Anno 2 – 3° numero

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Anno 2 – 3° numero
ShinBuNews
Il Bollettino del Praticante dello Shin Bu Dojo
I fantastici...
otto!
Sommario
Editoriale
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Allenare il corpo e l’anima
Bocciata ma...contenta!
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6
Il praticante (si) racconta
7
Senti chi parla
Segni particolari: Cintura Nera
Bioenergetica: Il superamento dei blocchi emozionali con
l'Analisi Bioenergetica (quinta puntata)
Muso
Esibizione di Iaidō
V°Campionato Italiano di Iaidō
L’angolo delle recensioni
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Dall’Oriente:
I Pensieri di O’Sensei
Pensiero Zen
Ricette
Storie Zen
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Varie
Ronin
Foto Scoop
Facciamo gli auguri a…
A.A.A. cercasi...
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Responsabile: Fabrizio Ruta
Redazione: Jacqueline Gentile, Gaetano Nevola
Fotoreporter: Ilaria Emiliano
In copertina: Un momento dello stage con il Maestro D. Giangrande
ShinBuNews
Marzo 2006
Editoriale
Ciao a tutti!
Questa volta ce la siamo vista brutta! L'atteso stage del Maestro Dionino
Giangrande era oramai trascorso da un pezzo e in redazione… tutto taceva! Nessun contributo a riguardo! La redazione perplessa e sfiduciata si
domandava: ”E' arrivato il momento di smettere? Facciamo il giornale tra
noi?” Ed invece, per fortuna, avete risposto ad un nostro invito ed anche
questo numero dello ShinBuNews ha visto la luce.
Scorrendo le pagine incontrerete, infatti, le impressioni e le emozioni che
alcuni shinbuisti hanno voluto condividere con tutti noi ed inoltre le immancabili foto che documentano i momenti più salienti di questo annuale
appuntamento.
Per la rubrica dedicata alle Cinture Nere, abbiamo intervistato Francesco
Pastore, I° Dan del nostro dojo che ha soddisfatto le curiosità proposte
dalle nostre domande raccontandoci un po’ di sé e del suo percorso da
aikidoka.
Vi comunichiamo che la nostra amica aikidoka Vincenza Patruno ha lasciato il suo ruolo di redattrice.
Cogliamo l’occasione per ringraziare di cuore Vincenza per il lavoro che
ha svolto con passione, costanza e simpatia e lanciamo anche un appello
a tutti gli shinbuisti volenterosi di volerci aiutare a continuare a far vivere
lo ShinbuNews e a far sì che esso non manchi di essere un appuntamento
periodico ma, soprattutto, un bollettino che rispecchi, con parole ed immagini, la vita del nostro dojo.
Augurandovi una buona lettura, vi salutiamo alla maniera del nostro amico shinbuista Salvatore: "Come disse il Maestro Tada, ci vediamo…
alla prossima punTaDa!"
La Redazione
“Gli Antichi usavano pilastri e alberi come scudi, ma questo
è un errore. Non dobbiamo contare sugli altri per proteggerci. Il nostro Spirito è il vero scudo."
ALLENARE IL CORPO E L’ANIMA
di Fabrizio Ruta
“Tutto glorifica il Signore l’oscurità, le privazioni, i difetti, lo stesso male glorifica e benedice Dio”
Meister Eckhart
Nell’allenamento dell’aikido occorre teoricamente ancor prima di imparare le tecniche e di allenarsi ripetutamente – “preparare” il corpo e la
mente. Questo significa considerare
tutta una serie di aspetti strutturali,
comportamentali, fisiologici, intellettivi, psichici, ecc.
LIVELLO FISICO
Partiamo dal corpo e consideriamo i
seguenti
punti
fondamentali
(procedendo dal basso verso l’alto)
per “strutturarlo” in maniera coerente:
Rendere
stabili
i
piedi
(concentrando il peso sugli avampiedi e verso l’interno e stabilendo il
cosiddetto grounding, cioè portando
il peso e l’attenzione consapevole
verso il basso sentendo il contatto
con la terra);
- Tenere flesse le gambe “piegando
le ginocchia”;
- Fissare l’anca chiudendo l’ano e
mettendo forza nel basso ventre
(seika tanden);
- Tenere la schiena diritta e flessibile;
- Aprire il petto (lasciare libero il respiro);
- Rilassare le spalle, la schiena e la
nuca;
- Portare il mento in dentro
(allungare la parte posteriore del collo);
- Fissare con lo sguardo un punto in
maniera rilassata (en zan no ken).
Inoltre, in linea generale, occorrerebbe:
- Sviluppare una buona coordinazione neuromuscolare;
- Avere una equilibrata tonicità muscolare;
- Mantenere un generale rilassamento corporeo.
LIVELLO PSICOLOGICO
Questi aspetti “fisici”, tuttavia, sono
relativamente semplici da apprendere se paragonati alle difficoltà di un
corretto approccio psicologico e spiri-
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tuale.
Consideriamo, per esempio, l’importanza della non competizione durante la pratica: questo significa creare
uno spirito di fratellanza tra tutti i praticanti. Il problema è che teoricamente (spero) ci troviamo tutti d’accordo
ma, nel profondo delle nostre reazioni istintive, è tutta un'altra musica …
Certo noi non facciamo gare, ma la
competizione può trasferirsi facilmente su altri piani (essere più forti,
più bravi, avere più allievi, fare da
uke ai maestri, ecc.).
Osservando me stesso e gli altri
compagni di pratica, ho potuto constatare l’esistenza di tutta una serie
di distorsioni che facilmente inquinano la nostra pratica: competizione
(“Devo essere migliore di lui”), orgoglio, rabbia, arroganza, sufficienza,
chiusura (“Con quello io non pratico”), individualismo, separazione,
paura, prepotenza, perfezionismo,
spirito critico e giudicante (“Guarda
quello! Ma chi crede di essere!”),
senso di superiorità, controllo ossessivo, sadismo/masochismo (evidente
quando ridiamo mentre il maestro di
turno esegue una leva dolorosa al
proprio uke), paura di sbagliare …
Chi non ha visto (e criticato!) questi e
altri difetti negli altri? Specialmente
nei gradi avanzati? Ma, focalizzare
l’attenzione giudicante sugli altri, non
serve a nulla … facciamo piuttosto
un’onesta autocritica e chiediamoci:
“quali di queste cattive abitudini appartengono alla mia vera natura?”
Il primo passo importante consiste
infatti nel riconoscimento dei nostri
difetti, senza giudicarli moralisticamente, né trattarli con autoindulgenza. Si tratta di una semplice
presa di visione: “sì, riconosco l’esistenza in me di questi specifici impulsi ed emozioni”. Questa presa d’atto
è importante perché, se nascondiamo a noi stessi questi tratti distruttivi,
essi non scompaiono ma si celano
semplicemente alla nostra coscienza, sprofondando sempre di più nell’inconscio attraverso il meccanismo
che, in psicologia, viene definito di
“rimozione”. D'altronde, un nemico
invisibile è molto più pericoloso di
uno che possiamo guardare direttamente negli occhi!
Il secondo passo è quello di modificare la nostra pratica per sciogliere i
tratti negativi e distruttivi piuttosto
che rafforzarli. E’ qui che si trova un
importante paradosso: la stessa pratica può consolidare un difetto o sviluppare la qualità corrispondente. E’
la stessa questione dei farmaci: in
quantità determinate guariscono, in
dosi eccessive avvelenano.
Facciamo un esempio: il perfezionismo! Chi di noi non ne è affetto?
Quali problemi esso determina?
Il perfezionismo ci fa stare alla periferia di noi stessi in un controllo ossessivo di ogni particolare seppur
minimo e secondario: siamo persi
nelle nostre mani, nei piedi o nell’arma che impugniamo. E’ chiaro che,
in una prima fase di apprendistato
occorre “pensare” e controllare quello che facciamo, ma successivamente dobbiamo muoverci liberamente
senza la preoccupazione di sbagliare, permettendoci anche di non essere “esteriormente” perfetti ma piuttosto “interiormente” centrati, presenti
e unificati. La ricerca esteriore di perfezione porta stress e preoccupazioni inutili allontanandoci dallo scopo
primario
della
disciplina
(cioè
“trovare noi stessi!”). Il perfezionismo
esteriore è centrato sugli altri e sulla
voglia di fare una bella impressione,
la perfezione (unità) interiore ci conduce alla pace e alla stabilità.
Facendo quindi un elenco parziale
degli aspetti importanti di cui tener
conto quando pratichiamo, dovremmo essere:
- Consapevoli di quali emozioni e
impulsi ci attraversano per evitare
che essi agiscano automaticamente
e imprevedibilmente dall’inconscio,
danneggiando noi stessi e gli altri e
impedendo o bloccando la nostra
crescita umana e spirituale.
- Provare piacere durante l’allena-
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mento.
- Sentire un senso diffuso di leggerezza, stabilità, pienezza, vibrazione.
- Evitare di farsi male e di fare male.
- Non criticare e giudicare se stessi e
gli altri.
- Sentire il nostro corpo e il nostro
centro come punto di partenza del
movimento senza preoccuparsi dei
particolari esteriori e periferici.
- Permetterci di sbagliare e di non
essere perfetti.
- Usare il nostro corpo come indicatore della correttezza della pratica (se il
giorno dopo l’allenamento risultano
dolori eccessivi e paralizzanti, infiammazioni, ecc. qualcosa andrebbe modificato …)
- Non sentirci migliore degli altri solo
perché abbiamo più forza e più fiato.
Possiamo quindi modificare tutte le
esecuzioni tecniche tenendo conto di
quello che impariamo sui nostri modelli negativi attraverso l’osservazione
di noi stessi.
LIVELLO SPIRITUALE
E’, infine, importante tener conto anche del giusto atteggiamento spirituale da tenere durante la pratica e dell’obiettivo che ci poniamo come risultato del nostro allenamento.
Seguendo gli insegnamenti del M°
Tada, possiamo ricordare l’importanza di praticare in una condizione di
anjodaza (vuoto mentale) con un atteggiamento assoluto. Il fine ultimo è
la connessione con l’Universo, l’unificazione col Divino, il tornare a Casa,
l’illuminazione, il Samādhi. La Via del
Ritorno a casa (Sadhana) consiste
per l’appunto nella spiritualizzazione
della materia (sublimazione).
La pratica del kokyu, così come il
prānāyāma nello yoga indiano, consi-
ste in alcuni esercizi tesi ad aumentare la vibrazione (Vita) del nostro sistema corporeo, il calore (amore) nel
nostro cuore (anahata chakra) e la
saggezza della nostra mente. La concentrazione (dhārana) ci permette di
mantenere l’attenzione focalizzata sul
cammino che stiamo seguendo e su
quello che stiamo facendo. La meditazione (dhyāna, anjodaza) ci apre le
porte interiori del senso della vita, ci
libera dall’attaccamento, scioglie l’identificazione con le emozioni distruttive (gelosia, rabbia, paura, tristezza
…), ci fa sentire l’unità con il Tutto
Vivente.
Oltre a questi modi di allenamento, che vengono normalmente proposti durante il kinorenma, la pratica stessa delle
tecniche dell’aikido si presenta
come un modo per aumentare
“l’attività vibratoria” del nostro
sistema corpo-mente-spirito.
Chiunque abbia visto, anche
solo per una volta, il movimento potente, libero, creativo e
raffinato del M° Tada potrà
capire quello che intendo. Il
fascino e lo stupore che si
provano vedendo il
Maestro in azione, derivano
inconsciamente dalla percezione intuitiva della ricchezza
e profondità di senso che derivano da una pratica che collega il movimento fisico con intenti spirituali. Non si tratta
quindi (solo) di perfezione tecnica intesa come miglioramento estremo della coordinazione e dell’esecuzione di un
movimento del corpo, ma di
espressione concreta di una
raggiunta maturità spirituale.
Aumentare l’attività vibratoria, l’amore
e la luce in noi è la modalità adeguata
per tornare indietro alla Fonte Primordiale, contrastando il “congelamento”
dei nostri corpi e dei nostri cuori per
riportare l’anima nella casa del Padre
suo. Tornare a Casa ridiventare bambini, convertirsi, reintegrarsi nel Centro, sono tutte delle metafore per raccontare il percorso di ritorno dell’anima in Dio o, se si preferisce, all’Universo.
RUTA DIXIT:
“Sono l’unico del dojo a non avere le chiavi!”
RUTA DIXIT:
“Anche la scorreggia fa parte del lato più alto dell’anima!”
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Bocciata ma …contenta!
di Jacqueline Gentile
E così… ho provato la nuova esperienza della bocciatura.
Non vedere il mio nome nell’elenco
degli aikidoka promossi mi ha suscitato una strana sensazione di sorpresa
ma al tempo stesso di consapevolezza. Circondata dai miei compagni,
alcuni che non avevano guardato bene l’elenco e mi facevano gli auguri,
altri che sostenevano che sicuramente c’era stato un errore, che si trattava
di una dimenticanza, altri ancora che
mi sollecitavano a chiedere spiegazioni sulle motivazioni della bocciatura all’esaminatore, ho sentito affiorare
chiaramente la coscienziosa sensazione che era dentro di me e contro la
quale avevo combattuto accingendomi ad affrontare l’esame da 4° kyu.
