L`agricoltore e il ginecoloco
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L`agricoltore e il ginecoloco
LA RECENSIONE Marilia Zappalà Michel Odent L’agricoltore e il ginecologo. L’industrializzazione della nascita Il Leone Verde 2006, 134 pagine, 16 euro Odent conia il termine “momenti eureka” (riferendosi ovviamente al famoso “Eureka!” di Archimede) per indicare quelle situazioni di presa di coscienza collettiva attraverso cui l’umanità può compiere un salto evolutivo, e traccia in questo suo libro il percorso che può portare la nostra società globale sull’orlo del collasso, verso una rinascita autentica. Poche pagine, ma lucidissime, attraverso cui compie un’analisi mozzafiato per la sua evidente logica, di come siamo arrivati a intaccare gravemente l’energia vitale del nostro habitat, il nostro Pianeta, senza renderci conto che noi stessi ne siamo parte e che distruggendo il nostro ambiente naturale, distruggiamo noi stessi. Come è potuto avvenire tutto questo? Perché soffriamo di un grave disturbo esistenziale, di “un’alterazione della capacità di amare”, di amare noi stessi, gli altri, la nostra madre Terra. “Per millenni –dice Odent- sono stati usati tutti i mezzi possibili per descrivere le diverse sfaccettature dell’amore e per promuoverlo. Innumerevoli filosofi hanno dissertato sulla natura dell’amore. Paradossalmente nessuno si è mai chiesto come si sviluppa la capacità di amare. Oggi ci sentiamo spinti a formulare questa domanda perché i dati scientifici ci suggeriscono delle risposte. Questi dati convergono nel dare una grande importanza alle esperienze precoci, in particolare a un breve periodo critico immediatamente dopo la nascita”. Il breve periodo critico, cioè il primo contatto fra mamma e neonato, come argomenta diffusamente Odent, viene tradizionalmente e ritualmente disturbato in quasi tutte le società umane. Se analizziamo per esempio il taglio del cordone ombelicale subito dopo il parto, una pratica che da sempre vige indisturbata nei luoghi della nascita, vediamo che questa tende a distrarre la madre nel suo primo contatto occhi-negliocchi con il bambino, e che tale interferenza ha l’effetto di ridurre significativamente i tassi di ossitocina presenti nel suo sangue, che in questa fase del parto, normalmente, dovrebbero presentare un picco molto alto. L’ossitocina, che Odent ha definito “l’ormone dell’amore” ha il duplice compito, in quel momento, di favorire l’attaccamento affettivo fra mamma e neonato e di aiutare nell’espulsione fisiologica della placenta. Il taglio precoce del cordone, quindi, da un lato aumenta il rischio di emorragie post-parto, dall’altro contribuisce a gettare le basi di quell’alterazione della capacità di amare, che si produce da un mancato vissuto di riconoscimento, di innamoramento, di attaccamento precoce, in quell’attimo irripetibile all’inizio della vita in cui, attraverso un modello primario di relazione, potrebbe invece svilupparsi la capacità di amare. Ma questo del taglio del cordone ombelicale è solo un esempio paradigmatico: centinaia sono le pratiche e le credenze sviluppate nelle più svariate culture per disturbare il primo incontro mamma-neonato: dalla credenza che il colostro sia nocivo, alla superstizione che guardare il neonato negli occhi nelle prime ore di vita possa renderlo vulnerabile agli spiriti maligni, alla pratica di lavare subito il neonato, di affumicarlo, di fasciarlo stretto, evitando così il contatto pelle pelle, e chi più ne ha più ne metta…Anche nella nostra odierna civiltà del parto “industrializzato”, come la definisce Odent, perfino le cosiddette cure prenatali, si trasformano in altrettante occasioni per creare ansia e tensione continua nelle gestanti a cui vengono agitati davanti spettri come “il diabete gravidico”, “l’anemìa”, la “pre-eclampsìa”, e tutta una serie interminabile di analisi, accertamenti, controlli, che come gli studi epidemiologici hanno ampiamente dimostrato, non garantiscono statistiche migliori rispetto al parto, ma anzi contribuiscono ad elevare nelle donne i tassi di cortisolo e di catecolamine, neurotrasmettitori che non sono favorevoli allo sviluppo armonico fetale e sono antagonisti dell’ormone dell’amore. “Le donne di oggi non possono vivere la gravidanza con serenità -erompe l’autore- e ognuna ha almeno una ragione per preoccuparsi: si sente dire che ha la pressione troppo alta, che sta prendendo peso troppo alla svelta o troppo lentamente, che è anemica, che ha poche piastrine e quindi è a rischio di emorragia, ha il diabete gestazionale, il bambino è troppo grosso o troppo piccolo, la placenta è bassa, la gravidanza è particolarmente a rischio perché ha 18 anni oppure perché ne ha 39, il bambino ancora non si è girato, le analisi del sangue indicano una possibilità che il bimbo sia Down, non ha assunto acido folico al momento giusto e ora il bimbo è a rischio per la spina bifida, l’ecografia rivela una possibile anomalia al rene destro, non è immunizzata contro la rosolia e contro la toxoplasmosi, è Rh negativa, avrebbe dovuto partorire lo scorso mercoledì e quindi bisogna indurre il parto, ecc…Ma oggigiorno è ancora possibile essere una donna “normale”?” Fa riflettere il fatto che a porsi e a porci questa domanda esasperata sia un chirurgo che nell’ospedale francese di Pithiviers, unico medico con sei ostetriche, ha assistito circa 1000 parti all’anno, durante la sua carriera. Ma la domanda sottolinea la realtà che nel parto industrializzato, le “cure” prenatali, non contribuiscono ad avvolgere la gestante in un’atmosfera amorosa come