BANCHE ISLAMICHE Introduzione L`usura nel Corano
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BANCHE ISLAMICHE Introduzione L`usura nel Corano
BANCHE ISLAMICHE Etienne Renaud in Encounter 2000-01 : Documents for muslim-christian understanding n. 261-280. Traduzione dall’Inglese di Emanuela Bedendo Introduzione Il Profeta disse: “Verrà un tempo in cui l’uomo non si curerà del profitto, sia lecito che illecito” Buhhâri, Ventes (34), bâb 7 A seguito della crisi petrolifera gli stati Arabi si ritrovarono con un surplus di petroldollari che dovevano essere investiti da qualche parte. Alla fine degli anni ’70 questa situazione condusse sia gruppi privati che, occasionalmente, imprese statali a costituire istituzioni finanziarie in accordo con lo spirito dell’Islām. Nacquero così diverse banche che proclamavano la loro adesione alla shari‘a e che cercavano di attrarre i nuovi capitali. Paesi come l’Iran e il Pakistan islamizzarono persino l’intero sistema bancario; sia per motivi religiosi che per dimostrare anche il loro disprezzo del capitalismo occidentale. Si parlò persino di una “teoria economica islamica”. Ci furono colloqui internazionali sull’argomento e fiorirono siti Internet1. E’ già disponibile una notevole letteratura su questo argomento2. Esamineremo prima la condanna dell’usura nel Corano e nella tradizione e poi gli sviluppi giuridici. Infine considereremo le differenti attitudini giuridiche nei diversi paesi islamici. L’usura nel Corano Naturalmente dobbiamo cercare nel Corano la ragione iniziale della condanna del prendere un interesse. La radice RBW significa “accrescere”. La parola ribâ nel senso di usura si trova solo in quattro passaggi coranici. Dobbiamo studiarli in ordine cronologico. Il primo è nella sura 30 (al-Rûm), che data nel terzo periodo meccano, poco prima dell’Hegira: “Ciò che presti a interesse (ribâ) allo scopo di aumentare (li-yarbuwa) la tua proprietà non la aumenterà (lâ yarbû) davanti a Dio, mentre ciò che tu dai via in carità (zakât) cercando il volto di Dio ti porterà molte volte il suo valore” (Corano 30,39). Non c’è ancora una condanna esplicita, ma solo una direttiva morale di giustizia sociale. Ciò si capisce nel contesto del tempo e del luogo, in cui la comunità musulmana è ancora una piccola minoranza in una società nella quale il commercio non riconosce principi morali e nella quale l’usura è largamente praticata3. Gli altri tre passaggi sono tutti dello stesso periodo e probabilmente si tratta di pochi anni dopo il trasferimento del Profeta a Medina. Seguendo l’ordine stabilito da J. Schacht4, cominciamo con il verso 3, 130: “Non praticare (letteralmente “mangiare”) l’usura moltiplicando il capitale oltre il dovuto”. Qui c’è la prima proibizione formale. Dapprima può essere stata indirizzata alla comunità giudaica di Medina, ben conosciuta per le sue pratiche finanziarie. Sembra trattarsi di una particolare forma di usura, successivamente chiamata ribâ al-jâhiliyya (usura pre-islamica), secondo la quale se un debito non era rimborsato alla scadenza l’importo dovuto veniva aumentato. 1 Per esempio: www.islamic-banking.com che rinvia anche ad altri siti. Alcuni lavori saranno citati in questo articolo, e quasi tutti contengono una bibliografia. 3 Per ulteriori dettagli vedi: Lammens, “La Mecque à la veille de l’hégire”, pp 139 e sg., 155 e sg., 213 e sg. 4 Encyclopédie de l’Islam 2° ed., « ribâ », T.8, pp. 508-510 2 1 Di seguito riportiamo un passaggio della sura al-Baqara: “Quelli che si nutrono di usura si alzeranno (nell’ultimo giorno) come quelli posseduti dal demonio. Essi dicono infatti, ‘usura e vendita sono la stessa cosa’, mentre Dio permette la vendita, ma proibisce l’usura… Dio ridurrà l’interesse in polvere, mentre farà fruttificare i doni… O voi credenti, temete Dio, rinunciate all’eccesso di interesse usuraio, se credete veramente. Se non seguite questa regola, dovete aspettarvi l’ostilità di Dio e del suo Messaggero. Se vi pentite, manterrete il vostro capitale, senza fare del male a nessun altro né a voi stessi. A un debitore in difficoltà garantite un ritardo fino a che la sua situazione migliori. E se rinunciate ai vostri diritti, questo sarà ancora meglio”(Corano 2, 275-280)5. Questo è un passaggio fondamentale per la nostra riflessione. Si possono elencare i seguenti punti: • la chiara distinzione tra commercio e ribâ; • la ribâ è condannata da Dio, mentre dall’altra parte egli incoraggia la donazione di beni; • la fede implica la rinuncia all’usura; • comunque, il capitale sarà salvaguardato; • di più, non si può infierire su chi è in difficoltà. C’è un terzo passaggio finale, il cui contesto suggerisce che anche questo sia indirizzato agli ebrei. Conferma le precedenti proibizioni: “E poiché essi prendono ribâ mentre è proibito, e illegalmente si appropriano delle proprietà altrui” (Corano 4, 161). Finora abbiamo ignorato la parola araba ribâ. Come deve essere tradotta? Semplicemente con “interesse” o “eccessivo interesse”? La nostra interpretazione della proibizione coranica dipenderà dalla nostra comprensione di questo termine. Si può notare che si verifica una simile ambiguità anche in francese. Nell’uso antico “usura”, significava semplicemente “interesse preso su una somma di denaro” (Robert), mentre oggi la usiamo per significare un tasso di interesse