070. Bernardo.qxd - Funzione Pubblica Cgil

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KNAEPENBERGH
Jean-Pierre Knaepenbergh e Liliane Lemauvais *
TRA FEDERALISMO E SECESSIONE:
IL CASO DEL BELGIO
Conversazione a cura di Enzo Bernardo
L’
ultimo guaio del Belgio federale è in arrivo con le prossime elezioni europee di giugno. Un bel numero di Comuni
fiamminghi ha deciso, infatti, di boicottarle, insieme con
le concomitanti elezioni regionali.
Tutto deriva da un bel pasticcio che riguarda la nuova circoscrizione elettorale di Bruxelles-Hal-Vilvorde (BHV) che, dal
2003, unisce l’arrondissement di Bruxelles a quello di Hal-Vilvorde, nel quale si trovano 35 Comuni, sia a prevalenza francofona che a prevalenza fiamminga.
I Comuni di lingua olandese si sono considerati discriminati
nella ripartizione elettorale del 2003, e sono stati confortati
dalla Corte costituzionale d’arbitrato, che ha dato loro ragione
dichiarando incostituzionale la nuova legge elettorale ma non
proponendo una soluzione (i fiamminghi chiedevano, comunque, la separazione dei distretti).
Con le elezioni federali del 10 giugno 2007 il problema è
riemerso in una modalità più drammatica. Le elezioni in alcuni
Comuni fiamminghi hanno prodotto l’elezione di soli candidati
francofoni 1 e il 7 novembre, durante una riunione della commis*
Jean-Pierre Knaepenbergh è ricercatore presso il dipartimento di Sciences
politiques et sociales dell’Università cattolica di Lovanio; Liliane Lemauvais è
responsabile del settore delle amministrazioni locali e regionali del Belgio nel
sindacato vallone dei servizi pubblici: CGSP.
1
Grazie alle ‘facilitazioni linguistiche’ riservate ai Comuni con cospicue
minoranze (la legge prevede una soglia del 30%) rimasti al di là dei confini dei
rispettivi blocchi linguistici, al fine di permettere l’uso della lingua minoritaria nei confronti della pubblica amministrazione. Si tratta di una soluzione di
compromesso per risolvere il problema concreto dei sei Comuni alle porte di
Bruxelles (Drogenbos, Linkebeek, Sint-Genesius-Rode, Kraainem, Wemmel e
Wezembeek-Oppem) che, pur appartenendo alle Fiandre, contano una crescente minoranza francofona dovuta alla vicinanza della capitale.
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sione della Camera federale a Bruxelles, i deputati di lingua fiamminga hanno votato un disegno di legge per permettere l’annessione dell’arrondissement di Hal-Vilvorde al territorio fiammingo
che circonda la regione di Bruxelles, provocando la reazione dei
francofoni, che hanno abbandonato la seduta in segno di protesta.
Il fatto è grave, perché rappresenta la prima volta che i fiamminghi impongono una decisione alla minoranza vallona. La scissione dei Comuni fiamminghi comporta la lesione dei diritti garantiti alla minoranza francofona che vive nei 35 Comuni di Hal-Vilvorde: 150.000 persone non potrebbero più eleggere in Parlamento i rappresentanti della loro comunità linguistica né, ad esempio,
avere diritto a processi in francese.
Ma oggi i Comuni fiamminghi del distretto BHV (che è ancora unitario) non organizzeranno né le elezioni federali né quelle
europee, perché le ritengono incostituzionali.
Che succede al Belgio?
Che succede al Belgio? Come è possibile che la nazione ‘al centro’ dell’Unione Europea si ritrovi in questa situazione? A parte
la Spagna – con la sua devoluzione autonomista – fino a oggi il
Belgio era la sola democrazia europea che avesse deciso, recentemente, di divenire federale.
Ne parliamo con Jean-Pierre Knaepenbergh, ricercatore dell’Università di Lovanio, e con Liliane Lemauvais, responsabile
per gli enti locali del sindacato vallone CGSP.
Il Belgio rappresenta un caso particolarmente raro, in cui si è
passati da uno Stato unitario, fortemente accentrato, a uno federale, basato su un ampio decentramento.
Tutto ciò, invece di determinare un nuovo equilibrio ha spinto il paese sull’orlo del collasso. Recentemente c’è voluto un
anno e mezzo per formare un nuovo governo, e lo spettro della
separazione è sempre presente 2. Nel 1996, per la prima volta fu
2
Affidato al fiammingo Cristiano-democratico Herman Van Rompuy dopo
le dimissioni di Yves Leterme a causa dello scandalo Fortis, il nuovo esecutivo
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apertamente evocata la dissoluzione della nazione Belgio. Fu il
maggior quotidiano (francofono) del paese, «Le Soir», a titolare
Requiem per il Belgio? e il capogruppo socialista alla Camera
Claude Eerdekens parlò di una possibile riunificazione della
Vallonia con la Francia, in caso di spaccatura del paese.
Il federalismo belga è il punto di arrivo di riforme istituzionali
che sono state realizzate in modo effettivo dal 1970, ma le cui
origini lontane sono più antiche dello stesso Stato belga.
La nazione belga, nel 1830, si costruì sia contro i Paesi Bassi sia
contro la Francia. O, meglio, il Belgio, per metà Francia e per metà
Paesi Bassi, si differenziava sia dall’una che dagli altri. Dalla
Francia per la storia (fiamminga) e per l’identità (borgognona); dai
Paesi Bassi per la religione (cattolica) e per la lingua (francese).
