di Donatella Loprieno Università della Calabria 1. Il fiorire dei campi
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di Donatella Loprieno Università della Calabria 1. Il fiorire dei campi
I CAMPI PER GLI STRANIERI. UNA PROMESSA MANCATA di Donatella Loprieno Università della Calabria 1. Il fiorire dei campi per stranieri tra Novecento e nuovo millennio L’organizzazione non governativa Migreurop, dal 2005 e ad anni alterni, procede ad una mappatura dei campi per stranieri in Europa e nell’area del Mediterraneo1. Le legende dei simboli che guidano la comprensione delle mappe distinguono tra “campi aperti” e “campi chiusi”, tra campi informali (tendenzialmente ‘strutturati’ nei quartieri periferici delle grandi città) o improvvisati (come risposta straordinaria a emergenze spesso assai prevedibili) e campi perfettamente legali. Per questi ultimi, in particolare, si propone una classificazione in funzione della posizione giuridico/amministrativa delle persone che vi sono ‘trattenute’: “campi di attesa” ove le persone vengono detenute in attesa della loro identificazione e dell’esame della loro situazione ai fini di una eventuale ammissione al soggiorno; “campi di detenzione” per le persone che hanno illegalmente varcato il confine ma che sempre più spesso ‘ospitano’ anche i richiedenti una misura di protezione internazionale perché si dubita presuntivamente della veridicità delle loro biografie; “campi di allontanamento” ove agli stranieri il cui soggiorno è irregolare si assegna come destino l’espulsione dal territorio dallo Stato. Qualora, infatti, non sia possibile, per un ventaglio molto ampio di circostanze, l’immediata esecuzione della espulsione si ritiene “normale” l’avvio di una procedura di detenzione amministrativa che non è una carcerazione preventiva in attesa di una qualche pronuncia di un giudice e non è neanche una detenzione disposta dall’autorità giudiziaria a seguito 1 Le mappe sono consultabili sul sito www.migreurop.org/rubrique266.html. ove peraltro è possibile scaricare il secondo rapporto 2009-2010 della rete Migreurop sulle violazioni dei diritti alle frontiere intitolato Aux frontières de l’Europe. Contrôles, enfermements, expulsion. Sulla geografia dei campi per stranieri in Europa, cfr. C. Intrand e P.A. Perrouty, “La diversité des camps d’étrangers en Europe: présentation de la carte des camps de Migreurop”, in Cultures & Conflits, 57, 2005, 71-90. L’intero numero della rivista (dal significativo titolo L’Europe des campes. La mise á l’écart des étranger) è dedicato alla ricostruzione della graduale apparizione, nei paesaggi politici e giuridici occidentali, delle logiche di stigmatizzazione, di allontanamento e di confinamento dei migranti. Per una panoramica dei centri di detenzione amministrativa in Europa, si possono consultare i siti www.cestim.it, www.jrseurope.org, www.detention-in-europe.org. 2 DONATELLA LOPRIENO di un regolare processo. Detto altrimenti, la sosta forzata in campi, ove la libertà personale dei migranti irregolarmente presenti sul territorio è limitata, costituisce oramai parte integrante di un meccanismo di pre-espulsione. Anche nel nostro ordinamento giuridico, ed in virtù della prima legge organica in materia di condizione giuridica dello straniero adottata nel 1998 e, quindi, proprio sul volgere alla fine del secolo dei campi2, si è pervicacemente incuneato l’istituto del trattenimento degli stranieri “per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporaneo e di assistenza più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’Interno, di concerto con i Ministri per la solidarietà sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica”3, al fine di «evitare la loro dispersione sul territorio e, quindi, consentire l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione».4 L’aggettivo pervicace, riferito alla misura del trattenimento, ben descrive un clima all’interno del quale i tempi massimi della detenzione amministrativa si sono espansi, in poco più di un decennio, in maniera davvero considerevole: dagli originari trenta giorni e per successive lievitazioni si è giunti, da ultimo, ai 18 mesi consentiti dalla ormai famosa Direttiva rimpatri che, obtorto collo, il nostro legislatore ha dovuto da ultimo attuare5. 2 Per riprendere il titolo dell’opera di J. Kotek, P. Rigoulot, Il secolo dei campi. Detenzione, concentramento e sterminio: 1900-2000, Milano, 2001, interamente dedicata alla storia dei campi di internamento. Ma si veda anche A. Kamiski, I campi di concentramento dal 1896 ad oggi. Storia, funzioni, tipologia, Torino, 1997. 3 Così recitava (e recita) l’art. 12 della l. n. 40 del 1998, poi art. 14 del Testo unico sull’immigrazione, d.lgs. n. 286/1998 (emanato in attuazione dell’art. 47 della legge 40/1998). Sin dal momento della sua apparizione, il nuovo istituto del trattenimento ha scatenato reazioni contrapposte e controverse tra quanti lo consideravano una misura incidente sulla “mera” libertà di circolazione e quanti, invece, lo ritenevano una misura inerente la libertà personale, materia tutelata dall’art. 13 della Costituzione. Sul punto, cfr. A. Caputo, “Espulsione e detenzione amministrativa degli stranieri”, in Questione giustizia, n. 3/1999. Il Giudice costituzionale, con la sent. 105/2001, ha sciolto ogni dubbio laddove ha ritenuto che il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza e di assistenza «è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’art. 13 della Costituzione», determinando, tale misura, anche quando non sia disgiunta da una finalità di assistenza, «quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro della attinenza della misura alla sfera della libertà personale». 4 Così si è espressa la nostra Corte costituzionale, con cristallina chiarezza, sui propositi di tali strutture nella recente sent. n. 134/2010. Sulle ambiguità di fondo dell’istituto e sulle contrapposte reazioni in dottrina, cfr. R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Stranieri tra i diritti. Trattenimento, accompagnamento coattivo, riserva di giurisdizione, Torino, 2001. 5 Si tratta della Direttiva 2008/115/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli stati membri al rimpatrio di cittadini il cui soggiorno è irregolare. Come noto, il legislatore italiano ha lasciato scadere la data prevista per l'attuazione della importante direttiva (24 dicembre 2010), esasperando un conflitto già presente I CAMPI PER GLI STRANIERI 3 Come tutte le classificazioni anche quella proposta dai ricercatori della rete Migreurop soffre (per ammissione degli stessi autori) di alcuni limiti pur presentando l’indubbio vantaggio di focalizzare, sin da subito, l’attenzione sulle molteplici (e solo a prima vista diverse) funzioni dei campi. In realtà, gran parte di quelli disseminati sul territorio dell’Unione, puntellandone i confini ben al di là della mera porzione del suo territorio fisicamente inteso, cumula almeno due delle funzioni richiamate situandosi, dunque, a cavallo dei diversi tipi e restituendoci una realtà multiforme, cangiante e spesso di difficilissima lettura. Al di là e prima della diversità del loro regime, delle funzioni che ne vorrebbero legittimare l’esistenza in una Europa così apparentemente rispettosa dei diritti umani6, l’esame di queste mappe ci restituisce la cifra esatta di una promessa mancata: «rimuovere la presenza dei campi dall’esperienza europea della seconda metà del Novecento»7 attraverso una serie di antidoti che avrebbero dovuto impedire la degenerazione del ricorso al campo come regola. I luoghi di cui discorriamo, pur nella variabilità del loro nomen iuris, rievocano comunque l’immagine di spazi a vocazione escludente, da sottrarre agli sguardi eventualmente indiscreti dell’opinione pubblica; al loro interno vengono trattenuti cittadini stranieri rei di aver violato, contestato o semplicemente attraversato i confini. Ad oggi, di campi siffatti ne esistono circa un centinaio e nulla ci autorizza a pensare (o, meglio, a sperare) che il loro numero sia destinato, nel breve-medio periodo, a diminuire. Anzi, i segnali vanno nella direzione diametralmente opposta atteso che, oggi, in Europa, nessuno Stato pare orientato a rinunciare al campo per nel nostro ordinamento. L'inerzia, prolungatasi ben oltre la scadenza, ha infatti generato un accesissimo dibattito dottrinale e giurisprudenziale in merito alla sorte dei reati configurabili durante la procedura di espulsione ed in particolar modo sul delitto di cui all'art. 14, comma 5 ter, T.U.I. La questione è stata risolta definitivamente dalla Corte di Giustizia che, con sentenza del 28 aprile 2011 (El Dridi), ha dichiarato l'incompatibilità con la direttiva rimpatri dell'incriminazione che prevedeva l'irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, violando l'ordine di lasciar il territorio dello Stato entro un certo termine, permane in detto territorio senza giustificato motivo. 6 Si veda, da ultimo, il Rapporto di Human Rights Watch significativamente intitolato "L'UE ha la mani sporche: implicazioni di Frontex nei maltrattamenti dei migranti detenuti in Grecia" (settembre 2011). L'organizzazione non governativa per la difesa dei diritti umani, nel rapporto, evidenzia la collaborazione di Frontex con le autorità greche nella gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, accusando l'agenzia europea di complicità con le autorità greche per le disastrose condizioni in cui versano i migranti, ospitati in centri di detenzione sovraffollati e disumani. 7 Cfr. F. Rahola, Zone definitivamente temporanee. I luoghi dell’umanità in eccesso, Verona, 2003, 93. Un’analisi comparata della disciplina della espulsione e della detenzione degli stranieri in attesa di espulsione nei Paesi dell’Unione europea, era stata già realizzata da B. Nascimbene (a cura di), Expulsion and detention of aliens in the European Union Countries, Milano, 2001. 