usuraio. Nell’insegnamento coranico le motivazioni etiche sono predominanti. E’ profondamente sbagliato sfruttare la debolezza di un debitore per il proprio vantaggio personale. Si può ricordare il caso della ribâ al-jâhiliyya, in cui si approfitta di un debitore insolvente. E’ anche immorale arricchirsi senza rischio, fare sempre più soldi solo perché si è ricchi. Più ampiamente, il capitale ha una funzione sociale al servizio dello sviluppo della società. La ricchezza non è un fine in se stessa. Dio infatti è il “padrone assoluto” di tutte le cose della terra e l’uomo ne è solo il depositario ed il beneficiario. Egli deve perciò usare dei beni della terra per i fini per i quali Dio li ha creati e affidati all’umanità6. Diamo ora un rapido sguardo alla tradizione La tradizione Ci sono diversi hadith che parlano di usura7, Essi confermano la proibizione. Si legge per esempio: “Il Profeta proibì di vivere sugli interessi e di costringere altri a fare lo stesso”8. Una punizione esemplare attende l’usuraio9. L’usura comunque si diffonderà grandemente10: 5 In Bukhâri, buyû (34), bâb 25, si dice che Ibn ‘Abbâs abbia detto: “Questo fu l’ultimo versetto rivelato al Profeta”. PICCINELLI G.,“Il sistema bancario islamico”, Oriente Moderno, nuova serie, anno VII (LXVIII) N. 1-9 (gennaiosettembre1988) p.64 7 Wensinck: A handbook of Early Muhammadan Tradition, Brill 197, sotto la voce “usura”. Una buona collezione di hadith sull’argomento si trova nella Yemenita Qâdî Muhammad al-SHAWKANI, Nayl al-awtâr, Beirut, Dâr al-jill, 1973, pp295-325. 8 Bukhari, Buyû (34) bâb 25,113. 9 Bukhari, Buyû (34) bâb 24; Ahmad b.Hambal II, 353, 363. 10 Abu Dâwûd, Aqdiyâ (23), 3; Ibn Mâja, Tijârât (12), 58. 6 2 “Certamente verrà un tempo in cui l’uomo non si preoccuperà più di sapere se il denaro che maneggia è di provenienza lecita o illecita”.11 Si dice che il Profeta abbia ripetuto la proibizione dell’usura durante il pellegrinaggio di addio: “Dio proibisce l’usura. Essa rimarrà illecita fino alla risurrezione”12. Dopo la morte del Profeta si discuteva ancora dell’argomento nella comunità. ‘Omar, il secondo califfo, sembrò avere delle incertezze circa la ribâ: “I versetti che parlano della ribâ sono fra gli ultimi rivelati del Corano, e il Profeta morì prima di poter spiegare il loro significato. Bisogna perciò astenersi da ciò che è dubbio e adottare ciò che non darà origine ad alcuno scrupolo”13 “Temo che possiamo esserci astenuti dai nove decimi delle cose che sono permesse, a causa di un eccessivo timore della ribâ”14 E altrove: “Avrei preferito che il Profeta avesse dato spiegazioni definitive, così da eliminare ogni controversia riguardante certi casi di ribâ”15. Le scuole giuridiche16 Le differenti scuole islamiche di diritto hanno approfondito il materiale del Corano e della sunna che riguarda la ribâ, cercando di definire precisamente quali transazioni si debbano considerare usuraie. Oltre alla ribâ al-jahiliyya, la pratica pre-islamica di cui abbiamo già parlato, i giuristi hanno distinto altri due tipi di ribâ. La prima, chiamata ribâ al nasi’a (o ribâ di credito), è la relazione tra creditore e debitore in cui il profitto del creditore è il risultato di un’obbligazione pecuniaria. L’altra forma, o ribâ al-fadl, è uno scambio di specie diverse di beni, i cui l’arricchimento di una delle parti è dovuto allo sbilanciamento tra quanto è dato e quanto è ricevuto. Nel primo tipo, la pressione usuraia evidentemente è più facilmente identificabile. Infatti la proibizione della ribâ è rimasta intatta come obbligo religioso. Tutti riconoscono che la regola non può essere apertamente trasgredita. Contemporaneamente le transazioni di affari non possono ignorare il ruolo degli interessi. Perciò, in pratica, si può ricorrere ad una quantità di espedienti giuridici (hîa, pl.hiyal) costituiti da una serie di atti, ognuno dei quali è formalmente perfettamente legale e in accordo con la lettera del testo coranico, anche se contraddice il suo spirito. Si può osservare che l’attaccamento al testo letterale conduce naturalmente alla ricerca di espedienti. La hîla costituisce un modus vivendi tra la teoria e la pratica17. Un modo classico e rudimentale di aggirare la proibizione è stato il mukhâtara, chiamato anche bay’al-îna (vendita a credito). E’ un duplice contratto di vendita e riacquisto (bay’atân fi bay’a); chi presta denaro, vende un articolo per un valore uguale al capitale richiesto dal compratore, ma con l’aggiunta degli interessi e con pagamento rateale; ma poi egli riacquista lo stesso articolo 11 Bukhari, Buyû (34), 23. cit. da Zoubeir OBEIDI, La Banque Islamique, Paris, al Salâm, 1988,p 56. Per una discussione più approfondita sugli hadith sulla ribâ, v. l’articolo di Schacht: Encyclopedie de l’Islam, 2° ed., ribâ, T.8, pp 508-510. Si può anche consultare Haçène BEyMANSOUR: Politique économique en Islam, Paris, al Qalam, 1994. 13 cit . da Zoubeir OBEIDI: La Banque Islamique, Paris, al Salâm, 1988,p 56. 14 v. nota 13. 