«I conflitti etnici, che in Belgio sono stati certo intensi ma
pacifici – ci dice Jean-Pierre Knaepenbergh – hanno una radice
linguistica: la maggioranza della popolazione parla fiammingo
ma la lingua ufficiale era, nell’Ottocento, il francese. Le richieste etniche e le strategie di gestione del conflitto inizialmente
non erano territoriali, ma pian piano hanno assunto un aspetto
territoriale. Il fatto che coloro che parlavano fiammingo o francese fossero confinati in aree territoriali delimitate, ha facilitato
questa evoluzione. Alla fine i conflitti etnici hanno anche
assunto una dimensione socio-economica. L’enfatizzazione territoriale nelle politiche etnico-linguistiche ha reso più facile e,
anzi, incrementato, l’emergere di un nazionalismo etnico-economico. Ciascuna delle due forme di nazionalismo chiedeva un
tipo diverso di insediamento territoriale. Questo ha reso la sfida
etnica ambivalente almeno in due modi. Primo: la lingua e gli
interessi socio-economici sono stati trattati come criteri separati nel disegnare e ridisegnare i confini. Quale doveva avere la
priorità? Secondo: tra i due criteri vi era più di qualche contraddizione. Era la soluzione territoriale realmente la migliore scelta
per la gestione del conflitto etnico in Belgio o proprio la natura
etnica del conflitto chiedeva una soluzione non territoriale?»
comprende cinque partiti: i Cristiano-democratici fiamminghi, quelli francofoni, i Liberali fiamminghi, quelli francofoni, e i Socialisti della Vallonia del Sud.
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Tutto questo non spiega ancora la trasformazione del Belgio
in Stato federale, ossia in uno Stato nel quale una parte del potere legislativo e del potere esecutivo è affidato a entità federate
che portano avanti ognuna la propria politica in una parte determinata del paese. Una delle caratteristiche del federalismo belga
è la sua fondazione sulla base di differenziazioni interne (e non
su quella dell’unificazione di Stati inizialmente indipendenti), il
cui sviluppo deriva da un lungo periodo in cui si sono innanzitutto regolate le questioni linguistiche.
«Il passaggio al federalismo risponde in primo luogo a due
rivendicazioni – osserva Liliane Lemauvais –. Da parte dei fiamminghi, c’era la volontà di realizzare una politica autonoma,
nelle Fiandre come a Bruxelles, nei campi legati alla lingua: cultura, vita associativa, insegnamento, aiuto alle persone. Da parte
dei valloni, l’obiettivo era di reagire alla nuova situazione nella
quale si era trovata la Vallonia a partire dagli anni Sessanta.
Fino a quel momento la Vallonia era stata la prima regione industriale del paese. Poi perse la sua posizione dominante rispetto
alle Fiandre, nel momento in cui le tensioni linguistiche si fecero più rilevanti e quando il mondo politico fiammingo dette
impulso, su scala nazionale, a politiche economiche che, agli
occhi di molti valloni, favorivano le sole Fiandre. In seno al
movimento vallone, cresciuto nel XX secolo, si determinò, così,
la volontà di vedere la Vallonia dotata di istituzioni autonome,
al fine di portare avanti una propria politica economica e sociale: quelle che allora vennero definite, in una delle componenti
sindacali del movimento, ‘riforme di struttura’. Parallelamente a
queste rivendicazioni federaliste si manifestava anche, a favore
dell’unità del paese, un forte movimento d’opinione che, per
metterlo al riparo dalle mire federaliste, propugnava un adeguamento delle strutture dello Stato capace di istituzionalizzare un
equilibrio efficace tra le due grandi comunità.»
Queste tre rivendicazioni – due federaliste e una unitaria –
sono all’origine della struttura complessa del federalismo belga e
ne spiegano una delle singolarità: esistono in Belgio due tipi di
entità federate, ognuna delle quali comprende l’insieme del
paese e condivide, con l’autorità federale, il potere legislativo e
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le prerogative che ne derivano. Da un lato tre Comunità (fiamminga, francese e germanofona), con compiti di politica ‘immateriale’: insegnamento, cultura, sport, lingua, politica sociale e
sanità (esclusa la previdenza sociale). Dall’altro lato tre Regioni
(fiamminga, vallona e di Bruxelles), incaricate della politica
‘materiale’: economia, alloggio, trasporto, piano di sviluppo territoriale, politica ambientale.
Con l’aspetto particolare che, a Bruxelles, le due grandi
Comunità portano avanti ognuna la propria politica, offrendo
scuole e servizi in olandese o in francese, mentre un’istituzione
specifica organizza o finanzia i servizi nelle due lingue. Questo
complesso sistema, che risponde alle aspettative degli uni e degli
altri, potrebbe essere stabile, se non fosse per diversi fattori che
incentivano evoluzioni più profonde.
Dal regionalismo al federalismo
La Stato unitario belga ha resistito alle pressioni etniche sino al
1970, quando il governo ha dichiarò dinanzi al Parlamento che
«lo Stato unitario, la sua struttura ed il suo funzionamento sono
diventati oramai obsoleti». La riforma si è realizzata in tre tappe:
nel 1970 è stata riconosciuta costituzionalmente l’esistenza di
differenze territoriali, di identità culturali, del diritto alla autonomia; nel 1980, lo Stato è stato regionalizzato. Nel 1989 è iniziato un processo di federalizzazione che si è concretizzato nel
1993 e si è rafforzato nel 2001.
«Con la riforma costituzionale del maggio 1993 il Belgio è
diventato de jure uno Stato federale. La revisione costituzionale
– ci dice Jean-Pierre Knaepenbergh – ha messo in campo una
panoplia di istituzioni e meccanismi tipici di una moderna federazione: l’elezione diretta dei consigli regionali, un Senato federale, il federalismo fiscale (cambiamento nei meccanismi di
finanziamento e maggiore autonomia fiscale), l’autonomia costituzionale per ogni livello, meccanismi di coordinamento e di
risoluzione dei conflitti. Il modello di federalismo è particolare
perché è la sovrapposizione di due federalismi.»
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Come abbiamo detto prima esistono, infatti, due specie di
poteri federati: le Comunità e le Regioni.
«Sì, ci sono tre Comunità che si dividono l’insieme del territorio per l’esercizio di certe competenze – continua Knaepenbergh – e ci sono anche tre Regioni che si dividono ugualmente
l’insieme del territorio per l’esercizio di altre competenze.
