La pioggia nel pineto L`aquilone La cavallo storna

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La pioggia nel pineto L`aquilone La cavallo storna
Gabriele D'Annunzio La pioggia nel pineto
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La pioggia nel pineto
Il tema dominante della poesia è la ricerca della bellezza e la possibilità di esprimere e far
parlare il mondo delle sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti, il rifiuto della razionalità,
l’abbandono all’istinto e all’esperienza, attraverso una completa identificazione con la natura
che diventa amica, conforto, gioia e ci permette di godere delle sensazioni provate.
Il poeta dà un’immagine raffinatissima e suggestiva di un’atmosfera naturale espressa con una
struttura frammentaria dei versi e con la ripetizione di parole e di frasi e dal susseguirsi di
sensazioni uditive, visive, olfattive, tattili, ritmate dal ripetersi di due verbi chiave, “piove” e
“ascolta”, in cui però le sensazioni uditive prevalgono sulle altre. La poesia, infatti, è una
sinfonia musicale perché il poeta sceglie le parole non tanto per il loro significato quanto per il
loro suono (caratteristica tipica del decadentismo e di D’Annunzio in particolare), per creare la
suggestione di una musica.
Taci. Su le soglie
Non parlare. Ora che siamo all’inizio
del bosco non odo
del bosco non sento
parole che dici
umane; ma odo
più nessuna parola proveniente da
alcun essere umano
ma sento solo parole diverse,
parole più nuove
e migliori, pronunciate
che parlano gocciole e foglie
dalle gocce e dalle foglie
lontane.
Ascolta. Piove
in lontananza.
Ascolta e basta: piove
dalle nuvole sparse.
dalle nuvole sparpagliate nel cielo,
Piove su le tamerici
piove sulle tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
ricoperte dal sale del mare e seccate
dal sole estivo,
piove sui pini e sulle loro cortecce
scagliosi ed irti,
fatte a scaglie e sui loro aghi
piove su i mirti
appuntiti.
divini,
su le ginestre fulgenti
Piove sui mirti, piante sacre a Venere
(divini), e piove sulle ginestre che
sotto la pioggia risplendono.
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Gabriele D'Annunzio La pioggia nel pineto
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di fiori accolti,
Piove anche sui fiori ancora chiusi e
su i ginepri folti
sui ginepri folti che diffondono però un
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
dolce profumo.
Piove sui nostri volti, come se anche
silvani,
noi fossimo una parte di questo bosco
piove su le nostre mani
(silvestri)
ignude,
su i nostri vestimenti
piove
sulle
sui nostri vestiti leggeri ed estivi, e
piove addirittura
sui nostri pensieri,
su i freschi pensieri
rinfrescati dalla pioggia,
novella,
mani
nude,
leggieri,
che l’anima schiude
nostre
e l’anima si dischiude e rinasce sotto
la pioggia e ci rivela sogni nuovi che
in realtà,
su la favola bella
ieri come oggi, ci illudono e basta
che ieri
Ermione.
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
Lo senti? La pioggia cade
su la solitaria
sulle foglie solitarie e crea uno cigolio
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
che si diffonde in modo costante tutto
intorno e cambia solo a seconda di
quello che tocca, foglie più fitte o
meno fitte.
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
E ascolta:
il canto delle cicale,
al pianto il canto
delle cicale
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che il pianto australe
che non si spaventano con l’arrivo dei
non impaura,
venti australi e con il cielo grigio,
nè il ciel cinerino.
E il pino
sembra rispondere alla pioggia che
scende come un pianto. E il pino
ha un suono, e il mirto
ha un suono particolare, e anche il
altro suono, e il ginepro
mirto suona in un modo diverso sotto
altro ancóra, strumenti
diversi
l’acqua che cade, e così anche il
ginepro
e
tutte
le
altre
piante
sembrano come strumenti musicali
sotto innumerevoli dita.
diversi
E immersi
sembra avere un numero infinito di
noi siam nello spirto
silvestre,
suonati
dalla
del bosco, è come se la vita degli
alberi fosse anche la nostra vita,
perché
e il tuo volto ebro
il tuo volto è bagnato
come una foglia,
che
dita. E noi siamo immersi nello spirito
d’arborea vita viventi;
è molle di pioggia
pioggia
e inebriato
come una foglia e i tuoi capelli hanno
lo stesso profumo di quelle ginestre,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
anche se sei solo una creatura umana
mia Ermione.