15 H’mida ENNAIFER: Le ribâ en Islam, historique et actualité, articolo non pubblicato p 4 16 In questa sezione sono stato grandemente aiutato da PICCINELLI Gian Maria: Banche islamiche in contesto non islamico, materiali e strumenti giuridici. Roma, Istituto per l’Oriente, 1996, pp 22-26. Il Prof Piccinelli ha gentilmente accettato di leggere il mio testo e mi ha fornito un gran numero di informazioni complementari. Tra le altrecose ha attirato la mia attenzione su di un libro tradotto e presentato sotto i suoi auspici: Questioni di diritto islamico dell’economia, le fatâwa, del gruppo Dallah-Albaraka, che sarebbe uscito nel 2000; ed anche su un libro della professoressa Deborah SCOLAR, Compatibilità tra gli strumenti di finanziamentop internazionale e il profit loss sharing di diritto islamico, in uscita nei Quaderni, del Centro Interdisciplinare per gli Studi sul Mondo Islamico, dell’Università di Tor Vergata di Roma. 17 SCHACHT, cit. p 85 12 3 semplicemente al prezzo del capitale dovuto. Questo tipo di transazione era conosciuto nella pratica mercantile europea del Medioevo come mohatra. Differiva di poco dalla pratica usuraia e più tardi fu condannato da diverse scuole. Nel corso degli anni furono prodotte una quantità sempre maggiore e più complessa di interpretazioni, secondo cui il profitto del creditore era moderato da una forma di condivisione del rischio che sembrava riportare la transazione più in linea con la proibizione coranica. Ne esamineremo alcune più avanti, compresa la mudâraba. La murâbaha è tornata in voga con la nascita delle banche islamiche. E’ interessante vedere come il dibattito sulla questione degli interessi sia riapparso nel ventesimo secolo. La principale figura di questo dibattito fu il riformista Sceik Muhammad’Abduh (18491905). In una celebre fatwa dichiarò che prendere gli interessi su un deposito di conto corrente era lecito. Evitò la parola interesse a causa delle sue implicazioni storiche e preferì parlare di “dividendi” o “profitti” maturati sui conti di risparmio e li considerò come necessari al pubblico interesse18. Questa fatwa ebbe importanti ripercussioni e fu ripresa da vari discepoli, compreso Râshid Ridâ e poi, nel 1957, Mahmûd Shaltût. Le ultime e più avanzate argomentazioni etiche per giustificare la riscossione di interessi sui depositi bancari, citano i valori della solidarietà e dell’incoraggiamento al risparmio. Troviamo lo stesso modo di pensare nel Mufti dell’Egitto, Muhammad Seyyid Tantawî, che più tardi divenne Sceik di al-Azhar. Nel 1989 egli insistette sull’importanza della crescita del bene comune19. Ancora prima, negli anni ’50, l’eminente giurista ‘Abd al-Razzâq Ahmad al-Sunhûri (morto nel 1971), il padre del codice civile egiziano, aveva analizzati i motivi che giustificavano la concessione di interessi20. Queste dichiarazioni, anche se furono aspramente criticate, cercarono di riconciliare i grandi principi dell’Islam con le richieste di modernizzazione dell’economia. In qualche modo, nello stesso spirito, si possono citare i lavori dell’egiziano Muhammad Sa‘îd’Ashmawi21 che accentuò la differenza tra interesse e ribâ, e la fatwa del saudita Ibrâhim alNâsir22 che dichiara che la legge musulmana non rifiuta il sistema bancario moderno o l’interesse che genera. Di nuovo, la maggioranza dei giuristi musulmani non rispose positivamente a queste interpretazioni.23 ma preferì alternative specifiche islamiche. Cercarono di mantenere le tradizionali provvigioni della legge islamica rendendole competitive con le istituzioni capitaliste. Ora possiamo esaminare queste strategie tradizionali e vedere come sono applicate in un contesto moderno. Ma prima, per capire queste applicazioni, dobbiamo fare una digressione sulla filosofia dei contratti nella legge musulmana. Le ragioni della proibizione Per capire le ramificazioni della questione della ribâ, dobbiamo prima tentare di offrirne una precisa definizione. Ciò ci permetterà di vedere le ragioni profonde della proibizione dell’interesse prima di dire una parola sulla forma dei contratti nell’Islām. 18 C’è un’ampia discussione su questa fatwa in Z. OBEIDI: La Banque Islamique. Une nouvelle téchnique d’investissement, Beirut 1988, pp 58-62. C’è anche materiale in M. RODINSON: Islam et Capitalisme, Paris 1966, pp159-160. Maxime Rodinson dichiara in particolare: “Non è altro che un mito che ci sia un’opposizione fondamentale tra Islam e capitalismo” (p 166). 19 Al-Ahrâm, 8 settembre 1989. 20 Su questo argomento v. i dettagli bibliografici in Franck E. VOGEL e Samuel L. Hayes III: Islamic Law and Finance: Religious Risk and Return, London Kluwer Law International, 1988, p 46. 21 Muhammad Su’îd’Ashmawi: Al-ribâ wa l-fâ’ida fi-l-islâm, Cairo, Dâr Sînâli-l-nashr, 1988. 22 Ibrâhim b.’Abd Allâh al-NASIR: Mawqif al-sharî’a a min al-masārif, typescript, senza data 20 pp. 23 v. H’Mida ENNAIFER, art cit p 3. 4 Josef Schacht, il maggiore specialista di legge islamica, così definisce la ribâ: “Un diritto unilaterale che non produce un obbligo corrispondente, stabilito in favore di una delle due parti contraenti nello scambio di due pagamenti finanziari”24. Gian Maria Piccinelli, che ha fatto uno studio speciale del sistema bancario islamico25, ne dà una definizione in qualche modo più ampia. Per lui la ribâ è “ogni incremento di ricchezza che non si basa, né deriva, da un’azione produttiva del suo possessore”26. Egli aggiunge che il termine “azione produttiva” va inteso in senso ampio. Il rischio finanziario può essere considerato in se stesso come costituente una forma di azione. Per quanto riguarda la proibizione dell’interesse, si può invocare per prima cosa il motivo religioso. Dio, condanna la ribâ nel