4 DONATELLA LOPRIENO stranieri – in tutte le sue possibili declinazioni – come strumento per rendere effettive le espulsioni degli “indesiderati” e, più in generale, per gestire le popolazioni migranti. La vis espansiva che nutre l’idea del “campo” come dispositivo chiave delle politiche in materia di immigrazione testimonia, oggi non meno che ieri, le implicazioni umane (prima che giuridiche) di un diritto di emigrare (ossia di lasciare il proprio paese) reso vacuo dalla inesistenza di un diritto di immigrazione (ossia di essere accolti in un altro Paese)8. Le mappe da cui siamo partiti, ricostruendo diacronicamente il sorgere ed il proliferare di questi luoghi, ci restituiscono anche una delle modalità dell’allargamento dell’Unione europea ad Est e la sfera di influenza che quest’ultima esercita nei confronti dei Paesi nord-africani, e, quindi, di quelli sub-sahariani. Detto in altri termini, non è senza significato che negli Stati di recente adesione il numero dei campi per stranieri sia progressivamente aumentato e che campi prevalentemente informali, ed ove le condizioni del trattenimento sono semplicemente inumane, siano stati dislocati a Sud del Mediterraneo. La necessità, per i dodici paesi candidati all’adesione all’Unione, di incorporare l’acquis di Schengen9 ha comportato per essi la correlativa accettazione delle politiche dell’Unione in materia di asilo e d’immigrazione così come ad accogliere «cospicui finanziamenti europei per la costruzione di campi, per la militarizzazione dei nuovi confini esterni e per il trasferimento delle unità di polizia di frontiera»10. Subìta o frutto di un’adesione volontaria, comunque, la armonizzazione europea in materia d’immigrazione e di asilo ha imposto ai Paesi dell’Europa centrale ed orientale Sul punto, si veda, tra gli altri, S. Benhabib, I diritti degli altri. Stranieri, residenti, cittadini, Milano, 2006 e della stessa autrice Cittadini globali, Bologna, 2008. Ricordiamo che l’art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, intitolato al “Diritto alla libertà di movimento” prevede, al primo comma, che «Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato» ed al successivo comma che «Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese». Da canto suo, il Patto sui diritti civili e politici, del 1966, ha specificato (all’art. 12) che i titolari del diritto alla libertà di movimento e alla libertà di scelta della residenza in quel territorio sono coloro i quali si trovino “legalmente” nel territorio di uno Stato. Luigi Ferrajoli, in una critica dettagliata all’istituto della cittadinanza e considerando appunto l’art. 13 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, scrive: «È chiaro che in base all’implicazione … tra diritti e garanzie si potranno leggere come antinomie le attuali leggi statali contro l’immigrazione e come lacune la mancata regolazione, ad opera di leggi o convenzioni, dell’obbligo di accoglienza correlativo al diritto di emigrare» (così in Diritti fondamentali, Roma-Bari, 2001, 152). 9 L’incorporazione degli Accordi di Schengen del 1985 nel Trattato di Amsterdam (firmato nel 1997 ed entrato in vigore nel maggio del 1999) ha formalmente sancito l’esistenza, per gli allora 15 stati membri, di un unico confine esterno. 10 Cfr. H. Dietrich, “Campi Profughi ai nuovi confini esterni”, in S. Mezzadra (a cura di), I confini della libertà. Per un’analisi politica delle migrazioni contemporanee”, Roma, 2004, 111. Sul punto si vedano anche le interessanti ricostruzioni sulla “fortificazione” delle frontiere di Polonia e Romania, in Aux frontières de l’Europe. Contrôles… cit., 47-71. 8 I CAMPI PER GLI STRANIERI 5 «obblighi molto gravosi» ed il «ruolo a loro attribuito di custodi delle frontiere esterne dell’Europa»11 è parso ignorare i legami che questi paesi avevano con i loro vicini. Come è stato osservato, guardare al territorio dell’Unione europea e al suo progressivo allargamento dall’angolo prospettico delle migrazioni e dei suoi dispositivi di gestione e controllo «offre strumenti di analisi particolari ed efficaci nell’inquadrare l’argomento»12. Guardata da questa prospettiva, la realtà dell’Unione europea è ben lungi dall’apparire il “giardino di lady Norwood” dei diritti umani13 e disvela, piuttosto, una struttura costituita da tre cerchi concentrici: in quello centrale stanno i primi quindici Paesi aderenti, forti e gelosi delle loro risorse economiche e politiche e “protetti”, prima, dal cerchio intermedio costituito dagli Stati di recente adesione e, poi, da quello esterno popolato dagli Stati che o confinano direttamente con questi ultimi o sono separati dai “primi della classe” dalle acque del mar Mediterraneo14. In ognuno dei tre cerchi che racchiudono l’universo giuridico e politico dell’Unione sono dunque fiorite, con tempistiche diverse, strutture più o meno temporanee, più o meno aperte, più o meno rispettose degli standard minimi di tutela dei diritti umani, in cui internare, trattenere, custodire, controllare e disporre di individui sulla base della loro non appartenenza ad un ordine statuale europeo e del non godimento di una cittadinanza, quella dei ricchi, pur se in crisi, Paesi europei, che a tutti gli effetti configura «l’ultimo privilegio di status: fattore di esclusione e discriminazione», rottame «premoderno delle differenziazioni personali per nascita, in contraddizione con l’eguaglianza e con la universalità dei diritti fondamentali sanciti come diritti della persona, e non (solo) del cittadino, dalla Dichiarazione universale del 1948 e dai Patti del 1966»15. 11 Cfr. E.M. Mafrolla, “L’impatto del regime comune europeo in materia di asilo nei paesi dell’Europa centrale”, in Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1, 2002, 80. 12 Cfr. A. Sciurba, Campi di forza. Percorsi confinati di migranti in Europa, Verona, 2009, 67. 13 Per richiamare la bella metafora utilizzata da M. Patrono, I diritti dell’Uomo nel paese d’Europa. Conquiste e nuove minacce nel passaggio da un millennio all’altro, Padova, 2000, 3. 14 Sul Mediterraneo e l’Europa, cfr. F. Cassano, D. Zolo (a cura di), L’alternativa mediterranea, Milano, 2007 e M. Delle Donne, Un cimitero chiamato mediterraneo. Per una storia del diritto d’asilo nell’Unione europea, Roma, 2004. Sul sito Fortress Europe (all’indirizzo fortresseurope.blogspot.com/2006/01/rassegna-stampa-completa.html) è disponibile anche la rassegna stampa che dal 1988 ad oggi fa memoria delle “vittime delle frontiere”. Il numero delle morti è impressionante: solo nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico verso le Canarie si contano 10.970 vittime. Dall’inizio, nei primi mesi del 2011, della crisi in Nord Africa (la c.d. primavera araba) si stima siano morte, nel tentativo di raggiungere l’Europa, circa 1500 persone. 15 Così L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia. 2. Teoria della democrazia, Roma-Bari, 2007, 588-589. 6 DONATELLA LOPRIENO Les camps d’exilés16 di cui discorriamo hanno sì caratteristiche diverse, essendo dissimili le tradizioni giuridiche degli ordinamenti che li hanno istituiti, ma ciò che li accomuna è più significativo, ma anche più inquietante, di ciò che li differenzia17. Preliminarmente, occorre ricordare come, ancora una volta, emerga ciò che taluno, sulla scorta delle riflessioni di Arendt, ha definito “la legge dei campi” ovvero il fatto che nessun cittadino nazionale possa entrarvi. Detto in altre parole, i «campi sono la forma per confinare chi non appartiene»18 a quell’ordine statuale non perché abbia posto in essere comportamenti antigiuridici ma in virtù della elusione o tentata elusione dei controlli alla frontiera e/o per aver violato le normative, sempre più inutilmente vessatorie e precarizzanti, concernenti il soggiorno. La moltiplicazione, in Europa, dei luoghi ove in forza di dispositivi giuridici alcuni individui vengono, pur se non permanentemente, privati della loro libertà personale secondo procedure parzialmente o totalmente diverse e speciali, rispetto a quelle applicabili ai propri cittadini, non desta più troppo scalpore; è in atto, anzi, una loro banalizzazione che fa aggio sulla loro presunta natura di strumenti irrinunciabili per una efficace ed efficiente gestione dei flussi migratori nella loro più ‘spiacevole’ declinazione: la clandestinità e l’irregolarità19. Proprio tale normalizzazione della forma campo nei nostri ordinamenti giuridici, nelle nostre società, nelle nostre città, a mio avviso, deve essere guardata con estremo sospetto perché potrebbe essere un sintomo inequivoco di un pericoloso processo di assuefazione che rende (i più) indifferenti alla quotidiana degradazione della dignità umana dei migranti extracomunitari trattenuti e, talora, suscita insof- 16 L’espressione è di J. Valluy, “Introduction: l’Europe des camps. La mise á l’écart des étrangers”, in Cultures&Conflits, n. 57, 2005, 2. 17 Cfr. M. Pifferi, “La doppia negazione dello ius migrandi tra Otto e Novecento”, in O. Giolo, M. Pifferi (a cura di), Diritto contro. Meccanismi giuridici di esclusione dello straniero, Torino, 2009, per il quale «lo studio diacronico permette di riconoscere una continuità negli strumenti tecnico-giuridici adottati per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione di massa, svela non la straordinarietà ma l’ordinarietà delle politiche di esclusione del migrante attraverso scelte legislative e giurisprudenziali capaci di aggirare le garanzie individuali» (47). 18 Cfr. F. Rahola, ult. op. cit., 59, 74-75. L’opera di Hannah Arendt cui si accenna nel testo è Le origini del totalitarismo che, in qualche modo, costituisce la trama attorno alla quale Rahola sviluppa la sua idea sulla logica che sorregge i campi odierni: confinare l’eccedenza. 19 Di banalizzazione dei campi parla anche M. Bietlot, “Le camp, révélateur d’une politique inquiétante de l’étranger”, in Cultures&Conflits, 57, 2005, 2. Per tale autore, la banalizzazione, foraggiata dalle istituzioni (o meglio punto di vista delle istituzioni) fa del campo un luogo ove non ci sono violazioni di diritti o dello Stato di diritto. Assunta questa particolare angolazione prospettica chiaramente si deve ricorrere ad eufemismi: non si parla di carcerazione o detenzione ma di trattenimento, mantenimento, messa a disposizione. I CAMPI PER GLI STRANIERI 7 ferenza20 verso quanti (i meno) rivendicano la pienezza di quella dignità, chiedendo agli stati europei di tener fede alle convenzioni internazionali e sovranazionali in materia di diritti umani21. Troppo spesso, in effetti, si è data «per scontata la legittimità teorica degli istituti»22, anche pesantemente incidenti sulla inviolabile diritto alla libertà personale, che i legislatori adottano nella materia, così squisitamente politica23, della regolamentazione dell’immigrazione. L’attenzione si appunta, così, sulle conseguenze risultanti dall’applicazione di quegli istituti, sul quomodo, sulla diffusa illegalità dei trattenimenti, sui corollari, piuttosto che sulla loro tenuta costituzionale (e sulla loro legalità formale) e, dunque, sull’an. Ma vi è di più. Una volta normalizzata la presenza dei campi per stranieri sui territori degli Stati europei e nei loro ‘raffinati’ ordinamenti giuridico-costituzionali di stampo così dichiaratamente democratico, si è creduto poi utile (o forse meno imbarazzante) “esternalizzarli”, spostarli (o meglio spostarli nuovamente)24 al di là 20 Il 27 maggio 2010 (ma è davvero un esempio tra i moltissimi astrattamente citabili), il Ministro degli esteri, Franco Frattini, ha definito “indegno” il Rapporto annuale 2010 di Amnesty International, reo di aver accusato l’Italia per la politica dei respingimenti in alto mare e per aver messo a repentaglio la vita di centinaia di migranti. 