Chambre 666 - Fondazione Cini
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Chambre 666 - Fondazione Cini
FONDAZIONE GIORGIO CINI ONLUS THE LUDWIG VAN PICTURE SHOW n. 23 – 23 agosto 2008 – ore 17 a Palazzo Cini Chambre 666 Un film di Wim Wenders (1982) Il film è un documentario-suite monotematico (in 16 mm) incentrato sullo sviluppo di una idea interrogativa ovvero profetica sulla morte del cinema. Il luogo fisso, la comunanza del tema, la presa di suono e di immagine estremamente fissa, il diktat temporale (tanti minuti, tanta pellicola) ne fanno una performance più ‘musicale’ che non ‘cinematografica’. La scansione in tempi ‘movimenti’ è prevalente sulla analisi narrativa del discorso e sulla ispezione dei soggetti coinvolti. Tutti ‘registi’ presenti a Cannes nel maggio del 1962, tutti convocati in una camera simbolica (diabolica) di un hotel di rappresentanza, tutti costretti ad avere un televisore acceso sullo sfondo, tutti costretti a misurarsi con la costrizione della inquadratura immutante. I personaggi: Wim Wenders, Jean-Luc Godard, Mike De León, Romain Goupil, Paulo Rocha, Paul Morrissey, Noël Simsolo, Werner Herzog, Michelangelo Antonioni, Rainer Werner Fassbinder, Maroun Baghbadi, Steven Spielberg, Yilmaz Güney Il produttore: Chris Sievernich (con Wim Wenders) per Antenne 2 (Parigi), Gray City Inc. (New York) Il responsabile del sonoro: Jean-Paul Mugel La fotografa: Agnès Godard La montatrice: Chantal De Vismes Il musicista: Bernard Hermann Chambre 666 è stato girato nel maggio 1982, durante il Festival di Cannes, nella stanza 666 dell'Hotel Martinez. In questa stanza d'albergo con un televisore acceso, Wenders rivolge ad alcuni registi famosi la domanda su che futuro abbia il cinema. Gli intervistati rispondono uno alla volta davanti alla macchina da presa che rimane significativamente fissa. Chambre 666 tratta in particolare della morte del linguaggio cinematografico ovvero dell'estetica del cinema che è diversa da quella del video. In occasione del Festival di Cannes del 1982, Wenders preparò un macchina da presa fissa in una camera d'albergo (la numero 666 dell'Hotel Martinez) e invitò una serie di registi ad entrarvi da soli, nella camera, accendere la camera e il registratore audio e rispondere in assoluta solitudine ad una serie di domande preparate su un foglio. Le domande erano sul tema "Qual'è il futuro del cinema?" e in particolare: "Il cinema è un linguaggio che andrà perduto, un arte che sta per morire?". Ogni regista aveva a disposizione una rullo di pellicola da 16 mm (circa 11 minuti di durata) per rispondervi. Wenders registrò il suo intervento come chiusura, aggiunse un'introduzione e montò il tutto. All’inizio al centro e alla fine del film campeggia in funzione enigmatico-profetica un enorme alberane, frondosissimo, immagine di un luogo di separazione e confine ideale fra Francia e FONDAZIONE GIORGIO CINI ONLUS Germania, intravisto da un mezzo in movimento. Una pietra miliare e confinaria, intra Europea, forse un simbolo della separazione cinematografia /videografia. Gli esordi del cinema di Wim Wenders sono legati al cinema underground di fine anni ’60 ed al grande amore per la musica rock, e più in generale per la cultura americana. Il rapporto tra immagine e musica è centrale nella sua prima produzione, nella quale già si affaccia una forma di terrore del taglio, dello "stuprare" al momento del montaggio la bellezza primigenia di un’inquadratura. Le tappe della scoperta del suo sguardo “fenomenologico” possono esser individuate nei suoi tre primi cortometraggi: Silver in the City (1968-69), che guarda in modo oggettivo la città, con campi lunghi che durano quanto la lunghezza del caricatore della sua 16 mm; Same Player Shoots