Cirrosi biliare primitiva: le opzioni terapeutiche Rassegne

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Cirrosi biliare primitiva: le opzioni terapeutiche Rassegne
Rassegne
Vol. 100, N. 9, Settembre 2009
Pagg. 417-423
Cirrosi biliare primitiva: le opzioni terapeutiche
Ludovico Abenavoli
Riassunto. La cirrosi biliare primitiva (CBP) è una malattia colestatica cronica e lentamente progressiva del fegato, ad eziologia auto-immune, caratterizzata da lesioni a carico dei dotti biliari intra-epatici, con possibile evoluzione verso l’insufficienza epatica. Per
il trattamento della CBP, sono stati studiati numerosi farmaci, comprese molecole ad azione coleretica ed immuno-soppressiva. I pazienti che intraprendono il trattamento con acido ursodesossicolico negli stadi iniziali di malattia e che fanno registrare un miglioramento del profilo biochimico, presentano una buona prognosi. Il trapianto di fegato è, di
solito, un opzione riservata a quei pazienti affetti da uno stadio avanzato di malattia.
Parole chiave. Acido ursodesossicolico, bilirubina, cirrosi biliare primitiva, colestasi,
trapianto ortotopico di fegato.
Summary. Primary biliary cirrhosis: therapeutic options.
Primary biliary cirrhosis (PBC) is a chronic and slowly progressive cholestatic liver disease of autoimmune etiology, characterized by injury of the intra-hepatic bile ducts that
may eventually lead to liver failure. Many drugs have been performed for treatment, including agents with choleretic and immunosuppressive properties. Patients, particularly those who start ursodeoxycholic acid treatment at early-stage disease and who respond
with improvement of liver biochemistry, have a good prognosis. Liver transplantation is
usually an option for PBC patients with severe liver failure.
Key words. Bilirubin, cholestasis, liver transplantation, primary biliary cirrhosis,
ursodeoxycholic acid.
Introduzione
La cirrosi biliare primitiva (CBP) è un’epatopatia cronica auto-immune, lentamente progressiva
che coinvolge i dotti biliari inter-lobulari e settali.
Istopatologicamente, la CBP è caratterizzata da
un’infiammazione portale associata a distruzione
immuno-mediata dei dotti biliari di piccole dimensioni. In generale, la sopravvivenza media dei pazienti affetti da CBP è di 10-15 anni, molto inferiore
rispetto a una popolazione di controllo1.
■ Si distinguono tre fasi di malattia. La fase iniziale, caratterizzata dall’infiammazione e dalla conseguente distruzione dei dotti biliari inter-lobulari,
associata in circa la metà dei casi a infiammazione
globulare con necrosi peri-portale linfocitaria. La seconda fase, in cui si registra la perdita irreversibile
dei dotti biliari. La loro distruzione conduce a duttopenia, con diminuita secrezione biliare e ristagno di
sostanze tossiche all’interno del fegato, con ulteriore
danno epatico, che, promuovendo la progressione
della fibrosi, può portare fino alla cirrosi. Infine la
terza fase, che si ha quando i livelli di bilirubina sierica superano valori di 6 mg/dl. Tale fase è detta terminale, in quanto una volta instaurata, la sopravvivenza media dei pazienti è di 3 anni, a meno che non
si ricorra al trapianto ortotopico di fegato (OLT).
Nel 1851, Eddison e Gull descrissero per primi
questa patologia, mentre il termine “cirrosi biliare
primitiva” venne introdotto da Dauphinee e Sinclair nel 1949. Nel 1950, Ahrens e collaboratori separarono la cirrosi biliare in primaria e secondaria, in funzione della sede del danno biliare: piccoli dotti nel primo caso, dotti settali ed inter-lobulari
nel secondo. Per descrivere in modo più appropriato questa condizione patologica, nel 1965, Rubin, Schaffner e Popper proposero la definizione di
“colangite cronica distruttiva non suppurativa”,
che – però – è troppo ridondante per sostituire
quella di “cirrosi biliare primitiva”.
Unità Operativa Fisiopatologia Digestiva, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università Magna
Græcia, Catanzaro.
Pervenuto il 2 marzo 2009.
