La pioggia nel pineto L`aquilone La cavallo storna
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La pioggia nel pineto L`aquilone La cavallo storna
Gabriele D'Annunzio La pioggia nel pineto 1 La pioggia nel pineto Il tema dominante della poesia è la ricerca della bellezza e la possibilità di esprimere e far parlare il mondo delle sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti, il rifiuto della razionalità, l’abbandono all’istinto e all’esperienza, attraverso una completa identificazione con la natura che diventa amica, conforto, gioia e ci permette di godere delle sensazioni provate. Il poeta dà un’immagine raffinatissima e suggestiva di un’atmosfera naturale espressa con una struttura frammentaria dei versi e con la ripetizione di parole e di frasi e dal susseguirsi di sensazioni uditive, visive, olfattive, tattili, ritmate dal ripetersi di due verbi chiave, “piove” e “ascolta”, in cui però le sensazioni uditive prevalgono sulle altre. La poesia, infatti, è una sinfonia musicale perché il poeta sceglie le parole non tanto per il loro significato quanto per il loro suono (caratteristica tipica del decadentismo e di D’Annunzio in particolare), per creare la suggestione di una musica. Taci. Su le soglie Non parlare. Ora che siamo all’inizio del bosco non odo del bosco non sento parole che dici umane; ma odo più nessuna parola proveniente da alcun essere umano ma sento solo parole diverse, parole più nuove e migliori, pronunciate che parlano gocciole e foglie dalle gocce e dalle foglie lontane. Ascolta. Piove in lontananza. Ascolta e basta: piove dalle nuvole sparse. dalle nuvole sparpagliate nel cielo, Piove su le tamerici piove sulle tamerici salmastre ed arse, piove su i pini ricoperte dal sale del mare e seccate dal sole estivo, piove sui pini e sulle loro cortecce scagliosi ed irti, fatte a scaglie e sui loro aghi piove su i mirti appuntiti. divini, su le ginestre fulgenti Piove sui mirti, piante sacre a Venere (divini), e piove sulle ginestre che sotto la pioggia risplendono. Pagina 1 di 14 Gabriele D'Annunzio La pioggia nel pineto 2 di fiori accolti, Piove anche sui fiori ancora chiusi e su i ginepri folti sui ginepri folti che diffondono però un di coccole aulenti, piove su i nostri volti dolce profumo. Piove sui nostri volti, come se anche silvani, noi fossimo una parte di questo bosco piove su le nostre mani (silvestri) ignude, su i nostri vestimenti piove sulle sui nostri vestiti leggeri ed estivi, e piove addirittura sui nostri pensieri, su i freschi pensieri rinfrescati dalla pioggia, novella, mani nude, leggieri, che l’anima schiude nostre e l’anima si dischiude e rinasce sotto la pioggia e ci rivela sogni nuovi che in realtà, su la favola bella ieri come oggi, ci illudono e basta che ieri Ermione. t’illuse, che oggi m’illude, o Ermione. Odi? La pioggia cade Lo senti? La pioggia cade su la solitaria sulle foglie solitarie e crea uno cigolio verdura con un crepitío che dura e varia nell’aria che si diffonde in modo costante tutto intorno e cambia solo a seconda di quello che tocca, foglie più fitte o meno fitte. secondo le fronde più rade, men rade. Ascolta. Risponde E ascolta: il canto delle cicale, al pianto il canto delle cicale Pagina 2 di 14 Gabriele D'Annunzio La pioggia nel pineto 3 che il pianto australe che non si spaventano con l’arrivo dei non impaura, venti australi e con il cielo grigio, nè il ciel cinerino. E il pino sembra rispondere alla pioggia che scende come un pianto. E il pino ha un suono, e il mirto ha un suono particolare, e anche il altro suono, e il ginepro mirto suona in un modo diverso sotto altro ancóra, strumenti diversi l’acqua che cade, e così anche il ginepro e tutte le altre piante sembrano come strumenti musicali sotto innumerevoli dita. diversi E immersi sembra avere un numero infinito di noi siam nello spirto