suggerirebbe il fatto di essere in presenza di un evento prodotto dall’amore e che dovrebbe promuovere l’amore, ma la routine e i protocolli rimandano a una gestione del parto fatta essenzialmente di controllo. Controllo della riproduzione umana che porta ad analizzare, distinguere e infine a separare, a preparare il terreno per quel disturbo della capacità di amare che, secondo Odent, produce i dissesti più pericolosi nelle nostre società attuali: criminalità, aggressività, atteggiamenti distruttivi e auto distruttivi. Controllo della riproduzione che ha origini antichissime, di almeno 10.000 anni, quando con l’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento, la “rivoluzione neolitica”, a partire da un piccolo gruppo di popolazioni all’avanguardia che abitavano il Medio Oriente, il sud-est asiatico, la Cina centrale, l’America centrale e le Ande, si è diffuso, come strategia primaria di sopravvivenza, il dominio sulla Natura. Il dominio sulla natura implica il concetto di proprietà, una delle principali cause di conflitto, che ha reso la guerra un aspetto comune delle relazioni fra le popolazioni, e, il predominio e persino lo sterminio reciproco, una tendenza generalizzata. “Da allora, accrescere il potenziale umano di aggressività divenne un vantaggio evolutivo. E’ stato a questo punto della storia dell’umanità che i nostri antenati furono in grado di comprendere meglio i meccanismi della riproduzione umana. L’osservazione degli animali domestici ebbe un effetto illuminante sul ruolo esercitato dai rapporti sessuali, e quindi sul ruolo maschile. La sessualità divenne allora un processo organizzato e controllato da diversi ordinamenti di tipo matrimoniale e da una grande varietà di rituali, come ad esempio le mutilazioni genitali. A partire da quest’epoca tutti i vari episodi della vita sessuale umana rientrano sotto il controllo dell’ambiente culturale e questo è anche il caso del parto e della nascita (…) Sin dall’epoca in cui la strategia fondamentale di sopravvivenza di tutti i gruppi umani era quella di dominare la natura e gli altri gruppi, è sempre stato vantaggioso crescere uomini più aggressivi e capaci di distruggere la vita. Ovvero, era conveniente ridurre la capacità di amare, compresa quella di amare la natura, cioè di rispettare Madre Terra”. E qui si chiude il cerchio e viene svelato con quale meccanismo l’Homo Sapiens si è infilato nel “cul de sac”, nel vicolo cieco, che ci ha portato a uno sfruttamento eccessivo e distorto del potenziale vitale del nostro Pianeta, mettendoci oggi a rischio di estinzione: “L’Homo Sapiens che attualmente domina il Pianeta è dotato di una intelligenza tale da essere in grado di formulare i problemi più complessi ed elaborarne le soluzioni. Ma, allo stesso tempo, si dimostra incapace di riconoscere quali siano le vere priorità e di trasformare certe idee in azioni concrete”. Si rende quindi più che mai necessario cambiare radicalmente il nostro atteggiamento verso la natura per invertire la tendenza autodistruttiva, perché quella di diventare capaci di aggredire e distruggere non è più una strategia di sopravvivenza che abbia un senso nel nostro tempo. Una direzione di lavoro in questo senso, da Odent è ravvisata in quello che egli definisce un “atteggiamento biodinamico”. Questo termine fa riferimento al movimento dell’agricoltura biodinamica che già nel ventesimo secolo ha costituito, secondo Odent, una grande rivoluzione di idee e di pratiche volte a invertire la tendenza della Terra verso la sterilità, prodotta dall’industrializzazione dell’agricoltura. Quest’altro aspetto dell’analisi condotta da Odent in questo libro, che ne giustifica appunto il titolo “L’agricoltore e il ginecologo”, mostra tutta l’acutezza e la genialità dell’approccio dell’autore: mettere in parallelo la terra e il corpo umano, la fertilità del suolo con quella delle donne, gli effetti a lungo termine delle pratiche ostetriche con quelli dati dall’avvelenamento delle colture e conseguentemente del cibo, la gestione industriale della nascita con l’agricoltura industrializzata, offre un contributo estremamente affascinante alla comprensione della nostra attualità e stimola a un rinnovato impegno in favore della salvezza del Pianeta. E a rendere ancora più affascinante la teoria, i personaggi dai quali Odent si fa “accompagnare” nel percorso, a suffragare il suo approccio. Cito per tutti Wilhelm Reich che, come riferisce Odent, “studiò il processo della desertificazione (del suolo), arrivando a concludere che a provocare il deserto in natura è ‘il deserto emotivo interiore degli uomini’, alludendo alla straordinaria capacità umana di distruggere la vita senza esitazione”. .. e lascio, a questo punto, alle lettrici e ai lettori il gusto di scoprire tutti i particolari di questo prezioso contributo di Michel Odent. Rimando anche, però, prima di concludere, alla riscoperta di un altro personaggio di cui abbiamo parlato alcuni anni fa su “D&D” (n.39), Emilia Hazelip, Il suo approccio all’agricoltura può svelarci una volta di più l’importanza del rispetto dei meccanismi endogeni della fisiologia. Mi permetto infine di consigliare anche la lettura di un’altra autrice, più volte citata nelle nostre pagine, Riane Eisler che nel suo “Il piacere è sacro” (Frassinelli editore) traccia un’importante visione del nostro tempo, come propizio al passaggio dal modello sociale della sopraffazione e della guerra, a quello della “partnership” e dell’armonia; e lo fa prendendo a supporto la storia antica, l’archeologia e l’antropologia. Buone letture!