Corano, e perciò l’obbedienza a Dio obbliga il credente a rinunciare a qualsiasi profitto illecito. La proibizione comunque va oltre le categorie di lecito e illecito. Come dice Samî Hammûd: “Dietro la proibizione c’è un’intera filosofia della funzione del capitale, che dovrebbe essere posto al servizio della società”. Questa filosofia è sia etica che economica. Nello studio dei versetti del Corano si è posto l’accento sulla dimensione etica: non sfruttare il debitore insolvente, non arricchirsi senza correre alcun rischio. Ma c’è anche la dimensione economica di incoraggiamento allo spirito di impresa, contro gli effetti perversi della speculazione. Il sistema degli interessi rinforza la tendenza ad accumulare i capitali nelle mani di una minoranza. La richiesta di un tasso fisso di interesse, senza prendere in considerazione i risultati di un’operazione, distorce sia la creazione di ricchezza che la produttività. Il sistema islamico dall’altra parte cerca di privilegiare il ruolo dell’investitore oltre a quello del creditore. Senza dubbio il profitto è consentito, ma questo non significa che i tassi di interesse debbano essere fissati in anticipo. Dovrebbe esserci piuttosto un sistema di partecipazione sia agli utili che alle perdite, che permetta ad ognuna della parti di giocare un ruolo attivo nel processo economico27. In altre parole il valore del capitale deve dipendere dall’investimento. Si ha così uno stimolo ad un’economia produttiva nella quale l’enfasi è posta più sull’investimento che non su chi investe o prende in prestito. Queste considerazioni ci aiutano già a penetrare più profondamente nel sistema economico islamico. Se comunque vogliamo capire le strutture stabilite dalla legge musulmana per promuovere questi principi di compartecipazione, e qualche volta per nascondere il concetto di interesse, dobbiamo fare un piccolo excursus sui contratti nell’Islām. La nozione di contratto (‘aqd, pl uqûd) occupa un posto importante nella legge musulmana28all’interno della cornice di quello che viene chiamato mu’âmalât (transazioni nella società umana), che è diverso dagli ‘ibâdât che regolano la preghiera. Nella tradizione classica, il contratto deve avere certe caratteristiche: • Il mutuo scambio deve essere, in linea di principio, simultaneo specialmente quando il prodotto può modificarsi con il passare del tempo, come per esempio un futuro raccolto. C’è un’abbondante letteratura su questo tema negli hadîth. • Non deve esserci alcun dubbio sulla titolarità del diritto, così da mettere un certo ordine in tutti gli esempi legali. • I prodotti devono essere della stessa natura: Il Profeta dice:“Oro per oro, uguaglianza per uguaglianza, e argento per argento, uguaglianza per uguaglianza”.29 24 Josef SCHACHT.” Introduzione al diritto musulmano”, Torino, Fondazione Agnelli 1995, p 154. v. Gianmaria PICCINELLI. “Il sistema bancario islamico”, Oriente Moderno, nuova serie, anno VII (LXVIII), N. 19 (gennaio-settembre 1988), pp 1-408; e, dello stesso autore: “Banche islamiche in contesto non islamico”, Roma, Istituto per l’Oriente, 1996, 320pp. 26 Cfr 25: “Il sistema bancario islamico” p 8. 27 cfr 25: “Banche islamiche in contesto non islamico”, p. 12 28 v. David SANTILLANA: “Istituzioni di diritto musulmano malichita”, Roma, Istituto per l’Oriente, 1938, vol.2. 29 Bukhâri, Ventes (34), bâb 87. 25 5 • Da ultimo il contratto non deve dipendere da un azzardo. L’azzardo (gharâr) è proibito, allo scopo di prevenire lo sfruttamento del più debole da parte del più forte in situazioni di incertezza. Perciò i giuristi stabilirono limiti precisi ai contratti che potevano coinvolgere il caso, come per esempio nella vendita di qualcosa che verrà, e dichiararono invalidi i contratti nei quali l’incertezza ipotetica dell’oggetto di scambio fosse la clausola principale. Questo era il caso di tutti i contratti assicurativi (ta’min), sconosciuti alla legge classica30. Con la crescente importanza delle assicurazioni nella vita moderna sono state avanzate molte teorie per giustificare la loro legalità31. E’ stato particolarmente invocato il principio della solidarietà. Una considerazione complementare si è avanzata in merito all’assicurazione sulla vita: la morte è nelle mani di Dio e bisogna abbandonarsi alla sua Provvidenza. Dopo questo studio dei principi morali ed economici che sottendono alle proibizione della ribâ e la conseguente filosofia delle banche islamiche, possiamo ora presentare alcuni dei modi concreti, radicati nella legge musulmana, in cui agiscono queste banche. La Murâbaha Nel sistema bancario islamico uno dei più comuni sistemi di credito per gli affari32 è la murâbaha (dalla radice araba RBH, che significa guadagno, profitto).In inglese la parola è spesso tradotta con Mark-up o Cost-plus financing33. Esso concerne un contratto di ri-vendita: la banca acquista per il suo cliente una parte di proprietà ad un prezzo fissato. Poi la banca rivende la proprietà ad un prezzo più alto definito al momento del contratto. Questo prezzo include il guadagno della banca (ribh) pagabile entro un certo lasso di tempo, abitualmente compresa tra 6 e 9 mesi. In base alle regole sviluppate dalla fuquha’, il prezzo di acquisto, che è la base del premio pagabile dall’intermediario, deve essere conosciuto e le due successive operazioni di vendita devono essere