Il drago e la bambina fiaba di Alessandra Fella C`era una volta una

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Il drago e la bambina fiaba di Alessandra Fella C`era una volta una
Il drago e la bambina
fiaba di Alessandra Fella
C’era una volta una bambina di nome Cassandra che abitava nella
più alta torre di una lugubre fortezza nascosta in un fitto bosco.
Insieme a lei vivevano una maga brutta e perfida e un drago
enorme ma buono. La bimba non lo sapeva, ma era in realtà una
principessina. Anni prima, quando era ancora in fasce, era stata
rapita dalla strega, irata col re suo padre per non averle concesso di
diventare la protettrice del regno. Era stata quindi condotta nel
vecchio castello ed allevata col solo scopo di servire la vecchia
megera. Ma Cassandra non sapeva nulla di tutto questo: pensava di
essere una povera orfanella che la strega, nella sua infinita bontà,
avesse accolto nella sua casa. La donna le aveva infatti raccontato
di averla trovata per la strada in una cesta e di averla sottratta a
dei briganti che volevano raccoglierla e venderla. Ragione per cui la
bimba le era infinitamente grata e, nonostante quella la trattasse
sempre in malo modo, non poteva fare a meno di sorriderle e di
soddisfare ogni suo desiderio.
Certo, la vita al castello per lei non era facile: ogni giorno doveva
spazzare i pavimenti, spolverare i libri e lustrare tutte le ampolle
delle pozioni tanto da farle brillare. Poi doveva pulire
accuratamente tutte le vetrate colorate del maniero, perché alla
strega piacevano i giochi di sfumature prodotti dalla luce del sole
che le illuminava. E lucidare i calderoni di rame, perché la strega
non sopportava che si coprissero di fuliggine. E preparare ghiotte
leccornie sempre diverse, perché la strega era incredibilmente
golosa. E rifare ogni giorno i cento letti delle cento camere da letto
del castello, perché alla strega piaceva dormire ogni giorno in una
stanza diversa ed avere sempre lenzuola fresche e profumate. E
lavare, e stirare, e cucire, e ricamare, perché alla strega piaceva
vestire come una nobildonna. La piccola Cassandra non aveva quasi
mai un attimo di pace. Per fortuna, però, ad aiutarla c’era il suo
inseparabile amico Berto, il drago.
Berto era grande come una casa, col corpo blu come il mare più
profondo e le ali di un rosso caldo come il sole al tramonto. Aveva
enormi occhi di un azzurro intenso come il cielo in una mattinata
limpida, una cresta nera come una notte senza stelle e senza luna
ed un muso così simpatico che la bimba proprio non capiva come
riuscisse a spaventare qualcuno. Lui le dava una mano nelle
faccende domestiche. Ad esempio, legava degli spazzoloni alla coda
per poter pulire i pavimenti scodinzolando. O sbatteva le lunghe
ciglia vicino alla libreria per spolverare in men che non si dica tutti i
libri. O si sgranchiva le ali proprio davanti al filo del bucato in modo
che questo, col movimento dell’aria, si asciugasse più in fretta.
Insomma: si dava da fare in ogni modo possibile per aiutare la sua
piccola amica.
E, quando tutti i doveri quotidiani erano stati portati e termine, si
caricava la principessina sul dorso e insieme volavano via ad
esplorare il mondo. Certo, di questo la strega non era molto
contenta, ma il drago la aveva dato la propria parola d’onore che
avrebbe sempre riportato indietro la piccola e che non le avrebbe
mai permesso di scappare. E, nonostante la parola di un drago
fosse sacra, la megera si era premunita di minacciarlo che, se non
non fosse tornata, la piccola sarebbe morta.
E così scorreva la loro vita, tra il lavoro di ogni giorno e le grandi
fughe. Berto mostrò a Cassandra luoghi incantevoli ed
indimenticabili. La condusse attraverso i deserti divertendosi a
cambiare la forma delle dune col movimento delle ali e a fare
castelli di sabbia sulla riva degli specchi d’acqua nelle oasi. Sorvolò
boschi e giungle soffiando leggermente tra le foglie degli alberi in
modo che tutti gli uccelli si alzassero in volo e Cassandra potesse
vederne gli sgargianti colori. Passò su città e paesi ridendo con lei
nel veder fuggire spaventati gli abitanti, che dall’alto sembravano
tante formichine. Sfiorò col grande corpo mari ed oceani, perché lei
potesse assaporare gli schizzi di acqua salata e potesse scorgere le
sagome dei grandi animali marini. Una sera la portò addirittura su
nello spazio più profondo, perché potesse ammirare la luminosità di
ogni stella del firmamento e potesse prendere un pugno di polvere
di luna da conservare in una bottiglietta per illuminare la sua stanza
di argentei bagliori.