21 Ed è calata «una plumbea cappa di censura su quanto avviene ancora oggi all’interno dei centri, al punto che le denunce dei movimenti antirazzisti e le iniziative di protesta sono state etichettate come atti di sovversione come tali perseguiti penalmente», così F. Vassallo Paleologo, “Detenzione amministrativa. Una storia di brutalità, violenze e violazioni”, in www.meltingpot.org, marzo 2010. Da ultimo e trincerandosi dietro l’emergenza dei massicci afflussi di immigrati del Nord Africa e per non intralciare le attività loro rivolte, il Ministro dell’Interno Maroni con la circolare 1305 del 1° aprile 2011 ha limitato l'accesso nei centri di identificazione e espulsione e nei centri di accoglienza per richiedenti asilo, consentendolo soltanto a poche organizzazioni arbitrariamente scelte (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, Croce Rossa Italiana, Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Save the Children, Caritas). Il prioritario effetto della su richiamata circolare è stato ovviamente quello di impedire alla stampa interna ed estera di entrare nei centri per documentare le condizioni inumane a cui centinaia di migliaia di persone sono costrette. 22 Cfr. O. Giolo, “Le ragioni (non sufficienti) dell’esclusione. Un approccio teorico-generale”, in O. Giolo, M. Pifferi (a cura di), Diritto contro… cit., 81. 23 Vale a dire caratterizzata da una forte «pertinenza al potere esecutivo che si traduce nella centralità del ruolo dell’autorità di polizia» (così. A. Caputo, “Immigrazione, diritto penale e sicurezza”, in Questione giustizia, n. 2-3/2004, 360). 24 Il primo campo di concentrazione appare a Cuba nel 1896, ad opera degli spagnoli e nel contesto di un’insurrezione coloniale. Allora, così come accadrà molte volte in seguito, il ricorso alla reclusione della popolazione civile veniva giustificato in base a motivi di sicurezza: occorreva non confondere gli insorti, obiettivo delle rappresaglie degli spagnoli, dai non insorti e, dunque, separare questi da quelli. Anche le autorità coloniali inglesi, inaugurando il secolo dei campi, a partire dal 1900 allestirono in Sud Africa 58 campi. L’amministrazione coloniale tedesca, da parte sua, nel 1904 conquistò il primato del primo genocidio dell’epoca moderna, sterminando nel giro di un anno, nel territorio dell’attuale Namibia, tre quarti della popolazione herero (80.000 perso- 8 DONATELLA LOPRIENO delle frontiere fisiche dell’Unione, verso i Paesi del Maghreb. Ai Paesi nordafricani che si affacciano sul Mediterraneo, l’Europa ha imposto «par voie de coopération asymétriques et de partenariat dominés, la sous-traitance des tâches de traque, dissuasion et éloignement des migrants»25. In una parola, il lavoro più sporco è stato appaltato a chi non deve esibire quotidianamente certificazioni sulla qualità dei propri assetti liberal-democratici. Che poi i migranti “intercettati” in mare siano profughi, abbiano tutte le carte in regola per aspirare al riconoscimento di una misura di protezione internazionale, che siano torturati e subiscano trattamenti disumani e crudeli in spregio totale di tutte le normative internazionali sui diritti umani, che siano minorenni26 o donne in stato di gravidanza, poco rileva nell’agenda pubblica e sui mezzi di informazione. In questa materia, l’opinione pubblica europea – e quella italiana in particolare – non deve essere distratta da “questioni umanitarie” e, sistematicamente, deve rimanere disinformata sugli scioperi della fame, sugli atti di autolesionismo, sui tentativi di fuga, sulle rivolte, sugli incendi e sulle proteste talvolta drammatiche (con morti e suicidi) che quotidianamente si consumano nei centri di detenzione27. Quando poi le condizioni di assoluta invivibilità dei campi, siano essi centri di accoglienza per richiedenti asilo o di identificazione ed espulsione o semplicemente luoghi di assembramento per lavoratori extracomunitari da sfruttare, fomentano autentiche rivolte (i fatti di Rosarno del 201028 e quelli, ormai a cadenza annuale, di Lampedusa ne costituiscono riprova), i circuiti ufficiali della informazione tendono, semplificando oltremisura, a criminalizzare una volta di più ‘questi clandestini’. Parimenti, è d’obbligo in materia di detenzione amministrativa dei migranti ne). Quanto agli italiani e al trattamento riservato a quanti si frapponevano all’espansione coloniale italiana (dall’uso delle armi chimiche ai campi di concentramento), si rimanda all’opera di A. Del Boca (a cura di), La guerra coloniale del fascismo, Roma-Bari, 1991. Quel che premeva, qui, richiamare alla memoria è che il ricorso ai campi di concentramento, accompagnando l’intera vicenda coloniale (fino alle guerre di decolonizzazione) ne ha fatto una sorta di laboratorio decentrato, le cui risultanze sono state poi trasfuse, centralizzate, nel cuore dell’Europa, segnandone per sempre la storia. 25 Così J. Valluy, “Introduction: l’Europe des camps… cit., 5. 26 Cfr. D. Parisi, “Sotto il motore è più sicuro. La tragedia silenziosa dei minori afgani”, in www.centroastalli.it/fileadmin/immagini/Servir/maggio_08.pdf 27 Gran parte delle notizie su quanto accade nei centri sono raccolte e documentate su siti internet specializzati (www.fortreseurope, www.meeltingpoot.org, solo per citarne alcuni). Particolarmente esaustive sono le seguenti ricostruzioni: Histoires de rivolte dans les centres de Rétention en Europe. 2005-2009 e Centre de rétention: Récits de révolte et de solidarité, été 2009, entrambi in http://infokiosques.net/spip.php?article758. 28 Sulla questione si rinvia a D. Loprieno, E.G. Parini, La piramide dell'arroganza. Una riflessione sui fatti di Rosarno, gennaio 2010, in www.federalismi.it/ApplMostraDoc.cfm?Artid=15118 I CAMPI PER GLI STRANIERI 9 in condizioni di irregolarità tacere o occultare il più possibile i costi in termini di risorse finanziarie investite e i risultati ottenuti29. 2. Sul perché le analogie tra i campi per stranieri dovrebbero inquietano i giuristi-costituzionalisti Oltre a quella or ora accennata, vi sono molte altre analogie che fanno dei campi per stranieri extracomunitari in Europa (e fuori dall’Europa) un quid che il giurista-costituzionalista30 non può far finta di non vedere e/o che gli consentano semplicemente di descrivere l’esistente. Quanto appena affermato ha senso solo se si ritiene che compito di questa particolare categoria di scienziati sociali – i giuristi-costituzionalisti appunto – non sia solo quello di descrivere il quadro normativo vigente ma anche e soprattutto di «estrarre, analizzare, accertare i significati che assumono i dati normativi nella configurazione materiale della condizione umana così come disegnata nella realtà attuale e valutarli secondo qualche principio, qualche idea, salvo che non intendano isterilirsi nella contemplazione dell’esistente, già di per sé disdicevole perché ne è l’accettazione passiva e non può che risolversi (…) nella sua apologia, che è l’apologia del potere, chiunque lo eserciti»31. O, detto altrimenti, quanti si ‘dilettano’ negli studi costituzionali – il cui oggetto è essenzialmente il potere politico e la sua specifica natura è la limitazione giuridica del potere politico – non possono che ricordare e rimarcare «continuamente i confini giuridici che la Costituzione positiva pone ad ogni forma di potere dato, svolgendo 29 Per il 2008, si è calcolato che in Francia il costo stimato annuale per le espulsioni si aggira intorno ad una cifra a 700 milioni di euro », cfr. Migreurop, Atlas des migrants en Europe. Géographie critique des politiques migratoires, Paris, 2009, 91. Per quanto riguarda i costi di gestioni dei centri italiani, si può fare riferimento (ma solo per un biennio) alle dettagliatissime relazioni della Corte dei Conti (Corte dei Conti – Sezione Centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Gestione delle risorse previste in connessione al fenomeno immigrazione per l'anno 2002, Roma, 2003; Corte dei conti, Programma di controllo 2003 - Gestione delle risorse previste in connessione al fenomeno dell’immigrazione, Regolamentazione e sostegno all’immigrazione. Controllo dell’immigrazione clandestina, Roma, 2004. Per una idea sul business della gestione degli immigrati, cfr. S. Liberti, Gli affari sulla pelle dei migranti, maggio 2009, in www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=1966. 30 Il giurista-costituzionalista “vero”, come sostenuto da A. Spadaro, dovrebbe esser servo di un solo padrone, la Costituzione. Se così non fosse, evidentemente, egli sarebbe servo … di qualcun altro; così in Costituzionalismo versus populismo (Sulla c.d. deriva populistico-plebiscitaria delle democrazie costituzionali contemporanee), 2, pubblicato sul forum online di Quaderni costituzionali. 31 Così G. Ferrara, Le ragioni di una rivista nuova, in www.costituzionalismo.it. 10 DONATELLA LOPRIENO così la loro funzione di lettori sempre potenzialmente critici del potere, politico in primis ma non solo, da chiunque sia posseduto e quale ne sia la legittimazione»32. Ciò premesso, anche per dar conto della scelta di non indugiare su questioni squisitamente tecniche, si deve ora osservare come le norme giuridiche sulla detenzione amministrativa vengano generalmente concepite «pour laisser la marge de manœuvre la plus important possible aux autorités pour décider qui maintenir, combien de temps et où»33. È certamente vero che dappertutto in Europa le normative in materia di detenzione amministrativa degli stranieri riconoscono ai migranti trattenuti un certo numero di diritti sostanziali e processuali. Formalmente nessuno Stato europeo e neanche l’Italia disconosce che allo straniero trattenuto debbano essere garantiti i diritti fondamentali della persona umana; la libertà di colloquio con i visitatori, il difensore che lo assiste ed i ministri di culto; la libertà di corrispondenza telefonica34; il diritto a ricorrere contro il provvedimento di diniego dello status di rifugiato, o di allontanamento dal territorio dello Stato, o di trattenimento in un centro; ed ancora, il diritto ad un interprete così come al rispetto dei principi che regolano lo status libertatis della persona umana. La questione assolutamente dirimente è, come giustamente si è fatto notare, «l’effettivo godimento del diritto alla tutela giurisdizionale di cui lo straniero è formalmente titolare»35. Pur se riferite esclusivamente al corpus normativo che disciplina la condizione giuridica dello straniero in Italia, le forti suggestioni della dottrina richiamata si prestano benissimo a leggere ed a interpretare anche ciò che avviene al di là dei nostri confini nazionali: «se tutto il corpo normativo spinge per l’allontanamento dell’immigrato irregolare e clandestino, il godimento pieno ed effettivo della tutela giurisdizionale deve stare fuori dall’orizzonte legislativo: perché 32 Cfr. A. Spadaro, ult. op. cit., 2. Vale certamente la pena di riportare anche il pensiero di chi pensa alla scienza giuridica anche come «critica e progettazione del suo stesso oggetto: critica del diritto invalido pur se vigente perché in contrasto con la Costituzione; reinterpretazione alla luce dei principi in questa stabiliti dell’intero sistema normativo; analisi delle antinomie e delle lacune; elaborazione e progettazione delle garanzie mancanti o inadeguate e tuttavia imposte dalle norme costituzionali», così L. Ferrajoli, “I fondamenti dei diritti fondamentali”, in Id., Diritti fondamentali, Roma-Bari, 2001, 36. Osserva O. Giolo, “Le ragioni (non sufficienti) … cit., come il tratto caratteristico della attuale normativa in materia di immigrazione sia dato «dalla illogicità delle sue norme rispetto ai principi ordinanti il sistema giuridico». Tale illogicità, però, si trasfigura in logicità se si assume la discriminazione come il principio ispiratore dell’intera disciplina (80). 