chiaramente distinte. Quando il pagamento è rateale di parla di bay’mu’ajjal. Il venditore dà la merce direttamente al cliente che la sceglie lui stesso e la ordina sul conto della banca. Questo tipo di operazioni si usa specialmente per operazioni commerciali a breve termine. Infatti la banca ricopre il ruolo di intermediario finanziario; c’è una struttura trilaterale, nella quale invece del prestito tradizionale, ci sono due contratti di vendita. Questa pratica ha dato origine a molte critiche in Occidente, dal momento che si tende a vedere in essa un interesse occulto ottenuto con una vendita a profitto. Infatti la banca non corre rischi riguardo alla merce, dato che è il cliente ad esserne responsabile. L’unico rischio della banca è quello finanziario del prestito. La Mudâraba34 Un’altra pratica è la mudâraba35. E’ un’associazione commerciale in cui un investitore (rabbal-mâl) affida una somma di denaro ad un agente (mudârib-âmil) che la commercia e divide poi con lui una parte predeterminata dei profitti quando gli restituisce il capitale36. E’ una vera 30 cfr 25: “Il sistema bancario islamico”, p 15, note 22 e 23. v. “Islamic law and Finance”..pp 150-153 o E. KLINGMUELLER : ”Islam et assurances”, pp153-165. In : G. BEAUGE (ed): “Les Capitaux de l’Islam”, Paris, Press du C.N.R.S, 1990 cap.8. 32 Alcune della fonti dicono che esso copre circa l’80% degli affari della banche islamiche. 33 cfr 25: “Il sistema bancario islamico”, p 143, nota 7. 31 v. Wakin J.A.: “Mudâraba” in “L’Encyclopedie de l’Islam” 2° ed. Vol VII pp 286-287 e anche Udovitch A.L: “ Qirâd” Vol V pp 132-133; i due termini sono praticamente sinonimi. 35 v. Piccinelli G.:”Banche Islamiche…” pp 102-116 nota 7; Piccinelli G.:”Il sistema bancario islamico…” p 13 nota 37 è p. 31 nota 108. Saleh N., “Unlawful Gain and legittimate Partnership in Islamic Law”, Cambridge N.Y., 1986 36 La parola è spesso resa in inglese con “profit and loss sharing”. La stessa espressione si potrebbe applicare all’intera teoria bancaria islamica. Nel caso presentato qui, non c’è una vera e propria condivisione delle perdite, dato che ogni perdita di capitale è sostenuta dal finanziatore iniziale. Renderebbe meglio il termine mudâraba l’espressione “compartecipazione tacita”(compartecipazione in senso pieno è mushâraka, di cui si parlerà di seguito). 34 6 relazione(amāna) combinata con il lavoro, che diventa un’associazione con la divisione dei guadagni. Sembra un vero contratto di associazione (cfr. infra), ma con la differenza che non c’è alcun contributo al capitale comune, né cogestione. Qui il possessore originario del denaro rischia il suo capitale, mentre l’agente spende il suo tempo e le sue capacità. Questo tipo di contratto fu largamente utilizzato nei porti italiani nel decimo secolo. Si chiamava commenda e agì come propulsore del commercio per tutto il Medio Evo. Fu usato specialmente nelle attività di scambio. Questo tipo di contratto si riferisce anche al credito commerciale; viene anche chiamato qirâd37 o muqârada, dalla radice qard, che significa prestito. Però questo termine può creare confusione, perché nella tradizione giuridica islamica il contratto di qard, è usato particolarmente nel contesto di lavoro caritativo, e in particolare quello che il Corano chiama qard hasan, un’espressione che si ripete ben 26 volte nel Corano 38. In questa operazione ogni somma di denaro viene data senza aspettarsene la restituzione. Anche questo fa parte delle attività della banche islamiche, che sono spesso chiamate a gestire il denaro raccolto con la zakât 39. Per quanto riguarda i crediti, è ormai accettato che chi chiede il prestito debba sopportare i costi amministrativi del servizio prestato dalla banca 40. Sono ancora molte le domande in discussione e non risolte. Per esempio, che cosa si prospetta al creditore se il suo partner è in ritardo? Si può stabilire un sistema di garanzie? Si può allineare il costo del credito al tasso di inflazione? La mudâraba non ha avuto difficoltà ad adattarsi alle tecniche bancarie.. Il mandato dell’agente, sebbene in teoria sia abbastanza libero, spesso include una clausola che permette alla banca di annullare il contratto a sua discrezione se ci sono dubbi sulla realizzazione del progetto. Inoltre, la mudâraba può funzionare in due modi completamente diversi. Può essere la banca stessa ad offrire un credito ad uomini d’affare, e allora essa gioca il ruolo di rabb al-mâl. Nel caso opposto La banca agisce come agente (‘âmil) e accetta la responsabilità di amministrare i fondi dati da singoli individui perché siano investiti. Un caso particolare di esercizio di questa seconda mudâraba riguarda i fondi di solidarietà (takâful) nei quali gli investimenti si fanno per un motivo speciale. In altre parole essi costituiscono una specie di assicurazione in situazioni in cui la legge musulmana proibisce contratti tipo di assicurazione. Se uno dei sottoscrittori dell’investimento muore, i suoi eredi ricevono non solo il capitale già depositato, aumentato degli interessi maturati, ma anche il capitale che avrebbe dovuto pagare fino al raggiungimento del 60° anno di vita. E’ qui che il principio di solidarietà interviene, coprendo la spesa con gli interessi che si sarebbero dovuti agli altri partecipanti. La Mushâraka41 Questa parola si può tradurre con “partecipazione finanziaria”. Essa riguarda una società contrattuale costituita per lo sfruttamento congiunto del capitale, con una partecipazione congiunta sia ai profitti chealle perdite. Per esempio, un cliente con uno specifico progetto di affari, sottopone la sua proposta a una banca e chiede un capitale per aumentare i sottoscrittori del progetto 42. La banca fornisce il capitale 37 v. nota 29 Corano 2, 245; 5,12; 57,11; 57,18; 64,17; 73,20 39 v. SADEQUE M.: “Components of Islamic banking” in: “Thoughts of Islamic Banking”, 2° Seminario Internazionale sul Sistema Bancario Islamico, Dhaka, 15-17 dicembre 1980, pp 103-108. 