L`intervento di Venerando Monello

Transcript

L`intervento di Venerando Monello
Giuseppe Balsamo Conte di Cagliostro agli occhi di Giacomo
Casanova Cavaliere di Seingalt.
Brevi cenni sulla figura di Casanova libero muratore.
Ringrazio Salvatore e Ninni per l’invito che hanno voluto
rivolgermi, e che mi vede qui, oggi, insieme a tutti voi, a tratteggiare la
figura di quell’uomo estremamente enigmatico che la storia conosce con il
nome di conte di Cagliostro. Vi porto i saluti dell’Associazione culturale
CentrArte Mediterranea, che ha voluto patrocinare questa iniziativa. E
naturalmente ringrazio Patrizia ed i miei genitori, che sopportano, non
sempre in silenzio, tutte le mie stranezze.
Che Cagliostro fosse stato un libero pensatore ne ebbi conferma un
giorno di circa quindici anni fa, quando una giovane siciliana, avendo
appreso che il nome del gatto di mio padre fosse proprio quello di
Cagliostro, stupita, disse: «Ma come, con tutti i nomi che c’erano proprio
quello del diavolo gli hai dato?»
Ecco, la disinformazione della Chiesa volle per questa giovane
siciliana Cagliostro come il diavolo. Disinformazione che il povero
Cagliostro, ancora oggi, proprio non riesce a scrollarsi di dosso.
Gentili amici, prima di passare alla trattazione della mia relazione,
sento il bisogno di scusarmi con voi. Di scusarmi con tutti coloro che
vedono in Cagliostro una sorta di grande uomo, di taumaturgo, o di mago.
Scusarmi con tutti coloro che considerano Cagliostro un grande iniziato, un
uomo dotato di poteri soprannaturali. Parafrasando l’Antonio di
Shakespeare potrei dire che non sono qui oggi a lodare Cagliostro, ma a
seppellirlo.
Vi parlerò sì di Cagliostro, ma del Cagliostro visto dagli occhi di un
grande uomo del Settecento europeo, uno spirito libero che per me
rappresenta il filo rosso che ha unito tutti gli uomini e le donne che hanno
caratterizzato il complesso e contraddittorio Secolo dell’età dei Lumi. Vi
dirò di Cagliostro visto da Giacomo Casanova, e, vi assicuro, non sarà
propriamente un elogio. L’uomo Cagliostro, e non il suo mito.
Innanzi tutto è doverosa una premessa: delineare la personalità di
Giacomo Girolamo Casanova non è cosa semplice. Tuttavia non posso
esimermi da una brevissima parentesi sulla sua ricca vita, se non altro per
dire che non fu solo, come spesso dai più viene descritto, un libertino, un
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
1
“Casanova” verso il gentil sesso od un avventuriero. Casanova fu molto di
più. A cominciare dai suoi nomi.
Fu sì Giacomo Casanova, ma fu anche Farussi, a Cesena quando usò
questo nome spacciandosi per un mago capace di estrarre un tesoro.
Fu Paralis, questo il suo nome cabalistico. E Paralis era anche il
nome del suo spirito guida che gli permetteva di realizzare la piramide
divinatoria cabalistica di sua invenzione. Persa per moltissimi anni, e solo di
recente ritrovata grazie allo studio di un siciliano, che Salvatore e Ninni
sembrano conoscere.
Fu anche Paralisèe Galtrinarde, nuovo nome cabalistico che usò per
procurare l’ipostasi alla marchesa d’Urfè.
Ma fu anche, e soprattutto, il cavaliere di Seingalt. Giacomo
Casanova cavaliere di Seingalt.
Casanova fu un divoratore di libri, un abate, un avvocato, un falso
capitano e il generale di un proprio esercito, fu mago, letterato, filosofo, fu
impresario teatrale, ricchissimo finanziere quando inventò la lotteria in
Francia che lo rese un pari del Re. Fu consigliere della zarina di Russia
quando ideò il nuovo calendario. Fu un baro al gioco ed una spia
dell’inquisizione veneziana. Fu l’unico uomo capace di evadere dai Piombi.
Padroneggiava l’alchimia, la cabala e le scienze occulte, fu matematico, un
grande ed impenitente amatore, un’instancabile viaggiatore, un impavido
avventuriero. E fu rosacroce e massone.
*** ***
Il contesto storico culturale di riferimento è, naturalmente, il Settecento
europeo. Secolo nel quale, in Francia, un marito geloso veniva definito un
nemico dell’ordine pubblico. Un secolo ancora colmo di discriminazioni
sociali eppur ricco di fermenti egualitari e libertari. Un Secolo ancora
impregnato di oscurantismo, che sbarrava ai più la conoscenza del sapere
mettendo taluni libri al bando, ed al contempo dava vita all’enciclopedia. Un
Secolo di privilegi e di affermazione di diritti. Il secolo di Voltaire e dei
diritti umani, ma anche il secolo della Rivoluzione dell’ottantanove e di
madame Guillotine.
Un Secolo, infine, estremamente complesso e contraddittorio come
le personalità dei nostri due amici.
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
2
È in questo contesto che dobbiamo considerare le figure di
Cagliostro e Casanova. Occorre, dunque, calarsi nello spirito del Settecento
per poterli comprendere senza giudicarli in base alla morale corrente.
I due sono stati per certi aspetti simili. Per tanti altri così
estremamente differenti.
Casanova è figlio illegittimo di un nobile appartenente ad un antico
casato veneziano, che, pur non riconoscendolo mai, non mancò di offrirgli
protezione. Cagliostro è figlio di un venditore di stoffe palermitano. Persino
geograficamente i due si ritrovano agli antipodi. Estremo italico oriente da
una parte, estremo italico occidente dall’altra.
Fantasioso, allegro e giocoso Casanova; introverso e calcolatore
Cagliostro. Entrambi ambiziosi ed avventurieri, ma in modo assai diverso.
Avventuriere per spirito di vocazione Casanova, avventuriere per necessità
Cagliostro. Il daemone avventuriero di Casanova lo spinge essenzialmente
alla ricerca del sapere per sé stesso, quello di Cagliostro ad un sapere da
tradurre in profitto.
Casanova ama la vita, Cagliostro vuole dominarla, vuole anche
l’immortalità del corpo.
L’ambizione di Casanova ha origine dalla propria autostima, dalla
consapevolezza delle proprie capacità. Quella di Cagliostro ha radici, forse,
nella rivalsa sociale. Non che Casanova non ambisse e sperasse ad aver
riconosciuti i propri titoli e privilegi di nascita, tanto che il duello con un
aristocratico polacco fu per lui una vera e propria rivalsa sociale, ma non
tanto da esserne ossessionato come Cagliostro, che si diede perfino il titolo
di Conte. Casanova, molto più sommessamente quello di cavaliere.