33 Cfr. C. Intrand, P.A. Perrouty, « La diversité des camps … cit., 6. 34 Così recita, ad esempio, l’art. 21, comma 1, del Regolamento di attuazione del Testo unico sull’immigrazione, d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394. 35 Cfr. A. Pugiotto, “«Purché se ne vadano». La tutela giurisdizionale (assente o carente) nei meccanismi di allontanamento dello straniero”, Relazione al Convegno nazionale dell’Associazione italiana costituzionalisti, Lo statuto costituzionale del non cittadino, Cagliari, 16-17 ottobre 2009, 5. I CAMPI PER GLI STRANIERI 11 è sabbia nel motore, bastone tra le ruote, ingranaggio capace di inceppare» un meccanismo che «risponde ad un fine che tutto concepisce ed ha una fine che tutto ricomprende: assicurare l’allontanamento dello straniero (irregolare o clandestino) dal territorio statale, il prima possibile e preferibilmente in forma coattiva»36. A depotenziare ed a svuotare di contenuto il principio secondo cui ‘anche’ il cittadino straniero trattenuto è soggetto di diritto a 360 gradi sta – inter alia – il più che consistente margine di discrezionalità valutativa e di manovra lasciato alle autorità amministrative e di pubblica sicurezza con il suo portato più immediato: il ridottissimo spazio per il sindacato giurisdizionale. Le istituzioni deputate alla salvaguardia dell’integrità “fisica” dello Stato, aggredita da quanti si introducono clandestinamente nel territorio37 o omettano di lasciarlo pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima la permanenza, sono tutte accomunate dalla dipendenza diretta con il potere esecutivo. E fin qui, nulla di strano. Se, però, il regime normativo che struttura la misura del trattenimento viene «pericolosamente abbandonato alla discrezionalità dell’autorità di pubblica sicurezza»38, essendo – ad esempio – il questore, e non un giudice, a disporre direttamente il trattenimento, decidendone tempi e luoghi, ecco che allora il giurista-costituzionalista dovrebbe allarmarsi perché ciò che la Costituzione configura come ipotesi eccezionale assurge, invece, a modus operandi ordinario ma per la sola categoria dello straniero extracomunitario irregolarmente soggiornante. Per quest’ultimo, che ci ostineremo a non chiamare “straniero irregolare”39, la detenzione amministrativa, discrezionalmente disposta dall’autorità di Polizia, va ben oltre i casi eccezionali ed urgenti in cui ciò è consentito dall’art. 13 della Costituzione che ne stabilisce i limiti precisando che, in mancanza di un atto dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi Ibidem, 10, 6. Così G. D’Elia, “La ‘legittima difesa’ dello Stato, in R. Bin, G. Brunelli, A. Pugiotto, P. Veronesi (a cura di), Stranieri tra i diritti … cit., 74. 38 Cfr. Pugiotto, ult. op. cit., 28 e ss. 39 Facciamo nostra la sollecitazione avanzata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, nella Risoluzione 1509 (del 2006), a utilizzare l’espressione “migranti in situazione di irregolarità” piuttosto che quelle, certamente stigmatizzanti, di “straniero irregolare” o di “migrante illegale”. Sul punto, si vedano le illuminanti considerazioni svolte in La criminalisation des migrations en Europe: quelles incidences pour les droits de l'homme? Document thématique commandé et publié par Thomas Hammarberg, Commissaire aux droits de l’homme du Conseil de l’Europe, febbraio 2010, ove si rileva come, invece, l’insieme delle istituzioni dell’Unione europea ed i governi degli Stati membri continuino a parlare di “immigrati illegali” e “immigrazione illegale”. La scelta della terminologia, invece, è primordiale «pour l’image que les autorités concernées donnent de ces situations à leurs population et au reste du monde. La qualité d’immigré demeure associée, en fonction de l’emploi d’une terminologie, à des actes illicites au regard du droit pénal». 36 37 12 DONATELLA LOPRIENO previsti dalla legge, può essere adottata «in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge», con provvedimenti da comunicare al giudice entro 48 ore e se questi non li convalida, entro le successive 48 ore, «si intendono revocati e restano privi di ogni effetto». In tali ipotesi, le restrizioni alla libertà personale, essendo ispirate a finalità diverse dalle esigenze della giustizia penale, necessariamente devono essere «collegate alla tutela di beni costituzionali di rilievo primario, in grado cioè di giustificare la compressione di un diritto inviolabile»40 quale è la libertà personale. Sempre quel giurista-costituzionalista dovrebbe ricordare, a sé prima che agli altri, ciò che differenzia il costume poliziesco da quello giudiziario. L’insieme di discriminanti che giustifica la separazione tra le due funzioni fa dell’autorità di pubblica sicurezza una «funzione politico-amministrativa, pragmaticamente informata alla priorità del risultato rispetto ai mezzi per raggiungerlo, i quali invece sono prioritari nell’attività giudiziaria»41. Una di queste discriminanti ha a che fare con la «connaturata partigianeria della polizia rispetto all’imparzialità istituzionale del giudice: le forze di polizia, avendo per compito di scoprire e catturare i colpevoli, concepiscono professionalmente la loro funzione come “lotta” alla delinquenza, ed hanno perciò la tendenza a considerare tutti i sospettati come altrettanti colpevoli e nemici»42. Al giudice, invece, è inibito pensare come nemico chi è sottoposto alla sua giurisdizione anche (e, forse, soprattutto) quando questi non goda di quella pienezza di diritti, patrimonio personale irrinunciabile, del cittadino nazionale. Proseguendo nell’individuazione, certamente parziale, delle analogie rilevabili nella costellazione dei centri di detenzione per stranieri, su alcune di esse dovremo ancora indugiare43. Pare sia una costante la circostanza, tutta fattuale e per nulla 40 Cfr. M. Cuniberti, “Allontanamento ed espulsione degli stranieri nell’ordinamento italiano”; in AA.VV., Problemas constitucionales de la immigración: una vision desde Italia y Espana, Valencia, 2005, 272. 41 Cfr. L. Ferrajoli, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma-Bari, IX ed., 2008, 863, ove si aggiunge che tale priorità dei risultati rispetto ai mezzi «è poi il tratto distintivo … della logica politica della ragion di stato rispetto a quella giuridica dello stato di diritto e in particolare della giurisdizione». 42 Ibidem, 863. 43 Per C. Intrand e P.A. Perrouty, in “La diversité des camps … cit, 8-10, i tratti comuni dei luoghi di trattenimento sono, anzitutto, la visione totalmente disumanizzante dei migranti ed, in secondo luogo, le numerose violazioni dei diritti fondamentali (tutti astrattamente garantiti dalle convenzioni internazionali in materia di diritti umani che gli Stati hanno ratificato). Il terzo tratto comune a livello europeo concerne le modalità di gestione dei centri di detenzione: vi è una inarrestabile tendenza, da una parte, ad aumentare la capacità di accoglienza e, dall’altra, ad affidarne la gestione a compagnie private. Infine, ma non certamente per importanza, i campi per stranieri in Europa si contraddistinguono per la loro inefficacia (numero di persone effettivamente allontanate I CAMPI PER GLI STRANIERI 13 giuridica, ma inevitabilmente propiziata ed assecondata dalla ‘specialità’ di certe regole di diritto, per cui chi “gestisce” la variegata umanità che popola i centri di detenzione tende a considerarla e trattarla come ‘gruppo’, come massa indistinta (o al più distinguendo tra le diverse etnie) piuttosto che come un insieme composto da individui singoli, irripetibili nella loro unicità ed in condizioni di estremo bisogno e di vulnerabilità psico-fisica. In tutti i documenti sulle condizioni dei migranti trattenuti nei campi per esuli stilati dalle ONG più attive in materia di protezione dei diritti fondamentali della persona umana e denuncia delle relative violazioni, si evidenzia (tra le altre cose) un’endemica bassissima possibilità, per i trattenuti, di avere accesso alle informazioni, o di avere informazioni nella propria lingua per la penuria di interpreti, circa il luogo dove si trovano, i motivi e la durata del loro trattenimento. Volendo proporre una sintesi estrema degli elementi che accomunano questi luoghi44, una sorta di quintessenza che ci restituisca la cifra della loro natura, è alla testimonianza diretta dei migranti trattenuti che occorrerebbe prestare attenzione. In una delle molte lettere collettive scritte da questi soggetti apprendiamo che «Notre dignité d’être humain est touchée: nous sommes comptés à chaque porte, chaque sortie et rentrée, il est interdit de dormir ou de faire une petite sieste, on nous interdit sans explication tout ce qui est humain, il ne reste plus qu’à nous mettre des boucles d’oreilles avec des numéros, nous sommes devenus des numéros, plus des êtres humains»45. Ora, se in questi luoghi è praticamente impossibile impedire che la dignità umana sia calpestata46 e che i diritti universalmente riconosciuti alle persone umane, in quanto appunto persone umane e per il solo fatto di esistere, siano quantomeno preservati al di là della soglia minima della sopravvivenza fisica, evidentemente è perché essi non possono abitare nello stesso spazio in rapporto al numero delle persone trattenute in vista dell’espulsione) e per gli enormi (e sempre poco documentabili) costi. 