppa nel tempo
- transazionale: i due soggetti sono sempre presenti con il loro peso e la loro personalità
Può essere motivata da:
 bisogno
 gratificazione
 normatività
 condivisione
 preferenza.
Spesso la relazione educativa sfocia in relazione normativa (uno comanda, l’altro esegue), è educativa se si
tratta di regole di cui il soggetto in-formazione ha bisogno per strutturare la propria identità; in genere andrebbe
comunque fatta salva la reciprocità.
L’intervento educativo dovrebbe sempre partire dall’asimmetria, passare attraverso la complementarietà, per
giungere alla reciprocità.
A seconda della situazione l’Educatore dirige (fa da guida) segue (lascia che il soggetto si apra la strada da
solo) o accompagna (avere coscienza che vivrà qualcosa che non possiamo immaginare in anticipo).
In questo modo l’autorità, anziché inibente, è responsabilizzante.
E’ essenziale entrare in empatia con l’altro, penetrare nell’esperienza altrui sentendo le sue emozioni come
fossero nostre, senza essere intrusivi; vale a dire rispettare il suo mondo interiore.
L’intrusività è sempre una violenza nei suoi confronti, anche quando pensiamo di agire per il suo bene.
La R. E. è fatta di comunicazioni verbali e non verbali, ma anche di silenzi.
Il silenzio può essere una preziosa risorsa educativa: è premessa all’ascolto, lascia spazio all’altro, ma può anche
esprimere situazioni di disagio (psicologico, cognitivo, sociale, affettivo).
Nella R. E. sono inevitabili momenti di conflittualità, essa si manifesta nell’infanzia e accompagna l’uomo per
tutta la vita, quindi non va aggirata ma affrontata e serenamente gestita, in quanto obbliga a venire allo scoperto,
ridefinire le proprie idee, i propri traguardi.
La sua risoluzione critica e positiva favorisce la maturazione di atteggiamenti improntati alla costruttività, alla
valorizzazione delle diversità di ciascuno, in definitiva alla democraticità.
La ricerca esasperata del conflitto è invece da leggersi come spia di profondi disagi a cui prestare attenzione.
Processo educativo
E’ una successione di atti legati fra di loro, indica il farsi concreto dell’Educazione, e il modo in cui avviene.
Attori del P.E. sono:
- Soggetto persona in-formazione, senza di lui non esiste P.E.
- Educatore sarebbe meglio al plurale in quanto il soggetto in-formazione ne incontra più di uno (famiglia,
scuola, gruppo dei pari,…) sono anche loro in-formazione (educazione permanente)
- Ambiente dove vivono sia il S che E (ambiente naturale, sociale, …)
- Cultura scienza, storia, arte, …
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- Mezzi tutto ciò che mette in relazione tra loro gli altri quattro (libri, computer, teatro, ….)
Si è soliti distinguere tra processo formativo funzionale e processo educativo intenzionale.
Il primo consiste nel dare forma (da parte degli educatori) e prendere forma (da parte del soggetto) in modo
inconsapevole, il secondo prevede che si dia e prenda la forma che si vuole, si sceglie, si condivide, da parte di
entrambi.
E’ difficile sostenere una distinzione tra i due processi, non sono separati tra di loro, ma si intrecciano a vicenda;
possiamo dire che c’è educazione solo se c’è intenzionalità umana, se cioè gli attori umani che la compongono
sono consapevoli della parte che recitano.
Per Aristotele l’uomo è composto da:
- vita vegetativa alimentazione e consumo di materia
- vita sensitiva implica una ricettività reattiva, accoglie qualcosa che c’è al di fuori di sé, ma non c’è
intenzionalità (se tocco una lastra rovente ritiro la mano)
- vita razionale il pensare, l’intenzionalità
Chi possiede solo la vita vegetale (ameba) trova il suo principio d’essere nel vivere vegetale, chi ha vita
sensitiva assorbe in questa anche la precedente. L’uomo trova la ragione del proprio essere nel pensare, non è
solo reattivo ma attivo, non si accontenta di sentire confusamente, ma intende fare chiarezza nelle sensazioni; la
sua differenza specifica è l’intenzionalità, l’avere e usare la ragione.
