La bottega dell`orologiaio di Mauro Cancian L`umidità e la muffa

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La bottega dell`orologiaio di Mauro Cancian L`umidità e la muffa
La bottega dell'orologiaio
di Mauro Cancian
L'umidità e la muffa avevano consumato le pareti, sgretolando gran parte del candido intonaco originale. I vetri delle finestre e della porta del vecchio negozio erano rigati della pioggia incessante
che cadeva all'esterno. Il ticchettio insistente delle gocce dava l'impressione di una nidiata di scoiattoli vivaci e invadenti. Da fuori provenivano luci riflesse della strada bagnata.
Il batacchio, lungo oltre un metro, si muoveva pigro, oscillando come la falce del boia sul condannato. La grande pendola poggiata alla parete suonò sei rintocchi, forti e decisi. Gli orologi a cucù liberarono gli uccellini colorati e le coppie di sposini che si muovevano sulle rotaie, fino a incontrarsi e baciarsi, strofinandosi rispettivamente i nasi. Decine di orologi sui muri, sulle credenze, nelle vetrine, si unirono a una filarmonica stonata, per un tempo che sembrò interminabile. Quando smisero, soltanto il dolce canto di un carillon, proveniente da una stanza adiacente, rimase a permeare l'atmosfera.
Un piccolo cavallo giocattolo, di ferro e ceramica, dipinto che sembrava scappato da una giostra, trotterellò libero sul pavimento, girando rasente attorno al bancone dell negozio e dirigendosi al centro della stanza. Raggiunta la sua meta si fermò e la chiavetta sul suo dorso smise di girare. La carica della molla era finita.
Un piccolo scatto chiuse il carillon, interrompendo la musica al termine di un ciclo completo. Le teste delle bambole rotte, accatastate qua e là nelle ceste e sul bancone, si girarono assieme sui loro colli, qualcuna bloccandosi a metà nel tentativo. Una figura piccola e magrolina si affacciò sulla soglia che dava sul retro e scostò leggermente le frange spesse e scure. Due mani sottili, con le dita affusolate e di uno splendente color bronzo, afferrarono le frange e le spostarono con maggior decisione. Il viso dolce di una bambola entrò nel negozio, il corpo era avvolto da un delicato vestito bianco, scoperto sulle braccia lunghe, a rivelare le spalle magre e dorate. Quegli arti erano di un burattino senza fili, una bella fanciulla meccanica, che camminava lenta dietro il bancone, sfiorando
appena con la mano di metallo gli oggetti esposti. Sul volto di ceramica lucida, gli occhi azzurri, ricavati da due zaffiri, si muovevano irrequieti fra pendole, porcellane e giocattoli posati ovunque. Aprì un cassetto del bancone, prese un orologio d'oro da taschino e ne aprì il coperchio. Da un lato v'era il quadrante con le lancette che camminavano regolari, dall'altro c'erano due volti, uno di un uomo anziano, con lunghi baffi bianchi e un cappello a cilindro e l'altro di una giovane ragazzina dal volto di ceramica. August e Bea erano i due nomi scritti sotto.
Bea richiuse il coperchio e si mise quell'orologio in una tasca segreta tra i piccoli seni, dentro il vestito. Afferrò le teste delle piccole bambole sul tavolo, raddrizzandole con delicatezza. Caricò la molla di una e questa si chinò in avanti piegando le ginocchia. Aiutandosi con le braccia, muovendosi a scatti, si rizzò lentamente in piedi. Bea le aggiustò il grembiulino rosa e le diede una piccola spinta per invitarla a camminare. La piccola non si fece pregare oltre e iniziò a contare i passi lungo il bancone, stando bene attenta a non cadere giù dal bordo. Un uccellino variopinto la fissava da una gabbia cilindrica appesa al soffitto con un filo. L'uccellino cinguettò per richiamare la ragazzina. Lei aprì lo sportellino della gabbia e vi infilò la mano. Il piccolo volatile afferrò con le zampette un dito e si lasciò portar fuori. Bea si avvicinò al bancone, afferrò con la mano libera delle
pinzette. Accarezzò le ali colorate dell'uccellino, lui le aprì di riflesso e lei poté andare a sistemare con cura alcuni ingranaggi. Esportò una rotella dal corpo del pennuto e la sostituì con una nuova, lucidata e leggermente oliata. Sistemato, l'uccellino andò a posarsi sulla testa di Bea, fra i capelli biondi. Aprì il becco paglierino e cinguettò ringraziamenti. La bambola meccanica raccolse da terra il cavallino che si era fermato e lo posò sul bancone. Si avvicinò a una credenza e tirò una leva nascosta. La pioggia all'esterno cessò in quel momento, assieme ai suoni e alla proiezione di un apparecchio posto dietro al bancone. La strada fuori adesso non era nemmeno bagnata, Bea la osservò dal vetro della porta d'ingresso. Le pareti erano di nuovo bianche e pulite, come nuove, l'illusione era finita. Se ne tornò nel retrobottega e curiosa guardò i passanti dalla finestra che dava in un vicolo.
Una mano argentea le si posò sulla spalla. Si voltò e osservò il teschio dell'uomo di ossa e metallo alto quasi il doppio di lei. Il signor Rewald non indossava nulla e si scorgevano gli ingranaggi dell'addome imprigionati nell'intelaiatura di bronzo. Lui piegò leggermente la testa di lato, come a volerle dire qualcosa.
– Mi date la rivincita a scacchi, signor Rewald? – chiese lei, per poi seguirlo fino a un tavolo e mettersi a giocare con lui.