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Recenti Progressi in Medicina, 100, 9, 2009
Nello stesso anno, gli anticorpi antimitocondri
(AMA) vennero scoperti da Walzer e collaboratori,
con l’ausilio delle tecniche di immuno-fluorescenza
e quindi adottati come marcatori sierologici di malattia.
■ La causa della CBP è sconosciuta, ma vi è
l’importante evidenza di una etiologia autoimmune. A favore di questa ipotesi, numerosi
studi di immuno-istochimica riportano la presenza
di cellule T attivate nelle aree di distruzione dei
dotti biliari, la descrizione di auto-anticorpi altamente specifici e reattivi contro antigeni localizzati sulla superficie dei biliociti e l’associazione largamente descritta tra CBP e altre condizioni autoimmuni1.
La malattia colpisce soprattutto donne di mezza età, con il picco di incidenza che si registra nel
quinto decennio di vita. La diagnosi deve essere
presa in considerazione quando gli esami ematochimici evidenziano elevati livelli di fosfatasi alcalina, iper-colesterolemia e aumento delle immunoglobuline di tipo M (IgM). La presenza degli AMA
è caratteristica di questa malattia. Presenti nel 9095% dei pazienti, gli AMA si riscontrano nel siero
spesso molti anni prima della comparsa dei segni
clinici di malattia1.
La caratteristica patogenetica della CBP è che,
al contrario di altre malattie auto-immuni, l’attacco immuno-mediato è principalmente organo-specifico, anche se gli antigeni mitocondriali sono stati trovati in tutte le cellule nucleate dell’organismo.
Porre diagnosi di CBP, specie precocemente, ha un impatto considerevole in termini di prognosi, in quanto il trattamento di base, costituito da acido ursodesossicolico (AUDC),
presenta una notevole efficacia.
La terapia farmacologica
La CBP è la più frequente sindrome da vanificazione dei dotti biliari (“vanishing bile duct sindrome”) e rappresenta una sorta di prototipo della
colestasi intra-epatica.
Negli ultimi trent’anni, notevole attenzione è
stata rivolta all’individuazione di un trattamento
farmacologico efficace (tabella 1). La ricerca si è
inizialmente indirizzata allo studio di farmaci ad
azione immuno-soppressiva, antinfiammatoria ed
anti-fibrotica. Successivamente si è orientata
verso lo studio degli effetti dell’acido ursodesossicolico (AUDC), un sale biliare diidrossilato che presenta la peculiarità di modificare in senso idrofilico le caratteristiche
chimico-fisiche del pool degli acidi biliari
presenti nel circolo entero-epatico2.
Attualmente, uno degli obiettivi di maggior interesse è la definizione dell’efficacia terapeutica
conseguente all’associazione tra l’AUDC e farmaci
immuno-soppressivi.
Tabella 1. Efficacia e tossicità dei principali farmaci
utilizzati nella terapia della CBP.
Farmaco
Efficacia
Tossicità
-
+
Colchicina3-6
+/-
-
Corticosteroidi7-9
+/-
+/-
Azatioprina10,11
+/-
+
Ciclosprorina12
+/-
+
Metotrexate13
+/-
+
Clorambucil14
+/-
+
-
+
+
-
2
D-penicillamina
Malotilato15
16-18
AUDC
L’efficacia dei farmaci utili nel trattamento della CBP dovrebbe essere valutata in rapporto alla
loro capacità di influire favorevolmente sui seguenti indicatori di risposta:
1. sopravvivenza e sopravvivenza libera da trapianto;
2. insorgenza di complicanze maggiori della cirrosi epatica (ascite, encefalopatia epatica, sanguinamento da varici, carcinoma epatocellulare, HCC,
etc.);
3. livelli di bilirubina e altri indici prognostici;
4. lesioni istologiche e sintomi specifici (astenia,
prurito);
5. indicatori biochimici di colestasi e citonecrosi.
L’esecuzione di studi sugli effetti di una terapia volta a modificare la storia naturale della
CBP è di particolare difficoltà. Questo poiché
l’estrema variabilità del decorso clinico della malattia richiede un’osservazione su un campione
di adeguata numerosità, difficilmente disponibile per una patologia relativamente rara. Inoltre,
risulta rilevante la misura dell’efficacia terapeutica. L’istologia della CBP è infatti caratterizzata dalla coesistenza, nello stesso prelievo,
di lesioni caratteristiche di stadi differenti di
malattia. La variabilità dovuta al campionamento ne rende il valore molto labile come indice d’efficacia. L’elastografia, nuova tecnica diagnostica, non è ancora stata validata per le malattie colestatiche in generale e per la CBP in
particolare.