silvestre, suonati dalla del bosco, è come se la vita degli alberi fosse anche la nostra vita, perché e il tuo volto ebro il tuo volto è bagnato come una foglia, che dita. E noi siamo immersi nello spirito d’arborea vita viventi; è molle di pioggia pioggia e inebriato come una foglia e i tuoi capelli hanno lo stesso profumo di quelle ginestre, e le tue chiome auliscono come le chiare ginestre, anche se sei solo una creatura umana mia Ermione. o creatura terrestre che hai nome Ermione. Ascolta, ascolta. L’accordo delle aeree cicale E ti prego ascolta ancora il canto accordato delle cicale che stanno sugli alberi e che prima diminuisce e poi a poco a poco aumenta all’unisono quando aumenta più sordo anche la pioggia, ma arriva un altro Pagina 3 di 14 Gabriele D'Annunzio La pioggia nel pineto 4 si fa sotto il pianto suono, più cupo, quello delle rane, che cresce; dalla parte di bosco che sembra più ma un canto vi si mesce una laguna paludosa più roco che di laggiù sale, dall’umida ombra remota. Più sordo e più fioco s’allenta, si spegne. Sola una nota Si tratta di un suono più sordo e più fastidioso ma anche questo aumenta o diminuisce finché quasi non si sente più. ancor trema, si spegne, risorge, trema, si spegne. Non s’ode voce del mare. Non si sente, poi, nessun rumore provenire dal mare, si sente Or s’ode su tutta la fronda solamente, su tutti i rami, scrosciare Crosciare la pioggia che pare colore di argento e l’argentea pioggia che monda, che purifica, si sente il suo scroscio che ancora continua a cambiare in base al fogliame su cui cade. il croscio che varia secondo la fronda più folta, men folta. Ascolta. Ascolta la cicala che adesso è muta mentre la figlia del fango lontana, La figlia dell’aria è muta; ma la figlia del limo lontana, la rana, la rana, canta dove c’è più ombra, in quella zona paludosa chissà dove. canta nell’ombra più fonda, chi sa dove, chi sa dove! Pagina 4 di 14 Gabriele D'Annunzio La pioggia nel pineto E piove su le tue ciglia, 5 E piove sulle tue ciglia, Ermione. Ermione. Piove su le tue ciglia nere sicché par tu pianga Piove sulle tue ciglia e pare che tu stia piangendo ma è un pianto di piacere, e sembra che la tua pelle ma di piacere; non bianca non sia più bianca ma verde e mi pare ma quasi fatta virente, di vederti come una creatura nata par da scorza tu esca. E tutta la vita è in noi fresca dalla corteccia di un albero. E così tutta la nostra vita è profumata aulente, e fresca, (sembriamo anche noi un il cuor nel petto è come pesca bosco): i nostri cuori nel petto sono intatta, tra le palpebre gli occhi come due pesche profumate e non ancora colte, le palpebre fra le tue ciglia sembrano son come polle tra l’erbe, le sorgenti d’acqua fra le zolle d’erba i denti negli alveoli e i denti e le gengive sembrano con come mandorle acerbe. E andiam di fratta in fratta, mandorle non ancora mature. Andiamo fra i cespugli, insieme o separati, e la forza intima, or congiunti or disciolti selvaggia degli alberi ci prende a sé (e il verde vigor rude stringendoci le caviglie e ci lega le ci allaccia i malleoli c’intrica i ginocchi) ginocchia! Chissà dov’è tutto il resto, dove siamo noi? chi sa dove, chi sa dove! E piove su i nostri vólti E piove ancora sui nostri volti che silvani, ormai sono un bosco, piove sulle piove su le nostre mani nostre mani nude, ignude, su i nostri vestimenti sulle nostre vesti leggere, sui pensieri Pagina 5 di 14 Gabriele D'Annunzio La pioggia nel pineto 6 leggieri, nuovi che la pioggia ha rinnovato su i freschi pensieri nella nostra anima e su quel sogno che continua ad illuderci, Ermione. che l’anima schiude novella, su la favola bella che ieri m’illuse, che oggi t’illude, o Ermione. Il poeta si trova a Marina di Pisa con Ermione, la sua donna amata e, mentre passeggiano in una deserta pineta vicino al mare, li sorprende un fresco temporale