44 Per la relatrice del Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite, la sintesi, tratta nel gennaio del 2008 dai rapporti sulle visite effettuate durante i mesi precedenti, di ciò che avviene nei centri è che in essi: è assente un quadro giuridico certo per le procedure di immigrazione, asilo e detenzione amministrativa; le persone sono detenute al di fuori di qualsiasi quadro penale per dei fini identificativi, o per semplici scopi dissuasivi; la detenzione ha una durata eccessiva o è assente la durata massima stabilita; la detenzione, in alcuni paesi, di richiedenti asilo, di minorenni, di persone malate o diversamente abili; le condizioni deplorevoli alle quali, troppo spesso, sono sottoposti gli stranieri. (http://daccess-ddsny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G08/100/92/PDF/G0810092.pdf ?OpenElement). 45 Estratto di una lettera firmata da 29 detenuti nel centro chiuso di Merksplas, in Belgio e riportata da C. Intrand e P.A. Arnauld, ult. op. cit., 9. 46 «On sait que l’enfermement de groupes humains indésiderables et dérangeants – et présentés comme tels aux agents chargés de leur surveillance – conduit souvent á des tragédies» (così M. Bietlot, ult. op. cit., 4). 14 DONATELLA LOPRIENO che il costituzionalismo europeo del dopoguerra aveva progettato anche in risposta alle aberrazioni dell’universo concentrazionario della prima metà del Novecento, tentando di «giuridicizzare gli ideali liberal-democratici, solidaristi e personalisti»47. Non è, qui, in discussione che «il potere di disciplinare la immigrazione rappresenti un profilo essenziale della sovranità dello Stato, in quanto espressione del controllo del territorio»48 o che lo Stato possa «abdicare al compito, ineludibile, di presidiare le proprie frontiere»49 a protezione «del complesso di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, suscettibili di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata»50. A interrogare le nostre coscienze di cittadini e studiosi della Costituzione è, in sé e per sé, l’istituto del trattenimento nei centri che, in quanto vera e propria detenzione amministrativa, al di là dell’infingimento che si nasconde dietro ogni eufemismo, «segna un arretramento rispetto alle conquiste della civiltà giuridica» specie ove si ponga attenzione all’«abissale distanza fra l’istituto del trattenimento, che si colloca in una dimensione esclusivamente amministrativistica, ed il paradigma della coercizione penale che, nel nostro ordinamento, è rappresentato dalle misure cautelari previste dal codice di procedura penale, misura la cui applicazione è circondata da rigorose garanzie relative sia ai presupposti applicativi (la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine alla commissione di gravi reati), sia alla funzione (esigenze cautelari previste dal codice)»51. Il migrante, in condizione di irregolarità, viene assoggettato ad un diritto speciale vero e proprio che nasconde, dietro alla (im)pudica foglia di vite della connotazione non penalistica, lo scopo – poco nobile ma populisticamente molto remunerativo – di neutralizzare le garanzie sostanziali e procedurali dell’ordinamento penale. La detenzione amministrativa, infatti, si fonda «su misure coercitive della libertà personale che, nel sistema penale, rivestono carattere di eccezionalità» assumendo pertanto «un significato univoco, ossia quello di essere uno A. Spadaro, ult. op. cit., 2. Corte cost., sent. n. 250/2010. Con tale recentissima sentenza, il Giudice delle leggi ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del Testo unico sull’immigrazione, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). Con tale novella legislativa si è introdotta nel nostro ordinamento, la contravvenzione di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato” connotando penalmente, dunque, il fatto illecito della irregolarità/clandestinità dello straniero (anteriormente di natura meramente amministrativa). 49 Corte cost., sent. 353/1997. 50 Corte cost., sent. n. 250/2010. 51 Così G. Bucci, L. Patruno, “Osservazioni preliminari alla lettura del rapporto di Amnesty International sui Centri di permanenza temporanei e di assistenza”, in www.costituzionalismo.it, luglio 2005. 47 48 I CAMPI PER GLI STRANIERI 15 strumento di segregazione legato ad una condizione individuale: la condizione di immigrato»52. “Diritto speciale”, “carattere di eccezionalità”, ibridazioni mostruose tra la materia amministrativa e quella penale, trattenimenti spesso neanche rispettosi di normative illiberali, segregazione, disumanizzazione, isolamento, stigmatizzazione: tutto conduce a una questione primigenia che, per pudore umano e scientifico, stenta ad essere posta perché in essa si nasconde l’indicibile e che, tuttavia, non possiamo più rimandare. 3. Comparare l’incomparabile? C’è soluzione di continuità tra la forma campo dell’universo concentrazionario della prima metà del Novecento e la forma degli attuali centri di detenzione per stranieri? L’esistenza «di un diritto ad avere diritti»53 è ancora oggi una chimera, l’illusione di un diritto universale tanto forte da fagocitare i confini in un mondo saturo di confini? I confini separano «irrevocabilmente l’area dell’inclusione (il diritto ad avere diritti) da quella della esclusione (la perdita di tale diritto)»54? Molti scienziati sociali – con approcci e risultati diversi – si sono cimentati su tali densissime problematiche e, per quanto riguarda soprattutto la prima questione, hanno cercato di ‘distillare’ una dimensione della forma campo che, senza dimenticare le incolmabili (per qualità e quantità) differenze che tra di essi intercorrono, lega i campi del passato a quelli del nostro presente55. Si potrebbe forse pensare al campo – in quanto «struttura più o meno temporanea in cui internare individui in base alla loro non appartenenza, per il fatto di non trovare altra forma di territorio in cui relegarli»56 – come simmeliana “forma di sociazione”, addensamento di relazioni «che vengono istituzionalizzate, ossia che prendono una forma 52 Ibidem. Cfr., anche, A. Caputo, “L’immigrazione, ovvero la cittadinanza negata”, in L. Pepino (a cura di), Attacco ai diritti, Roma-Bari, 2003, 44-45. 53 Scriveva H. Arendt «Ci siamo accorti dell’esistenza di un diritto ad avere diritti (e ciò significa vivere in una struttura in cui si è giudicati per le proprie azioni e opinioni), solo quando sono comparsi milioni di individui che lo avevano perso e non potevano riacquistarlo a causa della nuova organizzazione globale del mondo», Le origini del totalitarismo, Milano, 1996, 411. 54 Cfr. F. Rahola, ult. op. cit., 46. 55 Non si tratta, dunque, di un’operazione che accomuna il sistema concentrazionario nazista con le forme campo più recenti ma soltanto di enucleare una matrice comune, una sorta di filiazione, tra quelli e questi suscettibile dei più svariati sviluppi. Il che, tuttavia, non ci mette al riparo dagli esiti più raccapriccianti. Accede ad una lettura diversa. M.C. Caloz-Tschopp, Les étrangers aux frontières de l’Europe et le spectre des camps, Paris, 2004. 56 Cfr. F. Rahola, ult. op. cit., 58. 16 DONATELLA LOPRIENO tale che permette loro di persistere nel tempo e … di riprodursi»57. È persistente, ad esempio, la netta divisione tra cittadini e non cittadini che già la Arendt individuava quale costante della storia della detenzione amministrativa. Solo i non cittadini possono subire una tale forma di limitazione della libertà personale essendo (e permanendo) essa incompatibile con le garanzie giuridiche e costituzionali riservate ai cittadini. Se il cittadino pone in essere un comportamento illecito, attentando ad un qualche bene giuridico, sarà comunque sempre più tutelato di un ‘innocente’ non cittadino: «per stabilire se qualcuno è stato spinto ai margini dell’ordinamento giuridico basta chiedersi se giuridicamente sarebbe avvantaggiato dall’aver commesso un reato comune»58. L’attenuazione (o anche la sospensione) di quei diritti inviolabili, «direttamente attribuiti dalla Costituzione, come “dotazione giuridica” propria dei loro titolari, indipendentemente dalla legge»59, contribuisce, senza dubbio, ad avvalorare l’idea del campo come spazio di eccezione. O meglio come la «materializzazione dello stato di eccezione divenuto permanente» poiché quando «all’ineguaglianza di diritti, di opportunità, di trattamento si sovrappone l’isolamento – spaziale, sociale e simbolico – di un gruppo minoritario oppure l’internamento di una determinata categoria di persone entro spazi sottratti al diritto ordinario, siamo di fronte ad un processo che di fatto tende a privare gli individui appartenenti a certi gruppi, categorie o popolazioni perfino dello status di persona»60. Molte di queste letture traggono spunto, in qualche modo, da una delle opera più note di Agamben,“Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita”, del 199561. Interrogandosi sui campi di concentramento, il filosofo affermava che ciò che in essi avvenne «supera talmente il concetto giuridico di crimine che si è spesso semplicemente omesso di considerare la specifica struttura giuridico-politica in cui quegli eventi si sono prodotti»62. Tanto per le vittime quanto per noi posteri, il campo è soltanto il luogo in cui si è realizzata la più assoluta conditio inhumana che si sia data sulla terra. E, tuttavia, per Agamben, occorrerebbe seguire un procedimento inverso e chiedersi, piuttosto, quale sia stata la struttura giuridico57 Vedi E. G. Parini, “La società e le istituzioni primarie”, in T. Grande, E.G. Parini, Studiare la società. Questioni, concetti, teorie, Roma, 2007, 29. 58 Cfr.. H. Arendt, Le origini … cit., 399; A. Sciurba, Campi di forza … cit., 44. 59 Cfr. G. Zagrebelski, Il diritto mite, Torino, 1992, 63. 60 Così A. Rivera, Estranei e nemici. Discriminazione e violenza razzista in Italia, Roma, 2003, 54. Per altri studiosi, i centri di detenzione ben possono essere ascritti nel sistema delle “istituzioni totali”; cfr., ad esempio, E. Quarta, Le istituzioni totali dei giorni nostri. I Centri di “accoglienza” e di “permanenza temporanea”. Una indagine sul campo”, Milano, 2006. 61 Torino, 1995 (in part. il capitolo intitolato “Il campo come nómos del moderno”, 185-201). 