Negli scorsi mesi, sono avvenuti dei
cambiamenti nel mio modo di praticare Aikido, cambiamenti forse poco
percepibili all’esterno ma per me molto nitidi. Ho praticato con costanza e
passione scoprendomi, ad un tratto,
“innamorata” di questa disciplina che
mi stava regalando sano divertimento
ed, al tempo stesso, mi stava facendo
recuperare la mia “bambina interiore”.
Mi sono sentita bene nel mio corpo,
ho iniziato a “fidarmi” di esso e, contemporaneamente, alle mie paure è
andata pian piano sostituendosi questa euforica sensazione di giocosità,
di piacevole abbandono, ho iniziato a
ricavare divertimento da tutte le tecni-
che che prevedevano proiezioni e nei
confronti delle quali avevo provato,
per un anno, puro terrore. Ma, appunto, è solo un inizio: sono ancora titubante ed indecisa quando si tratta di
lanciarmi in una mae ukemi, nutro
una vera avversione per le gyaku
ukemi e non ho ancora imparato a
non poggiare le ginocchia nell’esecuzione delle ushiro ukemi. E, quindi,
nonostante la mia puntigliosa mania
di perfezione mi sconsigliasse di sostenere l’esame da 4°kyu, ho invece
deciso di guardare a questo momento come ad una sorta di “terapia” cioè
ho voluto “lasciarmi andare” così come, durante l’esecuzione di una tecnica, avrebbe fatto un morbido uke che
segue fiduciosamente il suo tori di
turno, pienamente cosciente dei miei
limiti ma ancora più cosciente dei miei
progressi interiori.
Per questo motivo, scartando la razionale (e saggia!) opzione di posticipare
l’esame, dopo varie esitazioni, mi sono ritrovata sul tatami a sostenere
questa prova sotto gli occhi oggettivi
ed attenti del Maestro D. Giangrande.
Per la prima volta da quando sostengo gli esami di Aikido, ero inquieta
ma, al tempo stesso, consapevole
che stavo semplicemente vivendo un
momento di verifica il cui esito non
avrebbe influenzato il mio amore per
quest’arte e non avrebbe interferito
sul mio percorso di crescita emotivo.
Ovviamente, i miglioramenti che per
me sono stati un grande successo,
per un occhio esterno e competente e
per l’oggettività della valutazione, non
sono stati sufficienti per un passaggio di grado.
Sono ancora un 5° kyu ma… un 5°
kyu che una sera qualunque, sul tatami, ha finalmente scoperto l’ebbrezza
di libertà che può dare una “capriola”
eseguita senza pensare ma solo lasciandosi andare: una sensazione
impagabile, un regalo che mi ha fatto
la pratica dell’aikido e che fa di me
una praticante “bocciata” all’esame
ma che si è, contro ogni previsione,
scoperta contenta, seppure ancora
con tanta paura, di “volare” sul tatami.
L’esame ha rappresentato l’occasione
per appurare quello che tecnicamente
devo curare per migliorare nella pratica ma, parallelamente al percorso
aikidoistico, dentro di me, c’è n’è un
altro, più importante, che sta evolvendo anche grazie a quest’arte marziale
per cui, anche se pochi comprenderanno, il mio “grazie” più sincero va al
“caos” dei cinque ritmi di Gabrielle
Roth ed, ovviamente, a coloro che me
lo hanno fatto scoprire e che mi hanno aiutato a farlo emergere.
Gli effetti del TantraRuta sugli allievi:
Durante un esercizio con il bokken:
Alessandro Alboreto: “Ed ora devi scivolarmi sul collo?”
Jacqueline: ” Se vuoi…”
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Il praticante (si) racconta...
Sensazioni e riflessioni dei praticanti su seminario ed esami
Non per cattiva volontà ma solo perchè si viene presi dal vortice della quotidianità, si perde purtroppo il focus sulle cose essenziali, tra le quali quella di condividere, realizzare, frequentare il nostro
beneamato dojo.
Che dire sullo stage al quale, ahimé, non ho potuto partecipare per mancanza di tempo
e preparazione? Avrei voluto certamente esserci anch' io su quel tatami per provare l'ebbrezza di
quella energia che aleggiava durante le due giornate incorniciate dal Maestro Dionino. Palpabile
armonia nei movimenti, totale assenza di volontà e tanto altro ancora. Molto interessante, secondo
me, la teoria sulla scrittura trasferita nell'applicazione dell'aikido: credo che ogni praticante debba
fare tesoro di quelle parole per esprimere al meglio le proprie tecniche scoprendo così via via magari
qualcosa di più interessante. Cosa che Fabrizio, il nostro amato Maestro, credo abbia percepito o
intuito in quei giorni, perchè sempre molto attento ai propri allievi. Infatti, nell'osservare Vincenza durante i suoi metsuke, notava il suo sguardo che era sempre rivolto verso l'alto, e pensava : “sta
avendo una visione o è un inizio di illuminazione?”
Il Maestro in questo può smentirmi o confermare l'impressione che ho avuto guardando dal di fuori
entrambi.
Mi viene anche in mente Salvatore che sicuramente mira in alto nel suo aikido cresciuto tantissimo, però è sempre un po’ incazzato nello sguardo e la cosa mostra a mio avviso una doppia facciata, divertente e interessante.
Comunque, tutti bravi come sempre !
Affettuosamente,
Pasquale Tufano
Il mio terzo stage & il mio terzo esame
Lo stage tenuto dal Maestro Dionino si è rivelato completamente differente dal precedente, infatti il
Maestro sembrava alimentato da energia inesauribile e ha deluso tutti i praticanti che credevano di
dover seguire per l’ennesima volta uno stage semplice e soporifero. Lo stage era incentrato sulla capacità di concentrare l’attenzione sulle varie parti del corpo e sulla possibilità di gestire in modo autonomo gli arti superiori dagli arti inferiori, implicando una maggiore sensibilità motoria. Un esercizio in particolare mi è rimasto impresso e periodicamente torna a tormentare i miei sogni: mi riferisco all’ormai famoso esercizio dei due otto, durante il quale il praticante doveva disegnare, con l’ausilio delle proprie mani, due otto dinanzi a sé; l’esperienza si è rivelata traumatica e molti praticanti
come me hanno iniziato a disegnare circonferenze, triangoli e figure a caso.
L’esame per divenire 4°Kyu, è stato interessante perché mi ha permesso di stabilire i miei punti di
forza e i miei punti deboli da aikidoka, purtroppo tra emozione e alluce malconcio non ho potuto dare il meglio di me anzi ho confuso per ben due volte l’esecuzione di
Shomenuchi Uchikaiten Sankyo, per giunta dopo aver corretto il
mio amico d’allenamento Davide.
Sono molto dispiaciuto per la sorte toccata a Jacqueline, poiché ci
eravamo allenati molto giorni prima dell’esame, ma fortunatamente entrerà a far parte delle schiere dei quarti Kyu tra qualche
mese: ne sono certo!
Adesso per me si è aperto un nuovo livello d’allenamento che comprende maggiore serietà, studio delle Ushiro Waza, cura maggiore
della postura e perfezionamento delle tecniche già acquisite.
Francesco Magrone
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Commento sullo stage dell’11-12/02/2006 con il M. Dionino Giangrande:
Questo è il secondo stage a cui ho partecipato da quando ho iniziato a praticare Aikido e, come durante il
primo, sempre tenuto dal Maestro Giangrande, sono riuscito a imparare qualcosa di veramente utile: l’Aikido è vario ed è compito di ognuno di noi cogliere i molteplici aspetti di quest’arte. Lo stage è solo uno dei
tanti modi attraverso il quale è possibile perseguire questo scopo.
Questo stage in particolare mi ha “ricordato” che la posizione di hanmi è la base dell’Aikido. Ognuno quindi
deve trovare l’apertura giusta delle gambe, l’angolazione tra le linee dei due piedi e deve soffermare poi la
propria attenzione sul tanden al fine di trovare la giusta posizione di stabilità. E poi è un principio fondamentale eseguire irimi-tenkan, senza spostare il piede avanzato: se ci abituiamo a spostare il piede avanzato significa che la posizione in cui ci trovavamo non era la migliore per permetterci quello spostamento.
Inoltre, come l’anno scorso, sono stato colpito dal paragone tra l’Aikido e lo Shodo, l’arte della calligrafia
giapponese. L’anno scorso il Maestro Dionino ci aveva insegnato il ritmo del “johakyu”, quest’anno ho imparato che la pratica assidua porta ad un controllo totale del proprio corpo, ma non si può imparare a governare lo spazio entro cui ci muoviamo: questa conoscenza e consapevolezza di ciò che ci circonda nasce spontaneamente nel corso degli anni. Così ha senso il riferimento all’uso della parte bianca del foglio, che si apprende soltanto quando si raggiunge il controllo totale del nero.
Commento sull’esame:
Finito lo stage, noi principianti ci sistemiamo in fondo al dojo, sulle
panchine, ad osservare la sessione di stage dei “gradi alti”, in attesa di
poter sostenere l’esame. Mai scelta fu più sbagliata. Dopo pochi minuti, mi sono reso conto che il gi non mi offriva sufficiente protezione dal
freddo che entrava da ogni parte e, mentre maledicevo l’astuzia di chi
si era messo vicino al “piccolo termosifone”, il mio corpo stava letteralmente congelando. Dopo un’ora e mezza, paradossalmente, solo il piede ferito che stava nel calzino era sfuggito all’ondata di freddo che aveva pervaso il mio corpo…
E poi inizia l’esame e ci mettiamo in fila di fronte al Maestro Dionino.
Ovviamente sbaglio quando mi viene chiesto di alzarmi e di riscendere, ma fortunatamente non ero il solo. L’esame vero inizia dopo le ushiro, mae e gyaku ukemi. Non so per quanto tempo abbiamo praticato
ma le tecniche richieste sono variate da quelle di 6° a quelle di 4°. E’
stato un momento utile per dimostrare di conoscere le basi delle varie
tecniche. E poi la suddivisione per gradi, le tecniche in suwari-waza,
infine il saluto di chiusura e tutti nello spogliatoio. Poco dopo arriva la notizia del superamento dell’esame.
Ora, a distanza di tempo da quel weekend, sono contento non semplicemente per il risultato raggiunto, ma per l’impegno profuso prima e durante l’esame. Ho cercato di non lasciarmi coinvolgere dall’emozione e ci sono riuscito.
L’Aikido sta modificando la mia personalità, rendendomi più sicuro nelle
mie capacità e sempre più privo di ogni traccia di esitazione. E il merito di
questo lo devo innanzi tutto al Maestro Fabrizio.
Arigatoo.
Riccardo Solito
In foto: Aikiramisù
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Vivere lo spazio bianco
Osservando un ideogramma giapponese tracciato su una superficie bianca o anche un semplice segno scritto su un foglio, siamo tutti portati a focalizzare l’attenzione sul tratto nero tesi a voler soddisfare l’ istantanea sensazione di curiosità che suscita una parola, un’immagine o un ghirigoro qualsiasi senza mai notare
che è il contrasto con la superficie chiara che dà concretezza al tratto e che, soprattutto, ne determina l’esistenza. Questa semplice constatazione può, in realtà, trasformarsi in una splendida metafora che il Maestro D. Giangrande ci ha voluto regalare come profondo spunto di riflessione durante lo stage che ha tenuto
a Bari. La sua applicazione più immediata possiamo ritrovarla durante l’esecuzione di una tecnica di Aikido. La tecnica in sé con gli spostamenti di base che prevede e con il suo corollario di grounding, seika tanden, en zan no ken, coordinazione e tutto quello che rende un’esecuzione inappuntabile rappresenta il tratto nero tracciato su un foglio mentre lo spazio in cui tori ed uke si muovono è il “bianco” che dà risalto ai
movimenti. Un “bianco” a cui non siamo abituati a dare importanza e che, per noi, rappresenta il “vuoto”
che una tecnica riempie. In realtà, tale spazio che circonda tori ed uke non è semplice aria dalla natura effimera ed inconsistente ma è energia, è vitalità, è denso fluido che permea ed avvolge i praticanti. Impadronirsi di questo spazio, farne parte integrante della circolarità di una tecnica, catturare questa energia vibrante ed, al tempo stesso, lasciarla andare, risucchiarla e sospingerla lontano vuol dire animare un’esecuzione di waza, significa vivere il bianco che infonde forma, colore al tratto nero e marcato dei nostri movimenti. Non più aria fuggevole che colma i vuoti ma densa acqua che tori ed uke fendono con le loro movenze e da cui si lasciano impregnare.