Questo è lo schema-base del federalismo belga. Nella realtà istituzionale, la cosa è un po’ più complessa, in ragione di certe
interferenze tra Regioni e Comunità. Le diverse ondate di riforme sono consistite nella creazione di nuove istituzioni o nella
trasformazione di istituzioni esistenti; quasi mai, quello che era
stato creato è stato soppresso. Al termine di queste riforme, il
Belgio federale comprende le seguenti istituzioni: sull’insieme
del territorio, uno Stato federale, con un parlamento bicamerale (Camera e Senato), un governo federale, un Capo dello Stato,
e un sistema giurisdizionale unitario. Nel Nord del paese, la
Comunità fiamminga, con un consiglio eletto e un governo.
Questa Comunità esercita al tempo stesso le competenze delle
Comunità (cultura, materie personalizzabili, istruzione e uso
delle lingue), e le competenze regionali (gestione delle condizioni di vita, economia, lavori pubblici e comunicazioni, controllo dell’amministrazione locale). In quanto Comunità, essa
esercita anche alcune competenze a Bruxelles.
«Al centro, la regione di Bruxelles, con un’assemblea eletta e
un governo, la quale esercita le competenze regionali. Le sue
istituzioni sono molto complesse. Nel Sud del paese lo stesso
vale per la Regione vallona, che ha un consiglio eletto e un
governo. Sempre al Sud, come a Bruxelles, la Comunità vallona
esercita le competenze comunitarie. La sua assemblea è composta dai membri del consiglio regionale vallone e da alcuni membri del consiglio della regione di Bruxelles. Infine, all’estremo
orientale, la Comunità di lingua tedesca, che ha un consiglio
eletto e un governo, esercita le competenze comunitarie, come
pure alcune competenze regionali che le sono trasferite dalla
Regione vallona. Tutte queste istituzioni hanno un potere legislativo esclusivo nel loro dominio di competenza, e questi poteri
legislativi sono tutti di pari valore giuridico. Se esiste una conS T A T O
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traddizione fra una legge federale e un decreto regionale o comunitario, vuol dire che uno dei poteri legislativi ha oltrepassato la
sua competenza.
«Una giurisdizione speciale è affidata alla Corte costituzionale (inizialmente chiamata Court d’arbitrage) che è incaricata di
annullare gli atti legislativi con vizi di competenza. Nel 1993 il
sistema bicamerale è stato modificato: mentre, prima, le due
assemblee nazionali avevano una funzione simile e, malgrado un
modo di elezione diverso, una composizione molto simile, il
ruolo e la composizione del Senato sono stati profondamente
modificati.
«Il nuovo Senato è composto da diverse categorie di senatori, in modo che i diversi poteri – Stato, Comunità, Regioni –
siano rappresentati. Comprende, oltre a 40 membri eletti direttamente dalla popolazione, 10 membri del Consiglio fiammingo,
10 membri del consiglio della Comunità francese, un membro
del consiglio della Comunità di lingua tedesca, e 10 membri
eletti dall’insieme delle categorie precedenti. Diventa, così, non
un’assemblea rappresentativa degli enti federati, come accade
nella maggior parte dei Senati degli Stati federali (Senato americano, Consiglio degli Stati svizzero, Bundesrat tedesco), ma
un’assemblea rappresentativa dell’insieme dei poteri pubblici,
Stato federale compreso. Anche il suo ruolo è cambiato. Per rendersene conto, bisogna distinguere, nel nuovo diritto pubblico
belga, tre specie di leggi:
a.) le leggi votate a maggioranza speciale: queste attualmente devono essere adottate, tanto alla Camera che al Senato, da
una maggioranza all’interno di ogni gruppo linguistico (francese
e fiammingo), e, inoltre, da una maggioranza dei due terzi dei
voti, calcolata sull’insieme dell’assemblea. Queste leggi sono
principalmente quelle che stabiliscono lo statuto delle Comunità e delle Regioni, e alcuni equilibri delicati tra francofoni e
fiamminghi;
b.) le leggi bicamerali che devono essere adottate dalle due
assemblee su un piano di uguaglianza; si tratta principalmente
delle leggi che riguardano le relazioni internazionali e lo statuto
delle giurisdizioni. Si deve notare, qui, che tutto quello che
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riguarda le giurisdizioni è rimasto federale, tanto per le giurisdizioni ordinarie che per le giurisdizioni amministrative;
c.) le leggi ordinarie: per le altre leggi, il sistema bicamerale è stato interamente rimodellato, ed è adesso organizzato sul
modello del potere legislativo della Quinta Repubblica francese:
un progetto di legge è di regola votato prima dalla Camera, e poi
è trasmesso al Senato. Quest’ultimo non è obbligato ad esaminare il progetto, se non quando 15 senatori lo richiedano, altrimenti il progetto è trasmesso al re per essere approvato. Con il
che il procedimento legislativo si conclude. Se almeno 15 senatori ne fanno richiesta, il Senato esamina il progetto, e lo può
modificare. Se non lo modifica, la procedura parlamentare si
conclude e il progetto può ricevere la sanzione regia. Se, invece,
il Senato modifica il progetto, questo è rimandato alla Camera,
la quale lo adotta definitivamente, sia nella stessa forma in cui
l’aveva adottato inizialmente, sia accogliendo, in tutto o in
parte, le modifiche approvate dal Senato.»
«In una serie di materie – ci spiega, da parte sua, Liliane
Lemauvais – e segnatamente in quelle che riguardano la cultura
e certi aspetti dell’uso delle lingue, la competenza dello Stato è
stata trasferita alle Comunità nel 1970. Le competenze delle
Comunità si sono allargate nel 1980, ad esse essendosi aggiunte
alcune competenze in materia sociale. Si tratta delle materie
che, nel gergo giuridico belga, si usa denominare ‘personalizzabili’, traduzione imperfetta di una espressione fiamminga che
significa ‘legate alla persona’. Per semplificare al massimo, si
tratta di un insieme di materie nelle quali deve necessariamente
stabilirsi un rapporto diretto fra l’amministrato e il servizio pubblico. Un esempio tipico è rappresentato dalla sanità pubblica: il
malato e il medico devono necessariamente incontrarsi.