Cavaliere di Seingalt. Più avanti se avrete pazienza vi racconterò un
episodio su questo nome e del significato esoterico che se ne può dare.
Amante ed amico delle donne, fino a divenire il suo stesso nome
sinonimo di seduzione Casanova. Monogamo e complice della propria
compagna e sposa, Cagliostro. Single e playboy uno, marito,tutto sommato
fedele rispetto alla morale del tempo, l’altro.
Per Casanova la donna era tutto. Un tutto dal quale non doveva avere
legami troppo saldi però. Trattava gli amori come fossero affari, dal
corteggiamento alla fine del rapporto. Eppure le donne ha sempre rispettate
e possiamo dire mai tradite. E non vi fu donna, esclusa la Charpillon, che
non l’amò. Fece la fortuna di ognuna, e da molte ricevette grandi fortune. La
sua più importante benefattrice fu la marchesa d’Urfè, vedremo più avanti il
loro rapporto. Non volle mai sposarsi, né comprar mai casa, ed invero i suoi
amori finivano sempre allo stesso punto, sempre nello stesso momento.
Quel momento che presto o tardi arriva tra gli innamorati, quel fatidico
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
3
attimo in cui la donna chiede di esser presa in moglie. Ecco, giunti a questo
punto Casanova non si dava alla fuga, ma trattava la separazione come fosse
un vero e proprio affare. Organizzava pranzi e cene, o mondane occasioni,
con illustri e ricchi ospiti e segnava il destino della propria amata dandola in
moglie ad un altro. Solo Henriette avrebbe voluto sposare, ma fu Henriette
che per amore e per aver appreso la reale natura di Giacomo non volle.
Sapeva, Henriette, che nel tempo, il matrimonio, lo avrebbe reso infelice.
Casanova si infiammava e straziava per ogni amore, follie, regali
degni di un re, opere e gesti realizzabili solo un amico delle donne.
Cagliostro, invece, ebbe Lorenza Serafina Feliciani, che sposò a
Roma nella chiesa di San Salvatore in Campo, e dalla quale mai si distaccò.
Fu la sua miglior alleata, il miglior complice che potesse desiderare, l’unica
a conoscenza della sua storia e dei suoi segreti. Salvo un episodio compagni
fedeli per tutto il viaggio della vita. Per quel che sappiamo, non ebbero figli.
Casanova ne ebbe molti.
Furono entrambi massoni, e di questo parleremo in seguito, ma in
modo diverso, molto diverso. Un semplice e forse poco appassionato
associato appare essere stato Casanova, un carrierista Cagliostro. Carrierista
per il fatto che si fece gran copto (gran maestro) di un rito da lui concepito
ed ideato, ed ancor oggi praticato: il così detto rito egizio.
Sicuramente entrambi riuscirono a penetrare i segreti iniziatici
dell’ordine, sicuramente entrambi furono degli eccezionali recipiendari in
possesso di una grande magnitudo animae. Più colto e poliedrico Casanova,
più mistico e filosofo Cagliostro.
Entrambi alchimisti, entrambi ricevuti con i dovuti onori nelle corti
d’Europa. Più interessato ai salotti Casanova, più agli intrighi di palazzo
Cagliostro. Entrambi liberi pensatori, forse troppo per il potere del tempo.
Ed in particolare per quello dell’inquisizione, santa o meno che fosse.
Entrambi possedevano la capacità di essere alla pari con le menti più
brillanti ed in vista dell’epoca; con le buone maniere Casanova, con un
alone di mistero Cagliostro.
Di Casanova si temevano i libelli e segreti che custodiva su fatti e
personaggi; di Cagliostro il modo in cui dava forma concreta al suo
pensiero, ovvero la capacità di acquisizione del potere attraverso soprattutto
i riti praticati nelle sue logge. Talento quest’ultimo, che con molta
probabilità, fu la causa principe ed il prezzo più alto del conto che
l’inquisizione gli presenterà.
La prima volta che Casanova accenna a Cagliostro nelle memorie, lo
fa paragonandolo a un ufficiale dell’esercito, tale Don Bepe, alias Giuseppe
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
4
d’Affiglio alias Marrati alias Marcati fu un’eccezionale figura di
avventuriero. Napoletano d’origine, fece per alcuni anni l’attore e recitò in
molti teatri italiani e stranieri. Nel 1754 a Vienna comprò il grado di
capitano, ma ben presto piantò tutto per darsi a quella che era la sua vera
professione, quella di giocatore. Da allora si fece un nome presso tutte le
città e le corti come brillante avventuriero e spregiudicato giocatore, fino a
che, nel 1778 fu arrestato a Bologna come falsario e imprigionato a Firenze.
Condannato alla galera a vita, morì in prigione nel 1797.
Scrive Casanova: «verso sera vennero gli stessi giocatori dell’altra volta e
tutto andò come allora. Don Bepe, però, si prese del briccone e ricevette
una bastonata, di cui fece finta di non accorgersi. Era un tipo interessante.
Nove anni dopo lo rividi a Vienna, capitano al servizio dell’imperatrice
Maria Teresa, con il nome di Afflisio. Dopo altri dieci anni lo ritrovai
colonnello, poco più tardi milionario e, infine, tredici o quattordici anni fa,
galeotto. Era un bell’uomo ma, cosa strana, aveva una faccia patibolare.
Ne ho visti altri del genere: Cagliostro, per esempio, e qualcun altro che
non è ancora in galera ma che ci andrà perché nolentem trahit».
Dunque Cagliostro, ai primi occhi di Casanova, appare come un tipo
interessante, con una faccia patibolare che presto finirà in galera.
Correva l’anno 1769, Casanova aveva preso una camera ai Tre
Delfini di Aix-en-Provence. Scrive Casanova: «ad Aix, la compagnia alla
tavola comune era eccellente e quindi vi pranzavo e cenavo tutti i giorni.
Un giorno, a pranzo, tutti parlavano di un pellegrino e di una pellegrina
italiani che erano appena arrivati in albergo, ai piedi di san Giacomo di
Galizia: doveva trattarsi di persone di alta condizione, perché arrivando in
città, avevano distribuito ai poveri molto denaro. La pellegrina, poi, si
diceva che fosse incantevole: una ragazza sui diciotto anni che,
stanchissima, era subito andata a letto. La curiosità di tutti noi che
alloggiavamo nell’albergo era grande e, come italiano, dovetti mettermi
alla testa della compagnia per andare a far visita a quei due che dovevano
essere devoti fanatici o grandi imbroglioni.