Again, un thriller del 1967; Alabama: 2000 Light Years, del 1968- 69, che è un già compiuto road-movie. Nel 1969 avviene il primo incontro con l’opera dello scrittore Peter Handke, in occasione della realizzazione del corto Drei Amerikanische LP’s. Questo apprendistato si condensa nel suo film di diploma alla Scuola di Cinema di Monaco, Summer in the City del 1970, che viene definito dallo stesso autore un documentario sulle idee della gente alla fine degli anni ’60. Già da qui si palesa l’estetica di Wenders, fatta di vuoti, desideri inespressi e parole non dette, che porterà ad una posizione centrale nel suo cinema il non-detto ed il nonmostrato, per dare vita ad una narrazione svincolata dagli obblighi dell’intreccio e fatta più di evidenze che di dimostrazioni. Con il denaro del Filmverlag der Autoren - del quale è socio fondatore -, e della TV austriaca Wenders gira il suo primo film professionale, tratto dall’omonimo volume di Peter Handke, La paura del portiere prima del calcio di rigore (1973), dove si libera del precedente sperimentalismo underground esibendo tutta la sua cinefilia. L’incontro con Handke è particolarmente significativo per la comunione di gusti, ipotesi ed attenzione alla quotidianità esistente tra i due autori. Il romanzo si presta dunque come base ideale per riformulare i temi della fuga e del disagio esistenziale nell’universo della parola e dei segni. Il film potrebbe essere un giallo, ma non lo è per la mancanza delle classiche componenti spettacolari del genere, rese impossibili dall’assurdità della fuga del protagonista a causa di un delitto altrettanto assurdo. Dopo l’infelice coproduzione spagnola, realizzata tra il ’72 ed il ’73 per La lettera scarlatta, Wenders torna ad una storia propria, girata nel tanto amato bianco e nero: Alice nelle città, il primo capitolo della cosiddetta “trilogia della strada”. Il film narra il viaggio, tra l’America e l’Europa, di un giornalista che vorrebbe scrivere una storia, ma non ci riesce e scatta solo foto con una Polaroid, accompagnato da una bambina impertinente. Tutto il fascino del film è proprio nel felice modo in cui viene narrato il rapporto tra questi due diversi personaggi che, insieme, si muovono verso un happyend nel quale il viaggiare si dimostra essere l’unico modo di imparare dei personaggi. Sempre sulla crescita della persona, Wenders realizza Falso movimento (1974-75), da una sceneggiatura di Handke ispirata a Gli anni di apprendistato di J. W. Goethe, film attraverso il quale esplicita il suo debito con il romanzo di formazione tedesco. L’opera risulta nel complesso un po’ fredda e teorica, ma Wenders si riprende subito, nel 1975 stesso, con la realizzazione di Nel corso del tempo, nel quale al tema del viaggio si aggiunge quello dell’amicizia e quello “metacinematografico” del destino del medium Cinema (ripreso poi numerose volte in strani ed equivoci documentari come Chambre 666, 1982 (oggi in proiezione qui), o nel congegnatissimo taccuino di viaggio Tokyo-Ga (1985). Il film affronta, attraverso il viaggio dei protagonisti al confine delle due germanie, una crisi esistenziale unita all’incapacità di comunicazione della parola, mescolandola al tema della colonizzazione dell’inconscio da parte della cultura americana. Nel 1976-77 realizza L’amico americano, nel quale si confronta con gli schemi del giallo internazionale, ma ne stravolge le regole inserendo lunghe pause di meditazione, attori “intellettuali”, quali Bruno Ganz e Dennis Hopper, ed un accurato studio d’atmosfera. Il successo di questo film fa sì che Wenders venga chiamato negli Studios della Zoetrope di Francis Ford Coppola per realizzare un altro giallo, che ha un lunghissimo periodo di lavorazione. Hammett, FONDAZIONE