L’attribuzione di queste materie personalizzabili alle Comunità è
strettamente legata alla situazione esistente a Bruxelles, dove la
maggioranza della popolazione è di lingua francese e i fiamminghi rappresentano circa il 17% della popolazione belga della
capitale (prescindendo, dunque, da circa 270.000 stranieri i
quali, nella stragrande maggioranza, utilizzano il francese nei
loro rapporti con l’amministrazione).
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«A torto o a ragione, i fiamminghi avevano frequentemente
l’impressione – quando andavano, per esempio, in ospedale – che
i medici e il resto del personale li capissero male. Le materie ‘personalizzabili’ hanno il fine di permettere alla comunità fiamminga di creare delle istituzioni organizzate in modo tale da accogliere gli amministrati nella loro lingua: in un ospedale, per restare
all’esempio, i malati fiamminghi saranno accolti da personale che
parla la loro lingua. Occorre precisare bene: non si tratta di riservare l’uso di certi servizi ai membri dell’una o dell’altra comunità; nessun ospedale può, infatti, rifiutare di curare le persone che
non parlano la lingua utilizzata nell’ospedale. Ognuno, qualunque ne sia la lingua, può andare a farsi curare dove vuole. Ma, nei
servizi organizzati o finanziati dalla Comunità fiamminga, le persone saranno accolte da medici per cui il fiammingo è la prima
lingua, e, in modo più generale, l’‘ambiente’ sarà fiammingo;
nella biblioteca destinata ai malati dell’ospedale, per esempio, ci
sarà una maggiore scelta di libri fiamminghi.
«Questa organizzazione di servizi specificamente orientati
verso l’una o l’altra comunità va di pari passo con l’uniformità
delle prestazioni fornite. Gli autori della riforma hanno voluto a
ogni costo evitare che potesse esserci una concorrenza fra i servizi forniti in francese e in fiammingo. Nessuno deve avere interesse ad andare in un servizio gestito in una lingua piuttosto che
nell’altra. Così la competenza attribuita alle Comunità, che è
una competenza legislativa, è in fin dei conti piuttosto limitata.
La legge la regola in modo particolarmente complesso, perché a
ogni competenza generale riserva delle eccezioni il cui scopo è di
assicurare che le prestazioni siano identiche qualunque sia la
Comunità. Nel 1989 le Comunità hanno ricevuto piena competenza in materia d’insegnamento, ereditando al tempo stesso la
totalità degli istituti scolastici di ogni livello, i quali appartenevano allo Stato. Sul piano territoriale, la competenza delle
Comunità è determinata con riferimento alle regioni linguistiche fissate nel 1963, che sono quattro: la regione di lingua francese, nella quale la Comunità francese esercita la maggior parte
delle sue competenze, la regione di lingua fiamminga, la regione
di lingua tedesca, e la regione bilingue di Bruxelles capitale,
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dove le Comunità francese e fiamminga esercitano simultaneamente alcune delle loro competenze.»
«Le competenze delle Regioni – continua Liliane Lemauvais
– sono enumerate dalla legge in modo ancora più complesso.
Per elaborare la legge che fissa le competenze, il legislatore ha
steso una specie d’inventario di tutto quello che lo Stato faceva, e ha individuato, in tale enorme insieme di competenze,
quelle che avrebbe attribuito alle Regioni. E lo ha fatto, talvolta riferendosi a legislazioni, o riprendendo il titolo di alcune
discipline legislative, talvolta riferendosi alle attribuzioni di
certi servizi amministrativi.
«Complessivamente, le materie ‘regionalizzate’ possono
ricondursi a tre grandi gruppi: la gestione delle ‘condizioni di
vita’ (urbanistica, ambiente, casa); l’economia regionale, i lavori pubblici e le comunicazioni; il controllo dell’amministrazione
pubblica locale, come anche il finanziamento degli enti locali.
«Le Regioni e le Comunità hanno un’assemblea legislativa – il
Parlamento regionale o comunitario – e un potere esecutivo, il
governo. Elezioni dirette sono organizzate ogni cinque anni, contemporaneamente alle elezioni europee, per la formazione dei
Parlamenti regionali e per quella della Comunità germanofona. Il
Parlamento della Comunità francese è formato dalla riunione dei
membri del Parlamento regionale vallone e di una parte dei membri francofoni del Parlamento regionale di Bruxelles.
«Al Nord del paese esiste una larga concordanza fra il territorio della Regione fiamminga e quello in cui la Comunità fiamminga è titolare di competenze. La distinzione fra Regione e
Comunità non risponde a un bisogno reale, tanto che gli uomini politici fiamminghi non pensavano di distinguere le due istituzioni. Si è resa possibile, così, una semplificazione istituzionale. La Regione fiamminga esiste, ma non ha istituzioni proprie:
sono le istituzioni della Comunità fiamminga ad esercitare le
competenze della Regione, con qualche particolarità di funzionamento. Vale a dire che l’esistenza della Regione fiamminga è
puramente simbolica; essa non corrisponde ad alcuna realtà
politica. Esiste soltanto la Comunità, che cumula le sue attribuzioni (cioè: le attribuzioni comunitarie) con le attribuzioni
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regionali. Quando le Comunità adottano regole in materia di
uso delle lingue, esse si applicano unicamente nella regione linguistica corrispondente, ancorché non in tutto il suo territorio.
«Sulla frontiera fra le regioni linguistiche, nella Regione di
lingua tedesca, così come intorno alla Regione bilingue di
Bruxelles, esistono una serie di Comuni nei quali l’amministrazione fa normalmente uso della lingua della Regione, ma dove
gli amministrati possono ottenere qualunque documento nell’altra lingua. Sono i cosiddetti ‘Comuni con facilitazioni’: facilitazioni linguistiche sono accordate in materia amministrativa agli
abitanti che non parlano la lingua della Regione. In tali
Comuni, le Comunità non hanno alcun potere in materia di uso
delle lingue. L’uso delle lingue, infatti, è esclusivamente regolato dalla legge nazionale, adottata a maggioranza speciale.