La pellegrina era seduta su un seggiolone, con l’aria di una persona
spossata dalla fatica, ma era indubbiamente un tipo che attirava
l’attenzione per la sua giovanissima età, per la sua bellezza che era
accentuata da un velo di mestizia e anche per il crocifisso di metallo giallo,
lungo sei pollici, che reggeva in mano. Appena ci vide entrare, comunque,
la ragazza depose il crocifisso e si alzò per accoglierci gentilmente, mentre
il pellegrino, che stava attaccando delle conchiglie su un mantello di tela
cerata nera, non si mosse e, anzi, sembrava suggerirci, guardando di
sfuggita la moglie, di interessarci solo di lei. Piccolo di statura e ben fatto,
l’uomo, dimostrava cinque o sei anni più della moglie e a giudicare dal suo
aspetto appariva un tipo piuttosto baldanzoso, sfrontato e impertinente:
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
5
insomma, un vero e proprio delinquente, tutto il contrario delle moglie, che
ostentava nobiltà, modestia, ingenuità e pudore. I due riuscivano a stento a
farsi capire in francese e quando mi rivolsi loro in italiano, tirarono un
sospiro di sollievo. La donna mi disse che era romana, ma in verità non
c’era bisogno che lo precisasse, giacché il suo accento grazioso lo
dimostrava chiaramente. Quanto a lui, lo giudicai siciliano, benché mi
assicurasse essere napoletano. Il suo passaporto, rilasciato a Roma,
dichiarava che il suo nome era Balsamo, mentre la ragazza si chiamava
Serafina Feliciani, e mentre lei non ha mai cambiato nome, il lettore
ritroverà questo Balsamo, tra una decina d’anni, sotto il nome di
Cagliostro.
La ragazza ci raccontò che stava ritornando a Roma insieme a suo
marito, felice del devoto pellegrinaggio che insieme avevano fatto a San
Giacomo di Compostella e a Nostra Signora di Pilar: aveva viaggiato a
piedi sia all’andata sia al ritorno ed era sempre vissuta di elemosina,
invano desiderando la miseria per avere ed ottenere maggior merito di
fronte a Dio, che durante la sua vita aveva tanto offeso.
«Inutilmente» aveva continuato, «chiedevo non più di un soldo: tutti
mi hanno sempre dato oro e argento, e così, arrivando in città, ci siamo
visti costretti, per assolvere fedelmente il nostro voto, a distribuire ai poveri
tutto il denaro che ci restava, giacché, se l’avessimo tenuto, ci saremmo resi
colpevoli di una mancanza di fiducia nell’Eterna Provvidenza.»
Quindi ci confidò che suo marito, che era un uomo vigorosissimo,
non aveva sofferto, mentre lei, invece, aveva patito pene terribili, perché
aveva dovuto camminare sempre a piedi e dormire in letti scomodi, per di
più quasi sempre vestita, per timore di contrarre malattie della pelle da cui
sarebbe stato difficile guarire.
Sentendole dire queste cose, non potei fare a meno di pensare che ce
ne parlasse per metterci addosso la curiosità di vedere come fosse fatta la
sua pelle in parti diverse dalle braccia e dalle mani, di cui intanto ci
lasciava intravedere gratis la bianchezza e il perfetto lindore. Di fatto, era
molto bella, e aveva un unico difetto: le palpebre un po’ cispose, che
nocevano alla dolcezza dei sui begli occhi azzurri. Comunque, continuando
nel suo discorso, la ragazza aggiunse che contava di riposarsi tre giorni ad
Aix e di ripartire poi per Roma, previa una sosta a Torino per venerare il
Santissimo Sudario: sapeva che in Europa c’erano parecchi Sudari, ma le
avevano assicurato che l’unico vero era quello esposto a Torino, che era lo
stesso di cui Santa Veronica si era servita per asciugare il viso grondante di
sangue del nostro Redentore, che vi aveva lasciato l’impronta del suo volto
divino.
Alla fine della conversazione uscimmo tutti molto contenti di aver
visto una graziosa pellegrina, ma piuttosto perplessi circa la sua devozione.
Quanto a me, debole com’ero ancora per la malattia, non feci su di lei
alcun pensiero, ma tutti quelli che erano con me avrebbero volentieri
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
6
cenato con lei, se appena ne avessero avuto l’occasione. Comunque,
l’indomani il pellegrino scese a domandarmi se volevo salire a pranzare
insieme a sua moglie e a lui, o se preferivo che scendessero loro.
Ovviamente, a quel punto, sarebbe stato scortese rifiutargli una cosa e
l’altra, e così gli risposi che mi avrebbe fatto piacere se fosse sceso a
mangiare.
A tavola l’uomo, a una mia domanda circa la sua professione, mi
confidò di essere disegnatore a penna, specializzato in quello che si
chiamava chiaroscuro. Tutta la sua bravura, insomma, consisteva soltanto
nel ricopiare una stampa, non nel crearla, ma mi assicurò che, nella sua
arte, era molto stimato, giacché sapeva copiare qualsiasi stampa così bene
da sfidare chiunque a scoprire quale differenza ci fosse tra l’originale e la
copia.
«Mi compiaccio con lei. Con un talento come il suo, in caso di
bisogno, si guadagnerà abbondantemente il pane dovunque le venga in
mente di stabilirsi.»
«Me lo dicono tutti, ma si sbagliano. Talento o non talento, in questo
mestiere si fa la fame, perché in un giorno intero di lavoro, a Roma e a
Napoli, riesco a guadagnare solo mezzo testone, e non basta certo per
vivere.»
Dopo avermi fatto questa confidenza, mi mostrò alcuni ventagli
disegnati da lui e devo ammettere che erano davvero belli: erano a penna,
ma sembravano stampati. Quindi, per convincermi della sua bravura, mi
fece vedere anche la copia di un Rembrandt che aveva fatto e che era più
bella, se possibile, dell’originale. Malgrado tanta perizia, egli, che
indubbiamente eccelleva nel suo mestiere, mi giurò che questo non gli
bastava per vivere. Personalmente, però, non gli credetti, perciò mi parve
uno di quei geni fannulloni che preferiscono la vita vagabonda alla vita
laboriosa. Comunque sia, quando feci per dargli un luigi in cambio di uno
dei suoi ventagli, non volle vendermelo e mi pregò di accettarlo gratis e di
fare una questua a tavola per lui, perché aveva intenzione di partire
l’indomani stesso. Accettai il regalo e, quanto alla questua, gli raccolsi
cinquanta o sessanta scudi, che la pellegrina venne a ritirare di persona
alla tavola dove eravamo seduti.
Quella giovane donna non aveva assolutamente un aspetto libertino
e anzi, si comportava da persona riservata e per bene. Invitata a segnare il
suo nome su un biglietto della lotteria, si scusò dicendo che a Roma non si
insegna a scrivere alle fanciulle che si volevano far crescere oneste e
virtuose. Tutti risero, tranne me, perché mi faceva compassione, e non
volevo vederla avvilita. Ne dedussi, comunque, che doveva essere di origine
contadina.