estivo. Le gocce, cadendo leggere sui rami e sulle foglie, creano una musica magica e orchestrale, destando odori e vita segreta nel bosco. I due amanti si inoltrano sempre più nel fitto della vegetazione e, così circondati, coinvolti e immersi da una sinfonia di suoni, profumi e sensazioni sprigionati dalla pioggia, si sentono parte viva della natura che li circonda, fino ad immedesimarsi con essa stessa e a trasformarsi in creature vegetali. Questa trasformazione inizia nella seconda strofa, dove il poeta paragona il volto di Ermione a una foglia e i suoi capelli a una ginestra e si compie nell’ultima strofa, dove D’Annunzio definisce Ermione non bianca ma quasi fatta virente, cioè verde, come una pianta, e ne paragona i vari elementi del corpo ad altrettanti elementi naturali: il cuore alla pesca, gli occhi alle polle (pozzanghere) d’acqua, i denti alle mandorle. In questa immersione totale del poeta e di Ermione nel paesaggio naturale che li circonda entrambi ritrovano “La favola bella che illude”, cioè la vita con i suoi sogni d’amore e le sue speranze. Ogni strofa termina con il nome della donna, Ermione, riferimento classico come quasi per rendere immortale la sua donna. Ermione (che nella realtà era l’attrice Eleonora Duse) è un nome tratto dalla mitologia greca e corrisponde alla figlia di Elena, moglie di Menelao e causa della guerra di Troia. Questa poesia è bellissima perchè fonde il sentimento con l’amore per la natura. E per D’ Annunzio è la natura del pineto a risvegliare i sentimenti d’amore e le passioni, con la sua bellezza, i suoni e la pace che ispira. Pagina 6 di 14 Giovanni Pascoli L'aquilone L’aquilone, Giovanni Pascoli (1855-1912) C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico: io vivo altrove, e sento che sono intorno nate le viole. Son nate nella selva del convento dei cappuccini, tra le morte foglie che al ceppo delle quercie agita il vento. Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle, e visita le chiese di campagna, ch'erbose hanno le soglie: un'aria d'altro luogo e d'altro mese e d'altra vita: un'aria celestina che regga molte bianche ali sospese... sì, gli aquiloni! È questa una mattina che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera tra le siepi di rovo e d'albaspina. Le siepi erano brulle, irte; ma c'era d'autunno ancora qualche mazzo rosso di bacche, e qualche fior di primavera bianco; e sui rami nudi il pettirosso saltava, e la lucertola il capino mostrava tra le foglie aspre del fosso. Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino ventoso: ognuno manda da una balza la sua cometa per il ciel turchino. Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco pian piano tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza. S'inalza; e ruba il filo dalla mano, come un fiore che fugga su lo stelo esile, e vada a rifiorir lontano. S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo petto del bimbo e l'avida pupilla e il viso e il cuore, porta tutto in cielo. Più su, più su: già come un punto brilla lassù lassù... Ma ecco una ventata di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla? Pagina 7 di 14 7 Giovanni Pascoli L'aquilone Sono le voci della camerata mia: le conosco tutte all'improvviso, una dolce, una acuta, una velata... A uno a uno tutti vi ravviso, o miei compagni! e te, sì, che abbandoni su l'omero il pallor muto del viso. Sì: dissi sopra te l'orazïoni, e piansi: eppur, felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni! Tu eri tutto bianco, io mi rammento. solo avevi del rosso nei ginocchi, per quel nostro pregar sul pavimento. Oh! te felice che chiudesti gli occhi persuaso, stringendoti sul cuore il più caro dei tuoi cari balocchi! Oh! dolcemente, so ben io, si muore la sua stringendo fanciullezza al petto, come i candidi suoi pètali un fiore ancora in boccia! O morto