Spostando lo sguardo dal mondo dell’Aikido alla nostra vita quotidiana, è possibile ritrovare svariate applicazioni del medesimo concetto. Il nostro egocentrismo, la nostra consuetudine di porci al centro, di concentrare l’attenzione sulla nostra microcosmica realtà rappresentano il tratto nero, marcato e deciso, che disegniamo con imperiosa determinazione in ogni momento della nostra esistenza mentre il bianco cioè la gente che ci circonda con i propri bisogni ed esigenze, spesso troppo diversi dai nostri, la natura con i suoi colori e profumi, il mondo ludico che abbiamo lasciato alle nostre spalle uscendo dal periodo infantile è quello
che fa da sfondo al teatro della nostra vita. A volte lo riscopriamo e ci permettiamo di lasciarci incantare da
esso concedendogli di entrare, di roteare liberamente nella nostra
quotidianità ed allora la nostra vita diventa fluida, corposa, intrisa
di nuove emozioni, riscaldata da rinnovato calore, cosparsa di essenze odorose di cui eravamo oramai dimentichi. Nero è il tratto risoluto
delle nostre convinzioni, è la trama intricata dei nostri pensieri, è
l’incessante borbottio delle nostre lamentele, la rigidità dei nostri
schemi secondo i quali inconsciamente ci muoviamo; bianco è la
pausa, il lasciarsi andare, il raggio di sole che penetra dalle fessure
di una persiana, il sorriso di un bimbo, è un cielo stellato, una passeggiata a piedi nudi sulla spiaggia, è l’attimo in cui fermarsi e ritrovare se stessi.
Il nostro mondo interiore e la realtà esterna che ci circonda è continua compenetrazione di bianco e nero, che sfumano l’uno nell’altro,
che si altalenano: la tristezza che lascia posto alla gioia, la notte che
scompare nel giorno, il “vuoto” che accoglie il “pieno”, l’energia femminile che fa da complemento a quella maschile, la luna che si alterna al sole, l’estate che lentamente si trasforma in inverno.
Dai macroscopici fenomeni naturali alla microscopica realtà della
nostra anima, tutto è manifestazione della fusione degli opposti, è
bianco che attornia il tratto nero e deciso di un ideogramma, che si
insinua nei suoi “vuoti” realizzando quell’integrazione degli aspetti,
a prima vista contrapposti, da cui nascono equilibrio ed armonia.
Jacqueline Gentile
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SHINBUNEWS
Lo stage con il Maestro Dionino Giangrande
Va rigorosamente premesso che, per me, questo è stato il primo stage al quale ho partecipato. Come spesso mi accade di fronte a situazioni e contesti nuovi, ammetto di aver vissuto questa esperienza più con lo
spirito di chi deve stare attento ad essere adeguato alla situazione, piuttosto che abbandonandomi alla pratica fisica ed interiore della disciplina. Ciò, però, mi ha permesso di notare come possa essere diverso praticare l'Aikido nelle giuste condizioni mentali e quindi con una sapiente capacità di concentrazione e di coordinamento della energia interiore, piuttosto che rivolti solo ad un impegno fisico e tecnico. Il Maestro, infatti, ha mostrato una grande attenzione alla "forza mentale" stimolandoci prima, alla ricerca della nostra
stabilità interiore e poi, chiedendoci di applicare i risultati di questo sforzo al corpo quale strumento asservito alla nostra volontà. Ebbene in alcuni momenti - forse perchè incapace di quell'abbandono e concentrazione necessari per riuscire a mettere in pratica l'esperimento propostoci - mi sono sentito quasi come uno
spettatore esterno ed ho potuto vedere la differenza della pratica effettuata con la consapevolezza della propria energia così come mostrato ovviamente dal Maestro e poi dagli allievi di grado superiore e via via da
tutti gli altri sino a me. In questa immagine ho colto la via, il cammino - tutto personale e soggettivo- che si
deve percorrere per acquisire la coscienza di quell'aspetto di noi stessi che, pur
essendo il più intimo, a causa del retaggio che ci portiamo dietro da generazioni,
è anche quello a noi spesso sconosciuto.
E' per me stato molto bello vedere gli allievi più esperti praticare con grande
concentrazione, mostrando una esecuzione delle tecniche fluida e carica
di energia ed a loro va la mia ammirazione ed i miei complimenti insieme a tutti
i compagni del dojo.
I miei ringraziamenti vanno invece al nostro Maestro che ha la capacità di introdurre gradualmente in questo mondo anche chi, come me, ne è a totale digiuno,
attraverso il suo metodo di insegnamento accessibile ed accogliente oltre
che spumeggiante, accattivante, divertente e....e finisco qui se no potrebbe sembrare una sviolinata , cosa che assolutamente non vuole essere.
Un saluto a tutti e buona pratica!!!
Gaetano Martucci Zecca
Stage con Dionino
Un'esperienza senza dubbio
positiva e molto interessante che
ripeterei volentieri.
Ma entro un po' nello specifico.
Innanzitutto, ho apprezzato la fase
di riscaldamento e gli esercizi in
cui si muoveva solo una parte del
corpo, mantenendo ferma l'altra.
Ci si deve necessariamente concentrare, per cui si sente di più il
proprio corpo e lo si conosce meglio. Che, poi, in Aikido sia fondamentale sentire se stessi e chi si
ha di fronte, lo si capito soprattutto quando Dionino ci ha chiesto di
lavorare in coppia con uno che disegna intorno a sé un percorso con
la mano e l'altro che deve seguire
quel medesimo percorso: ma perché funzioni (questa è solo una
mia riflessione), è necessario silen-
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zio e molta concentrazione, altrimenti l'esercizio resta fine a se
stesso e sembra un gioco per bambini.
Ho trovato per certe tecniche alcune difficoltà nel seguire un Maestro con uno stile un po' diverso da
quello cui sono abituata qui al dojo
(anche se poi tra Fabrizio, Vito e
Francesco, ad esempio, vi sono già
delle differenze). Praticando Aikido da un mese, forse è normale
sentire più evidenti le differenze di
stile, perchè le tecniche ancora non
si possiedono a tal punto da prescindere dal metodo di insegnamento.
Come ho detto a lezione, l'unica
cosa che non mi è piaciuta è stata
la durata. Troppo poco un'ora e
mezza, poco più di una lezione normale, così poco che mi riesce difficile definirlo uno stage da questo
punto di vista. Paragonato a stages
di sette ore
(che realmente hanno avuto
luogo),
francamente
la durata mi
sembra davvero irrisoria.
Riuscire a resistere più tempo è un
altro discorso. E’chiaro che io morirei dopo tre ore, mentre chi pratica da più tempo ed ha una preparazione fisica migliore può farcela
anche per sette ore. La forza di
volontà è anche fondamentale, ma
quando collassi, collassi.
Francesca R. Romano
SHINBUNEWS
Gli esami visti da uno...
Oramai gli esami sono andati e io sono rimasto …. al palo.
Bene, anche per chi li deve ripetere o non è stato soddisfatto penso che l’esame rappresenti un piccolo
passo, un piccolo traguardo. Ma non farlo perché non si è sicuri, non farlo perché non ci si sente pronti,
non farlo perché si ha…la varicella (!)… allora che fare ?
Fare solo una cosa: allenarsi, allenarsi e ancora allenarsi, riscoprendo il piacere di aver, comunque, fatto
un altro piccolo passo sulla strada dell’Aikido. Questo allenarsi continuamente mi fa pensare che alcune
volte gli esami non esistano. Quindi l’esame non esiste e se, non esiste, esiste forse “il sentirsi e il sentire
la tecnica, il sentire l’uke, il sentirsi tori… ” cioè un qualcosa che va ben oltre la mera dimostrazione esteriore e di movimento che si ripercuote all’interno del nostro piccolo universo, della nostra batteria di energia che ci circonda e che alle volte sfioriamo. Ed è proprio questa piccola consapevolezza che ci frega e che
mi fa dire che in fondo non vi sono esami ma forse solo la buona pratica. Ma no! Gli esami esistono e anche ogni giorno, nella vita e nell’aikido e forse qualche volta se sbattiamo “il muso” ci fa anche bene.
Quindi, buon keiko a tutti ma, soprattutto, buona passeggiata.
Nicola Mercuri
RUTA DIXIT:
“ Uno scienziato non ha un’idea brillante mentre riflette ma la ha mentre legge il giornale, mentre dorme, mentre scopa…”
RUTA DIXIT:
“Noi abbiamo queste aperture sui fianchi dell’hakama per metterci la
spada non per grattarci i cogxxoni!”
RUTA DIXIT:
“Gli uomini non devono stare solo con le donne ma devono fare anche
con gli uomini!”
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SHINBUNEWS
Segni Particolari: Cintura Nera
Redazione: Quando e come hai conosciuto l’Aikido?
Francesco Pastore: Ho conosciuto
l'Aikido nel 1997, quasi nove anni fa,
un po’ per caso; a differenza dei miei
amici, non avevo mai praticato sport
prima di allora e così decisi che era
arrivata l'ora di iniziare.
Scelsi le arti marziali perchè ero un
patito dei film di azione e chiesi allora
a mio padre di interessarsi per me.
Conobbi così Francesca Polizio che è
stata la mia prima guida.
Redazione: In che modo la pratica
dell’Aikido credi ti abbia cambiato o
abbia influenzato la tua vita?
Francesco Pastore: A livello fisico,
ho acquisito più forza e coordinazione, inoltre, sono più sicuro di me stesso e consapevole delle mie capacità.
Purtroppo, però, ho dedicato così tanto tempo allo studio dell'Aikido che
non ho avuto modo di dedicarmi ad
altre attività, ma mi sto rifacendo.
Redazione: Ricordi il tuo esame da
sesto kyu?
Francesco Pastore: Vagamente.
Ricordo che ero molto spaventato e
gasato allo stesso tempo; la cosa che
mi premeva di più era quella di fare
bella figura agli occhi della mia maestra e di Fabrizio, ma non credo di
esserci riuscito: ero un po’ imbranato!
Redazione: Cosa hai maggiormente
apprezzato negli insegnamenti del
Maestro Ruta?
Francesco Pastore: La sincerità,
l'energia e l'estro che mette nella sua
pratica.
mento Emanuele e Pietro, anche loro
medaglisti: in quei tre giorni, ci siamo
picchiati e abbuffati un sacco, in particolar modo io ed Emanuele, però in
gara davamo sempre il meglio di noi
stessi.
Redazione: Perché consiglieresti la
pratica dell’Aikido?
Francesco Pastore: Sinceramente
non saprei, forse per diventare grandi
e forti come me?
Redazione: Sappiamo che il martedì
sera prendi lezioni anche da O Sensei Raffaello: cosa ti sta insegnando?
Francesco Pastore: Che nella vita ci
vuole pazienza, molta pazienza…
Redazione: Nel corso degli anni di
pratica di Aikido, c’è stato un momento in cui hai pensato di abbandonare
l’allenamento? Se sì, quali sono stati i
motivi?
Francesco Pastore: Sì, è successo
quando ho iniziato a praticare Judo;
in quel periodo, mi piaceva più dell'Aikido ma fortunatamente ho cambiato
idea. In seguito, ho avuto altri momenti di crisi che sono passati così
come sono venuti.
Redazione: Le molteplici mae e
gyaku ukemi che fai eseguire durante
i tuoi allenamenti hanno uno scopo
particolare?
Francesco Pastore: Dal mio punto di
vista, solo quello di torturarvi un po’.
Redazione: Ti vediamo molto assorto
nella pratica del Jodo: cosa rappresenta per te oggi anche in relazione
all'Aikido?
Francesco Pastore: E' una disciplina
che mi piace molto, diversa dall'Aikido
ma complementare: la trovo molto
divertente ed in più arricchisce il mio
curriculum e la mia esperienza di praticante.
Redazione: Hai una ricetta segreta
per raggiungere la tua splendida forma fisica?
Francesco Pastore: Che fate? Sfottete? Guardate che mi sono messo a
(Segue...)
Redazione: Ci racconti le emozioni
provate per l’esame da cintura nera?
Francesco Pastore: All'inizio ero
agitatissimo ma, una volta cominciato, l'agitazione è svanita e mi sono
concentrato al massimo; volevo far
bene a tutti i costi e così è stato, almeno credo. Purtroppo l'esame in sé
è stato una banalità e questo mi ha
lasciato un po’deluso: mi ero allenato
tantissimo per superarlo e non vedevo l'ora di mettermi alla prova.
Redazione: Come è
stato vincere la competizione europea di
Jodo ed arrivare primo?
Francesco Pastore:
E' stato fantastico!
Ho provato una valanga di emozioni
difficili da descrivere
quando, con la coda
dell'occhio, ho visto
Redazione: Come ci si sente da cin- alzarsi le bandierine
in mio favore. Inoltre,
ture nere?
Francesco Pastore: Un po’ come dei mi sono divertito un
fratelli maggiori forse: ci si deve pren- mondo insieme ai
miei compagni di
dere cura dei fratelli più piccoli.
viaggio e di allena-
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SHINBUNEWS
Cognome: Pastore
Nome: Francesco
dieta e i primi risultati si vedono. Comunque
il segreto è mangiare cinque volte al giorno
e fare tanto Aikido.
Data di nascita: 26/05/1984
Professione: Studente
Grado di Aikido: I° dan
Redazione: Cosa ti auguri per il futuro?
Francesco Pastore: Mi auguro di diventare
presto un bravo maestro di Aikido.
Hobbies: Mangiare, dormire, guardare la tv, navigare in
internet, giocare al computer, etc. etc...