Il giorno seguente, la ragazza venne nella mia camera a chiedermi
una lettera di raccomandazione per Avignone. Gliene feci subito due, una
per il banchiere Audifred, e l’altra per l’albergatore del San Omer, ma la
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
7
sera, dopo cena, lei venne a restituirmi quella per Audifred, dicendomi che
suo marito le aveva detto che non era necessaria, e nel darmela mi invitò a
controllare se la lettera che mi restituiva era la stessa che le avevo
consegnato. Dopo aver osservato più attentamente la lettera, risposi che si
trattava senza dubbio della stessa, ma la ragazza rise e mi fece notare che
mi ingannavo, perché si trattava soltanto di una copia. Protestai che non
era possibile e lei allora fece scendere suo marito, che mi mostrò la mia
lettera e mi convinse di quell’imitazione prodigiosa, ben più difficile di una
copia di una semplice stampa. Non nascosi all’uomo tutta la mia
ammirazione e gli dissi che poteva indubbiamente trarre grandi vantaggi
dalla sua abilità, ma che, se non fosse stato ben attento, essa avrebbe anche
potuto costargli la vita.
Il giorno successivo, la coppia partì. Il lettore, a suo tempo, a dieci
anni cioè a partire da questa data, saprà dove e come ho rivisto quell’uomo
sotto il nome di conte Pellegrini insieme alla sua buona Serafina, sua
moglie anima dannata. Mentre sto scrivendo, egli si trova in prigione, da
dove non uscirà più, e sua moglie forse vive felice in un convento. Qualcuno
dice addirittura che è morto.
Pare evidente, dalla lettura delle memorie, che Casanova fosse assai
più interessato alla pellegrina che al pellegrino.
Il più grande dei falsari, ecco come appare Cagliostro agli occhi di
Giacomo Casanova. Non a caso Cagliostro, proprio per le sue doti di
falsario, fu cacciato da Roma, per aver falsificato delle cedole, denunciato
da Ottavio Nicastro e da suo suocero, il padre di Serafina. Poi, per la sua
famigerata passione per i diamanti, sarà coinvolto nel caso della Collana
della regina che gli aprirà le porte della Bastiglia.
Casanova fu in un certo qual modo profetico con Cagliostro. Aveva
diciott’anni più di lui essendo nato nel 1725. Probabilmente fu proprio la
differenza d’età che permise a Casanova di intuire la vera natura dei
pellegrini incontrati ad Aix, e di non subire il fascino di Giuseppe Balsamo.
Un altro personaggio disprezzato da Casanova fu il conte di SaintGermain, che tentò di rubare proprio a Casanova i favori della marchesa
d’Urfè, nonché le grandi somme che la stessa offriva a Casanova quale
membro dei Rosa+Croce per le sue segretissime missioni in tutta Europa.
Casanova, pur sapendo che il conte di Saint-Germain, fosse un truffatore,
non riuscì mai a capire il trucco della fabbricazione dell’oro che proprio il
conte riusciva a simulare.
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
8
In sostanza né Cagliostro, né Saint-Germain ebbero la stima di
Casanova.. spesso i simili tendono a disprezzarsi, come per una sorta di
antipatia professionale.
Tuttavia non può essere negato che come Casanova, anche
Cagliostro, e forse con ancor più forza, non lasciano indifferenti. Non
lasciarono indifferenti i loro contemporanei, continuano a non lasciare
indifferenti noi contemporanei, e continueranno a non lasciare indifferenti i
contemporanei di domani.
Anche se lo spaccato di Cagliostro che ho tratteggiato non è
certamente tra i più a lui favorevoli, non posso che rilevare quanto la sua
figura riesca ad affascinare anche i più scettici.
Non ritengo fondate le asserite doti taumaturgiche di Cagliostro, la
sua profondità spirituale che, secondo taluni, gli permetteva di viaggiare
nello spazio e nel tempo. Rimango scettico persino rispetto ai suoi scritti.
Perché se è vero che, in un certo qual modo, Cagliostro riuscì già nel
Settecento a comprendere quella che due secoli dopo sarà da Einstein
concepita come la teoria della relatività, è pur vero che il pensiero,
alchemico, ermetico, mistico di Cagliostro era già stato concepito, elaborato,
sviluppato un secolo prima, da colui che universalmente viene definito il
martire del libero pensiero: Giordano Bruno.
Pertanto le intuizioni di Cagliostro, alle quali comunque deve essere
offerto il giusto riconoscimento in quanto rivoluzionarie rispetto alla fisica
ed alla metafisica di quegli anni, non sono poi così nuove come taluni
studiosi del Balsamo asseriscono.
Quanto poi al fatto che taluni studiosi, tra cui proprio Pier Carpi,
sostengano che Cagliostro e Balsamo furono due distinti e diversi
personaggi, può trovarmi d’accordo solo nel senso che non furono due
individui, due esseri umani, distinti, diversi, ma la loro diversità risiede nella
naturale elevazione di un percorso di ricerca. È fuori dubbio che la
personalità, la cultura, le conoscenze del Balsamo che lascia Palermo sono
radicalmente diverse da quelle del Balsamo, ormai conte di Cagliostro, che
viene portato in trionfo a Parigi. La diversità risiede nell’acquisita
consapevolezza, nella capacità di trasformare, plagiare se stessi in una
forma nuova e migliore, più alta. Nella capacità di carpire taluni aspetti
racchiusi nel segreto della natura universale delle cose. In questo Balsamo e
Cagliostro sono due personaggi diversi. Ma guardando così le cose,
possiamo dire che perfino Leonardo da Vinci, o Michelangelo Merrisi (il
Caravaggio), solo per fare due esempi, furono più personaggi di se stessi.
Per fare ancora un esempio, mi viene in mente, e non me ne vogliate,
proprio il santo protettore di Noto: San Corrado. Pensate a quanto diverso
egli era a Piacenza, e quanto nel suo eremo fuori le mura di Noto.
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
9
In conclusione, su Cagliostro non è certo possibile sottacere la sua
grande forza mentale e spirituale, le sue geniali doti di avventuriero e di
uomo che seppe cogliere lo spirito del proprio tempo con una grande
conoscenza e consapevolezza del passato ma con lo sguardo e la mente
volte al futuro. Concordo con Montanelli quando afferma che Cagliostro
continua ad essere un grande mistero che divide coloro i quali credono che
sia stato una sorta di santo e quanti lo ritengono solo un impostore.
Aggiungerei, però, che Cagliostro oltre che per noi sarà stato un grande
mistero anche per sé stesso.