Quando le Comunità esercitano le loro competenze nelle materie culturali o nelle materie personalizzabili, i loro decreti e regolamenti si applicano in tutta la regione linguistica corrispondente, e, inoltre, in alcune istituzioni di Bruxelles, quelle che
appartengono ‘esclusivamente’ ad una delle due comunità.
«Come sapere se una istituzione appartiene esclusivamente a
una comunità? Bisogna distinguere, a seconda che si tratti di materie culturali o di materie personalizzabili. Per le materie culturali,
l’attività dell’istituzione è determinante. Il fatto è che la maggior
parte delle istituzioni culturali di Bruxelles sono unilingui: le scuole sono francesi o fiamminghe, ma mai francesi e fiamminghe; i
teatri danno rappresentazioni in una sola lingua, ecc.
«Esistono tuttavia istituzioni culturali che non appartengono
esclusivamente ad una Comunità. Al teatro lirico, per esempio,
si canta più in italiano e in tedesco che in francese, per non parlare del fiammingo; alcune scuole internazionali, o europee,
sono ugualmente sovvenzionate dai poteri pubblici. Per tali istituzioni, lo Stato è rimasto competente qualora sia necessario
legiferare o sovvenzionare. Per le materie ‘personalizzabili’, il criterio del tipo di attività è apparso inadeguato per determinare
l’appartenenza delle istituzioni a una Comunità. Abbiamo già
visto, infatti, che gli ospedali curano qualunque persona si presenti, quale che ne sia la lingua. È la ragione per cui si è dovuto
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individuare un altro criterio: quello dell’organizzazione, che
trova particolare applicazione negli ospedali, e, più particolarmente, negli ospedali universitari. A Bruxelles tre ospedali
appartengono a Università, due a Università di lingua francese,
e uno a un’Università di lingua fiamminga. Questo legame con
un istituto d’istruzione appartenente a una Comunità ricollega
l’ospedale a quella stessa Comunità, non in ragione delle sua
attività, ma della sua organizzazione. La configurazione delle istituzioni è, globalmente, restata invariata dal 1990.»
Il federalismo fiscale
Come si applica il federalismo fiscale in Belgio? Ci risponde
Jean-Pierre Knaepenbergh:
«La Costituzione belga dedica un’apposita parte, il Titolo V
Art. 116, alle disposizioni concernenti le finanze dello Stato. Il
modello di federalismo fiscale deve riprodurre quelli che sono i
principi peculiari del federalismo politico: l’autonomia delle differenti componenti dello Stato, l’uguaglianza e la partecipazione
delle entità federate al livello dell’autorità federale. Ciò significa
che l’applicazione del modello federale in campo fiscale deve trovare il giusto equilibrio fra autonomia dei diversi livelli di governo e unità dello Stato. La Costituzione prevede, tra i principi fon3
«L’introduzione di tale principio – dice Knaepenbergh – è particolarmente
importante e significativa poiché ne consegue un cambiamento del criterio di
attribuzione delle competenze di spesa tra Stato federale e Autorità locali federate. In questo modo le competenze delle Autorità locali federate si estendono, oltre
che nell’ambito delle materie espressamente assegnate, anche in quello delle
cosiddette competenze residuali. Il finanziamento dei diversi livelli di governo,
anch’esso caratterizzato dopo la riforma dal passaggio da un modello accentrato a
uno decentrato, si basa sull’eliminazione dei trasferimenti dallo Stato centrale e
sull’attribuzione di risorse proprie, con eventuali meccanismi di perequazione
finanziaria laddove si manifesti il rischio di marcate differenze di capacità fiscale.
Pertanto, l’obiettivo del raggiungimento di un punto di equilibrio fra autonomia
delle Autorità locali federate e unione della Federazione è perseguito mediante il
ricorso anche a strumenti correttivi quali i meccanismi di cooperazione e solidarietà finanziaria.»
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danti dello Stato federale belga, il principio della sussidiarietà 3. In
base a questo criterio, dopo l’ultima riforma costituzionale in
materia di ripartizione delle competenze di spesa tra Stato federale e Autonomie di governo, si assiste a una devoluzione di competenze verso il basso, nel senso che lo Stato federale si occuperà
solo delle materie che gli sono direttamente attribuite dal dettato
costituzionale o da leggi speciali, mentre le Autorità federate eserciteranno tutte le competenze espressamente assegnate dalla
Costituzione, nonché le competenze residuali.
«La Costituzione belga sancisce che spetta a una legge votata
a maggioranza speciale la disciplina del finanziamento dei diversi
livelli di governo facenti parte della Federazione. La legge speciale di finanziamento del gennaio 1989, modificata in seguito dalla
legge speciale del luglio 1993 e, da ultimo, dalla legge speciale del
luglio 2001, fissa i principi di base della responsabilità e dell’autonomia finanziaria delle entità federate. Il principio della responsabilità finanziaria implica l’allocazione del gettito delle imposte
sulle persone fisiche, dell’imposta sul valore aggiunto e del canone radiotelevisivo tra le diverse Autorità federate.
«Il principio dell’autonomia finanziaria conferisce alle entità
federate la massima libertà per ciò che concerne il proprio bilancio. L’Autorità federata, per svolgere in modo efficiente le proprie competenze, deve essere dotata di risorse proprie sufficienti
e adeguate all’espletamento delle proprie funzioni.»