Un mio pregio: Ne ho così tanti che non me ne viene in mente
nessuno
Un mio difetto: Peso un po’ troppo
Segni particolari: Troppo forte
RUTA DIXIT:
“ In passato, “aiki” non era una bella cosa: significava
unirmi a te per… inculxxti!”
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SHINBUNEWS
Bioenergetica
Il superamento dei blocchi emozionali con l'Analisi Bioenergetica
di Maria Martinelli
Gli interventi, in Analisi Bioenergetica, prevedono l'analisi del profondo
secondo un approccio che procede
partendo sia dal versante psichico sia
da quello corporeo: i temi emergenti,
infatti, vengono affrontati ed evocati
utilizzando sia il canale che, partendo
dal piano mentale ed affettivo conduce al coinvolgimento corporeo sia il
canale opposto ovvero quello che,
partendo dalla respirazione, dal movimento e dall'espressione corporea,
permette l'emergere di vissuti emotivi
inconsci e ne consente quindi anche
il recupero e l'elaborazione a livello
mentale e affettivo.
L'Analisi Bioenergetica mobilita forti
reazioni emotive e, in tal modo, riattiva l'energia biologica bloccata contratta nelle stasi segmentarie del nostro corpo. Sappiamo come le emozioni possano paralizzare o mettere
in moto l'essere vivente. Nelle nevrosi e nelle psicosi o anche in situazioni
psicosomatiche, l'impoverimento delle espressioni emotive giunge a disturbare la motilità spontanea. Nelle
persone in queste condizioni, si riscontrano una serie di blocchi a livello corporeo che impediscono, alle
emozioni e all'energia, di fluire liberamente.
Scopo dell'analisi bioenergetica è
quello di far superare i blocchi e quindi ristabilire un contatto immediato
ed un flusso delle proprie emozioni
ed energie.
I blocchi sono accumuli di energia
vitale stagnante e si manifestano su
tre livelli:
1.livello fisico: contrazioni muscolari
croniche e squilibrio della struttura
ossea;
2. livello emotivo: paura, rabbia e
chiusura in se stessi;
3. livello mentale: rigidità e passività.
A livello psichico, l'Io funge da mediatore tra il mondo interno e quello esterno, fra se stessi e gli altri: in questa mediazione è proprio l'Io che controlla l'Immagine di sé da offrire al
mondo esterno e seleziona i sentimenti e gli impulsi che possono essere espressi all'interno dei canoni e dei
modelli di comportamento accettati
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dalla comunità nella quale l'individuo
vive. L'interazione tra l'Io e il corpo si
attua in un processo dialettico, in cui
l'Io plasma il corpo attraverso il controllo che esercita sulla muscolatura
volontaria. Quando l'espressione di
un sentimento non è accettata nel
mondo del bambino, questo è costretto ad inibire l'emozione mediante, ad esempio, la contrazione dei
muscoli atti all'espressione dell'emozione stessa. Quando tale inibizione
è lungamente protratta nel tempo, l'Io
abbandona il controllo sull'azione
proibita e ritira l'energia dall'impulso.
Il controllo dell'impulso diventa allora
inconscio e il muscolo rimane in questo caso contratto.
L'Analisi Bioenergetica interpreta,
sulla base dei blocchi corporei, la
personalità e i percorsi energetici,
ossia la produzione di energia attraverso la respirazione, il metabolismo,
le scariche di energia nel movimento
come funzioni basilari nella vita.
Già Reich, prima di Lowen, formulò
una disposizione segmentaria della
corazza muscolare:
1. oculare: fronte-occhi-zigomi
2. orale: labbra-mento-gola
3. collo: cervicale-spalle
4. torace
5. diaframma
6. centro: addome
7. zona pelvica
I differenti tipi di tensione che si manifestano nel corpo si possono considerare come un congelamento della
storia infantile e adolescenziale delle
persone. In linea generale, in tutte le
forme di nevrosi c'è una contrazione
della zona oculare che si estende
fino alla fronte e, scendendo, fino al
collo. L'inibizione della rabbia, del
pianto, della paura può provocare
forti emicranie e artrosi cervicali.
Se si mette in moto quest'area, si
incoraggiano l'apertura degli occhi e il
movimento del capo. Prima che la
zona si sblocchi, è necessario liberare l'espressione di panico, di sospetto, di rabbia, di pianto.
Il lavoro della bioenergetica sul corpo
comprende trattamenti con le mani e
particolari esercizi. I primi consistono
in massaggi, pressione controllata e
leggeri contatti per rilassare i muscoli
contratti. Gli esercizi intendono aiutare chi li pratica a entrare in contatto
con le proprie tensioni e a rilasciarle
tramite movimenti appropriati. E' importante sapere che ogni muscolo
contratto sta bloccando qualche movimento.
Le tensioni accumulate in tutta la
parte superiore del volto sono funzionalmente collegate con la parte inferiore: bocca e mascella. Le contrazioni della zona orale si sbloccano con
esercizi che ricordano atti ed espressioni infantili: mordere, succhiare,
fare smorfie. Qualche volta, durante
gli esercizi, si recuperano ricordi infantili traumatici. Tale recupero libera
il corpo dai ristagni energetici dove si
conserva l'evento che a suo tempo
provocò la contrazione stessa. Il
bambino, per autodifesa dal dolore
troppo forte, contrae il respiro ed autoproduce il blocco energetico. In
ogni segmento di energia stagnante
si conserva la memoria degli episodi
traumatici. Con gli esercizi della zona
orale, si sbloccano stasi di energia
che si trovano anche nel collo e sulle
spalle.Il collo si può considerare un
punto di connessione che unisce la
testa al corpo.
Le contrazioni di quest'area, particolarmente frequenti, tendono a stabilire un senso di separazione tra la testa ed il corpo. Molte persone si di-
fendono dalle proprie emozioni identificandosi nella propria testa.
Le emozioni trattenute nella gola
sono singhiozzi, grida e urla, ossia
espressioni vocali rumorose che
durante l'infanzia vengono inibite e
conseguentemente inghiottite e
contratte. Man mano che si liberano tutte le emozioni, le idee divengono più chiare ed il contatto con la
realtà migliora, senza contare le
trasformazioni positive del volto a
livello estetico. Si sviluppano una
sintonia armonica e una unitarietà
tra la testa e il tronco; movimenti e
sensazioni di grazia e di gioia di
vivere si sprigionano dalla intera
SHINBUNEWS
persona.
La rabbia trattenuta nel collo è collegata
ai muscoli delle spalle e ad altre aree
della schiena; nelle contrazioni è racchiusa rabbia morta, paure sepolte dalle quali, attraverso opportuni movimenti
delle braccia accompagnati da vocalizzazioni e parole, man mano ci si libera
e ci si scarica.
Durante gli esercizi, si sollecita l'espressione vocale delle proprie sensazioni
per mantenere il contatto armonico con
la propria respirazione e per espellere
tutta l'emotività.
Merito di Lowen è l'aver apportato ai
principi di analisi bioenergetica reichiana una importante modifica, portando il
paziente dalla posizione sdraiata a
quella eretta, applicando il grounding e
incoraggiando quindi ad avere i piedi
saldamente piantati sulla terra, in un
contatto non meccanico, ma sentito nel
reale scambio energetico tra piedi, terra
e carica energetica nelle gambe e nei
piedi.
Con questa aggiunta di esercizi, Lowen
istituisce l'”Analisi Bioenergetica”.
Per Lowen, le gambe hanno un ruolo
essenziale nelle reazioni fisiologiche ed
emotive dell'individuo, poiché lo mettono in contatto con la realtà del terreno
su cui vive, ossia la realtà sociale e
personale. Essere in “grounding” significa trovarsi in una posizione di adulto
responsabile. La posizione distesa è
implicitamente una posizione più infantile.
Gli esercizi si concentrano sul movimento corporeo accompagnato dall'uso
della voce e anche da esercizi per gli
occhi. Quando viene ristabilito un buon
contatto con la realtà ed i sentimenti,
aumenta la sicurezza fisica ed emotiva.
Gli esercizi psicofisici tendono a ristabilire la motilità e l'espressività naturale
dell'organismo.
Nelle condizioni ideali, l'energia fluisce
dall'alto per scaricarsi verso il basso;
quando questo avviene, i pensieri e i
sentimenti sono fluidi ed armonici. Contrariamente, in un corpo contratto e pieno di blocchi, anche i pensieri sono disarmonici proprio perché l'energia, anziché fluire dall'alto verso il basso, ritorna
indietro a spirale in ogni segmento contratto. In tal caso l'eros diviene perversione, l'amore sadismo, gioia di vivere
senso di colpa.
ta la Core-Energetica, un'altra tecnica
psico-corporea basata sulla psicologia
del profondo e messa a punto da John
Pierrakos, medico e psicoterapeuta
americano, collaboratore di Lowen.
Grazie al suo studio pionieristico sui
campi energetici umani ed integrando
nella terapia l'aspetto spirituale dell'uomo, Pierrakos può ampliare l'approccio
dell'Analisi Bioenergetica. La CoreEnergetica si occupa proprio dell'energia originaria, che scorre come flusso
vitale dalla parte più profonda dell'essere umano, il Core (nucleo), sorgente di
ogni guarigione, saggezza, gioia e creatività.
La Core-Energetica è un profondo processo trasformativo che interviene sui
cinque piani esistenziali della persona,
che sono:
1.
il Sé spirituale
2.
la volontà
3.
la razionalità
4.
il piano emozionale
5.
il corpo.
La Core-Energetica lavora contemporaneamente su tutti e cinque questi livelli,
vale a dire che non divide né prende di
mira un piano particolare dell'essere
umano, bensì considera l'insieme di tutti
i livelli.
Il processo è basato su di una profonda
comprensione del modo in cui energia e
coscienza interagiscono nella formazione del corpo e delle sue funzioni. Il corpo è l'officina della vita ed è il veicolo
attraverso cui esprimiamo i sentimenti, i
pensieri e il nostro Sé spirituale. Le
informazioni che ci hanno impressionato vengono trasmesse attraverso il corpo fisico, che porta con sé differenti
reazioni di difesa alle nostre emozioni.
Il primo scopo della Core-Energetica è
penetrare attraverso la Maschera, che
abbiamo creato per la nostra autodifesa. Il confronto con la nostra maschera
ci permette di riconoscerla per ciò che
essa è: una simulazione della nostra
realtà interiore. In secondo luogo, la
terapia fa emergere le forze distruttive
inconsce e tutte le attitudini originariamente negative. Fino a quando non le
riconosciamo e non le accettiamo, esse
influiscono sulla nostra realtà e sulla
nostra vita quotidiana.
Esistono anche altre terapie psicocorporee: la Digitopressione, lo Shiatsu,
il Touch for Health, la Massoterapia
ovvero il Massaggio Neuromuscolare, il
Altre tecniche psico-corporee
Micromassaggio, l'Agopuntura, il MasDall'Analisi Bioenergetica si è sviluppa- saggio Trager, il Rolfing, il Feldenkreis.
Pagina 15
L'Integrazione Posturale, ad esempio, è
un metodo olistico di crescita del potenziale umano che trae la sua efficacia
dal superamento della concezione dualistica di corpo e mente e dal riconoscimento della identità funzionale di tutte
le componenti dell'uomo. La tecnica di
base consiste in manipolazioni precise
e profonde del tessuto connettivo, unite
a respirazione bioenergetica e a mobilizzazioni somatiche coscienti ed inconsce. Si mira così a liberare le tensioni
emotive accumulate nel corso della
storia individuale e a dissolvere al tempo stesso la corazza caratteriale mantenuta dalle tensioni.
E' possibile coprire tutte le tappe principali della nostra vita, inclusa l'infanzia,
con lo scopo di riportare in movimento
le energie corporee e psicologiche represse e dare loro una possibilità di
riorganizzazione creativa.
L'Integrazione Posturale è un mezzo
per rimuovere strati profondi di tessuto
connettivo bloccato e quindi portare in
espressione emozioni primarie e schemi di pensiero inconsapevoli; un cammino che conduce ad un più completo e
ricco dialogo con il mondo.
Essa, liberando le tensioni superficiali e
profonde in tutto il corpo, favorisce il
riallineamento di quest'ultimo rispetto al
proprio asse longitudinale, permettendo
una migliore interazione con il campo
gravitazionale.
Vi sono poi gli interventi cosiddetti di
Terapia Energetica (Therapeutic Touch,
Reiki, Neo-Reiki Michael con Radicamento, Touch for Healing) in cui il terapeuta impone le mani sul paziente intervenendo sul campo energetico, cercan-
do di rimuovere i blocchi, portando
energia vitale. Questi interventi dovrebbero essere affiancati ad un lavoro di ricerca personale sulle cause
che hanno generato il blocco energetico.
SHINBUNEWS
Muso
di Vincenzo Servedio
“Lo specchio riflette la forma, e tutte le forme. Se sorridete davanti allo specchio, la forma
vi sorride. Lo specchio è ku come la vostra mente durante zazen. Durante zazen, possiamo vedere meglio noi stessi, come in uno specchio. Il nostro inconscio si riflette nella
nostra mente. I germi di karma della nostra coscienza alaya si manifestano. Questo specchio non riflette il nostro inconscio per giudicare che cosa è bene o male; è un riflesso
oggettivo. Alcuni, durante zazen, ridono, piangono o sono in estasi. Essi si ingannano.