*** ***
Brevi cenni sulla figura di Giacomo Casanova libero muratore.
Fata viam inveniunt
(Virgilio)
Forse era ver, ma non
però credibile a chi
del senso suo fosse signore.
(Orlando Furioso, Ludovico Ariosto)
Delineare la personalità di Giacomo Girolamo Casanova non è possibile in poche pagine,
forse neanche in un solo libro. Pertanto, e nella speranza di non rendergli un’ingiustizia,
proverò a tracciarne la figura del libero muratore. E gli darò spesso la parola perché egli,
certamente meglio di me, potrà illustrare il suo essere massone.
Tuttavia non posso esimermi da una brevissima parentesi sulla sua ricca vita, se non altro
per dire che non fu solo, come spesso dai più viene descritto, un libertino, un “Casanova”
verso il gentil sesso od un avventuriero. Casanova fu molto di più.
E come non ricordare quel magnifico monologo nelle sue memorie nel quale pacatamente
afferma che ogni uomo ha diritto di scegliersi un nome se quel nome non appartiene già a
qualcuno. Di quando difese questo nome dalle accuse del borgomastro municipale, innanzi
al quale era stato citato durante la sua permanenza in Germania. Argomentando in latino:
«Perché» mi disse «porta un falso nome?»
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
10
«Il mio nome non è affatto falso. Chieda al banchiere Carli che mi ha pagato
cinquantamila fiorini.»
«Sono al corrente di questo, ma lei si chiama Casanova e non Seingalt. Perchè usa questo
nome?»
«Assumo questo nome, o piuttosto l’ho assunto, perchè è mio. Mi appartiene così
legittimamente che se qualcuno osasse portarlo glielo contesterei in tutti i modi e con tutti i
mezzi.»
«E in che modo questo nome le appartiene?»
«Perché ne sono l’autore. Ma ciò non mi impedisce di essere anche Casanova.»
«Signore, o l’uno o l’altro. Non può avere due nomi ad un tempo.»
«Gli spagnoli e i portoghesi ne hanno spesso una mezza dozzina.»
«Ma lei non è né portoghese né spagnolo: è italiano e, oltre tutto, come si può essere
l’autore di un nome?»
«È la cosa più semplice del mondo e la più facile.»
«Me lo spieghi.»
«L’alfabeto è proprietà di tutto il mondo e questo, credo, è incontestabile. Orbene, ho
preso otto lettere dell’alfabeto e le ho combinate in modo da ottenere la parola Seingalt.
La parola così formata mi è piaciuta e l’ho adottata come mio appellativo, con la ferma
persuasione che, visto che non l’ha portato nessuno prima di me, nessuno ha il diritto di
contestarmelo e meno ancora di portarlo senza il mio consenso.»
«Come idea è piuttosto bizzarra e lei l’appoggia con un ragionamento più specioso che
solido. Il suo nome infatti non può essere che quello di suo padre.»
«Penso che lei sia in errore, perché il nome che lei stesso porta per diritto d’eredità non è
esistito dall’eternità, ma ha dovuto essere costruito da uno dei suoi antenati, il quale non
l’ha affatto ricevuto da suo padre, quand’anche lei si chiamasse Adamo. Ne conviene
signor borgomastro?»
«Ci sono costretto, ma è una novità.»
«L’errore è proprio qui. Ben lungi dall’essere una novità, questa è una cosa antichissima.
Mi impegno a portarle domani una sequela di nomi tutti inventati da onestissime persone
che sono vive e vegete e che ne godono in pace senza che a nessuno venga in mente di
citarli al palazzo municipale per rendere conto a qualcuno, a meno che essi non li
sacrifichino a danno della società.»
«Ma converrà che ci sono delle precise disposizioni di legge contro i falsi nomi!»
«Sì, contro i falsi nomi, ma le ripeto che niente è più vero del mio nome. Il suo, che rispetto
senza conoscerlo, non può essere più vero del mio, perchè è possibile che lei non sia figlio
di chi crede suo padre.»
Il borgomastro fece un sorriso, si alzò e mi accompagnò fino alla porta dicendomi che si
sarebbe informato sul mio conto presso Carli.
Alla fine ci riuscì Casanova a portare, almeno in Germania, legittimamente il nome di
Seingalt.
*** ***
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
11
Come già detto, Casanova fu un divoratore di libri, un abate, un avvocato, un falso capitano
e il generale di un proprio esercito, fu mago, letterato, fu impresario teatrale, ricchissimo
finanziere quando inventò la lotteria in Francia che lo rese un pari del Re. Fu consigliere
della zarina di Russia quando ideò il nuovo calendario. Fu un baro al gioco ed una spia
dell’inquisizione veneziana. Fu l’unico uomo capace di evadere dai Piombi. Padroneggiava
l’alchimia, la cabala e le scienze occulte, fu matematico, un grande ed impenitente amatore,
un’instancabile viaggiatore, un impavido avventuriero. E fu rosacroce e massone.
Giacomo fu iniziato alla Massoneria all’età di 25 anni, nel 1750, in una delle tre logge
esistenti allora a Lione: la “Gran Loggia Scozzese”, la “Loggia Amicizia” e quella
chiamata “Amici scelti”. Anche se non vi sono documenti ufficiali che possano attestarlo, è
assai probabile che Giacomo fu iniziato proprio in quest’ultima loggia.1
Un attore francese di nome Balletti, che come la maggior parte degli attori francesi doveva
essere massone, ebbe certamente parte nell’ammissione di Casanova che fu Apprendista e
dopo pochi mesi Maestro, a Parigi, nella loggia del duca di Clemont, Gran Maestro di tutte
le logge di Francia dal 1743 al 1771. In epoca successiva ma imprecisata, Casanova
divenne Rosa+Croce, come Cagliostro ed il conte di Saint-Germain.
Ma non voglio essere io a parlarvi di Giacomo come massone, preferisco che a farlo sia lui
stesso; gli cedo dunque nuovamente la parola.
«Un rispettabile personaggio, che conobbi in casa del sig. Rochebaron, mi procurò il
favore d’essere accolto nella confraternita di coloro che vedono la luce. Divenni così
aspirante frammassone. Poi, due mesi dopo, a Parigi, ricevetti il secondo grado e, alcuni
mesi dopo ancora, il terzo, quello di maestro, che è il massimo. Tutti gli altri titoli che mi
fecero prendere in seguito sono garbate invenzioni, di valore simbolico, che nulla
aggiungono alla dignità di un maestro.