62 Ibidem, 185. I CAMPI PER GLI STRANIERI 17 politica del campo che ha consentito tali accadimenti. Assunta questa prospettiva, il campo non sarà più un fatto storico, un’anomala aberrazione appartenente al passato, ma in qualche modo rappresenterebbe il nòmos dello spazio politico in cui ancora oggi viviamo. La storia ci insegna che i campi non sono una filiazione del diritto carcerario e, quindi, del diritto comune, ma nascono dallo ‘stato di eccezione’ e dalla legge marziale. Pur essendo noto, è forse il caso di ricordare che, nel caso dei lager nazisti, la base giuridica dell’internamento non era il diritto comune ma un istituto giuridico, la c.d. custodia protettiva (la Schutzhaft) classificata talora come una misura di polizia preventiva in quanto permetteva di prendere in custodia degli individui a prescindere da qualsiasi comportamento penalmente rilevante ed all’unico fine di preservare la sicurezza dello Stato. E ancora noto è come il ricorso allo stato di eccezione, implicitamente fondato sull’art. 48 della Costituzione di Weimar, divenne – durante il nazismo – la norma, la regola, la situazione normale63. Il ricorso alla Schutzhaft e alla sospensione delle garanzie individuali permetteva di arrestare chiunque minacciasse il popolo e senza l’impaccio di alcun processo. Tale provvedimento straordinario era ordinato «come provvedimento repressivo per la difesa contro tutte le tendenze ostili allo Stato e al popolo, contro le persone che con il loro comportamento mettono in pericolo il popolo e lo Stato … La detenzione preventiva non deve essere ordinata come provvedimento penale. Gli atti criminali devono essere infatti giudicati dai tribunali»64. La Schutzhaft fissando lo stato di eccezione all’interno dell’ordinamento sul presupposto della sicurezza rende palese la sua paradossale natura: proteggere gli internati dai rischi dell’esposizione allo stato di emergenza. Questo passaggio diviene essenziale per comprendere il nesso tra stato di eccezione65 e campo di concentramento. La protezione della libertà che giustifica la Schutzhaft «è, ironicamente, protezione contro la sospensione della legge che caratterizza l’emergenza. La novità è che, ora, questo istituto viene sciolto dallo stato di eccezione su cui si fondava e lasciato vivere nella situazione normale. Il campo è lo spazio che si apre quando lo stato di eccezione comincia a diventare la regola»66. Pensato come strumento per reagire di fronte ad una reale siIbidem, 186-187. J. Kotek, P. Rigoulot, Il secolo dei campi… cit., 6. 65 Sullo stato di eccezione, si veda pure di G. Agamben, Stato di eccezione”, Torino, 2003. 66 Cfr. G. Agamben, ult. op. cit., 188. Per far fronte al flusso di cittadini provenienti da un Nord Africa attraversato da fortissime contestazioni e dalla guerra (tutt'ora in corso) in Libia, il 12 febbraio 2011, attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è stato proclamato lo stato di emergenza (“Dichiarazione dello stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa”). In altri termini, è stato attivato il meccanismo di cui all'art. 5, co. 1, della legge n. 225/1992 sulla protezione civile ritenendosi, in tutta evidenza, possibile trattare alla stessa stregua le calamità naturali cata63 64 18 DONATELLA LOPRIENO tuazione di pericolo, il campo, finisce così per acquisire un assetto spaziale permanente, costituire un pezzo di territorio posto fuori dall’ordinamento giuridico normale (ma non per questo spazio esterno) e in quanto voluto «inaugura un nuovo paradigma giuridico-politico in cui la norma diviene indiscernibile»67 dalla sua eccezione. Ma se il campo è il regno in cui impera l’eccezione, e in cui la legge è integralmente sospesa, in essi tutto diventa possibile, diventa inintelligibile il limine tra lecito ed illecito, tra ciò che era il “prima” e ciò che diviene un “dopo”, ma senza futuro perché così decretato al momento della “soluzione finale”. Se ritenessimo (come riteniamo) più che plausibile questa lettura di quanto è accaduto nei lager, e se nella forma campo lager gli individui sono stati derubati di ogni statuto politico e ridotti integralmente a “nuda vita”, allora davvero la domanda corretta ed onesta da porsi non sarebbe tanto come sia stato possibile commettere delitti tanto atroci rispetto agli esseri umani, quanto attraverso «quali procedure giuridiche e quali dispositivi politici degli esseri umani abbiano potuto essere così integralmente spogliati dei loro diritti e delle loro prerogative, fino a che commettere, nei loro confronti qualsiasi atto non apparisse più come un delitto». Nel campo tutto è possibile senza che ciò appaia un crimine poiché ogni atto, anche quelli inenarrabili, viene commesso nei riguardi di una nuda vita, di non-persone, uccidibili ma non sacrificabili perché senza pregio, prive di valore. In una parola, vite impolitiche. Se, dunque, anche di ciò è fatta l’essenza del campo – luogo della sospensione del diritto, della normalizzazione dell’eccezione e dell’indistinzione tra la norma e la nuda vita – dovremmo ammettere, continua Agamben, di trovarci «virtualmente in un presenza di un campo ogni volta che viene creata una tale struttura, indipendentemente dall’entità dei crimini che vi sono commessi e qualunque ne siano la denominazione e la specifica topografia»68. Dalle zones d’attentes degli aeroporti internazionali francesi ai posti di provvisorio e informale ammassamento dei clanstrofiche e le migrazioni. Peraltro, è dal 2002 che il Governo italiano, senza interruzioni di sorta, continua a fare ricorso alla dichiarazione dello stato di emergenza facendo della eccezionalità e imprevedibilità un dato strutturale e ordinario. In nome di questa supposta “emergenza”, vengono assunte decisioni alquanto discutibili che stravolgono la già problematica situazione italiana in materia di immigrazione e asilo con ripercussioni pesantissime proprio sul fronte dei centri di accoglienza e di trattenimento per migranti. Il 21 aprile 2011, con ordinanza n. 3925, le strutture di “accoglienza” temporaneamente aperte nel Comune di Santa Maria CapuaVetere (CE), nel Comune di Palazzo San Gervasio (PZ) e nel Comune di Trapani (localita Kinisia) vengano trasformate, fino e non oltre il 31 dicembre 2011, in centri di identificazione e di espulsione temporanei. Qui la temporaneità è aggettivo riferito non al periodo di tempo massimo di trattenimento dei cittadini stranieri ma alla (teoricamente) precaria esistenza di queste strutture. 67 68 Ibidem, 190. Ibidem, 194. I CAMPI PER GLI STRANIERI 19 destini albanesi in attesa di espulsione quale fu lo stadio di Bari nel 1991, dai centri di detenzione formalmente previsti dalla legge alle bidonville di Rosarno. In tutti questi luoghi si delimiterebbe «uno spazio in cui l’ordinamento normale è di fatto sospeso e in cui che si commettano o meno delle atrocità non dipende dal diritto, ma solo dalla civiltà e dal senso etico della polizia che agisce provvisoriamente come sovrana»69. La differenza tra le manifestazioni storicamente date della forma campo in quest’ottica (tutta giocata sulla bio-politica) è quantitativa piuttosto che qualitativa. Si potrà essere più o meno d’accordo con tale comparazione, o sulle successive elaborazioni svolte da altri autori a partire dalla matrice comune individuata da Agamben70 o anche ritenere politicamente ingiusto e epistemologicamente non corretto mettere a confronto gli orrori dello universo concentrazionario nazista (il cui fine era l’annientamento fisico) con le condizioni in cui sono tenuti i migranti in condizione di irregolarità nei campi odierni (funzionali a gestire e governare i progetti migratori di chi li attraversa)71. In ogni caso, merito indiscusso di questi studi è di aver contribuito alla nascita di un dibattito scientifico, ed anche pubblico, sulla detenzione amministrativa dei migranti in Europa che, forse, è oggi l’unico antidoto al veleno della sua banalizzazione e del suo essere assurta a strumento cardine di gestione di quella parte dell’umanità che è migrante. Al giurista-costituzionalista si potrebbe, a questo punto, obiettare di aver compiuto delle autentiche scorrerie in campi del sapere che guardano al diritto da altre prospettive. A me pare, però, che i Centri di identificazione e di espulsione, già Centri di Permanenza Temporanei e di Assistenza, non siano – nella loro intima logica di funzionamento – comprensibili fino in fondo al di fuori della cornice che ho cercato di delineare proprio per andare alla ricerca di chiavi interpretative più adeguate alla strutturale trasversalità dell’argomento72. Ibidem, 195. Sul punto, si rimanda ad A. Sciurba, Campi di forza … cit., 90 ss. Per tale autrice, l’accostamento dei campi del passato all’odierno istituto del trattenimento amministrativo e del concentramento dei migranti nei luoghi di transito, ha avuto risvolti ambigui ed, in qualche modo, anche pericolosi perché «rischia di mettere in ombra la specificità di questi dispositivi contemporanei , di inquinarne l’analisi oggettiva e di ostacolarne la contestualizzazione nell’attuale panorama economico e politico globale» (90). 71 Cfr. M. Bietlot, “Le camp … cit., 3-4. 72 Analoga impostazione interdisciplinare è presente, tra gli altri, in I. Gjergji, “Espulsione, trattenimento, disciplinamento. Il ruolo dei CPT nella gestione della forza lavoro clandestina”, in DEP (Deportate, esuli, profughe). Rivista telematica di studi sulla memoria femminile, 2006 e Id., “Il trattenimento dello straniero in attesa di espulsione: una “terra di nessuno” tra ordine giuridico e fatto politico”, in www.costituzionalismo.it, 2006, fasc. 3, 36. In particolare, in quest’ultimo lavoro è apprezzabilissima la ricostruzione storica della disciplina della espulsione degli stranieri dalla Unità d’Italia alla Repubblica. 69 70 20 DONATELLA LOPRIENO Potendo a ragione definire i centri per la detenzione amministrativa come «misfatti sociali totali»73, in cui si addensano funzioni manifeste e, più subdolamente, latenti74, non si crede sufficiente un approccio esclusivamente giuridico che pur, da solo, mostrerebbe l’incoerenza delle normative in subiecta materia75. Dovremmo, forse, assumere – per un momento – uno sguardo altro. Agli occhi di Foucault, ad esempio, il diritto appare prevalentemente come strumento di dominazione: «il sistema del diritto e il campo giudiziario sono i tramiti permanenti di rapporti di dominazione e di tecniche di assoggettamento polimorfi»76. E quando si osserva il diritto non come legittimità da stabilire, ma dal punto di vista delle tecniche di assoggettamento che esso mette in opera, non è al meccanismo in generale ed ai suoi effetti di insieme che deve appuntarsi l’attenzione. Piuttosto si tratta di imparare a cogliere «il potere alle sue estremità, nelle sue terminazioni, là dove diventa capillare; si tratta cioè di prendere il potere nelle sue forme più regionali, più locali, soprattutto là dove, scavalcando le regole di diritto che l’organizzano e lo delimitano, il potere si prolunga di conseguenza al di là di esse investendosi in istituzioni, prende corpo in tecniche e si dà strumenti di intervento materiale che possono anche essere violenti»77. Altrimenti detto, dovremmo prestare maggiore attenzione al «potere nell’estremità sempre meno giuridica del suo esercizio»78, dove esso produce effetti reali, dove le procedure assoggettano i corpi, i corpi sono stigmatizzati, sorvegliati, controllati, nascosti, eventualmente puniti o messi a morte. E quando Foucault parla di messa a morte non intende solo o necessariamente la soppressione fisica degli individui, ma anche tutto ciò che può essere morte indiretta: «il fatto di esporre alla morte o di moltiplicare per certuni il rischio di morte, o più semplicemente la morte politica, l’espulsione, il rigetto»79. Le intensissime riflessioni di Foucault sul potere, e di come il suo esercizio divenga sempre meno giuridico nelle periferie del sistema, forniscono una formidabile chiave di lettura dello iato tra quanto astrattamente previsto nelle norme sul trat73 Cfr. A. M. Rivera, “Postfazione”, in R. De Luca, M.R. Panareo (a cura di), CPT: né qui né altrove. I luoghi della sospensione del diritto, Lecce, 163. 