giovinetto, anch'io presto verrò sotto le zolle là dove dormi placido e soletto... Meglio venirci ansante, roseo, molle di sudor, come dopo una gioconda corsa di gara per salire un colle! Meglio venirci con la testa bionda, che poi che fredda giacque sul guanciale, ti pettinò co' bei capelli a onda tua madre... adagio, per non farti male. Pagina 8 di 14 8 Giovanni Pascoli L'aquilone Parafrasi della poesia C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi di antico: io vivo da un’altra parte, e sento che qui intorno sono nate le viole. Sono nate nel bosco del convento dei cappuccini, sotto le foglie morte che il vento fa turbinare intorno ai ceppi delle querce. Si respira un’aria tiepida che rende più soffice il terreno gelato, e fa visita alle chiese di campagna, circondate d’erba fino all’ingresso. un’aria che proviene da un altro luogo, da un altro mese e da un’altra vita: un’aria primaverile che regga molte ali bianche sospese nel cielo… sì, gli aquiloni! Questa è una mattina in cui non c’è scuola. Siamo usciti tutti quanti tra le siepi di rovo e di biancospino. Le siepi erano riarse, irte; ma c’era ancora qualche mazzo rosso di bacche autunnali, e qualche fiore bianco primaverile; e il pettirosso saltellava sui rami nudi e la lucertola mostrava il capino tra le foglie secche del fossato. Ora siamo fermi: abbiamo di fronte Urbino Pagina 9 di 14 9 Giovanni Pascoli L'aquilone lambita dal vento: ognuno fa volare da un salto del terreno la sua cometa per il cielo azzurro. Ed ecco che ondeggia, oscilla, urta, sbalza, risale, prende il vento; ecco che piano piano si innalza in mezzo alle grida dei bambini. Si innalza; e tira il filo dalla mano dei bambini, come un fiore che fugge dal suo stelo esile, per andare a fiorire di nuovo più lontano. Si innalza; e porta in cielo i piedi trepidanti del bimbo, e il petto che respira profondamente e gli occhi avidi e il viso e il cuore. Più su, più su: è già un punto lontano, lassù, lassù… Ma ecco un colpo di vento di traverso, ecco un grido acuto… – Chi strilla? Sono le voci della mia camerata: le riconosco tutte improvvisamente, una dolce, una acuta, una tenue… A uno a uno vi ricordo tutti, o miei compagni!! e te, sì, che abbandoni sul braccio il viso pallido e smunto. Sì: pronunciai orazioni su di te, e piansi: ma sei beato tu che l’unica cosa che hai visto cadere al vento sono gli aquiloni! Tu eri completamente pallido, me lo ricordo: Pagina 10 di 14 10 Giovanni Pascoli L'aquilone di rosso avevi solo i ginocchi, perché pregavamo inginocchiati sul pavimento. Oh! Felice sei tu che hai chiuso gli occhi sereno, stringendo sul cuore il più prezioso tra i tuoi amati giochi! Oh! Si muore dolcemente, lo so bene io, stringendo la propria fanciullezza al petto, come i candidi petali stringe a sé un fiore non ancora sbocciato! O morto da giovane, anche io presto arriverò sottoterra, là dove dormi sereno e solo… Meglio venirci ansando, roseo, bagnato dal sudore, come dopo una divertente gara di corsa per salire su una collina. Meglio venirci con la testa coperta da capelli biondi, che, dopo che giacque fredda sul cuscino, tua madre pettinò a onde coni bei capelli …delicatamente, per non farti male. Pagina 11 di 14 11 Giovanni Pascoli La cavalla storna 12 La cavalla storna La cavalla storna Parafrasi La cavalla storna Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto. I cavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste. Là in fondo la cavalla era, selvaggia, nata tra i pini su la salsa spiaggia; che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. Con su la greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa: “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto; il primo d’otto tra miei figli e figlie; e la sua mano non toccò mai briglie. Tu che ti senti ai fianchi l’uragano, tu dài retta alla sua piccola mano. Tu ch’hai