La bimba crebbe, e crescendo divenne una splendida fanciulla. Ma
non era solo bella: il lavoro di ogni giorno l’aveva resa energica, i
libri della strega colta ed i viaggi col drago coraggiosa. Non fosse
stata prigioniera, certo avrebbe avuto stuoli di corteggiatori. E il
drago stesso, nonostante la conoscesse da sempre, non riusciva a
non guardarla con occhi diversi. Tanto diversi, tanto dolci e tanto
strani che, talvolta, la facevano arrossire.
Un giorno, mentre entrambi erano affaccendati nei loro mestieri, la
strega corse nella stanza dove entrambi si trovavano gridando:
“Presto Berto! C’è un cavaliere alle porte della foresta! Chiede di
Cassandra! Dice di essere venuto per liberarla e portarla via!”
Cassandra ebbe un fremito di gioia e rivolse lo sguardo verso
l’amico drago per condividere con lui la sua emozione. Grande fu il
suo stupore nello scorgere, negli occhi di lui, una strana
espressione, come di tristezza e amarezza. La strega riprese ad
urlare:
“Berto, non stare lì impalato! Vai a cacciarlo via! SUBITO!!!”
Il drago si voltò verso la principessa: aveva appena preso una
decisione importante. Le sorrise, le fece un goffo inchino e volò via.
Cassandra non capiva: perché la strega non aveva usato la magia
per allontanare l’intruso senza mettere a rischio la vita di Berto?
Provò a chiederlo alla donna, ma costei le rispose che le sue
decisioni non dovevano riguardarla.
Intanto Berto volava verso il cavaliere: sapeva che l’unico modo per
liberare la principessa era quello di lasciare che l’uomo lo
sconfiggesse. Lui avrebbe certamente perso la vita, ma la fanciulla
avrebbe finalmente trovato la felicità e, forse, l’amore. Ma non
poteva lasciarsi battere troppo facilmente, altrimenti la strega se ne
sarebbe accorta e sarebbe intervenuta. Doveva essere furbo e
fingere di combattere.
Arrivò finalmente ai margini del bosco. Tutto era silenzioso:
sembrava che anche gli animali tacessero in attesa dello scontro. Il
cavaliere gli si parò di fronte: era vestito di un’armatura splendente
ed impugnava una spada affilata e lucente. Sotto l’elmo aveva uno
sguardo fiero nei grandi occhi neri incorniciati da riccioli biondi. Per
un attimo a Berto ricordò Cassandra. Dopo un breve scambio di
sguardi feroci, la battaglia iniziò. I fendenti del cavaliere erano
potenti e furiosi e il drago si difendeva debolmente con le grandi
zampe. L’uomo avanzava con sicurezza ed ardimento, il drago
indietreggiava facendogli credere di essere più forte. L’uno gridava
per la rabbia, l’altro ruggiva per il dolore. Ogni soffio infuocato del
drago era stranamente troppo alto per colpire il giovane o troppo
debole per superare la sicura protezione del suo scudo. Alla fine
Berto si arrese e, col cuore colmo di tristezza e paura, allargò le
zampe in modo che il cavaliere potesse sferrare il colpo mortale. E
così fu: la lama gli trapassò il petto e si conficcò nel cuore. Il drago,
con le ultime forze rimaste, spiccò il volo: voleva vedere per
l’ultima volta la sua principessa. Planò sulla grande terrazza della
sua torre, dalla quale lei aveva seguito con terrore tutto il
combattimento, e crollò tra le sue braccia. Le lacrime della fanciulla
bagnarono il suo muso, e lui si sentì felice e pronto a morire. In
quel mentre giunse sulla terrazza anche il cavaliere che, pensando
che il drago fosse tornato per uccidere Cassandra, si avventò su di
lui per finirlo. Ma la ragazza fu più veloce e protesse Berto col
proprio corpo, ricevendo la spada dritta nel cuore.