Se la vostra mente è vero specchio, se comprendete la natura di Buddha, se avete il satori, allora potete conoscere realmente voi stessi. Siete nella condizione normale della mente. Comprendete obiettivamente i vostri errori, conoscete obiettivamente il vostro comportamento. Il folle, che improvvisamente comprende di essere folle, non è più folle. La legge
e la morale non hanno niente a che vedere con questo. La religione è il vostro riflesso più
profondo.”
Sono raffreddato, ho il morale a pezzi
(oltre al naso) e, in queste condizioni,
mi accingo a parlarvi di interdisciplinarietà dell’aikido quindi non stupitevi
se i toni saranno seriosi, a tratti sarcastici ed in qualche punto oscuri.
Spero nella benevolenza della redazione che fin d’ora è autorizzata a
modificare riscrivere o cancellare
quello che le pare del testo e, se volesse, addirittura cestinarlo: non se ne
preoccupi nessuno, tanto nello stato
delirante in cui mi trovo, credo che
faticherò a ricordarmi di aver scritto
qualcosa. Dunque passati i convenevoli, veniamo a noi…
Per parlare di interdisciplinarietà, non
posso che affidarmi alle mie, se pur
scarse, conoscenze in materia di arti
marziali e fondare l’intera discussione
sulle mie esperienze personali (forse
dovrei essere meno modesto…).
Prenderò, dunque, a modello le tre
discipline che mi hanno visto e mi
vedono attore (sicuramente non protagonista…) e cioè:
arte o tecnica )
3.
l’AI-KI-DO (ai l’armonia, ki l’energia e do la via)
Già annoiati? E siamo solo all’inizio!
Quello che cercherò di fare in queste
pagine è di convincervi come lo studio dell’AIKIDO non può essere fine a
se stesso ma deve estendersi alla
conoscenza ed eventuale pratica delle altre due discipline marziali. Per
fare questo cercherò di proporvi un
1. il JU-DO
(da jutsu, arte o pra- cammino parallelo tra le tre. Che ne
dite di iniziare con un po’ di storia?
tica e do via o principio)
2. il KARA-TE (kara da vuoto, non
armato e te da mano intesa come
JUDO
Il Judo, così come noi lo conosciamo, è l'evoluzione di una tecnica di
combattimento più antica : il Jujitsu. Il
Jujitsu aveva numerose scuole che si
distinguevano tra di loro per i metodi
di combattimento. Le circostanze che
contribuirono alla nascita del Jujitsu
sono sicuramente da ricercarsi nella
necessità di difendersi senza l'uso
delle armi e quindi sono sostanzialmente due i motivi che hanno portato
alla creazione di questa tecnica:
1. in presenza di dignitari i soldati
dovevano presentarsi senza la
spada lunga e così pure le guardie
del palazzo e gli impiegati.
2. vigeva all'epoca una netta separazione tra le classi sociali e soprattutto tra la classe militare ed il popolo, a quest'ultima era infatti imposto il divieto di portare armi di
alcun genere.
Così da questi fondamenti nasce la
necessità di ricercare un buon siste-
Pagina 16
ma per difendersi a mani nude che
porterà alla creazione e lo sviluppo
del Jujitsu e di altre tecniche di combattimento. La successiva evoluzione
del Jujitsu da Justu, parola che può
essere tradotta come metodo, arte o
tecnica, in Do, parola che indica la
via verso il risultato più spirituale che
pratico , la dobbiamo ad un giovane
studente di Tokyo, Jigoro Kano.
Il professor Kano nacque nel 1860
vicino a Kobe, di fisico debole e troppo fiero per sottomettersi alla brutalità dei compagni più forti, sentì parlare del Jujitsu, metodo che serviva per
combattere anche contro avversari
più forti, così decise di apprendere
tale tecnica. Incontrò diversi maestri
che lo iniziarono al Jujitsu e, dopo
alcuni anni di apprendimento, fondò
una sua scuola chiamata Kodokan e
cominciò ad insegnare il proprio metodo chiamato Judo.
Kano allora aveva 23 anni. Dice Kano :"Studiai il Jujitsu non solo perchè
lo trovavo interessante, ma anche
perchè lo ritenevo il metodo più efficace per l'educazione sia del corpo
che dello spirito. Per questo mi è
venuta l'idea di diffonderlo ovunque.
Ma era necessario cambiare il vecchio Jujitsu, per renderlo accessibile
a tutti, perchè il vecchio stile non era
immaginato per l'educazione fisica o
morale... Perchè l'ho chiamato Judo
invece che Jujitsu ? Quello che insegno non è solo jutsu, arte o pratica,
ma è anche Do, via o principio." In
queste poche parole del professore
Kano, è spiegato chiaramente il principio che lo ha spinto a creare il Judo
e la sua scuola il Kodokan. La definitiva supremazia sulle altre scuole di
Jujitsu venne quando, sotto gli auspici del capo della polizia metropolitana, fu indetto un torneo tra le due
scuole. Il Kodokan vinse tutti i combattimenti tranne due finiti in parità.
SHINBUNEWS
KARATE
La storia e l'evoluzione del karate
sono molto complesse. L'analisi della
storia dell'isola di Okinawa permette
di comprendere come l'influenza cinese abbia formato quest'arte e come poi si sia sviluppata sotto la denominazione giapponese. L'arte marziale di Okinawa si è sviluppata come un'arte tenuta segreta, che per
lungo tempo è stata il privilegio dei
nobili prima di diffondersi ad altri
strati della società, pur restando appannaggio di un numero ristretto di
persone. Nel secolo XV il re di Ryukyu, dopo aver elevato al rango di
nobili gli antichi capi locali, proibisce
di portare armi. Dopo aver invaso il
paese, nel secolo XVII, i signori giapponesi di Satsuma mantennero l'interdizione delle armi istituita dal re di
Ryu-kyu un secolo e mezzo prima e
giunsero a stabilire saldamente il loro
dominio sull'isola. Integrato nel regime feudale giapponese, il sistema
gerarchico di Ryu-kyu diventò più
rigido. Venne stabilita una gerarchia
interna che si diversificherà ancora in
seguito: nobiltà in tre gradi, vassalli
in due gradi, contadini in due gradi.
L'arte del combattimento a mano
nuda praticata dalla nobiltà sembra
aver avuto più che altro il senso di
una manifestazione simbolica del
suo rango. Tuttavia, nel corso dei
secoli XVII e XVIII, i vassalli si impo-
verirono e una parte di questi si orientò poco a poco verso l'artigianato
o il commercio, e infine verso l'agricoltura, per sopravvivere. Si manifestò una mobilità sociale tra la classe
dei vassalli e quella dei contadini,
malgrado la gerarchia complessa e
rigida esistente a Ryu-kyu. Possiamo
pensare che, con questa mobilità
sociale, l'arte dei nobili a poco a poco abbia penetrato gli altri strati sociali; lo testimonierebbe la comparsa
di termini come "mano (te) dei vassalli", "mano degli artigiani", "mano
dei contadini", avendo il termine
"mano" (te) il significato di arte o di
tecnica.
In giapponese, il termine bushi designava colui che apparteneva all'ordine dei guerrieri (samurai). A Okinawa, dove la struttura sociale era diversa questo termine assunse il significato di adepto di te, qualunque
fosse la propria appartenenza di
classe; di qui un certo numero di significati erronei nell'interpretazione
dello status sociale degli adepti. Il
termine shizoku designa in giapponese l'ordine dei guerrieri. Quando
però si dice che maestri di karate
come G. Funakoshi, A. Itosu, S.B.
Matsumura ecc... appartenevano allo
shizoku, il senso è differente. In effetti, a Okinawa, dove non esisteva un
equivalente dell'ordine dei guerrieri
giapponesi, la cultura dell'ordine più
alto, la nobiltà, era diversa e il termine shizoku, introdotto dopo il secolo
XVII, designava l'ordine dei vassalli
intermedi tra i nobili e i contadini.
Poco per volta, si formarono nei vari
strati sociali delle reti di trasmissione
esoterica dell'arte marziale. Questo
dipendeva da una parte dal fatto che,
da lunga data, quest'arte marziale
veniva praticata segretamente nella
cerchia ristretta dei nobili, dove era
concepita come il segno di un privilegio, e dall'altra dal fatto che la dominazione di Satsuma controllava l'armamento della popolazione. Verso il
1930 che Funakoshi comincerà a
trascrivere kara con l'ideogramma
che significa "vuoto". Egli spiega
questa scelta attraverso queste due
piccole frasi dell'insegnamento buddhista zen: Shiki soku ze ku Ku soku
ze shiki che significano:Tutti gli aspetti della realtà visibile equivalgono
al vuoto (nulla), il vuoto (nulla) è l'origine di tutta la realtà.
Ugualmente tutte le discipline del
budo giungono alla fine allo stato
Dopo aver scelto gli ideogrammi, G.
Funakoshi aggiunge al termine karate il suffisso do (via) e l'arte si chiamerà d'ora in avanti karate-do. Un
uomo a mani vuote e lo stato di un
uomo a mani vuote è il principio di
tutto il budo.
Daitōryū di Aizu fu una delle più rappresentative.
Secondo periodo: dal 1° al 17°
anno dell'epoca Shōwa (1926- 1942)
Si allontanò dalla religione per diventare uno specialista di budō (arti
marziali). Dal Daitōryū Aikijujitsu si
entra nell'epoca del Ueshibaryū Aikijutsu, successivamente modificato in
Aiki-bujutsu e in seguito Aiki-budō.
Aggiunse al Daitōryū le sue conoscenze relative alle tecniche di lancia (Sōjutsu), di cui era un rinomato
esperto, creando così il metodo
"uchikomi", una sorta di "kata
che vive" che viene considerato tipico dell'aikidō. Questa fu l'epoca in cui arrivò a possedere un'eccezionale forza spirituale, venne con-
sacrato ai vertici del mondo delle arti
marziali e vi esercitò la propria autorità. Riguardo a quest'epoca, si racconta che
Yamamoto Gonbê
(1852~1933, Ammiraglio e Primo
Ministro), assistendo ad una dimostrazione del Maestro Ueshiba, abbia detto "E' la prima volta, dopo la
Restaurazione Meiji (1868), che vedo una lancia che 'vive'...!" e che
che il Maestro Kanō Jigorō
(1860~1938) del Kodōkan abbia affermato "Questo è il vero judō che
ho sempre desiderato (praticare)!".
Terzo periodo: dal 18° anno dell'epoca Shôwa (1943) fino ai nostri
giorni.
Nella primavera del 1943, decise di
abbandonare tutti gli impegni fino ad
allora presi nei confronti dell'eserci-
AIKIDO
La filosofia alla base dell'insegnamento e le tecniche del Maestro
Ueshiba Morihei, il fondatore dell'aikidô, differirono grandemente a seconda delle epoche di evoluzione
della sua pratica.
Primo periodo: Era Taishō (19121926)
Praticò numerose forme di bujutsu e
raggiunse l'illuminazione spirituale
attraverso la pratica religiosa. Insegnò Daitōryū Aikijujitsu, In quest'epoca impostò la pratica sui kata. Fra
le scuole di jujitsu, oltre a quelle che
si basavano principalmente sul combattimento corpo a corpo e sul combattimento a terra, ne esistevano
anche alcune che avevano tramutato i movimenti e le tecniche di spada
in tecniche di taijutsu, la scuola di
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to, della marina e del mondo delle arti
marziali per rifugiarsi ad Iwama, nella
Prefettura di Ibaragi, dove si dedicò
all'agricoltura, coniugando la sua pas-
sione per le arti marziali all'amore per
la terra. E' in questa fase che si venne a creare l’Aikidō in quanto “Via di
tutti coloro che coltivano il grande
amore per il cielo e la terra".E’ questa
l'epoca, dal dopoguerra in poi, in cui
l'aikidō fu presentato al pubblico e si
venne a diffondere in tutto il mondo.
Ed ora diamo un’occhiata ai fondamenti:
JUDO
«Il Judo ha la natura dell'acqua. L'acqua scorre per raggiungere un livello equilibrato. Non
ha forma propria, ma prende quella del recipiente che la contiene. È’ permanente ed eterna come lo spazio e il tempo. Invisibile allo
stato di vapore, ha tuttavia la potenza di spaccare la crosta della terra. Solidificata in un
ghiacciaio, ha la durezza della roccia. Rende
innumerevoli servigi e la sua utilità non ha
limiti. Eccola, turbinante nelle cascate del
Niagara, calma nella superficie di un lago,
minacciosa in un torrente o dissetante in una
fresca sorgente scoperta in un giorno d'estate»
Gunji Koizumi, Shi-han (1886-1964)
Per assimilare la natura del Judo occorre anzitutto capire il significato
della parola stessa. La parola Jujutsu era in uso già tre o quattrocento
anni fa. Le arti militari di quei tempi
assumevano il nome delle armi o
degli oggetti che servivano al com-
KARATE
<<La mente è un tutt'uno con il cielo e la terra.Il ritmo circolatorio del corpo è simile al
sole e alla luna. La Legge include durezza e
morbidezza. Agisci in armonia con tempo e
mutamento.Le tecniche si portano quando
esiste un'apertura. La distanza "MA" richiede
avanzare e arretrare, separare incontrare. Gli
occhi non perdono neppure il più piccolo cambiamento. Le orecchie ascoltano in tutte le
direzioni.>>
Maestro Gichin Funakoshi Fondatore Karate
stile Shotokan
Il senso profondo dell’arte marziale
del KARATE è contenuto nei due
ideogrammi che compongono il nome: kara, che significa “vuoto”; te,
che vuol dire “mano”. Si tratta infatti
di una tecnica difensiva senza armi,
che presuppone anche un atteggiamento di vuoto mentale (mu) da parte di chi lo pratica, per superare ogni
paura di fronte all’avversario e per
meglio realizzare una perfetta unione del corpo con lo spirito. il Karate
tradizionale, ha come scopo la ri-
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battimento.
