In Confidenza: “IO e il CINEMA”

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In Confidenza: “IO e il CINEMA”
In Confidenza:
“IO e il CINEMA”
il FASCINO intramontabile dell’HORROR anni80/9 ELISABETTA
Iniziò tutto in un tempo in cui i videoregistratori VHS erano una cosa da ricchi e non c'era ancora un Blockbuster ogni
100 metri, un'epoca in cui se volevi vedere un film dovevi andare in un cinema “monosala” o aspettare mesi e mesi in
trepidazione perchè lo trasmettessero in prima tv.
Quella sera c'era un'attesissima prima tv di “Nightmare: dal profondo della notte” (Wes Craven, 1984) e mia madre,
la cui unica passione era l'horror (due bambini piccoli che facevano per otto e un paesino sperduto di campagna non
aiutavano di certo a coltivare molti hobby), scondinzolava da giorni pregustando quella magnifica serata. E' incredibile
come ricordi distintamente tutto di quella sera.
In ogni caso mia madre aveva architettato tutto da tempo: aveva preparato la cena prestissimo e mi aveva messa subito
a letto, si era spaparanzata sul divano (la immagino con una scatola di After Eight appena aperta di fianco), luce spenta
e... iniziano le proiezioni. Non aveva però fatto i conti con la digestione di una bambina di 4 anni.
Ancor prima della fine del primo tempo avevo già vomitato anche l'anima nel letto.
Dopo aver trascorso la notte a sterilizzare materasso, moquette e figlia invece di godersi una prima tv attesa da quelle
che le dovevano essere sembrate ere geologiche, mia madre decise che non avrebbe mai più fatto uno sbaglio del
genere e, a 4 anni, mi iniziò all'horror.
Non mi mise più a letto subito dopo cena, ma mi tenne con lei sul divano spiegandomi i film. In effetti deve essere stata
una bella seccatura dover interrompere la visione ogni 10 secondi per spiegare tutto per filo e per segno a una bambina
curiosa, però era sempre meglio che sterilizzare materassi nel cuore della notte, no?
Così Nightmare ce lo siamo guardato tutto assieme, cioè negli anni abbiamo guardato tutti i primi 7 film, dapprima
qualcuno in prima tv, poi a noleggio. E sapete una cosa? Non ricordo di essermi svegliata nel cuore della notte una sola
volta in preda alla paura, anzi, dopo aver guardato la tv sul divano con la mamma di solito dormivo come un sasso.
Mia madre è sempre stata una donna tanto saggia quanto pratica.
Crescendo le spiegazioni si sono evolute in una specie di primitiva critica cinematografica, cioè una volta finito il film ci
trovavamo a discutere, per esempio sul fatto che Freddy Krueger, il mostro cattivo che perseguitava ed uccideva nel
sonno le persone che gli avevano fatto del male ed i loro discendenti, in realtà poteva essere un simbolo. Un po' come
“Candyman” (Bernard Rose, 1992), un simpatico ragazzo di colore che, solo per aver corteggiato una donna bianca,
era stato cosparso di miele durante un linciaggio e lasciato in pasto alle api, trasformandosi così in un mostro
sanguinario che uccideva chi lo invocava davanti ad uno specchio.
Riflettevamo a lungo su cosa questi film potessero voler dire. Nemmeno per un momento mi è passata per la testa l'idea
che l'horror fosse spazzatura, come pensano invece i molti che non riescono a vedere oltre i pupazzoni con un coltello in
mano. Forse Nightmare e Candyman vogliono solo dire che il male che fai al mondo in qualche modo torna indietro, che
non vale mai veramente la pena di fare del male.
Più che di Candyman o di Freddy, forse allora ci sono altre cose di cui bisognerebbe aver paura sul serio.
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Per merito di mia madre non sono cresciuta terrorizzata all'idea che un mostro si nascondesse sotto il letto, che mi
avrebbero rapita gli alieni per infilarmi aghi nelle pupille o altre scemenze del genere. Ho elaborato altri generi di paura.
Ho paura di fare o dire stupidaggini, di comportarmi in maniera stupida perdendo così l'affetto delle persone che per me
contano davvero. Ho paura di farmi prendere così tanto dalla corsa della vita da non riuscire più a fermarmi per
considerare se quello che sto costruendo (sempre che ci sia qualcosa di costruito) valga la pena. Ho paura di svegliarmi
a 50 anni e scoprire che per mio marito sono un paio di comode pantofole. Ho paura di dedicare tempo ed energie, che
mi accorgo ogni giorno di più non essere una riserva inesauribile, a persone e attività che lasciano il tempo che trovano,
trascurando invece le cose importanti. Ho paura di non riuscire un giorno più a sentire niente: gioia, dolore, emozione,
commozione, nostalgia.
Così soprattutto quando sono giù di morale, quando mi sembra di non farcela, mi spaparanzo sul divano con un
sacchetto di pan di stelle alla mano (a ciascuno i propri vizi) e do inizio alle proiezioni. Talvolta sono in compagnia, ma
l’horror con la sola compagnia dei pan di stelle è sicuramente quello che preferisco.
Ovviamente il mio preferito rimane Nightmare in tutte le sue manifestazioni. Mi capita talvolta di riguardare gli stessi film
della saga, soprattutto il primo (quello della sera in cui tutto ebbe inizio, per intenderci), anche a distanza di poco tempo,
a seconda del grado di insicurezza. Gli effetti speciali anni 80 non sembrano più tanto speciali oggi come oggi, ma l’idea
di fondo del film è a dir poco geniale: un uomo diventato mostro che uccide le persone trasformando i loro sogni, ovvero
il momento in cui si sentono maggiormente sicure, in incubi mortali.
Per un motivo analogo adoro anche la saga di “Halloween” (artefice John Carpenter, 1978), il cui protagonista è
Michael Myers, un bambino problematico che a 6 anni a momenti stermina la famiglia, lasciando in vita solamente una
sorellina. Anche in questo caso il film gioca con le nostre paure più nascoste, proponendo un inquietante “e se…”. In
questo caso la proposta è “e se un bambino all’apparenza innocente si trasformasse in un sanguinario serial killer
capace di squartarci nel sonno?”.
Ci sono sere in cui invece ho proprio sete di effetti speciali e opto per film più recenti. Se potessi assegnare un mio
piccolo Oscar personale ad un horror recente per aver colto per fortuna non la tecnologia, ma l’essenza della paura anni
80, sicuramente lo assegnerei a “E venne il giorno” (M. Night Shyamalan, 2008). Inizia con operai che si lasciano
cadere dai ponteggi, suicidi di massa apparentemente immotivati, interi gruppi di persone che improvvisamente
interrompono ogni attività ed iniziano a cercare la maniera più veloce (non sempre la più indolore) per suicidarsi. Una
specie di virus prodotto dalle piante paralizza infatti la parte del cervello umano deputata all’autoconservazione.
Decisamente impagabile la scena nella quale un uomo si suicida lasciandosi investire da una gigantesca falciatrice…
Mi rendo conto che la maggior parte delle persone non apprezza certe scene e considera l’horror un genere
cinematografico di serie Z, praticato da registi che non hanno altro di meglio da fare che buttare pellicola, ma anche
questa considerazione, anziché sminuirlo, rende l’horror un genere per pochi intenditori, dei quali, grazie a mia madre,
mi ritengo onorata di far parte.
Elisabetta