La prevenzione degli eventi clinicamente rilevanti (compresi decesso e trapianto) costituisce
l’obiettivo primario che la terapia di una epatopatia cronica deve conseguire. Tuttavia, la determinazione della loro incidenza risulta estremamente
difficoltosa in una malattia come la CBP, dal decorso variabile ed esteso sull’arco di decenni.
L’OLT o il decesso sono esiti possibili e a volte inevitabili; ma risulta difficile fondare studi su di es-
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si: lo stesso OLT non è evento oggettivo, in quanto
l’indicazione alla candidatura è posta dal clinico e
dunque è passibile di errori.
Tutto ciò rende ragione dell’importanza di un
lungo periodo di osservazione negli studi volti alla
valutazione di trattamenti in grado di modificare
la storia naturale della malattia.
D-PENICILLAMINA
L’elevata concentrazione intra-epatica di rame
osservata nei pazienti con CBP ha suggerito, all’inizio degli anni ’80, l’impiego terapeutico della
D-penicillamina, che possiede anche un blando effetto anti-fibrotico e immuno-soppressivo2.
Gli studi clinici pubblicati, peraltro poco uniformi per schemi posologici e caratteristiche dei
pazienti arruolati, che si riferiscono ad una popolazione di circa 1000 pazienti, riportano solo un
modesto e transitorio miglioramento degli indici
biochimici, non accompagnato da alcun modificazione della curva di sopravvivenza. Inoltre, in più
del 30% dei pazienti, si sono registrati rilevanti effetti collaterali. L’impiego di questo farmaco è
quindi, ad oggi, sconsigliato.
COLCHICINA
La colchicina è stata valutata in tre studi clinici controllati3-5. Alla dose di circa 1 mg/die, la colchicina ha ridotto i livelli sierici degli enzimi epatici, mentre più variabile è stato l’effetto sui livelli di
albumina e bilirubina. Il trattamento non ha prevenuto le complicanze della cirrosi, né modificato
la sopravvivenza, anche dopo un lungo periodo di
trattamento. Tuttavia, quando i risultati dei tre
studi sono stati combinati tra di loro, il gruppo trattato con colchicina ha presentato un significativo
prolungamento della sopravvivenza rispetto al
gruppo di controllo6. In nessuno di questi studi è
stato però evidenziato un miglioramento dei sintomi e del quadro istologico.
Pertanto, sebbene la scarsa tossicità della colchicina ed i lievi miglioramenti descritti a seguito
della sua somministrazione ne favoriscano l’impiego in un trattamento a lungo termine, non ci
sono dati sufficienti che ne suggeriscano
l’impiego generalizzato in mono-terapia, al di
fuori di studi controllati.
CORTICOSTEROIDI
Mitchison et al.7 hanno condotto uno studio in
doppio cieco che ha dimostrato l’efficacia del trattamento con prednisolone a basse dosi (10 mg/die)
nel migliorare i sintomi e gli indici di colestasi. Lo
stesso studio, prolungato ulteriormente per due
anni in singolo cieco8, ha mostrato un miglioramento del quadro istologico in alcuni pazienti in
fase non cirrotica ed una modesta riduzione degli
indici biochimici. Le esigue dimensioni della casi-
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stica (36 pazienti) e le limitazioni metodologiche
dello studio non consentono di trarre conclusioni
circa eventuali effetti sulla progressione della malattia e sulla sopravvivenza. Il prednisolone ha
peraltro ridotto marcatamente la densità ossea
già dopo un anno di trattamento, con conseguenze sfavorevoli sui sintomi e sull’evoluzione dell’osteopenia.
Si deduce che i corticosteroidi, al momento,
dovrebbero essere impiegati solo nell’ambito
di studi controllati. Tuttavia, in casi selezionati,
come nei pazienti in cui sono associate patologie del
connettivo, oppure in pazienti con sindrome da overlap, l’uso di steroidi è giustificato9. Consigliabile è il
ricorso ad un concomitante trattamento per l’osteopenia.