Il Ju-jutsu (che letteralmente vuol dire
pratica della flessibilità) era appunto
specificato dalla flessibilità secondo il
motto "La flessibilità vince la brutalità". Poiché il significato della parola
"Ju", principio della flessibilità, è
l'idea base del Judo dei nostri tempi
("do" essendo il "mezzo") occorre
studiarla per prima. Il principio della
flessibilità viene brevemente spiegato
così: di fronte ad un avversario, si
vince cedendo, cioè non opponendo
resistenza alla sua forza, bensì adattandovisi, ed acquistando un vantaggio per poi utilizzarlo a proprio profitto. Ecco un esempio: Se un uomo
forte mi spinge con tutta la sua energia, sarò battuto, se non farò altro
che oppormi a lui, ma se, invece di
cerca di uno stato mentale adatto
allo sviluppo delle proprie capacità
psicofisiche attraverso un allenamento appropriato. Possiamo riassumerlo attraverso i 20 principi del Karate (M. Gichin Funakoshi):
- Non bisogna dimenticare che il karate comincia con il saluto, e termina
con il saluto.
- Nel karate, non si prende 1'iniziativa dell'attacco.
- Il karate è un complemento della
giustizia.
- Conosci dapprima te stesso, poi
conosci gli altri.
- Nell'arte, lo spirito importa più della
tecnica.
- L'importante è mantenere il proprio
spirito aperto verso l'esterno.
- La disgrazia proviene dalla pigrizia.
- Non pensare che si pratichi karate
solamente nel dojo.
- L'allenamento nel karate si prosegue lungo tutta la vita.
- Vedi tutti i fenomeni attraverso il
resistere spingendo, o indietreggio
più di quanto mi spinge, o se giro
nella direzione della spinta, egli sarà
proteso in avanti dal suo stesso slancio, e perderà l'equilibrio. Se valendomi della forza della sua spinta, applico una particolare tecnica, sarà
relativamente facile per me farlo cadere al momento in cui perde l'equilibrio. In alcuni casi poi, riuscirò persino a farlo cadere, girando abilmente
il mio corpo. Il principio della flessibilità si basa quindi su questo concetto.
È ovvio tuttavia che un principio generale non si può ricavare soltanto
da quanto precede, ma da tutti gli
aspetti e da tutte le fasi del Judo. In
breve: adoperare corpo e spirito con
un massimo di efficienza.
karate e troverai la sottigliezza.
- Il karate è come l'acqua calda,
si raffredda quando si smette di scaldarla.
- Non pensare a vincere, ma pensa
a non perdere.
- Cambia secondo il tuo avversario.
- L'essenziale in combattimento è
giocare sul falso e sul vero.
- Considera gli arti dell'avversario
come altrettante spade.
- Quando un uomo varca la porta di
una casa, si può trovare di fronte a
un milione di nemici.
- Mettiti in guardia come un principiante, in seguito potrai stare in modo naturale.
- Bisogna eseguire correttamente i
kata, essi sono differenti dal combattimento.
- Non dimenticare la variazione della
forza, la scioltezza del corpo e il ritmo nelle tecniche.
- Pensa ed elabora sempre.
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AIKIDO
<<Lo scopo dell'Aikidō è di allenare la mente e
il corpo, di formare persone oneste e sincere>>
<<Non esiste nemico nell'Aikido. Vi sbagliate
se pensate che il Budo (arte marziale orientata
in senso spirituale) significhi avere avversari e
nemici ed essere forti e farli cadere. Non ci
sono né avversari né nemici per il vero Budo...
Il Budo è essere una cosa sola con l'universo...
Colui che ha penetrato il segreto dell'Aikido ha
l'universo in se stesso, e può dire "Io sono
l'universo"... Io non sono mai stato sconfitto,
per quanto velocemente il nemico potesse
attaccare. Questo non perché la mia tecnica è
più veloce, non è un fatto di rapidità: il combattimento è finito prima di cominciare. Quando un
nemico cerca di combattere con me, egli deve
rompere l'armonia dell'universo, perciò nel
momento in cui gli sorge l'idea di lottare, egli è
già battuto: non c'è una misura del tempo veloce o lento. Aikido è non resistenza, esso è
sempre vincente." >>
(Morihei Ueshiba)
A prima vista l'Aikido si presenta come un elegante metodo di ricerca
dell'equilibrio fisico e psichico mediante la pratica controllata di antiche
tecniche di derivazione marziale, finalizzate alla neutralizzazione, mediante
bloccaggi, leve articolari e proiezioni,
di uno o più aggressori disarmati o
armati. Sintesi ed evoluzione di antiche tecniche mutate dal ju-jutsu classico, dal kenjutsu (la tecnica della
spada) e dal jojutsu (tecnica del bastone), l'Aikido trova la propria originalità ed efficacia in una serie di movimenti basati sul principio della rota-
zione sferica. Contrariamente ad altre
arti marziali incentrate sui movimenti
lineari (avanti, indietro, in diagonale) ,
le tecniche dell'Aikido si fondano e si
sviluppano infatti prevalentemente su
un movimento circolare il cui perno è
colui che si difende. In tal modo egli
stabilizza il proprio baricentro, decentra quello dell'avversario attirandolo
nella propria orbita, e può sfruttare a
proprio vantaggio l'energia prodotta
dall'azione aggressiva fino a neutralizzarla.Il metodo di pratica dell'Aikidō
si basa principalmente su di un particolare metodo di attacco, venutosi a
sviluppare dai "kata", che viene praticato attraverso movimenti che seguono un ritmo potente e dinamico. In
base a questo metodo di attacco, si
prevede che il partner con cui si pratica "riceva" il movimento con il proprio
corpo (ukemi) affinché la forza centrifuga possa agire.La cosa più importante in questo tipo di pratica è che si
venga a creare una totale assimilazione (unione) con il partner, piuttosto
che proiettarlo o immobilizzarlo. Dal
punto vista tecnico, ciò implica che
occorre trattare con cortesia ed attenzione le braccia ed il corpo del partner, come se fossero la propria spada o la propria lancia (similmente a
ciò che rappresenta il pennello per un
pittore o un calligrafo oppure il proprio
strumento per un musicista). Grazie a
questo metodo di pratica, che a prima
vista si discosta dai metodi delle altre
forme di budō, è possibile sviluppare
un tipo di allenamento di base che
permette di affinare il principio dell'animo che non si confronta, concetto
fondamentale nel budō giapponese, e
di effettuare il controllo dei sensi. Se
contemporaneamente abbinato allo
studio pratico dei sistemi di respirazione orientali, questo metodo di pratica diviene un metodo molto avanzato di pratica del fluire del ki che, armonizzando il movimento al flusso dei
sensi ottenuto mediante gli esercizi di
respirazione, diviene così ciò che viene chiamato zen in movimento. L'Aikidō non è semplicemente un modo per
capire "come effettuare delle tecniche" ma è piuttosto un particolare
metodo di pratica che permette di
tradurre in realtà il principio secondo
cui se ci si muove in uno stato di
"mushin" (non-mente) le tecniche nascono in modo spontaneo, e si trasformano all'infinito che un tempo
costituiva il fine ideale ricercato dalla
maggior parte degli specialisti di arti
marziali (bujyutsuka).
Tada Hiroshi
Fondatore e Direttore Didattico dell'Aikikai d'Italia
Se siete arrivati svegli a questo
punto, bravi: avete vinto un orsacchiotto e una considerazione:
L’aikido nasce su delle basi filosofiche già consolidate da tempo; non
“inventa” niente di nuovo al contrario si abbandona ad “atti di sciacallaggio” nei confronti delle varie discipline marziali “sezionandole” in
maniera meticolosa e, come nel
dramma di un moderno Frankenstein orientale, riassembla le varie
parti, dando vita ad una meravigliosa “creatura”, dotata di vita propria
e di propri pensieri. Eppure in questa nuova fucina dove si saldano
parti di una vecchia tradizione, ecco
farsi avanti e prender forma un
NUOVO concetto di arte; qui viene
forgiata la NUOVA anima del
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BUSHIDO, qui inizia a intravedersi il
volto del NUOVO SAMURAI.
Il Maestro lascia cadere nel crogiolo
dell’aikido, “Ju” il principio di flessibilità e “Mu” il principio di vuoto
mentale e mescolandosi, questi due
stati dell’essere vengono trasformati
in “MUSO” la non forma che è la
vera forma di Dio.Che genialità, che
semplicità; nel battere e ribattere
sull’incudine della tradizione, l’aikido
si libera della forma così come la
conoscevamo, rompe la rigidità degli schemi, si libera del pensiero
fisso, immobile e si trasforma in una
disciplina sferica, che non ha un
inizio ed una fine ma solo un conti-
nuo muoversi, ruotare, rompere gli
schemi appena formati per crearne
degli altri.Ma allora mi chiedo, se è
questo l’aikido, come possiamo
comprenderlo appieno senza inoltrarci lungo i sentieri della tradizione
da cui discende, come possiamo
dire di aver appreso i sui principi se
non conosciamo le basi di questi
principi; possiamo forse dire di conoscere qualcuno senza conoscere
la storia che lo ha generato, possiamo forse dichiarare di credere in
Dio senza aver mai letto la Bibbia?
Non possiamo fermarci alla superficie della comprensione, dobbiamo
penetrarla, smembrarla, mangiarne
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i pezzi migliori, coltivarla e superarla;
solo allora potremo ritenerci completi.
Se vi state chiedendo come si possa
affrontare un cammino simile, io non
lo o non lo so, posso solo rispondervi
con le parole di O’Sensei che dice:"L'Aikido è una strada larga senza
fine, più avanzate più vedrete davanti
a voi...".
M. Ueshiba
Buona Strada!
VINCENZO SERVEDIO DIXIT:
(dopo un allenamento sfiancante)
“Dovremmo farlo più spesso…quando non ci sono io!”
CONFESSIONE ...
Ho sognato
DioNino la
scorsa notte...
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Non preoccuparti figliola,
sempre sogno
mistico è!
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Esibizione di Iaido del Maestro Dionino Giangrande
Bari, 11febbraio 2006
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Relazione conclusiva sul V° Campionato Italiano di Iaidō
di Pietro Campanale
Sedersi nel kata è stabilità
quando le nuvole dell’illusione sono ormai dissipate e il perfetto gioiello Nyoi Hoju brilla solitario
aldilà del Cielo Splendente si trascende il kata e si va nella Grande Beatitudine
Nel quinto giorno del secondo mese
del corrente anno, si sono svolti a
Monza i quinti Campionati Italiani di
Iaidō in conclusione del bellissimo
stage condotto da insegnanti europei
molto qualificati, conosciuti anche in
ambito Jodō. Trattasi di Jock Hopson
(Iaidō Renshi VII° Dan), Renè Van
Amersfoort (Iaidō Renshi VI° Dan) e
Chris Buxton (Iaidō VI° Dan) ( dati
aggiornati all’11/05) i quali, dispensando vere gemme di insegnamento
hanno permesso ai concorrenti delle
gare (a squadre e individuali) di metterle in adempimento.
Devo essere sincero, giacché non
credevo che a quest’ultima vi avrebbero potuto partecipare i mukyu (tra
cui il sottoscritto prima di sottoporsi
all’esame per il conferimento di Ikkyo
brillantemente sostenuto) e non sapendo neppure, ahimé con un po’ di
vergogna, delle suddette gare in loco, ero non preparato al meglio per
iscrivermi. Ciononostante, riuscendo
a rimediare a questi piccoli intoppi,
mi sono inserito nel gruppo della
categoria che mi competeva, cioè nei
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Mudan per le competizioni individuali
(quelle a squadra erano già iniziate il
pomeriggio del giorno prima e mi
trovavo in ritardo per aderirvi). L’esito
è stato arrivare ai quarti di finale e
pregiarmi del riconoscimento postumo per lo Spirito Combattivo reso
con quello che viene chiamato
Fighting Spirit. Quanto visto avrà
fatto supporre agli esponenti dello
Iaidō italiano e poi esplicitamente
riferitomi da uno dei maggiori tecnici
C.I.K., che anche dai Dojo delle città
più lontane, dall’epicentro del movimento Iai in Italia, come appunto
Bari, sia arrivato un serio studio della
“Via dell’Essere in Armonia” (una
tradizione fedele al termine Iaidō) e
che volti nuovi inizieranno a fare capolino nei raduni nazionali della delegazione C.I.K., qualcosa che potrebbe concretizzarsi in un tempo non
molto distante, grazie alla Fondazione di una Scuola per l’insegnamento
dello Iaidō. In questa anteprima alquanto ufficiosa, comunico l’inizio del
corso per il nono mese, quindi possibilmente in concomitanza con l’apertura del nuovo anno accademico e la
presenza come coadiuvante dell’amico e collega di pratica Pilloli Cosimo.