nel cuore la marina brulla, tu dài retta alla sua voce fanciulla”. La cavalla volgea la scarna testa verso mia madre, che dicea più mesta: “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; lo so, lo so, che tu l’amavi forte! Con lui c’eri tu sola e la sua morte. O nata in selve tra l’ondate e il vento, tu tenesti nel cuore il tuo spavento; sentendo lasso nella bocca il morso, nel cuor veloce tu premesti il corso: adagio seguitasti la tua via, perché facesse in pace l’agonia...” Verso la torre il silenzio era già alto. I pioppi del rio salto sussurravano I cavalli francesi al loro posto mangiavano la biada fragorosamente là in fondo c'era la cavalla selvaggia,nata tra i pini sulla spiaggia salata che nelle narici aveva ancora gli spruzzi del mare e nelle orecchie glistrilli forti. Di fianco alla groppa aveva mia madre che la guidava:oh cavallina cavallina grigia che hai riportato colui che non ritorna tu capivi i suoi cenni e le sue parole. egli ha lasciato un giovane figlio,il primo ad aver studiato tra i miei figli e le mie figlie, e la sua mano non ha mai toccato le briglie. tu che hai fianchi ricevi il comando dai retta alla sua piccola mano. tu hai nel cuore la terra del mare tu dai retta alla sua voce giovane''. la cavalla girava la testa scarna verso mia madre che diceva più triste ''oh cavallina cavallina grigia che hai riportato colui che nn ritorna,lo so lo so che tu lo amavi tanto.con lui c'eravate tu e la sua morte oh tu nata nei boschi tra le onde ed il vento tu hai tenuto nel cuore il tuo spavento avendo il morso nella bocca. nel cuore veloce tu hai rallentato la corsa, hai seguitato a camminare adagio affinché agonizzasse in pace''. La scarna lunga testa era daccanto al dolce viso di mia madre in pianto. “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; oh! due parole egli dové pur dire! E tu capisci, ma non sai ridire. Tu con le briglie sciolte tra le zampe, con dentro gli occhi il fuoco delle vampe, con negli orecchi l’eco degli scoppi, seguitasti la via tra gli alti pioppi: lo riportavi tra il morir del sole, perché udissimo noi le sue parole”. La sua scarna lunga testa era vicina al volto in lacrime di mia madre. ''oh cavallina cavallina grigia che hai riportato colui che non ritorna oh,deve aver pur detto qualcosa! e tu le hai capite ma non le sai ripetere. tu con le briglie sciolte tra le zampe con dentro gli occhi le fiamme del fuoco con nelle orecchio l'eco degli spari hai continuato a camminare tra gli alti pioppi: lo hai riportato a casa al tramonto perchè riuscissimo ad udire le sue parole.' Pagina 12 di 14 Giovanni Pascoli La cavalla storna Stava attenta la lunga testa fiera. Mia madre l’abbracciò su la criniera “O cavallina, cavallina storna, portavi a casa sua chi non ritorna! a me, chi non ritornerà più mai! Tu fosti buona... Ma parlar non sai! Tu non sai, poverina; altri non osa. Oh! ma tu devi dirmi una una cosa! Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise: esso t’è qui nelle pupille fise. Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”. Ora, i cavalli non frangean la biada: dormian sognando il bianco della strada. La paglia non battean con l’unghie vuote: dormian sognando il rullo delle ruote. Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: disse un nome... Sonò alto un nitrito. 