Razionalità e intenzionalità possono essere usati come sinonimi, ma non hanno una sola forma di espressione:
♦ Razionalità teoretica: riguarda il conoscere
♦ Razionalità pratica: cosa devo fare per agire in-situazione, e perché
♦ Razionalità tecnica: riguarda il costruire per sopravvivere (téchne per i Greci)
Secondo Comenio quest’ultima richiede tre requisiti:
- il modello o idea
- la materia (inerte e passiva) su cui imprimere la forma
- i mezzi (strumenti) per trasferire le idee nella materia
La vita solo vegetativa non può essere oggetto di educazione, è semplice sopravvivenza; anche la vita solo
sensitiva non è educabile (non educo l’occhio a vedere, vita sensitiva, ma a vedere questo piuttosto che …).
Al soggetto in-formazione non si domanda solo di vivere e sentire, ma di ragionare; il vegetare e il sentire
trovano la loro autenticazione nel ragionare
L’uomo tende a diventare ciò che è, tende al proprio fine, ma quello che sarà lo si vede solo alla fine della sua
vita.
Ogni processo lo si può scoprire solo alla fine, ci dobbiamo sempre affidare ad ipotesi che non si possono mai
dare per acquisite né tantomeno sono duplicabili.
Può essere “educatore” qualcuno che abbia tutte le conoscenze teoriche riguardo i processi educativi ma non
abbia particolarmente elevati i sentimenti della cura e dell’amore per l’altro, o sufficiente creatività tecnica?
Pare perlomeno destinato ad essere un’educatore insoddisfatto.
Ogni esperienza individuale è sempre diversa dalle altre
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Figure educative
Insegnante
L’insegnante moderno, pur se, come detto all’inizio, Comenio teorizzò fin dal 17° secolo una scuola per tutti,
appare nel XIX secolo come figura educativa abbinata alla trasmissione di conoscenze (didattica).
Attualmente, dal momento che la finalità della scuola sembra sempre più essere quella dell’imparare ad
imparare, la figura del docente non può più essere solo quella di un semplice trasmettitore di una conoscenza
disciplinare prodotta altrove (Università), ma anche produttore di conoscenze nuove, attraverso la mediazione
tra la conoscenza dei saperi e i soggetti che devono apprendere.
Questa trasformazione del ruolo del docente (su cui esiste una vasta letteratura internazionale, ricerca-azione in
primis) è possibile se le sue competenze fanno riferimento all’interazione fra tre diversi ambiti:
1. Culturale (generale e disciplinare)
2. Psicologico-pedagogico
3. Didattico-metodologico
Un grosso cambiamento si è avuto in Italia con la legge sull’autonomia scolastica (’97), essa prevede che ogni
Istituto diventi un’unità progettuale ed elabori un P.O.F. che accolga la domanda d’istruzione che proviene dal
territorio, e, grazie all’autonomia didattica che viene esercitata dagli organi collegiali (da non confondere con la
libertà d’insegnamento che è propria di ogni docente), propone la sua offerta di educazione-istruzione.
Era questa una grossa sfida per la professionalità docente che poteva finalmente progettare un suo processo
formativo, svincolato dai vecchi programmi ministeriali che spesso ingabbiavano le spinte innovative che
potevano esserci all’interno di ogni scuola. Infatti diventava possibile sperimentare nuove organizzazioni
modulari, flessibilità per il tempo scuola, e tutto quanto concerneva l’organizzazione didattica.
Anche le innovazioni tecnologiche hanno consentito una rivoluzione dei linguaggi non più ancorati ai libri di
testo ma con possibilità di avvalersi di nuovi metodi che però faticano ancora ad imporsi, utilizzando linguaggi
spesso trascurati, quali: musicale, artistico e motorio.
Tutto questo tenendo presente quella che dovrebbe essere la prerogativa principale della scuola: la centralità
dell’alunno, con il rispetto dei suoi bisogni e dei suoi interessi.
L’utilizzo di questi linguaggi dovrebbe permettere all’insegnante di suscitare nell’allievo apprendimenti che
riguardino:
 l’ambito cognitivo (il sapere, concetti e nozioni)
 l’ambito delle abilità (il saper fare, conoscenze procedurali)
 l’ambito valoriale (il saper essere, aspetti socio-affettivi)
Per ottenere questo diventava fondamentale saper progettare/programmare, scegliere obiettivi, insegnare un
metodo di studio spendibile anche in futuro, proporre percorsi formativi centrati sulla persona, valutare
(ingresso, formativa in itinere, sommativa finale)
Una bella scommessa per la scuola e gli insegnanti che non sempre si è realizzata, e che la recente riforma
sembra rendere ancora più utopistica.
Educatore
Questa figura non è ben definita a causa di una grande confusione giuridica e amministrativa, per cui si rimanda
ad interventi di altri docenti (Diritto in primis); opera principalmente nei servizi socio-assistenziali, sanitari,
educativi e rieducativi, penali, con interventi dalla prima infanzia alla quarta età.