Debbo dire che entrambi siamo stati
entusiasti nell’osservare quanti si
stanno accingendo all’introdursi in
questo Dō, di cui alcuni già mobilitati
in una vera e propria corsa alle armi.
Approfittino, perciò, coloro che sono
spinti da sincera ed ardente motivazione nell’inoltrarsi nella ricerca del
Dō dello Iai e farsi avanti affinché
possa vagliare il terreno in vista della
formazione di un primo gruppo. Una
Via, quella dell’Essere in Armonia,
atta al consolidamento del carattere
entro uno Spirito immobile “Fudo
Shin”, una Mente calma e trasparente “Meikyo Shisui” e un Cuore puro e
senza macchia “Daikikoro”, per conseguire il rafforzamento di Shinkitai
Roku, con uno dei fini di portare persone rette che incedino con fermezza all’interno della società…giacché
è la più alta virtù acquisita, uno dei
punti fermi di tutti i Budō.
Ora prima di chiudere l’articolo con
un Doka scelto che ben esprime l’arte dello Iai, lascerei agli amici dello
ShinbuNews un interrogativo che è
sorto alla mente del sottoscritto dopo
un esame autocritico su quest’ultimo
anno di pratica in particolar modo
inerente alla mia inaugurazione
nell’ambiente delle gare agonistiche.
Con il lascito del Premio allo Spirito
Combattivo consegnatomi dapprima
in ambito Jodō e successivamente in
Iaidō, mancando però la conquista
dell’oro si avvale una vecchia credenza che a volte è anche una reticenza e cioè sarei tentato a trarre
che la ripetuta disputa ma elegante
contesa tra la forma e la non forma,
la materia e lo spirito, la vita e la
morte fermenta nel mondo…come
uscire vittoriosi da questa ripetuta
disputa ed elegante contesa? Grande Koan che, cari lettori, dò a voi.
Doka del Grande
Maestro Yamaoka Tesshu
Spirito, veloce;
Mente , calma;
Corpo, leggero;
Occhi, limpidi;
Tecnica, decisiva!
Nell’anno del cane, la sera del
XXII° giorno del terzo mese
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L’angolo delle recensioni
Il Libro Dei Cinque Anelli
La vita come strategia
di Riccardo Solito
Accingendomi a leggere il “Go Rin No Sho”, considerato una pietra miliare nella storia del Giappone e più precisamente dell’era dello shogunato Tokugawa, mi aspettavo un libro intriso di filosofia e cultura giapponese capace di intrigarmi e di offrirmi stimoli, ma sono rimasto un po’ deluso, in quanto non avevo sufficientemente
preso in considerazione che la pubblicazione del libro era avvenuta in un’epoca feudale e, come lettore moderno
del 21esimo secolo, mi è stato piuttosto difficile cogliere a pieno l’unicità e l’essenza vera di quest’opera.
Per apprestarsi alla lettura di questo libro, è senz’altro necessario conoscere prima la storia dell’autore: Miyamoto Musashi. Questi era un ronin, un samurai senza padrone, scampato alla battaglia di Seki ga Hara del 1600 che
aveva segnato l’inizio della supremazia di Ieyasu Tokugawa in Giappone. A causa della sconfitta di parecchi
Daimyo in quella battaglia, molti samurai si ritrovarono senza più un padrone e quindi, qualora non si fossero
dedicati al banditismo o non fossero diventati mercanti o artigiani, avrebbero potuto soltanto ottenere, come fece
Musashi, un posto in una delle tante scuole che insegnavano l’Arte della Spada e le tecniche di combattimento
sfidando uno studente o un istruttore a duello e risultandone vittoriosi. Ma l’originalità di Miyamoto, che gli permise di fondare una scuola marziale unica nel suo genere, consistette nel suo fermo desiderio di cercare la Via
dell’Illuminazione attraverso l’Arte della Spada. Per questo è molto forte in tutto il libro un intento propagandistico. L’opera, infatti, è stata scritta poco dopo la fondazione della scuola marziale “Ni Ten, Ichi Ryu”, ovvero
“Due cieli, una scuola”. In questa scuola si imparava l’Arte della Spada ed era unica nel suo genere in quanto
insegnava a usare in combattimento contemporaneamente le due spade tipiche del samurai, quella lunga, il tachi
e quella corta, il wakizashi.
Il libro è strutturato in cinque parti, “cinque anelli”: il libro della Terra, dell’Acqua, del Fuoco, del Vento e del
Vuoto. Nel libro della Terra, l’autore pone le basi dell’opera esponendo il significato della Via di Heiho secondo
la sua scuola Ichi. Nel secondo libro, quello dell’Acqua, lo spirito del combattente viene paragonato all’acqua in
quanto capace di adattarsi ad ogni situazione e capace anche di esprimere aggressività come un mare in tempesta.
Il terzo libro, quello del Fuoco, è dedicato all’arte del combattere e alla pratica da seguire e alla quale sottoporsi.
Uno spirito tenace, rapido e dinamico come una fiamma è capace di affrontare senza paura ogni combattimento,
con l’intento di vincere l’avversario o gli avversari. Il libro del Vento invece si discosta un po’ dai tre libri precedenti e pone su una bilancia la scuola Ichi di Musashi e altre scuole per, ovviamente, mostrare come alcune scelte tattiche di queste ultime siano legate esclusivamente all’esteriorità e alla ricerca dell’unicità del proprio stile
con mezzi e strumenti su cui però, in battaglia, è sconsigliato affidarsi eccessivaAutore:
mente. Infine, nell’ultimo libro, il libro del Vuoto, Musashi come un Maestro illuMiyamoto Musashi
minato, conclude la propria opera con l’elaborazione di una teoria spirituale persoTitolo:
nale, in questo caso quella del Vuoto, inteso come ciò che non ha né inizio né fine.
Il libro dei cinque anelli
E’ importante inoltre notare che, alla fine di ogni tecnica descritta dall’autore, vi è
Go Rin No Sho
sempre una frase che esorta il lettore/praticante ad allenarsi con costanza, diligenza,
Prezzo:
attenzione e accuratezza. Indubbiamente tutto ciò rende ancor più evidente quanto
5.90€
sia implicito l’intento propagandistico del libro, che porta ad applicarsi assiduaCasa editrice:
mente e spiega come nella scuola Ichi di Musashi tutto questo sia all’ordine del
Demetra
giorno. Il Go Rin No Sho è un libro unico nel suo genere, ed infatti ha ispirato molAnno di pubblicazione:
Febbraio 2001
te altre opere di autori successivi, grazie alla sua chiarezza e soprattutto alla semplicità del metodo secondo il quale è stato scritto. Tuttavia non bisogna farsi trarre
troppo in inganno da questa semplicità. La lettura di questo libro infatti è tutt’altro
che semplice e necessita di una particolare attenzione anche perché una lettura superficiale porterebbe soltanto
ad una banalizzazione dell’intera opera, da cui invece è utile trarre gli insegnamenti di un grande Maestro.
(segue…)
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MORTE DI UN MAESTRO DEL TE’
di Gaetano Martucci Zecca
Titolo: MORTE DI UN MAESTRO DEL TÈ
Contenuto: Dal romanzo "Il testamento" di Honkakubo di Yasushi Inoue (1907-91). Ventisette anni dopo la morte di
Sen no Rikyu (1522-91), maestro del tè che ne elevò il rito a nobiltà d'arte, Honkakubo, uno dei suoi discepoli, cerca di
scoprire le ragioni del suo suicidio e il nesso con le morti di altri maestri del tè che fecero harakiri: fu un'estrema protesta contro il potere e la rivendicazione radicale della libertà dell'artista. Il film è esposto a tre livelli temporali: il 1618, il
presente; la rievocazione del passato; il sogno a occhi aperti in cui Honkakubo dialoga col maestro. Leone d'argento a
Venezia 1989 ex aequo col portoghese "Ricordi della casa gialla".
Genere: Drammatico
Anno Produzione : 1990
Regia : KEN KUMAY
Tematiche: Anziani-Arte-Cibo-Sogno-Suicidio
I pensieri di O’Sensei
a cura di Gaetano Nevola
Aprite le menti, ed ascoltate
Coloro che intendono studiare l’Aikido devono aprire le loro menti e ascoltare, attraverso l’Aiki, la sincerità di Dio per farsene una costante regola di
vita. É necessario comprendere che l’Aikido è un incessante lavoro da perseguire per migliorarsi superando ogni ostacolo.
É necessario disporre con fermezza la propria volontà e coltivare il proprio
spirito.
Chi ha rispetto per i sentimenti altrui ascolti la voce dell’Aikido: Aikido non è
per la correzione degli altri, ma per la correzione della nostra mente.
Questo è l’Aikido.
Questa è la missione dell’Aikido ed anche la vostra.
RUTA DIXIT:
(dopo una spiegazione “colorita”)
“Un giorno, durante le mie spiegazioni, cadrà il quadro di O’Sensei!”
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Pensiero Zen
di Salvatore Scalise
Vostro Kikiyashiashiashi Ashi
p.s.: profondo,vero???
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Ricette dal Giappone
a cura di Gaetano Nevola
Sushi Gohan
(riso per il sushi)
Curiosità
L'elemento più importante della tavola giapponese è il riso, il piccolo e gustosissimo riso locale, che si mangia bollito e quasi sempre senza condimento. Il riso accompagna molte vivande, apre e chiude i pranzi e costituisce per
molti il cibo principale o l'unico.
Ingredienti: (dosi per 6/8 persone )
850 gr. di riso per sushi (sostituibile con Vialone Nano)
1 litro circa di acqua minerale naturale
1 pezzo di alma Kombu ( 10 cm di lato circa)
2 cucchiai di saké o mirin
1.2 dl di aceto di riso o di mele
5 cucchiai di zucchero
2 cucchiaini di sale
Preparazione:
Mettete il riso in un contenitore e lavatelo con acqua fredda corrente. Spostatelo in un colino, risciacquatelo e poi
lasciatelo asciugare per almeno 30 minuti. Trasferite il riso in una casseruola con fondo spesso, aggiungete l'acqua minerale naturale e il saké o il mirin e aggiungete l'alga kombu, pulita con uno panno umido e poi tagliata a
pettine. Portate a ebollizione il tutto a fuoco vivo, eliminate l'alga coprite la pentola e continuate la cottura a fuoco
lento per 10/12 minuti. Trascorso tale tempo toglietelo dal fuoco, coprite la pentola con un telo e rimette il coperchio e lasciate riposare il tutto per 15 minuti in modo che il riso si gonfi. Intanto, prendete un pentolino e metteteci
l'aceto, lo zucchero e il sale, scaldate il tutto fino a quando lo zucchero ed il sale non si sono sciolti; arrivati a quel
punto, lasciate raffreddare. Bagnate l'hangiri o qualsiasi altro recipiente di legno che usate con acqua e aceto e
versatevi il riso cotto, disponendolo bene sul fondo. Iniziate a versare gradualmente la soluzione preparata con
l'aceto, lo zucchero e il sale mescolando più volte e, nello stesso momento, con un ventaglio raffreddate velocemente il riso Per rendere il lavoro più semplice, può essere utile far svolgere le diverse fasi della preparazione a
più persone. Ricordate: mentre il riso va mescolato, bisogna versare la soluzione e raffreddare il riso con un ventaglio; alla fine di queste operazioni il riso dovrà essere compatto e lucido, leggermente laccato e viscoso. Tenetelo
coperto con un telo umido fino a quando non decidete di servirlo, mettetelo in un luogo fresco, non in frigo. Consumate in giornata.
Nigirizushi
(sushi fatti a mano)
Ingredienti: (dosi per 4 persone)
120 g di filetto di tonno
120 g di filetto di sgombro
120 g di filetto di salmone
120 g di filetto di spigola
120 g di filetto di rombo chiodato
40 g di wasabi (2 cucchiai rasi)
800 g di sushi gohan (già pronto)
100 g di zenzero (conservato in agrodolce e affettato)
salsa di soia foglie,
fiori, steli di erba cipollina e rondelle di carota per guarnire (facoltative).
Preparazione:
Servendosi di un coltello molto affilato, tagliate i filetti di pesce per prima cosa a fettine di 1/2 cm di spessore; ridurre quindi quest'ultime a rettangoli di 2,5 X 5 cm .
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Con un coltello a lama piatta, spalmare uno strato sottile di wasabi su ogni fettina di pesce. Con le mani umide,
lavorare il riso per formare dei rotolini di 5 X 3 cm. Porre ogni rotolino di riso sui filetti, dalla parte spalmata di
wasabi. Premere il riso in modo che aderisca bene al pesce. Ripetere fino ad esaurimento degli ingredienti.