A proposito delle fonti di finanziamento dei diversi livelli di
governo, «il sistema di finanziamento ha visto, in seguito alla
riforma in senso federale dello Stato belga, il passaggio da un
modello fortemente accentrato a uno decentrato – precisa
Knaepenbergh – e il nuovo sistema di finanziamento si basa su
entrate proprie, con la possibilità di dare attuazione, in virtù del
livellamento delle differenze di capacità fiscale, a diversi meccanismi di perequazione finanziaria. Tra gli strumenti di finanziamento delle Autorità federate, rientra una particolare categoria
di risorse, ovvero le ‘imposte ripartite’. Lo Stato federale, attraverso il meccanismo delle ‘imposte ripartite’, effettua una suddivisione delle entrate fiscali nazionali prevedendo una redistribuzione tra le Autorità federate. La ripartizione, effettuata su due
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livelli, prevede un’assegnazione ‘verticale’ dell’imposta fra le
diverse Autorità federate e un’assegnazione ‘orizzontale’, vale a
dire un’ulteriore suddivisione della quota fra le Autorità federate dello stesso livello. Le ‘imposte ripartite’ di cui beneficia la
Comunità sono l’imposta sulle persone fisiche, l’imposta sul
valore aggiunto e il canone radiotelevisivo.
«Per ciò che concerne quest’ultima imposta, si prevede che la
localizzazione del canone radiotelevisivo è stabilita nel luogo in
cui la televisione si trova.
«Per ciò che concerne le Regioni, sempre nell’ambito delle
imposte ripartite, va rilevato che è presente la sola imposta sulle
persone fisiche. Quanto alle imposte regionali, l’Art. 3 della
legge speciale sul finanziamento prevede l’imposta sulle scommesse e sul gioco d’azzardo, l’imposta sulle slot machine, il permesso di vendita sulle bevande da consumarsi al di fuori dell’esercizio, le imposte di successione, l’imposta sul valore stimato
della proprietà, le imposte di registrazione sul trasferimento dei
beni immobili, l’imposta sui veicoli a motore, le ‘ecotasse’. La
ratio delle imposte ripartite risiede nel fatto che attraverso questo strumento le Autorità locali federate sono in grado di adempiere efficacemente alle proprie funzioni perché sono dotate dei
mezzi necessari a coprire i relativi bisogni finanziari.
«Tuttavia le ‘imposte ripartite’ risultano essere sempre imposte nazionali, trasferite dal livello centrale ai livelli decentrati al
fine di consentire a questi ultimi di far fronte alle spese essenziali. Pertanto, l’attuazione di un federalismo fiscale effettivo è
dato dall’incremento dell’autonomia finanziaria degli enti locali, cioè dalla capacità di finanziare con risorse proprie le spese
relative all’espletamento dei propri compiti.
«L’autonomia fiscale delle Comunità e delle Regioni risiede
nelle risorse proprie. Il potere fiscale autonomo delle Comunità
e delle Regioni è stabilito dalla stessa Costituzione, poiché è
conferito alle Autorità federate il potere di stabilire una nuova
imposta attraverso lo strumento del decreto o dell’ordinanza,
nonché la possibilità di imporre una tassa in cambio di certe prestazioni di servizio pubblico o di stabilire un’imposta in favore di
un’altra Autorità.
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«La legge speciale relativa al finanziamento delle Comunità e
delle Regioni proibisce categoricamente la possibilità di stabilire
imposte nelle materie che rientrano nell’ambito delle competenze di
imposizione statale. Ne consegue che il modello di federalismo fiscale belga esclude qualsiasi possibilità di stabilire imposte ‘concorrenti’.
«In questo campo ci sono state recenti variazioni legislative.
La nuova legge speciale sul finanziamento, del 13 luglio 2001,
amplia l’autonomia finanziaria delle Comunità e delle Regioni
rispetto alla disciplina precedente. In tal senso, la nuova legge
introduce nuove imposte proprie regionali, disciplina in modo
più dettagliato alcune imposte già esistenti e amplia le risorse
destinate alla Comunità.
«In sintesi, si può affermare che la revisione della Costituzione belga ha avuto un impatto significativo sul fronte finanziario.
Nell’ordinamento belga il riparto finanziario e le politiche redistributive sono rimesse alla cosiddetta legislazione speciale sulla
base di principi sanciti direttamente dalla Costituzione. In tal
senso è stabilito che nessuna imposta a favore dello Stato può
essere decisa se non in forza di una legge federale. Le imposte a
favore dello Stato, delle Comunità e delle Regioni sono votate
annualmente. Per ciò che concerne le risorse finanziarie di
Comuni e Province va notato come la prima fonte di finanziamento sia costituita dalle entrate fiscali.»
La base dell’autonomia fiscale dei Comuni e delle Province
risiede dunque nella Costituzione belga. I Consigli comunali e
provinciali hanno il compito di prendere l’iniziativa e di determinare la base imponibile e l’aliquota che intendono applicare
alle loro popolazioni. Particolarmente rilevanti, quanto all’ammontare, sono alcune imposte addizionali, tra cui:
- l’addizionale all’imposta immobiliare, percepita da
Comuni e Province per cui rappresenta la principale entrata
fiscale;
- l’addizionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche, una percentuale dell’imposta dovuta allo Stato federale
riscossa dai Comuni;
- la decima addizionale all’imposta di circolazione dei
veicoli automobilistici.
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QUALE STATO
I Comuni e le Province possono introdurre sia imposte proprie che canoni, tra cui le imposte sulle prestazioni amministrative, sull’energia, sulle prestazioni di igiene pubblica, sulle
imprese industriali, commerciali e agricole, sullo spettacolo e
sugli svaghi, i canoni per l’occupazione del dominio pubblico e
le imposte sul patrimonio. I Comuni e le Province possono
determinare liberamente l’entità di tutte le loro imposte, ad
eccezione della decima addizionale sull’imposta di circolazione
dei veicoli automobilistici.
Le Regioni possono introdurre limiti ai margini di manovra
nella fissazione delle aliquote. Infine, i Comuni e le Province
dispongono di risorse trasferite dalle Regioni e dallo Stato
federale.
Ma che cosa succede se si apre un conflitto sui meccanismi di
finanziamento federale?