Le sue funzioni sono riconducibili a:
- Prevenzione
- Rieducativa
- Integrazione sociale
- Gestione dei servizi e delle strutture socio-educative
- Presa in carico e cura
Anche il profilo professionale stabilito con decreto ministeriale nel ’98 accentua le dimensioni correlate alla
patologia definendo come pazienti i destinatari dei loro interventi che dovrebbero essere innanzitutto educativi.
Legare queste figure all’area medico-clinica li pone sovente in condizione subordinata all’interno dell’equipe
professionale di cui fanno parte a livello territoriale, o di servizio, finendo per essere relegati ad un ruolo quasi
esclusivamente esecutivo.
Prima del decreto di cui sopra la loro formazione era gestita a livello regionale da Enti Locali (Comuni e
Province), ASL, enti privati in convenzione con le Amministrazioni Pubbliche; a livello Universitario
esistevano 2 scuole a Roma, dal ‘92/93 è stato istituito il Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione.
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Animatore
Se è difficile dare una definizione di Animatore, è un po’ più facile darla di animazione, pur distinguendola tra
socio-affettiva (rivolta a bambini ed adolescenti) e socio-culturale (adulti).
E’ comunque un’azione sociale di promozione umana che si rivolge non ad un solo soggetto ma a gruppi e
comunità; l’Animatore dunque deve stimolare la partecipazione alla vita di gruppo, interpretare i bisogni del
contesto in cui opera, ha necessità di specializzarsi a seconda degli interventi (turistico, teatrale, sportivo).
Per fare un parallelo con l’Educatore, se questo interviene con persone in difficoltà l’Animatore lavora con
gruppi attivando progetti relativi all’animazione; se l’E. privilegia dinamiche della relazione educativa, l’A. usa
anche pratiche ludico-espressive e della cultura locale.
Il ruolo dell’E. è di guida, consiglio, orientamento; l’A. funge da stimolo per l’aggregazione comunitaria.
Deve possedere più linguaggi a seconda del gruppo a cui si rivolge (bambini, adolescenti, adulti), e del contesto
in cui opera (quartiere, struttura assistenziale, piccoli gruppi, comunità).
Come le altre figure educative non opera da solo, ma in relazione con altri professionisti, è quindi importante
che anche lui padroneggi le capacità progettuali e sia disponibile alla cooperazione.
Da quanto detto mi sembra evidente che, se volessimo effettuare un intervento educativo veramente efficace,
bisognerebbe riuscire a creare una rete che comprenda tutti gli educatori implicati a vario titolo con il soggetto
in formazione
Progettualità educativa
Si definisce progetto l’unione della pratica con la teoria, e prevede l’originalità del singolo, i possibili
cambiamenti di ruolo (ideatore-esecutore), la negoziazione (fatta in qualsiasi momento); deve avere finalità
comuni per chi lo sta portando avanti e la sua validità non sta nella riproducibilità dei risultati.
Secondo Boselli le fasi della progettazione seguono questi passaggi:
- analisi della situazione di partenza (soggetti in-formazione, ambiente, risorse)
- definizione obiettivi
- selezione contenuti
- selezione metodi e attività
- ricognizione delle risorse disponibili, scelta dei materiali e degli strumenti da utilizzare
- realizzazione dell’intervento
- valutazione dell’apprendimento e/o dell’intervento educativo tenendo conto degli obiettivi e dei costi
Progettare non è voler saper prima cosa avverrà, si programma il noto e si progetta l’ignoto:
per progettare occorre sperimentare
Quella che nel corso degli ultimi decenni è diventata la classica progettazione educativa: programmazione –
azione – verifica - ulteriore programmazione, era all’origine, lo schema base della Ricerca-Azione.
Questo termine (action research) è stato coniato negli anni Quaranta da un gruppo di ricercatori che operava
nelle Indie Inglesi in campo amministrativo. Essi stavano effettuando una ricerca che contribuisse a modificare
situazioni istituzionali, e comportamentali, che gli operatori stessi giudicavano insoddisfacenti; una ricerca,
quindi, diretta verso specifici interventi sociali, puntando sul coinvolgimento dei soggetti interessati.
In precedenza, però, già Kurt Lewin (1890-1947) aveva cercato di collegare l’attività di ricerca alla
modificazione e al miglioramento dei sistemi sociali e delle situazioni reali con cui veniva in contatto.
Analizzando i contesti e le realtà su cui intervenire si rese conto che, nelle situazioni reali, “la dinamica dei
processi deve sempre essere derivata dalle relazioni tra l’individuo concreto e la situazione concreta …… “.