GIORGIO CINI ONLUS Indagine a Chinatown (1979-82) è un noir un po’anonimo dal punto di vista della tradizione del genere e, contemporaneamente, fin troppo intellettuale in numerose soluzioni estetiche. È evidente il condizionamento imposto dalla grossa produzione (Coppola toglie a Wenders il controllo sull'opera e arriva a girare personalmente intere sequenze del film) ed il contrasto troppo forte tra due modi radicalmente diversi di pensare e fare cinema. Nel 1980, durante una delle forzate pause di lavorazione di questo film, realizza Nick’s Movie, cofirmato da Nicholas Ray, che diventa un documentario degli ultimi giorni di agonia del regista. Molto vicino nel progetto ai temi dello snuff-movie, è una delle più discusse opere di Wenders, che per la prima volta filma la morte per realizzare una cruda e complessa riflessione sul rapporto artevita. Il film è un articolato collage di scene di fiction girate in 35mm e scene in video - che rappresentano lo scorrere della vita reale ed il “cancro” del cinema - e scene tratte dai film di Ray, che simboleggiano la memoria del medium. Negli anni ’80 Wenders diventa un regista cult, rischiando però di far scivolare nella maniera la sua riflessione metalinguistica ed il suo stile. Nel 1981, con l’autobiografico Lo stato delle cose (Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia) Wenders rielabora l’irriducibile contrapposizione tra modo di produzione europeo ed americano, con un finale - il colloquio tra regista e produttore - da antologia del Wenders-pensiero, in cui si scontrano fantasie cinefile e realizzative con la realtà dell'industria. L’ultimo film “americano” del periodo è il più sfibrato Paris, Texas del 1984, dopo il quale decide di tornare in Europa per girare, nel 1987, Il cielo sopra Berlino, un affascinante viaggio nella capitale tedesca ancora divisa. Si tratta di una delle più intense opere di Wenders, coadiuvato ancora una volta dall’amico Peter Handke, dopo la quale la sua carriera sembra destinata al ribasso, ovvero al nomadismo. Sia Fino alla fine del mondo (1991), che Così lontano, così vicino (1993), fanno forse rimpiangere ai suoi fan le opere precedenti, mentre l'oltranzistica sperimentazione video del regista appare a molti fine a se stessa. Sembra che Wenders senta il bisogno di sondare nuovi orizzonti: alterna piccoli film metalinguistici, tipo Lisbon Story (1995), a produzioni indipendenti negli Stati Uniti, dove si è di nuovo trasferito da qualche anno, come Crimini invisibili (The End of Violence, 1997, una specie di film "parallelo" allo Strade perdute di David Lynch - ha lo stesso protagonista, Bill Pullman, e alcune suggestioni simili, ma un taglio decisamente opposto) e il pretenzioso ma affascinante The Million Dollar Hotel (2000). Un significativo e recente successo di critica e di pubblico è stato il brillante Buena Vista Social Club (1999), superba carrellata sulla musica cubana, nella quale Wenders mostra ancora una volta le sue ottime qualità di regista e rilancia - soprattutto in Europa - alcuni aspetti della cultura sudamericana facendo degli anziani musicisti ritratti nel documentario i temi portanti di un vasto fenomeno di costume. Dal Buena vista a oggi Wenders ha intensificato la sua aspirazione a rendere sempre più musicale la sua creazione cinematografica:. Viel passiert, (2002) Ten Minutes Older: The Trumpet, episodio Twelve Miles to Trona (2002) L'anima di un uomo (The Soul of a Man), , (2003) La terra dell'abbondanza (Land of Plenty) (2004) Musica Cubana, seguito di Buena Vista Social Club (2004) Non bussare alla mia porta (Don't Come Knocking) (2005) Chacun son cinéma (2007), episodio War in Peace Invisible, episodio Invisibles Crimes (2007) Palermo Shooting (2008)