«Il modello di federalismo fiscale – risponde Knaepenbergh –
è caratterizzato dalla ricerca di un punto di equilibrio fra due fattori a volte confliggenti: la piena autonomia delle Autorità locali federate e l’unione della Federazione. Il raggiungimento di tale
obiettivo è reso possibile dall’uso di particolari strumenti, quali i
meccanismi di cooperazione e di solidarietà.
«Attraverso meccanismi di perequazione finanziaria è possibile introdurre un certo grado di solidarietà fra tutti i livelli di
governo. Esaminando il regime di finanziamento delle Comunità e delle Regioni è possibile riscontrare diversi elementi di perequazione finanziaria, posto che in un sistema basato sul principio dell’autonomia e della responsabilità finanziaria tali elementi rivestono un ruolo secondario. I meccanismi di coordinamento, al fine di evitare un accentramento eccessivo dei poteri
finanziari a livello federale, si fondano su una permanente concertazione fra l’Autorità federale e le Autorità federali locali.
«Tali meccanismi di coordinamento si riscontrano in due
settori particolari: le politiche fiscali e le politiche di finanziamento, a livello sia federale che federato. L’accordo sulle politiche di bilancio riguarda principalmente i deficit, il relativo
finanziamento e l’indebitamento dei diversi livelli di governo.
La necessità di intervenire con meccanismi di coordinamento
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nell’ambito dei deficit di bilancio, del relativo finanziamento e
dell’indebitamento delle Autorità locali federate scaturisce da
un serie di importanti motivazioni. Il cospicuo deficit – con
conseguente perdita di controllo del debito – di un’Autorità
locale federata comporta rischi di solvibilità non indifferenti.
Tutto ciò a detrimento della stabilità dell’unione economica e
monetaria del Belgio. In tal senso, è importante segnalare che
il rispetto dei limiti al tetto del deficit e al debito pubblico fissati dal Trattato di Maastricht è possibile mediante una disciplina di bilancio collettiva che comporta un obiettivo specifico per ogni potere.»
La crisi del federalismo
«Questa panoramica sulle istituzioni belghe può dare l’impressione di una paurosa complessità – riconosce Knaepenbergh –
come se ci si fosse applicati a moltiplicare e sovrapporre le strutture politiche. Non si può certo negare che si tratti di istituzioni particolarmente complesse. Però, in compenso, la loro messa
in opera progressiva – che è stata oggetto di numerosissime
messe a punto politico-istituzionali nel corso di più di trentacinque anni – ha permesso a gruppi di popolazione diversi di coesistere senza conflitti sul territorio belga.
«Il grande merito della modalità belga di risolvere i conflitti
comunitari consiste nel suo carattere pacifico. Naturalmente ci
sono state manifestazioni, soprattutto negli anni Sessanta (cioè
prima delle riforme), c’è stato qualche vetro rotto, ma quasi mai
scontri violenti. Quando si constata quanto sia difficile, altrove,
far vivere insieme gruppi le cui differenze sono meno importanti di quelle che separano i francofoni dai fiamminghi, non può
non riconoscersi il grande merito del Belgio. Il rimprovero principale che si può muovere alle istituzioni belghe consiste nel
fatto che i cittadini rischiano di non riuscire a comprendere
bene le complesse modalità istituzionali con le quali il loro paese
è governato, sicché esiste davvero il rischio di un allontanamento dalla politica, o di simpatie verso partiti estremisti che
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QUALE STATO
rifiutano in blocco questo complesso sistema istituzionale come
le istituzioni democratiche nel loro complesso.
«Non bisogna né sottovalutare questo rischio, né sopravvalutarlo. Se non verranno modificate troppo frequentemente, queste istituzioni finiranno per essere conosciute dai cittadini, per lo
meno nelle loro grandi linee. D’altra parte, il legislatore ha realizzato una certa capacità che merita di essere riconosciuta: l’avere concepito e messo in opera qualcosa di coerente – o quasi –
che corrisponde ad aspirazioni relativamente divergenti. Tutto il
processo delle riforme istituzionali che ha dato luogo a questa
struttura complessa, è stato concepito e realizzato secondo il criterio della composizione dei conflitti che è frequentemente applicato da noi, anche in altre materie. E consiste, prima di tutto, nel
negoziare tra forze avversarie, dando, in questi negoziati, un po’
di soddisfazione a tutte le parti, senza che ci sia mai una vittoria
strepitosa o una disfatta clamorosa da parte di nessuno.
«Per i paesi che hanno la difficoltà di far convivere gruppi di
popolazione diversi su uno stesso territorio, sembra certo che le
istituzioni belghe non possano considerarsi un modello esportabile, perché esse sono state interamente concepite per rispondere a bisogni specifici, che non si riscontrano altrove. Esse sono
un vestito su misura; ma le istituzioni pubbliche devono essere
sempre dei vestiti su misura – conclude Jean-Pierre Knaepenbergh – adatti alle caratteristiche di ogni paese. Al contrario, il
modo di arrivarci – il ‘modello belga’ di negoziato tramite la
discussione, senza violenza e senza indietreggiare davanti a una
complessità straordinaria – potrebbe (questo sì) essere applicato
altrove con vantaggio.»
A differenza delle tre riforme precedenti, la riforma del 1993
fu presentata come la soluzione finale dei conflitti etnici. Ma i
politici non si sono fermati e hanno continuato a chiedere una
ulteriore devolution, fino a non escludere una piena indipendenza. In particolare i politici fiamminghi, di destra e di centrodestra, hanno continuato a proporre il separatismo come una
opzione praticabile.
«La configurazione del quadro istituzionale riflette in Belgio
il modello del federalismo cooperativo – afferma Lemauvais –
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inteso come associazione di soggetti pubblici che ai vari livelli
accettano di cooperare, in modo paritario, per la realizzazione
di un’azione comune. Entro questo quadro unitario esistono
competenze riservate alle Regioni confederate (economia e
politica, trasporti, relazioni internazionali), alle Comunità
(educazione e solidarietà sociale nelle rispettive regioni di
competenza) e allo Stato federale (linee guida dell’economia,
della previdenza sociale, dell’educazione, del fisco, delle relazioni diplomatiche, e competenze esclusive per la ricerca scientifica e per le forze armate).