AZATIOPRINA
L’azatioprina è stata valutata in due ampi trial
clinici controllati10,11. Il trattamento non ha determinato miglioramento negli indici biochimici, né
del quadro istologico. Una rielaborazione dei risultati del secondo studio ha mostrato un modesto miglioramento della sopravvivenza nel gruppo trattato con azatioprina. La mancanza di un miglioramento negli indicatori biochimici ed istologici suggerisce, tuttavia, una cauta interpretazione dei dati, peraltro inficiati dall’alta percentuale di pazienti che non si è presentata a controllo o che ha
interrotto volontariamente il trattamento per la
comparsa di effetti collaterali. Considerata anche
la scarsa tollerabilità, la sola azotioprina non
trova oggi indicazione nel trattamento della
CBP.
CICLOSPORINA
L’efficacia della ciclosporina è stata valutata
in due studi controllati a breve termine e in uno
multicentrico con un periodo di osservazione di
sei anni, in cui sono stati arruolati 349 pazienti12. Nel secondo studio controllato, la ciclosporina è stata somministrata al dosaggio di 3
mg/kg/die, modificando il dosaggio in modo da
mantenere i livelli sierici al di sotto di quelli efficaci a prevenire il rigetto nei pazienti trapiantati. In tutti gli studi si è osservato un modesto
miglioramento o un più lento peggioramento degli indici di colestasi, della bilirubinemia e dell’albuminemia. Il trattamento non ha determinato alcun beneficio sul prurito, né alcun cambiamento del quadro istologico. L’effetto sulla sopravvivenza sembra essere trascurabile. Inoltre,
la ciclosporina ha determinato un aumento significativo della creatininemia e la comparsa di
numerosi effetti collaterali, che nel 5% dei casi
hanno indotto la sospensione del trattamento
stesso. Pertanto, vista la limitata efficacia
del farmaco sulla sopravvivenza e la sua
scarsa maneggevolezza, il suo utilizzo è poco ragionevole.
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METOTREXATE
Il metotrexate è stato sperimentato nella CBP a
dosaggi settimanali compresi tra 7,5 e 15 mg: posologia, questa, nettamente inferiore a quella impiegata nei trattamenti oncologici, e simile a quella utilizzata per il trattamento della psoriasi e dell’artrite reumatoide. A tale dose, il metotrexate non
si comporta come inibitore del metabolismo dell’acido folico, ma piuttosto come immuno-modulante/antinfiammatorio. Il farmaco è stato proposto dopo l’osservazione di miglioramenti degli indici enzimatici e dei sintomi, osservati in uno studio pilota su pazienti con CBP in fase pre-cirrotica13. L’utilizzo del metotrexate è tuttavia controverso. Oltre alla trombocitopenia che si può osservare nel lungo termine, nel 14% dei pazienti trattati insorge una polmonite interstiziale, complicanza questa potenzialmente grave, anche se reversibile. Pertanto, l’utilizzo di questo farmaco
non è indicato nelle CBP in fase avanzata. La
sua efficacia potrebbe essere limitata a quei pazienti in fase pre-cirrotica che non abbiano risposto
al trattamento con AUDC e con malattia in evidente peggioramento.
CLORAMBUCIL
L’agente alchilante clorambucil è stato sperimentato in uno studio pilota di 24 pazienti14. Un
modesto miglioramento degli enzimi epatici, della
bilirubina sierica, dei livelli di albumina e del livello di IgM è stato osservato dopo due anni di follow-up. Sul piano istologico è stata riportata una
modesta riduzione dell’infiltrato infiammatorio
portale, senza modificazioni del grado di fibrosi.
Gli effetti del clorambucil sulla sopravvivenza non
sono stati valutati. Considerata la tossicità del farmaco ed il suo potenziale mutogeno, la sua applicazione non appare giustificata.
MALOTILATO
In uno studio multicentrico randomizzato che
ha coinvolto 101 pazienti, monitorati da 6 a 46 mesi (periodo di osservazione media 25 mesi), gli effetti del malotilato registrati sui test di laboratorio,
sintomi e quadro istologico sono stati minimi. Al
contrario sono stati osservati notevoli effetti collaterali, mentre un paziente ha sviluppato un’epatite severa15.