Far sgocciolare lo zenzero. In ogni piatto, distribuire una decina di sushi a testa e un po’ di zenzero. Mettere in
tavola anche una ciotola di salsa di soia. Se lo si desidera, si può guarnire il piatto con erba cipollina e fiori, foglie e rondelle di carote lavorate in modo decorativo.
Makizushi
(rotolini)
Ingredienti: (dosi per 4 persone)
120 gr. di filetto fresco di tonno
1 cetriolo piccolo
4 foglie di alga nori
640 gr. di riso per il sushi (sushi gohan)
20 gr. di wasabi o di peperoncino (1 cucchiaio raso)
100g di zenzero (conservato in agrodolce e affettato)
salsa di soia
Preparazione:
Tagliare il tonno a strisce lunghe circa 5 cm e larghe circa 1,5 cm. Lavare e sbucciare il cetriolo. Dividerlo a metà e
procedere come già fatto per il tonno. Spianare le foglie di alga e dimezzarle per la larghezza con un paio di forbici da
cucina. Su una stuoina di bambù, disporre la mezza foglia di alga su cui cospargere uno strato di sushi gohan spesso
1/2cm, lasciando libero un bordo di 1cm. Stendere il wasabi in uno strato sottile e mettere in mezzo una striscia di
tonno oppure 3 di cetrioli. Avvolgere l'alga aiutandosi con la stuoia, premendola leggermente in modo da ottenere
una forma squadrata. Tagliare i rotoli così ottenuti in larghe fette di uguali dimensioni. Ornare il piatto con qualche
fettina di zenzero. Portare in tavola anche una ciotola di salsa di soia per intingere i sushi.
Sashimi
(filetti crudi di pesce)
Ingredienti: (dosi per 4 persone)
100 g di filetto di tonno (un pezzo rettangolare spesso non più di 3 cm)
60 g di filetto di salmone
60 g di seppia
60 g di filetto di rombo chiodato
1 daikon grosso
20 g di wasabi (1 cucchiaio raso) salsa di soia fettine di limetta,
fettine di ravanello,
rondelle di carota per guarnire (facoltative)
Preparazione:
Taglio verticale (hiragiri): prendere metà del filetto di tonno, tenerlo saldamente ma al tempo stesso delicatamente e, servendosi di un coltello affilatissimo, tagliarlo verticalmente a fette larghe circa 1/2 cm, come ad esempio per tagliare un filone di pane.Taglio a dadi (kakugiri): utilizzando sempre un coltello affilato, tagliare il
resto del filetto di tonno a fette larghe 1 cm, che verranno ridotte in dadini di circa 1 o 2 cm di lato. Taglio a filamenti (itogiri): tagliare la seppia verticalmente a fettine di 3 mm di larghezza che saranno poi tagliate per il lungo a bastoncini spessi circa 3 mm.
Fette sottilissime (usugiri): mettere il filetto di rombo su un'asse e tagliarlo a fettine quasi trasparenti con un coltello molto affilato, procedendo leggermente di traverso. Pelare il rafano. Tagliare le estremità in modo da ricavare dei quadrati di circa 10 cm di lato.
Prendere un coltello affilatissimo e sbucciare il rafano come per formare un rotolo ininterrotto di carta. A questo
punto tagliare la lunga striscia a fiammifero. In alternativa, si può grattugiare il rafano.
Disporre in modo decorativo i filetti di pesce, il rafano e la pasta di wasabi. Di solito, si abbellisce il piatto anche
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con una foglia di wasabi. Chi lo desidera, può guarnire il piatto con fettine di lime, di ravanello e di carota, tagliando
in modo decorativo. Davanti a ogni commensale, mettere una coppetta con salsa di soia per intingere il pesce
YAKITORI
(spiedini di pollo)
Ingredienti: (dosi per 6 persone)
750 gr. di cosce disossate di pollo
500 gr. di fegatini di pollo
6 porri novelli o cipollotti
sale
Salsa yakitori:
1.5 dl. di sake
1.5 dl. di salsa di soia scura
5 dl. di salsa di soia chiara
5 dl. di mirin o di sherry
6 cucchiai di zucchero sansho o pepe bianco
Preparazione:
Spellare il pollo e tagliarlo in lunghe strisce sottili, oppure cubetti; dividere a metà i fegatini e scartare tessuti e tendini; pulire i cipolotti e tagliarli a tocchetti di 2.5 cm, tagliare i fegatini a pezzetti; infilare i tocchetti di pollo su spiedini, alternandoli con pezzi di cipollotti, posizionati trasversalmente. Infilare i fegati su altri spiedini. Mescolare in una
pentola tutti gli ingredienti per la salsa yakitori, tranne il sansho, portare a ebollizione e togliere subito dal fuoco.
Lasciar raffreddare prima dell'uso. Spennellare con la salsa yakitori e rimettere sul fuoco, terminare la cottura irrorando con la salsa. Grigliare gli spiedini sulla brace, girando spesso, finché sono a metà cottura.
Gomokuni
Ingredienti: (dosi per 6 persone)
120 gr. di fagioli di soia secchi
12 pezzi di radice di loto essiccata (1 cm circa ognuno)
12 funghi shitake secchi
1 cucchiaio di aceto di riso
3 patate
2 carote
400 gr. di germogli di bambù (in scatola)
150 gr. di taccole
3 dl. di brodo dashi (o di brodo di pesce)
2 cucchiai colmi di zucchero
2 cucchiai di mirin ( o di sakè con zucchero)
4 cucchiai di salsa di soia
Preparazione:
Mettere a bagno per circa 12 ore, e separatamente, i fagioli di soia (in 1 litro d'acqua), i funghi e la radice di loto,
cambiando l'acqua un paio di volte e eliminando i fagioli che rimangono a galla. Lavare, sbucciare e tagliare grossolanamente le patate e le carote e lessarle per circa 10 minuti. Sgocciolare i germogli di bambù, tagliarli in pezzi e
farli cuocere per circa 15 minuti. Far cuocere i fagioli di soia in acqua bollente per un'ora. Scolare i funghi e tagliarli
in quarti, dopo aver eliminato i gambi. Scolare anche il loto e cuocerlo in acqua e su (aceto di riso) per circa 8 minuti, a pentola scoperta e fiamma media e poi scolarlo. Lavare le taccole, tagliarle in pezzi di 2 cm di lunghezza e
scottarle per 1 minuto in acqua salata, in modo che mantengano il loro colore. Colarle e tenerle da parte. Mettere
tutti gli ingredienti ad eccezione delle taccole in un' ampia pentola insieme al brodo dashi, lo zucchero e il mirin.Coprire con un coperchio di diametro inferiore a quello della pentola e mettere un peso sopra il coperchio, in
modo che le verdure cuociano tutte uniformemente. Far sobbollire a fiamma bassa per circa 15 minuti. Aggiungere
la salsa di soia e far bollire per altri 15 minuti. Togliere la pentola dal fuoco e unire le taccole. Aspettare ancora
circa 1 minuto prima di servire.
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Storie Zen
a cura di Gaetano Nevola
LA GALLERIA
Tratto da "101 storie Zen" di Nyogen Senzaki e Paul Reps
Adelphi Editore
Zenkai, il figlio di un Samurai, si recò a Edo e in quella città entrò al seguito di un alto funzionario. Si innamorò della moglie del funzionario e fu colto in flagrante. Per difendersi, uccise il funzionario e fuggì con la moglie
di questi. In seguito i due diventarono ladri. Ma la donna era così avida che Zenkai cominciò a nutrire per lei
una vera avversione. Infine si decise a lasciarla e se ne andò nella lontanissima provincia di Buzen, dove diventò
un mendicante girovago. Per scontare il proprio peccato, Zenkai decise di fare una buona azione nella sua vita.
Avendo sentito che una certa strada sopra un dirupo era così pericolosa che molte persone vi avevano trovato
o rischiato la morte, decise di scavare una galleria nella montagna. Mendicando il cibo durante il giorno, di notte Zenkai lavorava allo scavo della galleria. Quando furono passati trent'anni, la galleria era lunga circa settecento metri, alta sei metri e larga nove. Due anni prima che il lavoro fosse finito, il figlio del funzionario da lui
ucciso, scoprì dov'era Zenkai e vi si recò deciso ad ammazzarlo per vendicarsi. "Sono pronto a darti la mia vita" disse Zenkai. "Ma lasciami finire questo lavoro. Il giorno che sarà terminato potrai uccidermi". Così il figlio
del funzionario aspettò quel giorno. Passarono parecchi mesi, e Zenkai continuava a scavare. Il figlio cominciò a
stancarsi di non fare niente e si mise ad aiutarlo nel lavoro di scavo. Dopo un anno e più che lo aiutava, arrivò
ad ammirare la forza di volontà e di carattere di Zenkai. Finalmente la galleria fu terminata e la gente poteva
attraversarla e viaggiare senza pericolo. "Ora tagliami la testa" disse Zenkai. "Il mio lavoro è finito". "Come
potrei tagliare la testa al mio maestro?" rispose il giovane con le lacrime agli occhi.
RUTA DIXIT:
“Lo so: sono l’unico Maestro al mondo che spiega con questi
termini!”
RUTA DIXIT:
“Non vi deluderò mai perché... sono un Maestro incoerente!”
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Ronin
di Giuseppe Carbonara
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Foto Scoop
Bari, febbraio 2006: “Gli uomini delle pulizie…”
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Danza Butô
gecondotto daYuko Ôta
sta-
1-2 Aprile 2006
Training di base della danza Butô: esercizi di respirazione; camminata “suri ashi” e tipici esercizi di
stretching. Il lavoro gradualmente porta a sviluppare delle immagini sedimentate profondamente
nella nostra memoria fino a rivelare la ricchezza di un immaginario che appartiene
al nostro corpo come essere vivente che partecipa degli elementi naturali.
Danzare… trasformarsi in altre vite e esistenze, guardando semplicemente ad esse.
Ritrovare un legame con i nostri antenati, con l’origine della vita stessa.
Poi, ricevere gli sguardi degli animali e degli spettri immaginari e inafferrabili e divertirsi con essi.
Yuko Ôta
Danzatrice e coreografa giapponese, vive tra la Francia e il Giappone.
Nel 1997, comincia la sua formazione di danza butô con i maestri Atsushi
Takenouchi, Tenko Ima, Akiko Motofuji, Toru Iwashita etc. Partecipa alla
performance ‘’Oto no kakawari’’(1999) di A. Takenouchi, agli spettacoli
‘’Shirtologie’’(2000) di Jérôme Bel, ‘’Imouto no chikara’’, ‘’Letter from
Mr. Otto’’ (2000) di T.Ima. A partire dalla perfomance
‘’Tanagokoro’’(2001) di A.Takenouchi, si unisce alla sua compagnia
“Globe JINEN”. Parallelemente dal 2003 fa parte della compagnia parigina Les Transe-Mutants (arte transdisciplinare, danza di fusione tra afrobrasiliano, kathak, danza moderna, arti marziali...) in qualità di interprete,
assistente artistica e soprattutto formatrice di butô. Crea tre spettacoli in
solo : « Mater Dolorosa » (2004), « gyoku » « globurar garden » (2005).
Costo stage : 50 euro
Week-end 1 e 2 Aprile Orari: sabato ore 15-19 e
domenica ore 10-17.
Per informazioni e iscrizioni: Associazione Kronopios 348.8629254 080.5562759 (Franco Zita)
- [email protected]
Lo stage si terrà presso la palestra di Aikido -Shin Bu Dojo- trav.G. Petroni 39/5-ang.
Via Ricchioni, Bari .
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Facciamo gli auguri a...
- Fabio Fucilli per il conseguimento del suo II° Dan lo scorso febbraio a Salerno.
Attenzione Maestro Ruta! E’ necessario che tu ottenga il V° Dan al più presto altrimenti
le altre Cinture Nere ti raggiungeranno! I II Dan aumentano a vista d’occhio!
Mandiamo una lettera di protesta all’Aikikai!!!
- Vito Lionetti che si è infortunato durante il compimento del proprio dovere di uke del
Maestro nell’esecuzione di una tecnica al limite delle possibilità umane.
Un augurio di pronta guarigione da parte della redazione e di tutto il dojo.
A.A.A.
Cercasi coredattore per la redazione dello ShinbuNews
Si richiede :
1) praticità nel gestire la posta elettronica;
2) creatività;
3) buona volontà;
4) avere una buona conoscenza del personal computer e dei maggiori programmi Microsoft
(Word, Excel, Mspub, Powerpoint, etc. etc.);
5) motivazione a lavorare in gruppo.
Si offre:
praticamente niente, solo la possibilità di far parte della redazione dello ShinbuNews, che non è
poco…
I candidati possono rivolgersi direttamente al Maestro Ruta o inviare la propria disponibilità in redazione all’indirizzo:
[email protected]
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S H I N B U NE W S
E-MAIL:
[email protected]
SHIN BU DOJO
VIA G. PETRONI TRAV.39 N.5
TEL.:080/5574488
E-MAIL: [email protected]
WWW.SHIN-BU.IT
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