«È evidente, però – e la crisi attuale l’ha reso palese –, che
occorre una precisa volontà dei soggetti politici di rendere effettiva la formula del federalismo cooperativo, e che occorre che la
maggioranza non cerchi di imporre attraverso il diritto le proprie
convinzioni in materia di morale, di vita sociale ed economica».
«Il federalismo è, prima di tutto, una questione di mentalità
e di riconoscimento che diverse sensibilità possono coesistere (e
quindi coabitare) in uno stesso Stato – conferma Jean-Pierre
Knaepenbergh – e la riuscita del federalismo cooperativo dipende dunque dagli attori istituzionali, che, ottenuta l’autonomia,
non possono gestirla a lungo senza il reciproco riconoscimento e
senza la collaborazione degli altri soggetti. La crisi attuale è dunque dovuta al fatto che la complessa architettura del federalismo
belga sembra scricchiolare di fronte al radicalizzarsi delle logiche
etniche motivato dal diffuso senso di insicurezza sociale che ha
investito anche il Belgio. E alla rivendicazione fiamminga di una
sempre maggiore autonomia economica e fiscale.»
La crisi belga, dunque, ha raggiunto ormai una inedita gravità. Molti sono ormai convinti che la separazione delle Fiandre
dalla Vallonia sia l’unica soluzione praticabile, e prospettano un
esito simile a quello che ha conosciuto l’ex Cecoslovacchia, con
la nascita di due entità indipendenti, la Slovacchia e la
Repubblica Ceca.
In verità, le ricche Fiandre (6% di disoccupazione) sono
‘stanche’ di sussidiare con 5 miliardi di euro l’anno la Vallonia
(18% di disoccupazione), in profonda crisi da quando le miniere di carbone sono state chiuse e l’industria siderurgica è entraS T A T O
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ta in grandi difficoltà. E, dopo aver regionalizzato quasi tutto, ora
vogliono arrivare a controllare anche le politiche dell’immigrazione, fino alle regole di concessione di passaporti e della cittadinanza. È pur vero che, dopo il declino economico, la Vallonia,
ha accettato il facile baratto ‘più federalismo alle Fiandre in
cambio di più soldi ai valloni’.
Ci si può domandare quale lezione possa trarre l’Unione
Europea dalla situazione belga: l’ex primo ministro Wilfried
Martens ha detto a tale proposito che il Belgio «è il centro dell’Unione Europea. Come possiamo non pensare di dare un tale
cattivo esempio se decidessimo di dividerci?».
La situazione belga, infatti, interroga direttamente la natura
stessa dell’integrazione europea e il suo rapporto con il principio
di nazione. In questo senso, la crisi del Belgio è lo specchio della
crisi dell’UE, così come la faticosa costruzione di un’identità
federale belga fatta di una multilevel governance dei suoi diversi
fattori unitari, regionali e linguistici, presenta notevoli analogie
con la tortuosa vicenda del progetto europeo.
L’identità europea deve infatti fare i conti con uno strutturale elemento di artificialità, veicolato da élites e istituzioni sovranazionali, e con una difficile armonizzazione di elementi regionali, nazionali e cosmopolitici che richiama quella ‘civilizzazione internazionale’ nel cui quadro lo storico belga Henri Pirenne
vedeva la peculiarità del Belgio come ‘microcosmo dell’Europa’.
La formazione dell’Europa politica non estingue le identità
delle nazioni storiche europee, ma le costringe a definirsi. Si
tratta però di un processo complesso, tuttora in divenire, che
sta creando fratture e conflitti: ciò deriva dal fatto che
l’Europa come entità geopolitica unitaria rivela linee nazionali assai più tenaci di quanto non voglia ammettere la buona
volontà europeista.
Nell’attuale crisi del Belgio sembrano prefigurarsi i due possibili esiti del processo di integrazione europea: da un lato la dissoluzione del Belgio significherebbe la vittoria dell’Europa delle
‘piccole patrie’ e la rinuncia definitiva all’ambizione dei padri
fondatori di fare della Comunità un soggetto politico unitario.
La ricostruzione del patto costituzionale alla base del federalismo
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belga – nutrito di autonomie regionali ma anche di istituzioni e
strutture federali unitarie – rappresenterebbe invece la vittoria
di un ‘modello europeo’ in grado di preservare sia il principio di
solidarietà tra regioni che il rispetto delle differenze.
«Se nel destino del Belgio si rispecchia il destino dell’Europa
– osserva Liliane Lemauvais – è altresì vero che il Belgio può salvarsi solo in un’Europa che superi la logica delle ‘piccole patrie’
e dei risorgenti nazionalismi.» Secondo molti osservatori, il processo che si sta verificando in Belgio si inserisce in una più generale tendenza al regionalismo e al superamento degli Stati nazionali, che sarebbe la naturale conseguenza dell’integrazione europea: l’‘impero europeo’ dovrebbe portare alla progressiva disgregazione dei grandi Stati nazionali in favore di realtà più piccole
e omogenee, come le Fiandre, la Scozia, la Baviera.
La dissoluzione del Belgio sarebbe una sconfitta dell’Europa,
mentre una sua rifondazione sarebbe di buon auspicio per il cammino del progetto europeo.
«In ogni caso – conclude Liliane Lemauvais – sembra opportuno chiedersi, con Francis Delpérée, padre della riforma costituzionale belga: “E domani? verso quale destino il Belgio (o
l’Europa) può svilupparsi? Sarà capace di ritrovare un minimo di
unità, o è destinato a una separazione dolce?”» 4.
4
F. Delpérée, La Belgique fédérale, Bruylant, Bruxelles, 1994 (trad. it. a cura
di F. Delpérée, L’ordinamento federale belga, Giappichelli, 1996.
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