ACIDO URSODESOSSICOLICO
L’acido ursodesossicolico (AUDC) è il 7 beta-epimero dell’acido chenosossicolico ed è un acido biliare presente fisiologicamente nella bile umana,
dove rappresenta una piccola percentuale degli acidi biliari totali (figura 1). L’AUDC è attualmente l’unico farmaco approvato per il trattamento dei pazienti affetti da CBP.
Figura 1. Formula chimica dell’AUDC.
Numerosi studi su ampie casistiche sono stati
condotti in merito. Essi hanno documentato non solo il miglioramento dell’espressione biochimica della malattia, ma anche la modificazione della sua
storia naturale, con aumento della sopravvivenza
e riduzione del ricorso all’OLT1, a fronte di effetti
tossici trascurabili. Tuttavia, questi risultati sono
stati recentemente messi in dubbio da due metanalisi indipendenti. Quindi, l’efficacia a lungo
termine della terapia con AUDC sulla storia
naturale della CBP rimane controversa.
Nella maggior parte degli studi pubblicati, la
dose di AUDC utilizzata è stata di 13-15 mg/kg/die,
in conformità con il dosaggio utilizzato per la dissoluzione dei calcoli biliari1. Tuttavia, bisogna notare che la colestasi comporta una profonda modificazione della farmacocinetica dell’AUDC.
Sulla base di quanto riportato in letteratura, le
linee-guida redatte dalla Associazione Americana
per lo Studio delle Malattie di Fegato propongono
l’adozione delle seguenti definizioni per risposta ottimale, sub-ottimale e assente16: nei pazienti con
valori di bilirubina superiori alla norma, la risposta ottimale all’AUDC deve considerarsi la sua
normalizzazione, in quanto questi pazienti hanno
un’aspettativa di vita sovrapponibile ai pazienti
con bilirubina normale senza trattamento. Al contrario, nei pazienti in cui la bilirubina non si normalizza in corso di trattamento, l’incremento di bilirubina durante il follow-up è simile ai pazienti
non trattati. Nei pazienti che iniziano il trattamento con AUDC, con valori di bilirubina normale,
la risposta ottimale deve essere considerata la normalizzazione della fosfatasi alcalina. Si considera
risposta sub-ottimale, invece, una riduzione senza
normalizzazione della fosfatasi alcalina, e una risposta assente la non modificazione o l’incremento
della fosfatasi alcalina.
Un problema dibattuto è l’indicazione al
trattamento per specifiche categorie di pazienti (tabella 2). L’AUDC è sicuramente efficace nei pazienti con malattia sintomatica o in uno
stadio istologico avanzato.
L. Abenavoli: Cirrosi biliare primitiva: le opzioni terapeutiche
Tabella 2. Indicazioni al trattamento con AUDC nella CBP in relazione allo stadio clinico e istologico di
malattia.
Stadio della CBP
Ruolo dell’AUDC
Pazienti asintomatici
(stadio istologico I-II)
AUDC utilità dubbia:
efficacia non dimostrata
Pazienti asintomatici
(stadio istologico III-IV)
AUDC indicato:
efficacia dimostrata
Pazienti sintomatici
(con bilirubina < 2mg/dl)
AUDC indicato:
efficacia dimostrata
Pazienti itterici
(2<bilirubina < 10mg/dl)
AUDC utilità dubbia:
efficacia dubbia
Stadio avanzato
(bilirubina > 10mg/dl)
AUDC non indicato:
nessun trattamento
medico efficace,
OLT quando possibile
Nei pazienti in stadio iniziale, l’indicazione ad
una terapia a tempo indeterminato è dibattuta, tenuto conto che l’aspettativa di vita per questo sottogruppo non si discosta sostanzialmente dalla popolazione generale. Inappropriato appare inoltre
l’intervento terapeutico nei pazienti che presentano ittero ingravescente, manifestazione clinica della fase pre-terminale della CBP. Infatti, quando la
maggior parte dei dotti biliari è stata distrutta,
non rimane spazio di manovra per alcun intervento terapeutico. La sola opzione è il trapianto d’organo.