Nessuno al mondo riesce a conoscer tutto, ma ognuno deve aspirarvi. Ogni giovane che
viaggia, che vuol conoscere il mondo, che non vuol essere inferiore agli altri ed escluso
dalla compagnia dei suoi coetanei, deve farsi iniziare alla massoneria, non fosse altro per
sapere almeno superficialmente cos’è. Deve tuttavia fare attenzione a scegliere bene la
loggia nella quale entrare, perché, anche se nella loggia i cattivi soggetti non possono far
nulla, possono tuttavia sempre esserci, e l’aspirante deve guardarsi dalle amicizie
pericolose.
Coloro che entrano nella massoneria solo per carpirne il segreto, possono ritrovarsi
delusi. Può infatti accader loro di vivere per cinquant’anni come maestri massoni senza
riuscire a ottenere quello che si prefiggono. Il mistero della massoneria, di fatto, è per sua
natura inviolabile. Il massone lo conosce solo per intuizione, non per averlo appreso, in
quanto lo scopre a forza di frequentare la loggia, di osservare, di ragionare e dedurre.
Quando lo ha appreso, si guarda bene dal far parte della sua scoperta a chicchessia, fosse
anche il suo miglior amico massone, perché se costui non è stato capace di penetrare da
solo il segreto non sarà nemmeno capace di profittarne se lo apprenderà da altri. Il
segreto rimarrà dunque sempre tale.
1
Roberto Gervaso, Casanova, Rizzoli Editore, Milano, 1974, pag. 99.
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
12
Ciò che avviene nella loggia deve rimaner segreto, ma chi è così indiscreto e poco
scrupoloso da rivelarlo non rivela l’essenziale. Del resto, come potrebbe farlo, se non lo
conosce? Se poi lo conoscesse, non lo rivelerebbe.
Lo stesso effetto che oggigiorno fa la confraternita massone su molti iniziati, facevano un
tempo i grandi misteri che si celebravano ad Eleusi in onore di Cerere. Questi misteri
interessavano tutti i Greci e i maggiori personaggi del mondo ellenico aspiravano ad
esservi iniziati. Tale iniziazione era molto più seria di quella della massoneria moderna,
nella quale si ritrovano dei farabutti e dei veri rifiuti dell’umanità.»
*** ***
In verità dei rapporti tra Casanova e la massoneria non abbiamo che pochi frammenti.
Sappiamo che intorno al 1758-59, durante la sua permanenza ad Amsterdam, Thomas
Hope, durante una cena, lo invitò con lui alla loggia dei borgomastri. Si trattava di un
grande onore, perché contro tutte le regole della massoneria, vi erano ammessi soltanto i
ventiquattro membri che componevano la loggia, che erano i più ricchi della Borsa. Questo
per quanto mi riguarda è uno scoop storico: Casanova ci informa del fatto che già a metà
del Settecento esistevano le logge coperte, un vizietto più antico di quanto si credesse....
In onore di Giacomo i lavori di quella sera furono in francese. Piacque così tanto a quei
fratelli che per tutto il tempo della sua permanenza ad Amsterdam lo nominarono membro
soprannumerario. Incredibile Casanova! Fu persino invitato a partecipare ai lavori della
Gran Loggia intorno al 27 di dicembre di quell’anno, ma una brutta influenza lo costrinse a
letto e mancare all’invito.
Così come vi erano logge coperte, già allora alcuni principi della chiesa erano massoni, tra
questi Casanova ricorda un suo caro amico, il cardinale Antonio Branciforte Colonna, già
nunzio a Venezia, fu cardinale legato a Bologna dal 1770 al 1777. Nelle sue memorie
Casanova accenna che intorno al 1752 col cardinale Branciforte Colonna erano stati
insieme in una loggia massonica e che poi avevano fatto cene squisite in compagnia di
belle ragazze. Casanova definisce il cardinale come un bontempone.
Purtroppo sui rapporti tra Casanova e la Massoneria non abbiamo, almeno ad oggi, altro. In
molti hanno creduto che Giacomo non fosse un semplice libero muratore, ma un vero e
proprio ambasciatore della massoneria, così spiegherebbero i suoi numerosissimi viaggi in
tutta Europa. Ma tale ragionamento, ad avviso non solo dello scrivente, appare poco
probabile. Nelle sue memorie Giacomo raccontando tanti e tali fatti a lui sfavorevoli dà
credibilità a tutti quelli a lui favorevoli. Infatti se crediamo a quelli sfavorevoli, e non
abbiamo alcun motivo per non crederli accaduti, dobbiamo necessariamente e
conseguentemente credere anche a quelli a lui favorevoli. Nelle memorie non fa mistero
che durante il suo viaggio in Olanda fu anche un agente segreto al servizio del Governo
francese. Se Casanova fosse stato un ambasciatore della massoneria, se il suo ruolo fosse
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
13
stato quello di mettere in contatto i fratelli d’Europa divulgando e custodendo preziose
notizie, di certo egli ne avrebbe fatto menzione nelle memorie, fosse solo per vanità.
L’iniziato Casanova nelle sue memorie ci offre una descrizione bellissima di un laboratorio
alchemico, e del modo di trattare i metalli. Casanova conosceva già che v’era un metallo
più prezioso dell’oro. E non per il fatto che la Borsa ne stimasse un valore superiore,
quanto per le sue proprietà. Una vera e propria lezione di alchimia. Sentiamolo a colloquio
con la marchesa d’Urfè:
«Dalla biblioteca passammo nel laboratorio e qui devo dire che rimasi veramente
sbalordito. La signora cominciò col farmi vedere una sostanza che teneva sul fuoco da
quindici anni e che doveva restarci per altri quattro o cinque. Era una polvere di
proiezione, atta a trasformare in un minuto qualsiasi metallo in oro. Per alimentare
costantemente il fuoco, aveva fatto costruire un tubo dal quale, per effetto del peso,
scendeva nel fornello la quantità necessaria di carbone, cosicché qualche volta stava
anche tre mesi senza mai entrare nel laboratorio ma non rischiava per ciò di trovar spento
il fuoco. Le ceneri di scarto, invece, scendevano da un piccolo condotto che si trovavano
sotto il fornello. Per lei, la calcinazione del mercurio era un gioco da bambini. Me ne
mostrò un po’ calcinato e mi disse che, quando ne avessi avuto voglia, mi avrebbe
insegnato come ottenerlo. Mi mostrò poi l’albero di Diana (si tratta del c.d. albero metallico che
gli alchimisti ottenevano mescolando due metalli e un solvente), che la polvere di proiezione
trasforma in oro del famoso Taliamed di cui era scolara. Taliamed, come tutti sanno, era il
dotto Maillet e, secondo lei, non era morto a Marsiglia come aveva fatto credere l’abate
Le Maserier, ma era ancora vivo: anzi con un lieve sorriso aggiunse che riceveva spesso
sue lettere. Se il Reggente di Francia gli avesse dato retta, secondo lei non sarebbe morto.