40 cfr. decisione dell’Accademia Islamica di Fiqh dell’Organizzazione della Conferenza Islamica alla sua 3° sessione ad Amman (11-16 Ottobre 1986) in risposta ad una domanda della Banca di Sviluppo Islamico. 41 Piccinelli G.M.:”Banche Islamiche…”, pp 120-126; “Il sistema bancario islamico”, p 31. 42 Questo tipo di contratto può diventare un’operazione di progetto finanziario o capitale di rischio, secondo l’espressione in uso in Occidente. 38 7 necessario e valuta che: 1) i profitti siano divisi tra i contraenti nelle proporzioni stabilite alla stipula del contratto; 2) le perdite siano equamente suddivise in base alla quota di partecipazione al capitale sociale. Il contratto fra i soci è fiduciario e può essere di due specie. Si può basare su un accordo generico di agire nel mutuo interesse (shirka mufâwada) o può contenere delle clausole che riguardano l’accordo in generale, le quote di capitale e gli orientamenti della società. Si ha così una shirkat al‘inân, dove la parola ‘inân indica il paraocchi di una bestia da soma. Questo secondo tipo è stato più largamente accettato dalle scuole giuridiche che non il primo, con l’idea che in quest’ultimo la partecipazione sia diseguale. Un’ulteriore differenza è data dalla durata della compartecipazione. Può esserci una mushâraka senza scadenza che facilita i progetti a lungo termine, o una mushâraka a scalare (mutanâqisar) in cui la partecipazione della banca si riduce progressivamente e man mano le sue quote passano al cliente che alla fine rimane l’unico proprietario del capitale. Il contratto di mushâraka si usa spesso per il credito alle importazioni, ma si può applicare anche ai crediti industriali o agricoli. ALTRI TIPI DI CONTRATTO Ci sono molti altri modi in cui si può guadagnare senza dover usare la parole “interesse”. C’è per esempio il caso del bay’salam o vendita a consegna posticipata, una pratica comune nell’Islam classico. La consegna delle merci in questione è posticipata ad una data successiva al pagamento sul mercato locale. Così un agricoltore può vendere il suo raccolto in anticipo per poter pagare i suoi contadini 43. Data la presenza di molti fattori di incertezza, i giuristi hanno dovuto cercare di riequilibrare gli elementi di questo tipo di contratto introducendo delle restrizioni che rendono difficile il suo uso nella pratica bancaria. Inoltre, la banca stessa deve organizzare la vendita del prodotto, cosa che in linea di principio può fare solo quando effettivamente è in possesso della merce. Qualche volta può aggirare la difficoltà diventando lei stessa cliente di una terza parte in un contratto salam 44. Strettamente connessa al contratto salam è la bay’al-istinâ o “vendita di manufatti”. Una delle parti compra le merci che l’altra si impegna a produrre in base a specifici accordi stabiliti nel contratto. La differenza rispetto alla vendita salam è che questa riguarda solo merci manufatte. Questo tipo di contratto si usa per la costruzione di edifici o industrie. L’affitto (ijâra)45è un altro modo legittimo di guadagnare. E’ possibile affittare merci molto costose come materiale industriale, aeroplani, navi, ciò permette al cliente di evitare di pagare il prezzo pieno. La banca compra la proprietà e ne diventa la proprietaria. Qualche volta il cliente può diventare proprietario alla scadenza dell’affitto in base a condizioni fissate in precedenza (contratto di affitto-vendita). Sembra che il prodotto del sistema bancario islamico che oggi incontra il massimo successo sia una forma di microcredito iniziata in Bangladesh46 ed ora diffusasi in molti altri paesi. 43 Questa pratica può in effetti condurre allo sfruttamento dei poveri contadini, che possono trovarsi obbligati a vendere i loro raccolti per il 50% del loro valore Charfi M.: “Islam et liberté, le malentendu historique”, Paris, Albin Michel 1999, p 127. 44 V. Vogel F.E. e Hayes III S.L.: “Islamic Law and Finance: Religion Risk and Return”, London, Kluver Law International, 1998, pp 248-252, p.146 45 Sull’affitto nella pratica bancaria v. “Il sistema bancario islamico…” p 33 , nota 15 o “Islamic Law and Finance…” p 190 e indice. 46 La Grameen Bank, costituita nel 1979, non è di fatto tipicamente islamica. 