Gong et al.17 hanno eseguito una nuova metanalisi sui dati presenti in letteratura in merito all’efficacia dell’AUDC nei pazienti affetti da CBP.
Gli autori hanno identificato 16 studi clinici randomizzati (1447 pazienti) in cui è stato valutato
l’AUDC vs placebo o vs nessun trattamento. Oltre
la metà degli studi presentava alto rischio di bias.
Dal confronto con il placebo e con l’assenza di terapia, l’AUDC non ha mostrato di influenzare significativamente né la mortalità, né il ricorso all’OLT. Questi dati sono stati sostenuti dall’esecuzione di una metanalisi bayesiana. La regressione
metanalitica suggerisce che gli effetti dell’AUDC
sembrano associati con la severità della malattia
e con la durata dello studio. L’AUDC non ha determinato un miglioramento del prurito, dell’astenia, del quadro auto-immune, delle alterazioni
istologiche o della pressione portale. Tuttavia, ha
migliorato il profilo biochimico, la bilirubina sierica, l’ascite e l’ittero, ma i risultati sono basati su
pochi studi. L’uso dell’AUDC è stato associato significativamente con effetti collaterali, principalmente con l’aumento del peso corporeo. Gli autori
concludono che dalla revisione sistematica dei dati presenti in letteratura, non è dimostrato alcun
beneficio dall’utilizzo terapeutico dell’AUDC nei
pazienti affetti da CBP.
In conclusione, se l’AUDC ha un’efficacia certa
nel trattamento delle CBP negli stadi precoci, altrettanto non si può dire negli stadi intermedi,
mentre è nulla negli stadi avanzati di malattia.
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Recentemente, il nostro Gruppo ha valutato
il profilo biochimico in grado di definire in modo efficiente i pazienti trattati con AUDC a rischio di morte o di OLT 18. L’efficienza di diverse combinazioni dei valori sierici della bilirubina, della fosfatasi alcalina (FA), delle aspartato
aminotransferasi (AST) è stata valutata dopo 1
anno di trattamento in 292 pazienti affetti da
CBP. I pazienti che hanno fatto registrare una
FA <3 [il limite superiore del valore normale
(vn)], AST <2 vn e bilirubina <1 mg/dl dopo 1
anno di terapia con AUDC, hanno presentato un
tasso di sopravvivenza a 10 anni, liberi da trapianto, del 90%, rispetto al 51% di coloro che
non erano stati sottoposti a trattamento. Fattori predittivi indipendenti di decesso o di OLT,
sono stati: un valore sierico basale di bilirubina >1 mg/dl, uno stadio istologico avanzato,
presenza di epatite da interfaccia e l’assenza di
risposta biochimica (FA = >3 vn o AST >2 vn o
bilirubina >1 mg/dl).
In conclusione, il nostro studio definisce la migliore risposta biochimica all’AUDC, che, indipendentemente da valori predittivi basali, identifica i pazienti con CBP con una buona prognosi a lungo termine.
Associazioni terapeutiche con l’AUDC
Sono state sperimentate alcune combinazioni
terapeutiche tra l’AUDC e farmaci immuno-soppressivi e/o anti-fibrotici. I risultati ottenuti dall’associazione con il metotrexate sono stati modesti o addirittura negativi. L’aggiunta di cortisone
sembra invece essere in grado di migliorare significativamente l’espressione biochimica della
malattia, il prurito ed anche l’istologia. L’ulteriore aggiunta di azatioprina non è al momento giustificata, poiché i dati disponibili sono pochi e indicano un miglioramento istologico minimo rispetto alla monoterapia con AUDC. Uno studio
multi-centrico italiano19 ha riportato un andamento verso una minore frequenza di fallimenti
terapeutici al limite della significatività statistica. I dati relativi alla sopravvivenza non evidenziano alcuna differenza tra la combinazione con
colchicina e mono-terapia con AUDC. In seguito,
è stata valutata l’efficacia del budesonide, un glucocorticoide che, in virtù dell’alta affinità recettoriale e dell’elevato metabolismo epatico di primo
passaggio, induce scarsi effetti collaterali a livello osseo. Il farmaco è stato somministrato per 24
mesi alla dose di 9 mg/die, in associazione con
l’AUDC. Solo uno di questi studi ha dimostrato la
superiorità della combinazione rispetto alla mono-terapia con AUDC4. Tuttavia, per nessuna
di queste combinazioni è stato ad oggi dimostrato un effetto positivo su parametri
clinicamente rilevanti.