74 M. Bietlot, ult. op. cit. 231 ss, partendo dalla certezza della sostanziale inefficacia dei centri rispetto allo scopo dichiarato, ha ipotizzato l’esistenza di altre funzioni “reali” distinguendo tra funzioni simboliche, ideologiche e spettacolari; funzioni politiche, funzioni poliziesche e funzioni economiche. A. Sciurba (ult. op. cit., 125), da canto suo, rileva anche la consistenza di una funzione geopolitica. 75 Si veda, al proposito, O. Giolo, ult. op. cit., 80 ss. 76 M. Foucault, “Bisogna difendere la società”, Milano, 1998, 31. 77 Ibidem, 32. 78 Ibidem, 32. 79 Ibidem, 221-223. I CAMPI PER GLI STRANIERI 21 tenimento amministrativo e quanto, invece, realmente accade nei luoghi in cui tale detenzione si consuma. Quella «divaricazione interna all’ordinamento tra il suo dover essere normativo e il suo essere effettivo, e cioè le antinomie tra i parametri costituzionali di validità, rappresentati essenzialmente dai diritti fondamentali dei cittadini e le leggi vigenti e più ancora la loro applicazione»80 è insopportabilmente grande quando in gioco è lo status libertatis del migrante extracomunitario in condizioni di irregolarità. Tra la previsione secondo cui le modalità del trattenimento nei centri devono assicurare, oltre a quanto previsto dall’art. 2, commi 1, 5 e 681 del Testo unico sull’immigrazione, anche il pieno rispetto della dignità degli stranieri trattenuti, la necessaria assistenza nonché (ed in ogni caso) la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno e i rapporti provenienti dalle istituzioni dell’Onu, dal Comitato europeo per la prevenzione delle torture, dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, dalle missioni dei parlamentari, dalle organizzazioni internazionali e dalle ONG, che si basano, tutti, sulla concretezza dei fatti e sulla conoscenza diretta di come si vive (anche) nei centri di detenzione amministrativa italiani82, vi è una inconciliabilità troppo vistosa per essere ignorata o ‘relegata’ a mera notizia di cronaca. Detto altrimenti, tra l’essere effettivo dell’ordinamento ed il dover essere costituzionale vi è un divario strutturale troppo profondo. Se il potere per funzionare ha bisogno di produrre verità83 e se compito del giurista-costituzionalista è di ‘fare costantemente le pulci’ al potere, è alla ricerca di contro-verità che egli deve costantemente guardare. In questa ricerca, però, ci imbattiamo, da una parte, nell’esigenza di «osservare ciò che siamo diventati usando le lenti dei rapporti e dei documenti ufficiali, relativi alla politica migratoria italiana, provenienti da organismi istituzionali o non governativi internazionali, che ci Così L. Ferrajoli, Diritto e ragione … cit., 874. A norma del primo comma dell’art. 2, d.lgs. 286/98 “Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme del diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti”. Il comma 5 dello stesso articolo sposta in avanti di molto la frontiera del riconoscimento dei diritti fondamentali dello straniero al quale, a prescindere dalla regolarità o meno del suo soggiorno, “è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici, nei limiti e nei modi previsti dalla legge”. Da parte sua, il comma 6 recita che “Ai fini della comunicazione allo straniero dei provvedimenti concernenti l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, gli atti sono tradotti, anche sinteticamente, in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero, quando ciò non sia possibile, nelle lingue francese, inglese o spagnola, con preferenza per quella indicata dall’interessato”. 82 E tutti unanimemente concordi nel ritenerli inutili, inefficienti, dispendiosi e capaci di coagulare una corposissima sommatoria di violazione dei diritti umani e della dignità. 83 P. Foucault, ult. op. cit, 23. 80 81 22 DONATELLA LOPRIENO costringono a guardare ciò che il nostro sguardo, distratto o ipnotizzato, non riesce più a vedere»84; dall’altra, impattiamo in una difficoltà ed ossia che il pensiero giuridico stenta a trovare plausibili giustificazioni ai meccanismi di esclusione dello straniero dal godimento di alcuni diritti fondamentali in deroga ai principi costitutivi dell’ordinamento giuridico-costituzionale85. 4. I Centri di Identificazione e di Espulsione tra specialità del diritto degli stranieri, presidio della sovranità e diritti umani Nel nostro ordinamento giuridico, così come nel resto d’Europa, sono due i criteri che ispirano la configurazione del diritto degli stranieri. Da una parte, esso è un diritto le cui norme si applicano soltanto «alle persone presenti nel territorio dello Stato ma che ad esso non sono legate da quel peculiare legame che è la cittadinanza»86. Questo diritto, che ha a che fare con l’insieme di norme che determinano le condizioni per l’ingresso, il soggiorno e l’eventuale allontanamento degli stranieri dal territorio dello Stato, è certamente coessenziale alla sovranità stessa, in quanto espressione del controllo del territorio. Il controllo giuridico dell’immigrazione, di sicura spettanza statale, è posto «a presidio di valori di rango costituzionale e per l’adempimento di obblighi internazionali»87, è collegato «alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in materia di immigrazione»88. Vincoli e politica che «a loro volta, rappresentano il frutto di valutazioni afferenti alla “sostenibilità” socio-economica del fenomeno»89. In tal A. Pugiotto, Purché se ne vadano … cit., 2. Sul punto si veda P. Stancati , “La disciplina multilivello dello status libertatis del non cittadino, con particolare riferimento al concorso del parametro internazionale con i presìdi di garanzia costituzionali: note critiche e ricostruttive”, in S. Gambino Immigrazione e diritti fondamentali fra costituzioni nazionali, Unione Europea e diritto internazionale, Giuffré, Milano, 2010, pp. 343390 e dello stesso " Lo statuto costituzionale del non cittadino: le liberta´ civili", Atti del convegno "Lo statuto costituzionale del non cittadino", Cagliari, 16-17 ottobre 2009, 2009, AIC- Associazione Italiana Costituzionalisti www.associazionedeicostituzionalisti.it/materiali/convegni/aic200910/STANCATI.pdf:2009, pp. 1-45. 84 85 86 Cfr. P. Bonetti, “I principi, i diritti e doveri. Le politiche migratorie”, in B. Nascimbene (a cura di), Diritto degli stranieri, Padova, 2004, 82. 87 Corte cost., sent. 250/2010. 88 Corte cost., sentenze n. 148/2008, n. 206/2006, n. 62/1994. 89 Corte cost., sent. 250/2010. I CAMPI PER GLI STRANIERI 23 senso, dunque, il diritto degli stranieri si presenta come un diritto ‘derogatorio’ rispetto alle comuni norme vigenti per i cittadini, è caratterizzato da margini «più o meno ampi di discrezionalità lasciata alle autorità preposte»90, sottopone lo straniero a rilevanti, specifici e numerosi obblighi rispetto a quelli imposti ai cittadini ed, infine, è anche un diritto ‘repressivo’ delle violazioni delle norme ‘speciali’ per lo straniero e compiute dagli stranieri. Configurato secondo questo primo criterio, nel diritto degli stranieri avrebbero potuto legittimamente trovare posto norme quale, ad esempio, quella prevista dall’art. 10-bis del Testo unico sull’Immigrazione91 che ha introdotto, nel già corposo sistema di diritto di polizia dello straniero, il reato contravvenzionale di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”, connotando tale illecito non più come meramente amministrativo ma afferente alla sfera ‘penale’. Il Giudice delle leggi ha, difatti, sostenuto la legittimità costituzionale della fattispecie incriminatrice il cui oggetto non sarebbe un modo di essere della persona (la clandestinità), ma una specifica «condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente il cui nucleo antidoveroso è omissivo (l’omettere di lasciare il territorio nazionale, pur non essendo in possesso di un titolo che renda legittima la permanenza»92. Il diritto degli stranieri però non può, stante la precisa indicazione dell’art. 10, co. 2, Cost.93, prescindere dal rispetto delle norme e dei trattati internazionali, ed in specie quelli ispirati alla protezione dei diritti universali della persona umana. L’internazionalizzazione dei diritti umani e la costituzionalizzazione dei diritti fondamentali costituiscono un autentico mutamento di paradigma rispetto al passato, segnano una netta cesura con le esperienze giuridiche precedenti e instillano dubbi sulla legittimità di trattamenti (più o meno odiosamente) discriminatori (quando non vessatori) nei riguardi dei migranti. In questa delicatissima e preziosissima materia, la Corte costituzionale non poteva che dichiarare che «il principio costituzionale di eguaglianza in generale non tollera discriminazioni fra la posizione del cittadino e quella dello straniero»94; che i diritti inviolabili spettano «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»95, che la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata – per quanto riguarda la tutela di tali diritti – come causa ammissibile di tratCfr. P. Bonetti, ult. op. cit., 82. Aggiunto dall’art. 1, comma 16, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). 92 Corte cost., sent. 250/2010. 93 A norma del quale “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”. 94 Corte cost., sent. n. 62/1994. 95 Corte cost., sent. n. 105/2001. 