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
E ti prego ascolta ancora il canto
accordato delle cicale che stanno sugli
alberi e che prima diminuisce e poi
a poco a poco
aumenta all’unisono quando aumenta
più sordo
anche la pioggia, ma arriva un altro
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si fa sotto il pianto
suono, più cupo, quello delle rane,
che cresce;
dalla parte di bosco che sembra più
ma un canto vi si mesce
una laguna paludosa
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
Si tratta di un suono più sordo e più
fastidioso ma anche questo aumenta
o diminuisce finché quasi non si sente
più.
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Non si sente, poi, nessun rumore
provenire
dal
mare,
si
sente
Or s’ode su tutta la fronda
solamente, su tutti i rami, scrosciare
Crosciare
la pioggia che pare colore di argento e
l’argentea pioggia
che monda,
che purifica, si sente il suo scroscio
che ancora continua a cambiare in
base al fogliame su cui cade.
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
Ascolta la cicala che adesso è muta
mentre la figlia del fango lontana,
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
la rana,
canta dove c’è più ombra,
in quella zona paludosa chissà dove.
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
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Gabriele D'Annunzio La pioggia nel pineto
E piove su le tue ciglia,
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E piove sulle tue ciglia, Ermione.
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sicché par tu pianga
Piove sulle tue ciglia e pare
che tu stia piangendo ma è un pianto
di piacere, e sembra che la tua pelle
ma di piacere; non bianca
non sia più bianca ma verde e mi pare
ma quasi fatta virente,
di vederti come una creatura nata
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
dalla corteccia di un albero.
E così tutta la nostra vita è profumata
aulente,
e fresca, (sembriamo anche noi un
il cuor nel petto è come pesca
bosco): i nostri cuori nel petto sono
intatta,
tra le palpebre gli occhi
come due pesche profumate e non
ancora colte,
le palpebre fra le tue ciglia sembrano
son come polle tra l’erbe,
le sorgenti d’acqua fra le zolle d’erba
i denti negli alveoli
e i denti e le gengive sembrano
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
mandorle
non
ancora
mature.
Andiamo fra i cespugli,
insieme o separati, e la forza intima,
or congiunti or disciolti
selvaggia degli alberi ci prende a sé
(e il verde vigor rude
stringendoci le caviglie e ci lega le
ci allaccia i malleoli
c’intrica i ginocchi)
ginocchia! Chissà dov’è tutto il resto,
dove siamo noi?
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
E piove ancora sui nostri volti che
silvani,
ormai sono un bosco, piove sulle
piove su le nostre mani
nostre mani nude,
ignude,
su i nostri vestimenti
sulle nostre vesti leggere, sui pensieri
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leggieri,
nuovi che la pioggia ha rinnovato
su i freschi pensieri
nella nostra anima e su quel sogno
che continua ad illuderci, Ermione.
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.
Il poeta si trova a Marina di Pisa con Ermione, la sua donna amata e, mentre passeggiano in
una deserta pineta vicino al mare, li sorprende un fresco temporale estivo. Le gocce, cadendo
leggere sui rami e sulle foglie, creano una musica magica e orchestrale, destando odori e vita
segreta nel bosco. I due amanti si inoltrano sempre più nel fitto della vegetazione e, così
circondati, coinvolti e immersi da una sinfonia di suoni, profumi e sensazioni sprigionati dalla
pioggia, si sentono parte viva della natura che li circonda, fino ad immedesimarsi con essa
stessa e a trasformarsi in creature vegetali. Questa trasformazione inizia nella seconda strofa,
dove il poeta paragona il volto di Ermione a una foglia e i suoi capelli a una ginestra e si
compie nell’ultima strofa,
dove D’Annunzio definisce Ermione non bianca ma quasi fatta
virente, cioè verde, come una pianta, e ne paragona i vari elementi del corpo ad altrettanti
elementi naturali: il cuore alla pesca, gli occhi alle polle (pozzanghere) d’acqua, i denti alle
mandorle.