13 stava attenta con la sua lunga testa fiera. mia madre l'abbracciò sulla criniera.'oh cavallina cavallina storna che hai riportato a casa colui che non ritorna, hai riportato a me colui che non ritornerà mai più tu sei stata buona ma non sai parlare. tu non lo sai fare poverina e altri non osano farlo. oh ma tu devi dirmi una cosa tu l'hai veduto l'uomo che lo ha ucciso.la sua immagine ce l'hai ancora fissa negli occhi. chi è stato?chi è,ti voglio dire un nome. e tu fammi cenno.dio ti insegni come fare'' ora i cavalli non masticavano la biada dormivano sognando la strada bianca non battevano la paglia con le zampe senza zoccoli dormivano sognando il rullo delle ruote dei carri. mia madre alzò nel gran silenzio un dito mia madre disse un nome e risuonò un nitrito La poesia costituisce la commossa rievocazione dell'assassinio di Ruggero Pascoli, avvenuto in un agguato il 10 agosto 1867. Il poeta rammenta la tragedia della sua famiglia, quando morì assassinato il padre. Ci presenta sua madre che si reca nelle stalle a trovare la cavalla storna che aveva riportato a casa il corpo del marito senza vita. La donna parla alla cavalla, come se potesse capirla; le chiede anzi di parlare, come se fosse un essere umano. Le dà una carezza sulla criniera e la cavalla volge il capo verso di lei, attenta, come se ascoltasse. La donna le parla come a un membro della famiglia, le ricorda l'affiatamento che aveva col suo padrone, le ricorda i figli piccoli rimasti orfani; poi vuole da lei una conferma. La famiglia Pascoli era convinta di sapere chi fosse l'autore del delitto, anche se la giustizia umana non era riuscita, o non aveva voluto trovarlo. La donna interroga la cavalla, che aveva compiuto la pietosa opera di riportare a casa il suo padrone morente, e le sussurra un nome, quel nome, il nome dell'assassino. Nel silenzio l'animale fa risuonare un alto nitrito, confermando i sospetti della donna e mostrandosi umanamente partecipe al dolore dei suoi padroni. Altra Parafrasi Nella Torre era già calata la notte. Si muovevano(per il vento) i Pioppi el Rio Salto. I cavalli normanni stavano ai loro posti, masticavano la biada facendo rumore. Là in fondo c’era la cavalla, selvaggia, nata fra i pini sulla salata spiaggia; che nella criniera aveva ancora gli spruzzi dell’acqua e le urla nelle orecchie(i rumori del mare).Sulla sua schiena mia madre aveva appoggiato il gomito e gli diceva a bassa voce:”O cavallina, cavallina storna che portavi colui che non c’è più(il marito ucciso), tu obbedivi ai suoi gesti e alle sue parole. Egli ha lasciato un figlio piccolo, il primo di otto, e non è mai andato a cavallo. Tu che corri veloce, tu obbedisci alla sua piccola mano. Tu hai nel cuore la vegetazione marina, dai retta alla sua voce bambina. La cavalla volse la sua testa magra verso mia madre che diceva sempre più a bassa voce:O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non c’è più, lo so che lo amavi veramente! Con lui in quell’istante c’eri solo tu e la morte. Tu che sei nata tra i boschi, le onde, il vento, nel tuo cuore Pagina 13 di 14 Giovanni Pascoli La cavalla storna 14 spaventato, sentendo il laccio nella bocca che tiene il morso, corresti via. Con calma seguitasti per il tuo percorso perché morisse in pace. La magra lunga testa era accanto al dolce viso di mia madre che piangeva. “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non c’è più..Oh! due cose egli avrà detto! E tu le hai capite, ma non le puoi dire. Tu con le briglie sciolte tra le zampe e negli occhi lo sparo, con negli orecchi l’eco del colpo, proseguivi la tua via tra i pioppi: lo riportavi a casa per il tramonto perché noi sentissimo quello che aveva da dire. Stava ferma con la testa alzata. Mia madre gli abbracciò il collo:”O cavallina, cavallina storna, riporta colui che non c’è più! A me, colui che mai più tornerà! Tu sei stata buona..ma non sai parlare! Tu non lo sai fare, poverina; altri che potrebbero non osano parlare. Oh! Ma tu devi dirmi una cosa! Tu l’ hai visto l’uomo che l’ ha ucciso, lui è ancora nei tuoi occhi. Chi è stato! Ti dico un nome. E tu fammi un cenno. Dio T’insegni a farlo. Ora i cavalli non mangiavano: dormivano sognando la strada (il tragitto percorso in giornata), non calpestavano la paglia: dormivano sognando il rumore delle ruote. Mia madre alzò nella notte un dito e disse un nome.. Risuonò un forte nitrito Pagina 14 di 14