8 L’APPLICAZIONE DEI SIGNIFICATI TRADIZIONALI NEL CONTESTO CONTEMPORANEO Negli esempi citati, abbiamo dato le indicazioni sulla pratica attuale nelle banche islamiche, per cui quella che era formalmente la sfera delle iniziative individuali è ora stata trasferita alle banche. Se prendiamo l’esempio della mudâraba, la banca può rivestire il ruolo di proprietario del capitale ma può anche ricoprire quello di agente che fa l’investimento. In questo modo diventa l’intermediario/amministratore per del denaro individuale dato per l’investimento 47. E’ chiaro infatti che sia le proibizioni coraniche che le diverse procedure usate dalla legge classica per esprimere, o semplicemente aggirare, questi divieti riguardano essenzialmente le transazioni tra singoli. Con lo sviluppo degli scambi nel Medio Evo, le operazioni si allargarono, ma sempre ad un livello commerciale. Ora, con le banche islamiche l’area si estende sempre di più nel settore finanziario. Questo cambio di scala è significativo. In aggiunta si comincia a parlare di un modello economico islamico che sia conforme alla shari’a. Si è anche sviluppata una specie di “Islamic audit” e le istituzioni finanziarie espongono certificati emessi da istituzioni giuridiche specializzate 48. Questo modello islamico tenta qualche volta di presentarsi come un’alternativa al modello convenzionale occidentale, basato sul capitalismo. C’è stata un’evoluzione dal modello transattivo tra individui al modello macroeconomico 49. I governi stessi possono sentirsi chiamati ad intervenire in questo campo. Ci vorrebbe uno studio specifico per spiegare le posizioni assunte dai diversi stati musulmani. Noi qui ci accontentiamo di una rapida esposizione. LA LEGISLAZIONE DEGLI STATI MUSULMANI50 La legislazione bancaria islamica varia enormemente negli stati musulmani a seconda della loro storia e delle loro scelte politiche. Tre paesi - Iran, Pakistan e Sudan - costituiscono gruppo a sé rendendo obbligatorio il sistema bancario islamico. Dalla rivoluzione del 1979, l’Iran ha sistematicamente islamizzato il sistema bancario e, dal 1986 l’intero settore bancario è stato largamente incorporato nella struttura economica del governo 51. Il Pakistan ha seguito lo stesso cammino quando, nel 1984, tracciò le norme islamiche per le banche, e il Sudan ha fatto lo stesso. Paradossalmente, l’Arabia Saudita, nonostante il suo puritanesimo wahahabita, non figura in questo elenco. Se la shari’â regola tutti gli aspetti della vita sociale, ci sono settori che ricadono sotto una legislazione “speciale”. Dato che uno di questi settori riguarda l’industria petrolifera nella sua dimensione internazionale, questa legislazione costituisce la maggior parte del diritto commerciale. Ovviamente permette di parlare di “interessi”, anche se preferisce i termini “commissioni” (‘umûla) o “profitti” (ribh), e trova la sua giustificazione nel versetto del Corano che dice: “Rispetta i tuoi impegni” 52. Gli Emirati Arabi Uniti si trovano più o meno nella stessa situazione, anche se ne danno una diversa giustificazione, il “principio di necessità” (darûra): “La necessità giustifica il ricorso ad un’azione proibita”. Nella situazione attuale, un solo istituto bancario non potrebbe sopravvivere in un sistema finanziario mondiale basato sull’interesse. Un ulteriore specioso argomento viene addotto: solo la persona fisica può commettere peccato, le persone giuridiche no. 47 v. “Il sistema bancario islamico…” p 21. Alcuni di questi certificati si possono vedere su Internet. Così la Kuwait Financial House ha un certificato emesso dalla hay’at al fatwâ wa-l-murâqaba al shar’iyya (ufficio della fatwa e controllo legale). 49 Vogel F. e Hayes III S.L.: “Islamic Law and Finance…”, p. 30. 50 V. Piccinelli G.M.: “Le banche islamiche…” pp 41-61. 51 v. “Il sistema bancario islamico…” p 21. 52 Q.5,1; v. anche la corrispondente frase latina “pacta sunt serranda”. 48 9 Il Kuwait offre una divaricazione curiosa e paradossale tra il codice civile, che dichiara illecito l’interesse e il codice commerciale che lo riconosce. In Egitto, la Costituzione del 1971 dichiarò la shari’a “una delle fonti del diritto”. Nella versione del 1980 divento “la fonte principale”, ma questa clausola non ha modificato il codice civile, che consente l’interesse. La situazione è simile in Iraq e in Siria, i cui codici civili rimangono ispirati dalla tradizione occidentale. All’inizio del ventesimo secolo, la Tunisia fece un tentativo, con l’aiuto del giurista italiano Santillana, di arrivare ad uniformare il codice civile e quello commerciale, che, pur essendo basati sul modello occidentale, avrebbero dovuto tenere conto del contesto musulmano. La divaricazione tra i due codici comunque, già osservata nel caso del Kuwait, riapparve e la giurisprudenza tunisina consente l’applicazione di un sistema di interesse senza curarsi troppo della tradizione islamica. Lo stesso vale per il Marocco, sebbene la sua giurisprudenza cerchi di arrivare in qualche modo il più vicino possibile alle istituzioni tradizionali islamiche. Dobbiamo anche menzionare la Malesia che, con l’Islamic Bank Act del 1983, permise alle banche islamiche di stabilirsi e operare a fianco della banche tradizionali. Nello stesso anno, la Turchia emise un decreto che regolava la costituzione e le operazioni di “istituti finanziari speciali”, che significa specialmente banche islamiche, anche se la politica ufficiale di secolarismo del paese non permetteva l’uso di questo termine. Anche i paesi occidentali hanno colto questi sviluppi, e le banche islamiche, con alcune modifiche, cominciano ad apparire, anche se limitatamente ad uno “sportello islamico”, nelle altre banche. Lo sviluppo delle relazioni tra i paesi del Mediterraneo ha stimolato la ricerca di strumenti finanziari “compatibili” che possano funzionare senza restrizioni