In questa immersione totale del poeta e di Ermione nel paesaggio naturale che li circonda
entrambi ritrovano “La favola bella che illude”, cioè la vita con i suoi sogni d’amore e le sue
speranze.
Ogni strofa termina con il nome della donna, Ermione, riferimento classico come quasi per
rendere immortale la sua donna. Ermione (che nella realtà era l’attrice Eleonora Duse) è un
nome tratto dalla mitologia greca e corrisponde alla figlia di Elena, moglie di Menelao e causa
della guerra di Troia.
Questa poesia è bellissima perchè fonde il sentimento con l’amore per la natura. E per D’
Annunzio è la natura del pineto a risvegliare i sentimenti d’amore e le passioni, con la sua
bellezza, i suoni e la pace che ispira.
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Giovanni Pascoli
L'aquilone
L’aquilone, Giovanni Pascoli (1855-1912)
C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
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Giovanni Pascoli
L'aquilone
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda
tua madre... adagio, per non farti male.
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Giovanni Pascoli
L'aquilone
Parafrasi della poesia
C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi di antico: io vivo da un’altra parte, e sento
che qui intorno sono nate le viole.
Sono nate nel bosco del convento
dei cappuccini, sotto le foglie morte che il vento
fa turbinare intorno ai ceppi delle querce.
Si respira un’aria tiepida che rende più soffice
il terreno gelato, e fa visita alle chiese
di campagna, circondate d’erba fino all’ingresso.
un’aria che proviene da un altro luogo,
da un altro mese e da un’altra vita: un’aria primaverile
che regga molte ali bianche sospese nel cielo…
sì, gli aquiloni! Questa è una mattina in cui
non c’è scuola. Siamo usciti tutti quanti
tra le siepi di rovo e di biancospino.
Le siepi erano riarse, irte; ma c’era
ancora qualche mazzo rosso di bacche autunnali,
e qualche fiore bianco primaverile;
e il pettirosso saltellava sui rami nudi
e la lucertola mostrava il capino
tra le foglie secche del fossato.
Ora siamo fermi: abbiamo di fronte Urbino
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Giovanni Pascoli
L'aquilone
lambita dal vento: ognuno fa volare da un salto
del terreno la sua cometa per il cielo azzurro.
Ed ecco che ondeggia, oscilla, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco che piano piano
si innalza in mezzo alle grida dei bambini.
Si innalza; e tira il filo dalla mano dei bambini,
come un fiore che fugge dal suo stelo
esile, per andare a fiorire di nuovo più lontano.
Si innalza; e porta in cielo i piedi trepidanti
del bimbo, e il petto che respira profondamente
e gli occhi avidi e il viso e il cuore.
Più su, più su: è già un punto lontano,
lassù, lassù… Ma ecco un colpo di vento
di traverso, ecco un grido acuto… – Chi strilla?
Sono le voci della mia camerata:
le riconosco tutte improvvisamente,
una dolce, una acuta, una tenue…
A uno a uno vi ricordo tutti,
o miei compagni!! e te, sì, che abbandoni
sul braccio il viso pallido e smunto.
Sì: pronunciai orazioni su di te,
e piansi: ma sei beato tu che l’unica cosa che hai
visto cadere al vento sono gli aquiloni!
Tu eri completamente pallido, me lo ricordo:
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Giovanni Pascoli
L'aquilone
di rosso avevi solo i ginocchi,
perché pregavamo inginocchiati sul pavimento.
Oh! Felice sei tu che hai chiuso gli occhi
sereno, stringendo sul cuore
il più prezioso tra i tuoi amati giochi!
Oh! Si muore dolcemente, lo so bene io,
stringendo la propria fanciullezza al petto,
come i candidi petali stringe a sé un fiore
non ancora sbocciato! O morto da giovane,
anche io presto arriverò sottoterra,
là dove dormi sereno e solo…
Meglio venirci ansando, roseo, bagnato
dal sudore, come dopo una divertente
gara di corsa per salire su una collina.