Fu in quel momento che arrivò la strega che, alla vista della scena,
lanciò un terribile urlo di rabbia. E l’urlo fu così forte ed acuto da
frantumarla come fosse stata di cristallo. Fu allora che qualcosa di
meraviglioso accadde: la fortezza si trasformò magicamente in un
magnifico castello, la fitta foresta in un meraviglioso bosco
costellato di graziose casette, ed ogni sasso in un uomo, una donna
o un bambino. Il drago, lentamente, cambiò aspetto e divenne un
bellissimo principe, con gli occhi di un azzurro intenso come il cielo
in una mattinata limpida ed i capelli neri come una notte senza
stelle e senza luna. Non appena si rese conto di ciò che era
accaduto, abbracciò stretta a sé la principessa ormai senza vita. E
pianse.
In quell’istante, dal nulla, comparve una fata.
“Io sono la fata protettrice del regno della principessa. Nulla potei
fare quando fu rapita, ma lanciai un incantesimo grazie al quale la
fanciulla sarebbe stata libera se un cavaliere, a costo della sua
stessa vita, l’avesse liberata. E contro quel prode, nulla avrebbe
potuto la magia della strega. Per questo ella non l’ha usata contro il
giovane giunto a salvarla. Non piangete, mio bel principe. Nulla è
perduto. L’amore che l’uno prova per l’altra ha spezzato
l’incantesimo che vi legava alla strega e l’ha distrutta. Ora,
finalmente, siete liberi.”
A quelle parole, Cassandra miracolosamente aprì gli occhi e tornò
alla vita. E tutte le ferite del principe scomparvero. La giovane
guardò sorpresa l’uomo che la sosteneva tra le braccia e riconobbe,
nei suoi, gli occhi del suo amico drago. Lui le sorrise e le raccontò la
sua storia.
“Sono il principe Dagoberto, e tutto ciò che vedi intorno a te fa
parte del mio regno. Secoli fa la strega venne al mio cospetto
chiedendomi di diventare la protettrice del mio regno. Per lei
doveva essere una vera fissazione, visto che lo chiese poi anche a
tuo padre. Avendo saputo della sua malvagità, la cacciai e lei, per
vendetta, scagliò una terribile maledizione. Il regno si trasformò in
una selva, le persone in sassi, il castello in un’oscura fortezza. Io
stesso fui tramutato in drago e condannato a servirla in eterno,
sotto la minaccia di veder scomparire per sempre tutto il mio
paese. Vissi con la sola speranza di trovare un modo per
distruggere la strega e salvare il mio popolo. Poi giungesti tu,
principessa, a portare la gioia nella mia vita. La strega mi obbligò a
non narrarti mai la tua vera storia, né la mia, ma a tenerti sempre
sotto stretto controllo. Ed io ti vidi crescere, e alla fine mi innamorai
di te. E quando questo cavaliere arrivò per trarti in salvo, capii che
sebbene nulla potessi ormai fare per liberare i miei sudditi, avevo
almeno la possibilità di donare a te la libertà. Andai verso la morte.
Ma prima che la vita mi abbandonasse, volli darti l’ultimo saluto. Il
resto lo sai. Il tuo coraggioso sacrificio ha rotto l’incantesimo e ti ha
salvato la vita. Ora va’ col cavaliere che ti ha liberata. È a lui che
spetta l’onore di averti al proprio fianco per la vita.”
A quelle parole il giovane, che fino ad allora era rimasto silenzioso
ad ascoltare, sorrise.
“Principe Dagoberto. Ciò che ha spezzato il sortilegio è il vostro
amore. E comunque io non potrei mai sposare Cassandra, perché
sono suo fratello. Sono cresciuto con l’idea di liberarla e, non
appena l’età e l’esperienza con le armi me l’hanno permesso, ho
affrontato la sfida. E sono certo che mia sorella sarà felicissima di
concedere a voi la sua mano.”
Nel tripudio generale, il terzetto fu accolto nel paese della
principessa, dove lei poté finalmente riabbracciare i genitori ed i
fratelli. Poi, tutti insieme, tornarono nel regno di Dagoberto, dove si
celebrarono le nozze reali e dove la fanciulla ed il principe-drago
vissero una vita lunghissima e felice.