In proposito mi raccontò che il Reggente era stato il suo primo amico e che era stato lui a
darle il soprannome di Egeria (la ninfa che secondo la legenda dava i suoi consigli al re Numa
Pompilio, nel bosco di Ariccia) e a farla sposare al Marchese d’Urfé. Possedeva anche un
commento di Raimondo Lullo (mistico, poeta e missionario catalano – 1232/1316 – autore di
parecchie opere come l’Ars magna et ultima, che trattano di alchimia) che spiegava ciò che aveva
scritto Arnaldo di Villanova dopo Ruggero Bacone e Geber, i quali, sempre secondo lei,
non erano morti. Il prezioso manoscritto stava in un cofano d’avorio di cui lei custodiva la
chiave, anche se nessuno metteva piede nel laboratorio. Mi mostrò quindi un barile pieno
di platino del Pinto (platino estratto dal Pinto, in Giamaica, il Vood che aveva fornito il platino alla
marchesa d’Urfé, e che fu sempre un mistero per i commentatori di Casanova, è stato identificato da J.R.
Childs in Charles Wood, che nel 1741 scoprì in Giamaica dei campioni di platino provenienti dal rio Pinto
de Cocho e che per primo lo introdusse in Europa tra il 1741 e il 1743), che poteva tramutare in oro
a piacere. Glielo aveva regalato personalmente, nel 1743, Vood. Mi fece vedere lo stesso
platino in quattro vasi diversi: in tre il platino s’era conservato intatto nell’acido solforico,
nitrico e sodico; nel quarto, dove la signora aveva usato acqua regia (miscela di acido nitrico
e di acido cloridrico), non aveva resistito. Lo fondeva con lo specchio ustorio e mi spiegò che
era il solo metallo che non si potesse sciogliere diversamente, e questo, a suo parere,
dimostrava che era superiore all’oro. Me lo fece anche vedere precipitato con sale
ammonico, con il quale non si era mai ottenuta la precipitazione dell’oro. Aveva un
athanor (un grande forno, fatto di terra e di mattoni e alimentato a carbone) in funzione da quindici
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
14
anni. Il camino era ancora pieno di carboni neri e ne arguii che la signora lo aveva
adoperato un paio di giorni prima.»
*** ***
Cosa hanno in comune Mozart, Da Ponte, Caterina II, Cagliostro, Giorgio III
d’Inglilterra, Farinelli, Federico II di Prussia, Ferdinando IV, Giuseppe II d’Austria, Luigi
XV, Montesquieu, il duca d’Orlèans, la Pompadour, Jean Jacque Rousseau, Saint
Germain, Voltaire, per citarne solo alcuni? Tutti conoscevano e stimavano Casanova, il
quale rappresenta quel sottile filo rosso che collega tutti gli uomini e le donne che con le
loro gesta hanno disegnato e caratterizzato il secolo dei Lumi.
“La storia della mia vita” è senza dubbio la più bella espressione letteraria del
Settecento, forse l’unica leggendo la quale si possa estrarre l’essenza stessa di quello
straordinario complesso contraddittorio secolo. Una prosa leggera ed estremamente colta,
piccante ma mai volgare o tale da offendere minimamente il lettore, travolgente. A parer
mio le memorie non hanno tanto il merito di aver tramandato Casanova ai posteri, di averlo
collocato nella storia tra i grandi uomini, quanto quello più alto di averlo realmente reso
immortale, vivo, complice ed amico del suo lettore che di lui s’è inconsapevolmente
innamorato. Dopo aver letto le memorie non si può non provare che un velo di tristezza…
ma subito passa perché una parte dello spirito di Casanova entra a far parte della nostra
vita: un piccolo grande raggio di sole che per sempre, sinceramente, segretamente ci
guiderà nel nostro cammino. In molti hanno dedicato la vita alla ricerca della pietra
filosofale al fine di possedere ricchezze e l’elisir di lunga vita, ma in pochi l’hanno trovata.
Casanova e tra i pochissimi che l’hanno trovata. Lui l’ha trovata nelle sue memorie.
In conclusione, prendendo a prestito le parole di Indro Montanelli, “Giacomo Casanova
rappresenta il vero italiano del Settecento, apolide e cosmopolita, condannato a una vita
corsara dalla mancanza di una patria, di una società, di una fede e di una morale.” Il vero
europeo aggiungerei sommessamente.
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
15
Appendice documentale.
Ciò che segue è quanto scriveva Giovanni Battista Manuzzi, confidente dell’Inquisizione del
Tribunale di Venezia. Tra le tante accusa Casanova di appartenere alla setta dei Rosa+Croce
ed a quella degli Angeli della luce. Venezia, Archivio di Stato, Inquisitori di Stato-Riferte
Manuzzi-B.612.
Ill.mi et Ecc.mi Signori
Essendomi riuscito rilevare da D. Gio. Batta Zini di chiesa de S. Samuel , che Giacomo Casanova in oltre
alle molte amicizie che ha co'nobili Patrizi, con qualcheduno de quali crede se la intendi, e l'
introduca dei
forestieri a giuocare, e vincersi i danari, sapendo per voce propeia del Casanova aver esso l'
arte del barare,
che il Casanova fa credere che non si mora, ma che soavemente si sia trasportati da fra Bernardo, il quale
viene a levarsi e condursi per la via Latteanella religione degli addetti ove risiede Leggismarco ; e con
queste dannate imposture dei Rosa croce, degli Angeli della luce, ammalia le persone come fece del N.H. sr
Zuanne Bragadin et altro nobili Patrizi per cavarli danari; che professa il detto Casanova le massime de
Picureo; che con le sue imposture e chiacchere inviluppa la gente in un totale libertinaggio ad ogni genere di
piacere; che di nuovo coltiva il N.H. Bragadin sperando, se reddita, di mangiarle il resto; che molti nobili
Patrizi amando il suo talento li vanno a seconda; che stupisce non li sj accaduto niente di sinistro praticando
con tanta confidenza i nobili Patrizi insupandoli di certe massime, ch'
è un cisma aperto, che se qualche d'
uno
d'
essi parlassero gramo lui.
Con queste nozioniho ridotto il Casanova a discorrer meco di simili matterie; mi ha confidato di avere
procurato insinuarsi con il Duca Grillo che pratica alla bottega d'
acque al Buso; che li fece qualche discorso
del numero con l'
idea di ridurlo a poco a poco alla chimica, e lusingarlo di saper comporre la polvere
universale, e persuaderlo poi che non morirà, ma che passerà dolcemente agli addetti; che dalle risposte
avute dal Grillo in proposito del numero vede l'
impresa esser difficile avendoli confutati i principi, che per
altro sarebbe capace farli spendere un tesoro quale entrarebbe quasi tutto in scarsella a lui senza che il
Grillo se ne avedesse; che le riuscì incantare dei altri, particolarmente ser Zuanne Bragadin, che stante la
stretta amicizia fra loro passata, saranno sette anni circa, si era divolgato pel paese che tanto il N.H.