Meglio venirci con la testa coperta da capelli biondi,
che, dopo che giacque fredda sul cuscino,
tua madre pettinò a onde coni bei capelli
…delicatamente, per non farti male.
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Giovanni Pascoli La cavalla storna
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La cavalla storna
La cavalla storna
Parafrasi La cavalla storna
Nella Torre il silenzio era già alto.
Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste
frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia,
nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi
ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa
era mia madre; e le dicea sommessa:
“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto!
Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d’otto tra miei figli e figlie;
e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,
tu dài retta alla sua piccola mano.
Tu ch’hai nel cuore la marina brulla,
tu dài retta alla sua voce fanciulla”.
La cavalla volgea la scarna testa
verso mia madre, che dicea più mesta:
“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l’amavi forte!
Con lui c’eri tu sola e la sua morte.
O nata in selve tra l’ondate e il vento,
tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso,
nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via,
perché facesse in pace l’agonia...”
Verso la torre il silenzio era già alto.
I pioppi del rio salto sussurravano
I cavalli francesi al loro posto mangiavano
la biada fragorosamente
là in fondo c'era la cavalla selvaggia,nata tra i
pini sulla spiaggia salata
che nelle narici aveva ancora gli spruzzi del
mare e nelle orecchie glistrilli forti.
Di fianco alla groppa aveva mia madre che la
guidava:oh cavallina cavallina grigia che hai
riportato colui che non ritorna tu capivi i suoi
cenni e le sue parole. egli ha lasciato un giovane
figlio,il primo ad aver studiato tra i miei figli e
le mie figlie, e la sua mano non ha mai toccato
le briglie.
tu che hai fianchi ricevi il comando
dai retta alla sua piccola mano.
tu hai nel cuore la terra del mare
tu dai retta alla sua voce giovane''.
la cavalla girava la testa scarna verso mia madre
che diceva più triste ''oh cavallina cavallina
grigia che hai riportato colui che nn ritorna,lo so
lo so che tu lo amavi tanto.con lui c'eravate tu e
la sua morte
oh tu nata nei boschi tra le onde ed il vento
tu hai tenuto nel cuore il tuo spavento avendo il
morso nella bocca. nel cuore veloce tu hai
rallentato la corsa, hai seguitato a camminare
adagio affinché agonizzasse in pace''.
La scarna lunga testa era daccanto
al dolce viso di mia madre in pianto.
“O cavallina, cavallina storna,
che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dové pur dire!
E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe,
con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l’eco degli scoppi,
seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole,
perché udissimo noi le sue parole”.
La sua scarna lunga testa era vicina al volto in
lacrime di mia madre.
''oh cavallina cavallina grigia che hai riportato
colui che non ritorna
oh,deve aver pur detto qualcosa!
e tu le hai capite ma non le sai ripetere.
tu con le briglie sciolte tra le zampe
con dentro gli occhi le fiamme del fuoco
con nelle orecchio l'eco degli spari
hai continuato a camminare tra gli alti pioppi:
lo hai riportato a casa al tramonto
perchè riuscissimo ad udire le sue parole.'
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Giovanni Pascoli La cavalla storna
Stava attenta la lunga testa fiera.
Mia madre l’abbracciò su la criniera
“O cavallina, cavallina storna,
portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai!
Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa.
Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:
esso t’è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.
E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”.
Ora, i cavalli non frangean la biada:
dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l’unghie vuote:
dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:
disse un nome... Sonò alto un nitrito.
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stava attenta con la sua lunga testa fiera.
mia madre l'abbracciò sulla criniera.'oh
cavallina cavallina storna che hai riportato a
casa colui che non ritorna, hai riportato a me
colui che non ritornerà mai più
tu sei stata buona ma non sai parlare.
tu non lo sai fare poverina e altri non osano
farlo.
oh ma tu devi dirmi una cosa
tu l'hai veduto l'uomo che lo ha ucciso.la sua
immagine ce l'hai ancora fissa negli occhi.
chi è stato?chi è,ti voglio dire un nome.
e tu fammi cenno.dio ti insegni come fare''
ora i cavalli non masticavano la biada
dormivano sognando la strada bianca
non battevano la paglia con le zampe senza
zoccoli
dormivano sognando il rullo delle ruote dei
carri.
mia madre alzò nel gran silenzio un dito
mia madre disse un nome e risuonò un nitrito
La poesia costituisce la commossa rievocazione dell'assassinio di Ruggero Pascoli, avvenuto in un agguato il
10 agosto 1867.