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Trapianto ortotopico di fegato
Il trapianto ortotopico di fegato (OLT) è il trattamento di scelta per i pazienti affetti da CBP in
fase avanzata. Molti Centri considerano questi
pazienti eccellenti candidati all’OLT, in quanto si
tratta di pazienti giovani o donne di mezza età
senza altre patologie di rilievo. In accordo con
l’origine biliare del danno, la funzione epatica rimane a lungo integra. Infatti, l’insufficienza epatica si sviluppa nel 26% dei pazienti affetti da
CBP nei 10 anni successivi alla diagnosi. L’elemento prognostico più importante è il tasso di bilirubina, indipendentemente dagli altri valori della funzione epatica. L’aspettativa di vita è inversamente proporzionale ai livelli ematici
di bilirubina.
Pazienti con livelli di bilirubina che superano i
6 mg/dl o che hanno evidenza di scompenso epatico, devono essere avviati allo screening per il trapianto. Per il timing d’immissione in lista trapianto è raccomandato l’uso del Mayo score20, per punteggi compresi tra 6 e 720. Alcuni pazienti presentano astenia severa e prurito incoercibile, ma questi rappresentano una minoranza dei casi valutati
per OLT, così come i pazienti con grave osteopenia.
La sopravvivenza dei pazienti trapiantati per
CBP raggiunge oggi livelli ottimali ed è pari
all’83%, 77% e 69% rispettivamente a 1, 5 e 10
anni di follow-up20. Al contrario, la sopravvivenza attesa in assenza di OLT, a 2 e 5 anni è rispettivamente del 55% e del 22%.
Conclusioni
1. La cirrosi biliare primitiva (CBP) è una malattia che oggi viene sempre più spesso diagnosticata negli stadi iniziali, specie nella fase asintomatica, con inizio precoce del trattamento e conseguente miglioramento della prognosi rispetto al passato. I dati sulla sopravvivenza che suggeriscono una scarsa aspettativa di vita nei pazienti affetti da CBP, sono ricavati da pazienti nei quali la malattia è
stata diagnosticata già da alcuni decenni, quando cioè non erano presenti trattamenti efficaci. La
letteratura indica la CBP è una malattia che presenta una progressione nel tempo estremamente
variabile.
2. La maggior parte dei pazienti con CBP sono oggi trattati con acido ursodesossicolico (AUDC). L’utilizzo di altri farmaci in aggiunta al trattamento di base con AUDC può essere efficace. In almeno il 2530% dei pazienti con CBP trattati con AUDC si registra una risposta completa, caratterizzata dalla
normalizzazione del quadro biochimico e da un quadro istologico stabile o addirittura migliorato. In almeno il 20% dei pazienti trattati con AUDC non si ha progressione istologica della malattia nei primi
quattro anni di terapia, mentre alcuni di essi non presenteranno progressione per un decennio o anche
per periodi più lunghi. Tuttavia, bisogna tener presente che l’AUDC non agisce sull’eziologia della malattia, ma riduce l’azione tossica prodotta dalla ritenzione endogena degli acidi biliari all’interno delle
vie biliari epatiche.
3. Inoltre, l’AUDC è in grado di rallentare, ma non di arrestare, la progressione della CBP e, in fase
avanzata, quando la grande maggioranza dei dotti biliari sono stati distrutti, il trapianto ortotopico di fegato resta l’unica opzione terapeutica. In futuro, la raccolta e la catalogazione di dati epidemiologici affidabili, ottenuti mediante lo screening della popolazione a rischio, potrà fornire sia una
corretta misurazione della reale prevalenza e dell’incidenza della CBP, sia una maggiore conoscenza dell’eziologia e della patogenesi, determinando la messa a punto di una terapia specificamente
mirata.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Ludovico Abenavoli
Università Magna Graecia
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica
Unità Operativa di Fisiopatologia Digestiva
Viale Europa
88100 Germaneto (Catanzaro)
E-mail: [email protected]
423
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