Bragadin, quanto lui discorrevano co'spiriti, che sendo stato avisato il Gradin che avevano assoggettata la
matteria a questo gravissimo tribunale, e per non essere retento, o esiliato si absentò di Venezia. Si vanta il
detto Casanova franco nel barare, forte di spirito per non creder niente in matteria di religione, di avere
tutta la sveltezza per insinuarsi colle persone e ingannarli, che in passato molte volte gli è stato per
precipitare riguardo che non aveva giudizio, ma che in ora egli opera con riserve grandissime, perché questo
è un paese che di governo e di religione non si può parlare senza un grande rischio, protestandosi di nulla
credere della nostra religione, come non credono alcuni nobili Patrizi che lui conosce; che le sue pratiche
sono con ser Zuanne Bragadin, ser Marc'Antonio Zorzi, ser Alvise Grimani, ser Marco Donado, ser
Bernardo Memo, ser Piero Alvise Barbaro et altri moltissimi nobili Patrizi, che lo amano; che da alcuni ei va
alle lor case a pranzo, desiderandolo ogni uno, con altri s'
unisce ai cafè , alla Malvasia, data da Lissandro
in Frezzaria ove mi dice che qualche volta, ma di rado giocano; che lui ha molto conoscenze co'forestieri, e
con il fior della gioventù; che pratica in casa di moltissime figlie, maritate, e donne d'
altro genere, che lui
procura divertirsi in ogni guisa, e tenta sempre colpi grandi per mutar fortuna; che per saziare i suoi piaceri
non le mancano danari; che pochi giorni sono a Padova ha perduti più di sessanta cechini.
Questa perdita la rilevo da Giacomo Canal, e la intesi anche da un tal Cesarino giocator di faraone,
pratica al mondo d'
oro; presente il detto Cesarino Lunedì notte in bottega d'
acque al Rinaldo Trionfante il
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
16
Casanova ci lesse un'
empia composizione in versi, lingua veneziana, che sta ora facendo. Non so cosa si
possa dare di più enorme nel suo pensare e nel discorrere di religione, considerando il Casanova assai
deboli di spirito queli che credono in Gesù Cristo. A trattare e intrinsecarsi col detto Casanova si vedono
veramente accomunate in lui la miscredenza , l'
impostura, la lasivia, ela voluttà in modo tale che fa orrore.
Il N.H. ser Benedetto Pisani ha cognizione dell'
imposture fatte dal Casanova al N.H. ser Zuanne
Bragadin, e che li fece ccredere che venir le dovesse l'
Angelo della luce; che fu il Casanmova la rovina del
detto N.H. Bragadin
Giacomo Canal conoscente anche del N.H. ser Bernardo Memo mi dice che il Casanova è una gran testa,
che pratica con somma confidenza Nobili Patrizi, che crede occorrendo li facia il mezzano, che ser Bernardo
Memo abbenchè sia spesso col Casanova a momenti lo ama, et a momenti lo calpesta.
Da Giacomo Berti rilevo come le disse uno de'giovani della Malvasia in Frezzaria che pratica la sera il
Casanova, e si trattiene a discorrere in un loco interno con ser Bernardo Memo, col Barbaro; e che li hanno
veduti al Casanova ne'scorsi giorni una borsa con molti ori, e che ha sempre danari.
Venezia, li 17 luglio 1755
(A tergo)
Um.mo dev.mo osserv.mo Gio.Batta Manuzzi
1755 - 20 luglio
Manuzzi procuri di avere la composizione in versi,
E la presenti.
Di seguito il Manuzzi rivela all’Inquisizione veneziana, pur avanzando qualche dubbio per il
fatto che fosse stato lo stesso Casanova a confidarglielo, l’appartenenza di Giacomo Casanova
alla setta de’ Muratori. Venezia-Archivio di Stato, Inquisitori di Stato-Riferte Manuzzi-B.612.
Ill.mi et Ecc.mi Signori
Ricercai a Giacomo Casanova la composizione. Mi ha risposto, finita che l'
avrà, me la lascierà copiare,
con l'
impegno però di non dir mai che lui ne sia stato l'
autore. Me la lesse di nuovo avendone scritto tre
piccoli fogli, i quali ei tiene in scarsella per comodo di scrivere quando le viene voglia…. Essendomi portato
questa mattina alla di lui casa, mi volea far leggere qualche altra cosa che non le riuscì di ritrovare avendo
nella sua stanza diverse carte a rifusa sopra di un tavolino, et in un armaro, e avendo ma inutilmente cercato
anche in un baule, mi fece vedere una pelle bianca, che aveva in detto baule in forma di una picciola traversa
da potersi cingere alla vita; le ho dimandato in che se ne servisse; mi rispose che quela si usa quando si và
in un certo luogo dove si adoprano anche dei ferri, et in abito nero; le ricercai dove fossero i ferri e l'
abito;
mi disse che si tengono nella Loggia, perché di troppo pericolo sarebbe tenerli in casa. Mi sovenne all'
ora
che lo stesso Casanova parlato mi avea ne'giorni passati della setta de'Muratori, raccontandomi i onori, e
vantaggi che si hanno a essere nel numero de confratelli, che vi aveva della inclinazione il N.H. ser Marco
Donado per essere arrolato a detta setta, ma la maniera con cui sono introdotti la prima volta nella Loggia
sembrandoli assai rischiosa non à voluto asardarsi, dicendo che si lasciano condurre a occhi bendati. Io non
ho cognizione di tal matteria, non posso per ciò distinguere se il Casanova mi abbia detta la verità, o datte
ad intendere bugie; non ostante credo mio dovere di umiliare ciò che dallo stesso mi è stato deto.
Venezia, li 21 luglio 1755
Um.mo dev.mo osserv.mo Gio.Batta Manuzzi
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
17
PRESUNTO ITINERARIO DI BALSAMO
DA PALERMO (1743) A NAPOLI (1775)
° Londra
° Aquisgrama
° Parigi
° Ratisbona
° Vienna
° Venezia
° Aix-en-Provence 1769
° Marsiglia
° Barcellona
° Roma
° Madrid
° Napoli
° Lisbona
Palermo °
° Messina
° Malta
° Rodi
Alessandria °
Organizzato dall’Associazione culturale Firdaus con il Patronato dell’Associazione culturale CentrArte
Mediterranea, Noto, Palazzo Canicarao, sala Gagliardi, 14 marzo 2009.
18