Il poeta rammenta la tragedia della sua famiglia, quando morì assassinato il padre.
Ci presenta sua madre che si reca nelle stalle a trovare la cavalla storna che aveva riportato a
casa il corpo del marito senza vita. La donna parla alla cavalla, come se potesse capirla; le
chiede anzi di parlare, come se fosse un essere umano. Le dà una carezza sulla criniera e la
cavalla volge il capo verso di lei, attenta, come se ascoltasse.
La donna le parla come a un membro della famiglia, le ricorda l'affiatamento che aveva col suo
padrone, le ricorda i figli piccoli rimasti orfani; poi vuole da lei una conferma. La famiglia
Pascoli era convinta di sapere chi fosse l'autore del delitto, anche se la giustizia umana non era
riuscita, o non aveva voluto trovarlo. La donna interroga la cavalla, che aveva compiuto la
pietosa opera di riportare a casa il suo padrone morente, e le sussurra un nome, quel nome, il
nome dell'assassino.
Nel silenzio l'animale fa risuonare un alto nitrito, confermando i sospetti della donna e
mostrandosi umanamente partecipe al dolore dei suoi padroni.
Altra Parafrasi
Nella Torre era già calata la notte. Si muovevano(per il vento) i Pioppi el Rio Salto. I cavalli normanni
stavano ai loro posti, masticavano la biada facendo rumore. Là in fondo c’era la cavalla, selvaggia, nata
fra i pini sulla salata spiaggia; che nella criniera aveva ancora gli spruzzi dell’acqua e le urla nelle
orecchie(i rumori del mare).Sulla sua schiena mia madre aveva appoggiato il gomito e gli diceva a bassa
voce:”O cavallina, cavallina storna che portavi colui che non c’è più(il marito ucciso), tu obbedivi ai suoi
gesti e alle sue parole. Egli ha lasciato un figlio piccolo, il primo di otto, e non è mai andato a cavallo. Tu
che corri veloce, tu obbedisci alla sua piccola mano. Tu hai nel cuore la vegetazione marina, dai retta alla
sua voce bambina. La cavalla volse la sua testa magra verso mia madre che diceva sempre più a bassa
voce:O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non c’è più, lo so che lo amavi veramente! Con lui
in quell’istante c’eri solo tu e la morte. Tu che sei nata tra i boschi, le onde, il vento, nel tuo cuore
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Giovanni Pascoli La cavalla storna
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spaventato, sentendo il laccio nella bocca che tiene il morso, corresti via. Con calma seguitasti per il tuo
percorso perché morisse in pace. La magra lunga testa era accanto al dolce viso di mia madre che
piangeva. “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non c’è più..Oh! due cose egli avrà detto! E
tu le hai capite, ma non le puoi dire. Tu con le briglie sciolte tra le zampe e negli occhi lo sparo, con negli
orecchi l’eco del colpo, proseguivi la tua via tra i pioppi: lo riportavi a casa per il tramonto perché noi
sentissimo quello che aveva da dire. Stava ferma con la testa alzata. Mia madre gli abbracciò il collo:”O
cavallina, cavallina storna, riporta colui che non c’è più! A me, colui che mai più tornerà! Tu sei stata
buona..ma non sai parlare! Tu non lo sai fare, poverina; altri che potrebbero non osano parlare. Oh! Ma tu
devi dirmi una cosa! Tu l’ hai visto l’uomo che l’ ha ucciso, lui è ancora nei tuoi occhi. Chi è stato! Ti dico
un nome. E tu fammi un cenno. Dio T’insegni a farlo. Ora i cavalli non mangiavano: dormivano sognando la
strada (il tragitto percorso in giornata), non calpestavano la paglia: dormivano sognando il rumore delle
ruote. Mia madre alzò nella notte un dito e disse un nome.. Risuonò un forte nitrito
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