FARINE ANIMALI NEI MANGIMI ZOOTECNICI
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FARINE ANIMALI NEI MANGIMI ZOOTECNICI
DAL LABORATORIO GRUPPI SANGUIGNI FARINE ANIMALI NEI MANGIMI ZOOTECNICI di Michele Blasi e Adele Lanza Laboratorio Gruppi Sanguigni La loro determinazione mediante l’amplificazione del DNA. UNA DELLE MISURE più drastiche per scongiurare la diffusione in Italia della Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE) è il divieto di somministrazione ai ruminanti delle proteine di origine animale. Tale decisione pone, agli organi a cui compete il controllo e a tutti i componenti il settore zootecnico, il problema della verifica dell’osservanza di tale divieto. Pertanto, assumono grande importanza tutti i metodi che permettono la determinazione della presenza delle farine di origine animale nei mangimi utilizzati per l’alimentazione dei ruminanti, come bovini, ovini e caprini, che sono le specie più sensibili al prione della “mucca pazza”. Prima del blocco sulle farine, per la produzione dei mangimi integrati con proteine di origine animale, si utilizzavano i prodotti della lavorazione e della cottura degli scarti di animali appartenenti alle classi zoologiche dei mammiferi degli uccelli e dei pesci. La metodica ufficiale per la determinazione della presenza delle farine animali, adottata a livello nazionale (Decreto Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 13 aprile 1994 modificato dal Decreto 30 settembre 1999) e comunitario (Di- rettiva 98/88/CE della Commissione del 13 novembre 1998), si basa sull’identificazione microscopica dei frammenti ossei e sul riconoscimento della classe di appartenenza. Tale metodica, messa a punto dall’Ispettorato Centrale Repressione Frodi (Decreto Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 13 aprile 1994) è stata, con l’avvento della BSE, estesa a livello sanitario per il controllo igienico-sanitario degli alimenti ad uso zootecnico. Questa metodica, pur essendo estremamente precisa e sensibile, possiede diversi limiti, che possono essere così schematizzati: • È una metodica non completamente automatizzata in quanto il risultato dell’analisi è troppo legato all’esperienza dell’analista. • Non è possibile identificare la PREVENIRE LA BSE: UN OBIETTIVO RAGGIUNGIBILE L’adozione di una certificazione ISO 9001 da parte di un Ente, comporta, a fronte di un impegno supplementare alla normale routine di lavoro, una profonda conoscenza dei processi operativi che sono alla base della programmazione e dello sviluppo delle attività. L’Anafi, con la scelta della certificazione ISO 9001, ha predisposto tutti i controlli necessari per poter rispondere nel modo più opportuno alle esigenze, soprattutto qualitative, non solo del mondo allevatoriale. In questo difficile momento legato alla BSE, che di fatto sta ancora una volta ghettizzando la bovinicoltura, appare corretto segnalare quanto indicato nel protocollo di gestione ISO del Centro Genetico Anafi che, tra le altre attività, prevede il controllo e le analisi del mangime destinato ai giovani torelli. Tra le analisi, una in particolare riguarda la presenza o meno di residui di farine di carne. Negli esami che il Laboratorio LGS effettua sul mangime, fornito da una ditta anch’essa certificata ISO 9001, non sono mai stati riscontrati residui di farine animali. A riprova della corretta attività che l’Anafi sta portando avanti, viene presentato, oltre ad un articolo sulle analisi dei tecnici responsabili della Sezione Sperimentale dell’LGS, un esempio di campionatura di mangime utilizzato per l’allevamento dei giovani tori presenti al Centro Genetico dell’Anafi. GERARDO MARIGLIANO Direttore Generale Anafi BIANCO NERO . FEBBRAIO 2002 11 specie da cui si ricava la farina animale, ma solo la classe zoologica. • Il riconoscimento della classe zoologica di appartenenza non è sempre certa, alcuni frammenti ossei di volatile possono essere classificati come di mammifero. • La metodica non permette la rilevazione di farine animali che non contengono frammenti ossei (farina di sangue, farina di frattaglie di pollame, plasma essiccato, proteine idrolizzate, gelatina). La necessità di superare tali limiti ha indotto molti ricercatori a studiare dei protocolli alternativi per la determinazione delle farine animali. Tra le numerose proposte, quella che sembra dare i migliori risultati è la metodica che si basa sulla reazione a catena della polimerasi (Pcr). Nel 1984, senza probabilmente intuirne appieno le spaventose potenzialità, Kary Mullis, della Cetus Corp., ebbe un’idea geniale che ha completamente rivoluzionato la biologia molecolare. Mullis ha ideato un metodo, denominato “Polymerase Chain Reaction” (PCR), per amplificare in vitro, moltiplicandolo circa un miliardo di volte, un frammento di Dna. Oltre all’enorme potere di amplificazione, l’altra caratteristica fondamentale della PCR è la sua assoluta specificità. Il Laboratorio Gruppi Sanguigni (Lgs), leader tra i laboratori di biologia molecolare zootecnica, con la sua sezione sperimentale di Potenza, ha definito un nuovo protocollo, basato proprio sull’amplificazione del Dna, per la determinazione della presenza di proteine animali nei mangimi. La metodica, grazie alla sua elevata sensibilità, permette anche l’individuazione della specie animale a cui appartiene la farina presente. Il protocollo può essere così schematizzato: 1. Estrazione completa del Dna dal mangime. Oltre al Dna vegetale, naturalmente presente, viene anche estratto l’eventuale Dna animale presente. 12 BIANCO NERO . FEBBRAIO 2002 2. Amplificazione mediante utilizzo di Pcr di un frammento di Dna contenuto nel genoma vegetale. Tale amplificazione permette di verificare la correttezza della fase di estrazione. 3. Amplificazione, mediante utilizzo di Pcr, di un frammento contenuto lungo il Dna mitocondriale animale. Sono effettuate amplificazioni specie specifiche (bovina, ovina, suina, equina ed avicola) per l’identificazione della specie animale da cui è stata ricavata la farina eventualmente presente nel mangime. 4. Corsa elettroforetica su gel di agarosio per la verifica della presenza/assenza del prodotto di amplificazione. Nel caso della prima amplificazione (genoma vegetale), lungo il tracciato elettroforetico dovrà essere sempre visibile una “banda”, mentre, nel caso dell’amplificazione del Dna mitocondriale, la presenza di una “banda” è il segnale inequivocabile che nel campione analizzato è contenuta farina di origine animale. A seconda della banda presente, si potrà stabilire a quale specie animale appartiene la farina. Il metodo messo a punto nei laboratori Lgs, permette inoltre, di svelare tutti i tipi di farine presenti nei mangimi che la metodica microscopica non è in grado di individuare, come, ad esempio, le farine di sangue; di frattaglie di pollame; del plasma essiccato e di altri emoderivati.