90 91 24 DONATELLA LOPRIENO tamenti diversificati e peggiorativi» e, questo, specie nello ambito del diritto penale, che più direttamente è connesso alle libertà fondamentali della persona, salvaguardate dalla Costituzione con le garanzie contenute negli artt. 24 e seguenti, che regolano la posizione dei singoli nei confronti del potere punitivo dello Stato»96. È di tutta evidenza che la costituzionalmente obbligatoria compresenza, nel diritto degli stranieri, di due opposti principi costringe spesso la stessa Corte costituzionale a peripezie multiple tutte giocate sul filo della ragionevolezza e sul bilanciamento tra i valori in gioco: in materia di immigrazione le ragioni della solidarietà umana «non possono essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in gioco»97 e «non sono di per sé in contrasto con le regole in materia di immigrazione previste in funzione di un ordinato flusso migratorio e di un’adeguata accoglienza ed integrazione degli stranieri»98. Ma di questo non crediamo si possa troppo ‘incolpare’ l’organo di giustizia costituzionale99. I conflitti tra i due opposti principi traggono origine dalla indubbia intrinseca difficoltà a far convivere i diritti universali della persona umana e le prerogative di una sovranità statale che vorrebbe difendere il proprio territorio, la sicurezza ed il benessere dei suoi cittadini. Il vero problema è altrove e si annida nella volontà del legislatore e della politica che, specie negli ultimi anni, si sono mostrati refrattari agli impicci garantisti, puntando alla prevalenza, sempre e comunque, del primo principio ispiratore (la tutela dell’integrità del territorio) e potenziando l’armamentario del diritto repressivo, speciale e derogatorio, oscurando l’orizzonte dei diritti universali della persona umana e corrompendo i principi costituzionali. 96 Corte cost., sent. 249/2010, con la quale il Giudice delle leggi ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 61, numero 11-bis, del Codice penale, introdotto dall’art. 1, lettera f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, o nel testo risultante dalle modifiche apportate, in sede di conversione, dalla legge n. 125/2008 e che prevedeva una circostanza aggravante comune per i fatti commessi dal colpevole “mentre si trova illegalmente sul territorio dello Stato” (la c.d. aggravante di clandestinità). La Corte, in particolare, dopo aver richiamato i principi in materia di diritti inviolabili della persona umana, ha riconosciuto che l’aggravante della cui conformità a Costituzione ben dubitavano i giudici remittenti «non rientra nella logica del maggior danno o del maggior pericolo per il bene giuridico tutelato dalle norme penali che prevedono e puniscono i singoli reati». Né, d’altra parte potrebbe «essere ritenuta ragionevole e sufficiente … la finalità di contrastare l’immigrazione illegale, giacché questo scopo non potrebbe essere perseguito in modo indiretto, ritenendo più gravi i comportamenti degli stranieri irregolari rispetto ad identiche condotte poste in essere da cittadini italiani o comunitari». 97 Corte cost., sent. 353/1997. 98 Corte cost., ordinanze n. 192 e n. 44 del 2006, n. 217 del 2001. 99 Per I. Gjergji, Il trattenimento dello straniero … cit., 33-34, la Corte costituzionale, quando si è trattato di incidere sull’effettività dei diritti e delle garanzie costituzionali riconosciute allo straniero, ha preferito soluzioni morbide e prudenti, volte principalmente «ad offrire interpretazioni adeguatrici delle disposizioni oggetto di giudizio, astenendosi così dall’intervenire con pronunce di accoglimento». I CAMPI PER GLI STRANIERI 25 Termometro e misura di questo inasprimento, di questo eccesso securitario tutto giocato sulla retorica dell’invasione100 e sulla normalizzazione della emergenza (e della eccezionalità) è, senza dubbio, l’evoluzione normativa dello istituto del trattenimento divenuto strumento ordinario nell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione, atteso che l’espulsione con accompagnamento alla frontiera per mezzo della forza pubblica rappresenta, oggi, la modalità di allontanamento di gran lunga più ‘amata’ e praticata. Pur se apoditticamente prevista, l’immediata esecutività dei provvedimenti di allontanamento (anche se sottoposti a gravame o impugnativa da parte dell’interessato) alla resa dei conti si rivela fasulla «perché non sempre praticabile»101 ed è alla base della creazione, nel 1998, di centri ove (eufemisticamente) vengono trattenuti (ovvero detenuti) gli stranieri. Nella relazione di accompagnamento al testo della legge 40/1998, l’allora governo di centro-sinistra – conscio dell’innovazione che stava introducendo e dei pericoli che ne sarebbero potuti sorgere – giustificava l’introduzione di una misura di trattenimento coattivo nei centri di permanenza temporanei e di assistenza considerandola, da una parte, del tutto estranea al circuito penitenziario e, dall’altro, sbandierandone la conformità a quanto previsto dall’art. 5, comma 1, lett. f) della C.e.d.u.102. Excusatio non petita, accusatio manifesta. E, difatti, una volta scoperchiato il vaso di Pandora c’era da aspettarsi la fuoriuscita di molti “mali”: nuove ipotesi in presenza delle quali si dispone il trattenimento, obbligatorietà dell’arresto in flagranza, riti direttissimi, modifica dell’autorità giurisdizionale competente in materia di convalida103, prolungamento dei tempi di trattenimento (ben 17 mesi in più rispetto a quanto previsto nel 1998104), solo per ricordarne alcuni. Addirittura ri100 Nella relazione illustrativa del disegno di legge, poi divenuto legge n. 189/2002, si leggeva che non si fermava “il pericolo di una vera invasione dell’Europa da parte di popoli che sono alla fame, in presa ad una inarrestabile disoccupazione e o a condizioni di sotto occupazione”. 101 A. Pugiotto, ult. op. cit., nota 25. 102 Usa, a questo proposito, molto spesso il verbo “sbandierare” , F. Vassallo Paleologo. Si veda, ad esempio, il suo “Respingimenti ‘differiti’ e detenzione arbitraria”, in www.asgi.it/public/parser_download/save/vassallo.paleologo.doc 103 La legge n. 271/2004 ha chiamato a esercitare un controllo sullo status libertatis degli stranieri irregolarmente presenti sul territorio (ed a convalidare entro tempi assai ristretti i provvedimenti di trattenimento nei CIE) i giudici di pace e sono in molti ad avanzare remore sulla indipendenza di giudici non togati e retribuiti a cottimo. 104 Dagli iniziali 30 giorni, si è passati con la legge 189/2002 a 60 giorni, per approdare, in virtù della legge 94/2009, a 180 giorni. Da ultimo, a seguito delle molte (e non sempre felici) novità apportate dal D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 2 agosto 2011, n. 129, recante "Disposizioni urgenti per il completamento dell'attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio di cittadini di Paesi terzi irregolari", il termine massimo del tratteni- 26 DONATELLA LOPRIENO correndo allo strumento del decreto legge, ed evidentemente per rispondere alla straordinaria necessità ed urgenza di adeguare la forma al contenuto, nel 2008 (d.l. n. 92/2008), i Centri di Permanenza Temporanei e di Assistenza (CPTA) hanno assunto una nuova denominazione: Centri di Identificazione e di Espulsione (CIE). La nuova formula è sintomaticamente più evocativa essendo sparite due lettere: la “T” indicava la temporaneità e la eccezionalità dell’istituto (orami completamente venute meno atteso che si può essere “ostaggio” in un centro per sei mesi); la “A” indicava il carattere umanitario e di accoglienza che queste strutture avrebbero dovuto avere per distinguersi davvero dalle strutture carcerarie. Persino la Corte costituzionale, nella sentenza 105/2001, dovendo decidere se la misura del trattenimento incidesse o meno sull’habeas corpus dello straniero, rilevò che «tale dubbio può essere in parte alimentato dalla considerazione che il legislatore ha avuto cura di evitare, anche sul piano terminologico, l’identificazione con istituti familiari al diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalità di assistenza e prevedendo per esso un regime diverso da quello penitenziario”. Paradossalmente, però, il trattenimento dello straniero nei CIE ha una natura perversa poiché opera costantemente su piani contraddittori: partecipa della natura amministrativa ed è formalmente scevro da intenti punitivi e, pertanto, il trattenuto risulta sottratto alle garanzie tipiche di chi invece è sottoposto ad una vera e propria misura penitenziaria (non essendo disposto da un giudice, non godendo del bagaglio di garanzie che si accompagna all’accertamento delle condotte criminali e dell’ordinamento penitenziario, essendo collocata al di fuori della grazia del principio della irretroattività penale). A conclusione di queste brevi riflessioni, alla domanda “Fino a che punto può spingersi la natura derogatoria del diritto degli stranieri?” può forse rispondersi: non fino al punto di minare le fondamenta stesse su cui il sistema si regge ed in cui le conquiste di ieri sono messe alla frusta, all’angolo, da un’imperiosa urgenza repressiva pronta a sacrificare il bene fondamentale della libertà e delle garanzie fonmento è stato esteso ad un anno e mezzo. Il nuovo comma 5, dell'art. 14 T.U.I. prevede, infatti, che il termine massimo di 180 giorni possa essere ulteriormente prorogato di altri 12 mesi; ed, infatti, il novellato articolo così recita “qualora non sia stato possibile procedere all'allontanamento, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, a causa della mancata cooperazione al rimpatrio del cittadino del Paese terzo interessato o di ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi, il questore può chiedere al giudice di pace la proroga del trattenimento, di volta in volta, per periodi non superiori a sessanta giorni, fino ad un termine massimo di ulteriori dodici mesi. Il questore, in ogni caso, può eseguire l'espulsione e il respingimento anche prima della scadenza del termine prorogato, dandone comunicazione senza ritardo al giudice di pace". Sulle nuove ipotesi di espulsione previste dalla l. n. 129/2011, cfr. G. Savio, La nuova disciplina delle espulsioni risultante dalla legge 129/2001, in www.asgi.it/public/parser_download/save/1_asgidocumenti.l.129.2011_espulsioni.pdf I CAMPI PER GLI STRANIERI 27 damentali degli esclusi, degli espellendi, in nome della autoconservazione, della difesa sociale e della sicurezza degli inclusi. Il che è tanto più sconcertante ove accreditassimo quell’ipotesi secondo cui lo Stato contemporaneo, non potendo più affermare la propria sovranità nel campo della politica economica e sulla scena internazionale, altro non fa che «se rabattre avec d’autant plus de fermeté sur les individus les plus vulnérables … s’acharnent à affirmer leur souveraineté résiduelle sur le contrôle et la gestion répressive des flux migratoires»105. 105 M. Bietlot, ult. op. cit., 13.