su tutte le sponde del Mediterraneo 53. RIFLESSIONI CONCLUSIVE Il nostro studio è cominciato con la proibizione coranica della ribâ, poi abbiamo seguito la tradizione, considerando le diverse soluzioni offerte dalle scuole fiqh dell’islām classico e siamo giunti alla pratica contemporanea e alla politica giuridica degli stati musulmani. Dopo questo rapido sguardo, sembra che ci troviamo davanti a due domande, una etica e l’altra economica. La prima è di ordine etico e religioso: quale deve essere il nostro giudizio sulla costituzione di banche islamiche? Si potrebbe vedere in essa uno sforzo coraggioso di portare i diversi aspetti della vita, e della vita economica in particolare, alla conformità con la legge di Dio e al rispetto della propria coscienza. In un mondo dominato dal materialismo e dalla sete di guadagno, qui abbiamo almeno un tentativo di creare un’economia “pulita” 54. Non c’è dubbio che per molti musulmani questa sia la direzione, ed è totalmente merito della preghiera. E’ uno sforzo di andare contro il secolarismo pervasivo e la legge del profitto, e può coinvolgere una volontà di sacrificare la competitività con le altre banche per la salvezza dei principi religiosi. Allo stesso tempo, però, non si può fare a meno di essere colpiti dall’ipocrisia e dal formalismo di alcune delle soluzioni proposte per aggirare la proibizione coranica. Spesso il dibattito sembra artificioso. Si può perfino pensare che tutta la questione sia solo politica, un’ulteriore espressione del separatismo islamico e il desiderio di rifiutare qualsiasi cosa che venga dall’Occidente. Lasciamo al lettore di trovare la sua risposta personale a questa domanda. 53 54 Piccinelli G.M.: “Banche Islamiche…” pp 6-7. Secondo Piccinelli, questo sarà certamente il maggior tema del futuro, sia nell’Islam che nell’Occidente. C’è un bisogno di andare oltre i meccanismi capitalistici economici e mettere l’uomo ancora una volta al centro del sistema. Ci sono già vari movimenti per un sistema bancario etico in Europa. Sono timidi, ma possono crescere. Possiamo trovare qui un’importate area di dialogo e cooperazione. 10 La seconda domanda è più specificatamente economica. Qual è l’impatto reale di queste banche islamiche sul sistema bancario mondiale? Sono veramente una via perseguibile? Se credessimo alla pubblicità diffusa su Internet55, potremmo essere impressionati dallo sviluppo della banche islamiche negli anni ’80 e dal numero di incontri tenuti sull’argomento. Potremmo pensare di avere qui il massimo sviluppo del progresso, un fenomeno veramente competitivo, destinato a crescere di importanza e capace di attirare a poco a poco le riserve di capitale dal petrolio arabo. Dall’altra parte, si può essere scettici e vedere lo sviluppo della banche islamiche come un fenomeno molto marginale. Io posso citare una significativa esperienza personale. Quando ero a Parigi, ho cercato di trovare della documentazione sull’argomento. Ma in tutte le più importanti librerie di Parigi specializzate in economia, ho potuto trovare solo una pubblicazione di un certo rilievo 56. La verità si può trovare tra i due estremi. E’ difficile farsi un’idea esatta del tasso reale di crescita dell’attività finanziaria islamica. Frank Vogel, nel suo libro più volte citato, suggerisce che il volume delle operazioni finanziarie possa essere dell’ordine di cento bilioni di dollari, intendendo con la parola bilione mille milioni. Egli mette il tasso di crescita degli ultimi cinque anni al 15%57 ma pensa che possa essere in diminuzione. La competizione con le banche convenzionali è molto acuta, il numero dei contratti offerti è sempre più scarso e anche questi sono quasi sempre limitati agli investimenti a breve termine. La generale riduzione dei tassi di interesse in tutto il mondo ha minato alla base la competitività dei servizi offerti dalle banche islamiche. Il mercato bancario islamico continua a funzionare solo perché attrae circoli religiosi. La Guerra del Golfo ha portato al trasferimento nelle banche svizzere della maggior parte dei capitali delle banche del Medio Oriente, che non è mai più rientrato. Per di più, i servizi del sistema bancario islamico possono sopravvivere solo in periodi di grande stabilità bancaria. Non possono competere con l’inflazione. Se dovesse continuare a prosperare, l’economia islamica avrebbe bisogno di essere condotta con grande fantasia. Può però essere gravemente bloccata da coloro che cercano e stabiliscono le sue regole, gli specialisti del fiqh che, per dirla gentilmente, sono posseduti da uno spirito ipocrita e conservatore. 55 cfr nota 1 Le sole fonti francesi citate in questo articolo si trovano in pubblicazioni minori di editori musulmani. La maggior parte del materiale pubblicato su questo argomento in lingue occidentali è in inglese. Si può consultare in questo senso il ricco catalogo della Islamic Foundation di Leicester. I pochi titoli francesi ai trovano in bibliografia: Algabid H.: “Les banques Islamiques”, prefazione di Gavalda Ch., Paris, Economica, 1990. Beauge G.. (Ed): “Les Capitaux de l’Islam”, Paris, Presse de CNRS, 1990. Benmansour H. : “Politique économique en Islam “, Paris, al-Qalam, 1994. Parigi S. “Les Banques Islamiques, argent et religion“, Paris, Ramsey, 1989). 5 7 Vogel F.E. e Hayes III S.L.: “Islamic law and Finance”p.5 56 11