Essa è articolata in sequenze cicliche di analisi e di intervento: parte da una Idea generale cui segue la
Ricognizione del tema, o problema, che conduce all’elaborazione di un Piano Generale strutturato in varie fasi;
alla Realizzazione della fase 1 segue la Valutazione e la conseguente Revisione del Piano Generale.
Con la realizzazione della fase 2 iniziano ad avvolgersi le spire che ritornano su se stesse con successive
Valutazioni, Revisioni e Realizzazioni fino all’esaurimento del progetto.
Dallo schema presentato si potrebbe dedurre che i feedback ottenuti grazie alle varie realizzazioni, pongano in
discussione solo l’assetto attuativo del progetto senza intaccare l’idea generale; sembra quindi che si proceda
per aggiustamenti parziali in itinere; invece l’Idea Generale può modificarsi a sua volta, e cambiare, in tal modo,
le fasi successive della realizzazione.
Osserviamo nel dettaglio gli elementi del modello.
1. Idea Generale: nasce dalle situazioni concrete che i partecipanti intendono studiare e dai problemi che si
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vorrebbero risolvere.
2. Ricognizione: raccolta dei dati, o informazioni, con osservazione, interviste, questionari, ecc. E’ importante
radunare e classificare i dati prima di tentarne l’analisi.
3. Piano Generale: indica le linee d’azione che si intendono adottare per migliorare la situazione delineata.
Oltre alle fasi previste devono essere indicate anche le risorse disponibili e i contatti necessari.
4. Realizzazione: di solito viene considerata la parte più facile, a patto che l’impostazione sia stata ben
condotta. Invece rappresenta il punto più delicato, dovendo passare dalla teoria alla pratica dell’intero
progetto, che può restare sulla carta o gettare le basi per la buona riuscita.
5. Valutazione: siccome ogni intervento può dar luogo ad effetti collaterali, a risultati parziali o indesiderati, è
necessario che alle autovalutazioni del gruppo di ricerca, che hanno finalità formative di sviluppo dei
soggetti coinvolti, si affianchino valutazioni esterne per verificare la produttività dell’intervento educativo.
Spesso, tali analisi, conducono ad una nuova Idea Generale che rimette in moto un altro ciclo di RicercaAzione
In seguito si sono avute diverse varianti a questo schema, in quanto la diversità delle situazioni affrontate porta
necessariamente ad una pluralità di esecuzioni, generalmente con una riduzione delle varie fasi, rimangono però
alcuni punti fermi:
- Intenti suoi caratteri prioritari sono il raccordo tra teoria e pratica, e il fare ricerca mentre si opera nella realtà
- Condizioni collegialità e negoziazione tra i diversi soggetti coinvolti
- Esiti la mancanza di obiettivi predefiniti e di metodologia comporta la necessità di costruire tutta la
procedura con il gruppo a partire da alcuni punti strategici e sulla base del feed-back
Secondo diversi autori tale metodologia non pare essere così rivoluzionaria, né così significativa in ambito
educativo, prestando il fianco a molte critiche, credo comunque che con essa il soggetto in-formazione possa
diventare finalmente parte attiva, e non soltanto subire l’insegnamento, che spesso non è condiviso, come
avviene nella didattica per obiettivi e contenuti.
La negoziazione, che resta una delle sue caratteristiche permette la costruzione di una relazione educativa attiva
in ambito scolastico, dove è quasi sempre passiva, volta anche alla costruzione di conoscenze e allo sviluppo di
capacità individuali.
Tutto questo richiede che l’insegnante presti attenzione alla teoria partendo dalla realtà oggettiva dell’ambiente
in cui si trova ad operare; non è più un esecutore di quanto altri hanno studiato a tavolino, ma adatta
continuamente quanto previsto alle situazioni che si vengono a creare, cercando di colmare la discrepanza
esistente tra la progettazione e l’esecuzione.
In ultima analisi deve migliorarsi professionalmente.
Inoltre prevede l’intervento di elementi esterni alla scuola, o di insegnanti di più materie, concorrendo alla
realizzazione di una equipe.
E’ indispensabile, se vuole che quanto programmato sia significativo per tutti i soggetti impegnati nella ricerca,
che sia sempre disponibile a negoziare con gli altri le decisioni; la RICERCA-AZIONE è formativa quando tutto
il gruppo fa ricerca seguendo delle azioni non predefinite.
Solo se la Progettazione sarà costruttiva, e non riproduttiva, l’educatore avrà svolto il suo compito, emancipando
anche se stesso.
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